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Sentenza

Il Tribunale di Roma ha confermato la piena legittimità dell’art. 21 l. n. 247/2...
Il Tribunale di Roma ha confermato la piena legittimità dell’art. 21 l. n. 247/2012 che prevede che l’iscrizione all’Albo comporti la contestuale iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense.
Tribunale di Roma, sez. Lavoro, sentenza 22 maggio 2017, n. 4805
Giudice Bracci

Svolgimento del processo

Con ricorso in riassunzione ex art. 50 c.p.c, l'avv. D.C.P. adiva il Tribunale di Roma in funzione di Giudice del Lavoro chiedendo
1) l'annullamento del Regolamento della Cassa Forense attuativo dell'art. 21 commi 8 e 9 legge n. 247/2012;
2) sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 L. n. 247/ 2012 per violazione del principio di legalità ex artt. 23, 97 e 113 Cost. e violazione del canone di ragionevolezza della legge ex art. 3 Cost. nonché per violazione degli artt. 33 e 41 Cost.;
3) rinviarsi alla Corte di Giustizia della UE per conflitto del Regolamento della CF con il principio comunitario sulla libera concorrenza e sul principio di non discriminazione;
4) l'accertamento della non debenza della contribuzione relativa agli anni 2014, 2015 e 2016 e successivi in presenza di un reddito basso. Il tutto con il favore delle spese di lite Deduceva di riassumere la causa per aver il Tar del Lazio con sentenza n. 7353/2016 dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo in favore del Giudice ordinario in funzione di Giudice del lavoro. Svolte articolate considerazioni in diritto, concludeva chiedendo raccoglimento della domanda.
Fissata l'udienza si costituiva in giudizio la Cassa di Previdenza ed Assistenza Forense, contestando la fondatezza della domanda e chiedendone l'inammissibilità nonché il rigetto nel merito.
Si costituivano in giudizio il MLPS, il MEF e il MG che chiedevano il rigetto della domanda.
Si costituiva il Consiglio Nazionale Forense che chiedeva il rigetto della domanda.
All'udienza del 22.5.2017, previo esame delle note autorizzate, la causa veniva discussa e decisa con sentenza pronunciata ex art. 429 co. 1 c.p.c, dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto

