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Sentenza

Distanze legali. Controversie tra privati. Controversie contro la la P.A.. Giuri...
Distanze legali. Controversie tra privati. Controversie contro la la P.A.. Giurisdizione del Giudice ordinario e giurisdizione del Giudice amministrativo.
Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 04-12-2018) 24-12-2018, n. 33364
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni - Primo Presidente f.f. -

Dott. SPIRITO Angelo - Presidente di