Motivi della decisione

Il ricorso va respinto perché infondato
L'art. 21 L. n. 247/2012 commi 8, 9 e 10 così dispone "L'iscrizione agli Albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. 9. La Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, con proprio regolamento, determina, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri reddituali, eventuali condizioni temporanee di esenzione o di diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l'eventuale applicazione del regime contributivo. 10. Non è ammessa l'iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza se non su base volontaria e non alternativa alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense."
Lamenta il ricorrente Pi]legittimità del regolamento della CF attuativo del comma 9 dell'art. 21 citato, in quanto emesso oltre un anno dalla data di entrata in vigore della L. n. 247/12.
Tale eccezione è priva di fondamento trattandosi di un termine evidentemente ordinatorio e non perentorio, ciò in ragione della mancanza di un'espressa previsione di tipo sanzionatolo o alternativo in caso di mancato rispetto di tale termine.
Mette conto rilevare che in ogni caso la potestà regolamentare rimane sempre in capo alla CF per espressa previsione normativa (ai sensi del D.Lgs. n. 509/94).
Conformemente al citato comma 9 la CF ha emanato l'apposito regolamento, nel quale, dopo aver ribadito l'obbligatorietà dell'iscrizione ad essa ai sensi dell'art. 1, ha individuato i minimi contributivi soggettivi ed ha previsto varie riduzioni nonché il dimezzamento al ricorrere di particolari situazioni legate all'età, all'anzianità di iscrizione ed al reddito annuo dell'interessato, pur garantendo tutela assistenziale piena e pensionistica minima.
Nell'affrontare le varie ragioni di doglianza sollevate in ricorso, si richiama la sentenza n. 5797/2016 di questo Ufficio allegata agli atti.
Invero proprio le disposizioni costituzionali invocate dall'istante, contrariamente a quanto sostenuto dal medesimo, impongono di ritenere che , nel nostro ordinamento, all'espletamento di attività latu sensu lavorativa, sia essa intellettuale o manuale, esercitata in forma autonoma o subordinata, dietro pagamento di corrispettivo, debba accompagnarsi la copertura previdenziale.
E ciò per ragioni di tutela di posizioni indisponibili dal singolo (tutela avverso la vecchiaia, la malattia, l'invalidità e per i superstiti) e, quindi, a prescindere se, poi in concreto, al singolo potrà o meno essere erogata una qualche prestazione (ex art. 38 Cost.; cfr Cass. N. 2939/2001).
Nel caso degli avvocati liberi professionisti, l'art. 21 comma 8 legge n. 247/2012 dà attuazione a tali principi, prevedendo che "...l'iscrizione agli Albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa Nazionale di previdenza e assistenza forense", mentre il successivo comma 10 vieta l'iscrizione ad altra forma di previdenza, salvo che sia su base volontaria, e, in ogni caso, a patto che non sia alternativa a quella della Cassa stessa.
Per il resto, la previsione di un contributo annuo obbligatorio, quale quello paventato dal ricorrente, corrisponde alla garanzia di percezione di un trattamento pensionistico, sia pure, eventualmente, in misura minima.
A nulla rileva che detto contributo non risulti proporzionale al reddito professionale e che non sia informato al principio di progressività.
Al riguardo va seguito l'insegnamento del Giudice delle Leggi, il quale, quando si è pronunciato sulla natura del tributo o meno delle contribuzioni previdenziali e sulla conformità al principio di progressività ex art. 53 Cost. di quest'ultime, ha affermato che la contribuzione previdenziale non è assimilabile all'imposizione tributaria vera e propria, di carattere generale, ma è da considerare quale prestazione patrimoniale avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori interessati (cfr. Corte Cost. nn. 173/1986, 349/1985 e 202/2006).
I giudici di legittimità, in materia di contribuzione forense, hanno poi escluso, in modo esplicito, che i contributi previdenziali siano assoggettati al criterio della progressività (cfr. Cass. N. 4146/1990).
Del resto, con riguardo all'obbligo di iscrizione alla Cassa e al conseguente obbligo contributivo, la Corte Costituzionale aveva già puntualizzato che ciò "non introduce una ulteriore condizione rispetto a quella dell'esame di abilitazione previsto dall'art. 33 Cost, per l'esercizio dell'attività professionale, con conseguente violazione di tale precetto...tali censure urtano contro l'ovvia constatazione che gli obblighi previdenziali sono considerati dalla legge non già come presupposto condizionante la legittimità dell'esercizio professionale, bensì come conseguenza del presupposto dell'imposizione contributiva, che è costituito da tale esercizio " (Corte Cost. n. 132/1984).
Sicché l'obbligazione previdenziale non condiziona a monte l'esercizio di un'attività (anche professionale), ma discende come conseguenza della medesima; infatti in generale il rapporto previdenziale presuppone il rapporto lavorativo.
Pertanto non è ravvisabile alcuna violazione delle disposizioni costituzionali richiamate, né in tema di uguaglianza, né di violazione del diritto al lavoro e di iniziativa privata o di esercizio di un'arte o una scienza, né in materia tributaria.
Anzi, la previsione di un contributo minimo a carico di tutti gli esercenti la professione forense risponde alle esigenze solidaristiche della categoria ed è volta ad assicurare un trattamento previdenziale minimo anche nel caso di redditi percepiti modesti, mentre affrancare da detto obbligo taluni professionisti determinerebbe un ingiustificato slittamento dell'obbligo contributivo complessivo in capo soltanto ad alcuni professionisti.
Peraltro, la necessità di assicurare un trattamento pensionistico a tutti gli iscritti impone la correlata esigenza di imporre un contributo minimo obbligatorio, senza il quale la Cassa, al fine di assicurare il pareggio del bilancio, sarebbe tenuta ad aumentare in modo irragionevole la contribuzione richiesta agli avvocati che producono maggiore reddito professionale.
Quanto alla lamentata violazione dell'art. 23 Cost. e del principio secondo cui ogni prestazione patrimoniale debba essere imposta dalla legge, mentre nel caso di specie il legislatore avrebbe demandato senza alcun limite alla Cassa di stabilire la misura della contribuzione, deve osservarsi che non si tratta di un'attività rimessa all'arbitrio della Cassa.
Invero il Regolamento della CF è soggetto a censure le Ministero del lavoro e ad approvazione ministeriale.
Occorre poi considerare quelle che sono la natura e la finalità della CF; la legge delegata D.Lgs. n. 309/94 ("Attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993 n. 537 art. 1 comma 32 in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza") ha ribadito, coerentemente, sia la trasformazione in associazioni o fondazioni con deliberazione dei competenti organi (art. 1 comma 1) degli "enti di cui all'elenco A allegato" (quale la Cassa nazionale di previdenza e assistenza avvocati) - contestualmente subordinandola alla "condizione che non usufruiscano di finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario", ed esplicitamente sottolineando la continuità della loro collocazione nel sistema, quali enti senza scopo di lucro con personalità giuridica di diritto privato, titolari dei rapporti attivi e passivi dei corrispondenti enti previdenziali e dei rispettivi patrimoni, deputati a svolgerne le "attività previdenziale e assistenziali...ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione" -sia la loro autonomia organizzativa, amministrativa e contabile (art. 2) "nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica delle attività svolte " - e con l'obbligo di "assicurare l'equilibrio di bilancio mediante l'adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico..".
La stessa normativa ha peraltro previsto che gli enti previdenziali privatizzati siano soggetti ad un articolato sistema di poteri ministeriali di controllo sui bilanci e di controllo sulla gestione da parte della Corte dei Conti (art. 3); altresì è previsto il controllo politico della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale (istituita con L. n. 88/89 ). Sicché, come affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 248 del 18.7.1997, la prevista "trasformazione (in persone giuridiche private, appunto) ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti, articolandosi invece sul diverso piano di una modifica degli strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi: l'obbligo contributivo costituisce un corollario, appunto, della rilevanza pubblicistica dell'"inalterato fine previdenziale".
Ne risulta quindi una sostanziale delegificazione, affidata dalla legge all'autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essi imposti, per la disciplina, tra l'altro, del rapporto contributivo - ferma restando l'obbligatorietà della contribuzione -e del rapporto previdenziali - concernente le prestazioni a carico degli enti stessi - anche in deroga a disposizioni precedenti.
Il sindacato giurisdizionale sugli atti di delegificazione adottati da tali enti, investe dunque il rispetto, da un lato dei limiti imposti all'autonomia degli enti, dall'altro, dei limiti costituzionali.
Ebbene sulla base di questi principi, la delegificazione operata dal legislatore nel consentire alla Cassa Forense di stabilire la misura del contributo obbligatorio minimo non sembra in sé violare alcun limite costituzionale.
Quel che emerge dalla disamina del quadro normativo è che il legislatore, fin dalla privatizzazione della CF, si è preoccupato di assicurare l'equilibrio economico - finanziario e di garantire l'erogazione delle prestazioni, prevedendo la vigilanza del Ministero del lavoro (D.Lgs. n. 509/94), sicché, ferma restando la discrezionalità tecnica affidata alla Cassa nel come attuare i principi stabiliti dalla legge, questi ultimi impongono l'equilibrio economico-finanziario e la sostenibilità del pagamento delle prestazioni.
Alla stregua di queste considerazioni, posto che nessuna deduzione concreta è stata effettuata per ritenere che la misura del contributo obbligatorio sia stata individuata in modo irragionevole o arbitrario, la censura - formulata genericamente in ricorso – va disattesa.
Parimenti non sussiste violazione del diritto comunitario, poiché l'iscrizione alla Cassa non è un ostacolo alla concorrenza né crea discriminazioni tra gli operatori della medesima categoria professionale, una volta accertato che tale iscrizione è obbligatoria per tutti costoro e che , come visto, il regolamento di attuazioni prevede una disciplina più leggera per chi si trova in condizioni economiche meno favorevoli (per minor volume di attività e per minore anzianità di iscrizione, quindi, presumibilmente, con minor capacità economica).
Dunque va escluso che l'obbligatorietà dell'iscrizione alla CF costituisca un ostacolo per l'espletamento dell'attività professionale di avvocato.
In conclusione il ricorso va respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c.; pertanto D.C.P. va condannato a rifondere alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, ai ministeri convenuti e al Consiglio Nazionale Forense, le spese di lite che, visto il D.M. n. 55/2014, si liquidano per ciascun resistente in Euro 981,00 per compensi di avvocato, oltre rimborso spese generali del 15%, iva e cpa.

P.Q.M

disattesa ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione:
rigetta il ricorso.
Condanna D.C.P. a rifondere alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, ai Ministeri convenuti e al Consiglio Nazionale Forense le spese di lite che si liquidano, per ciascun resistente, in Euro 981,00 per compensi di avvocato, oltre rimborso spese generali del 15%, iva e cpa.
Avv. Antonino Sugamele

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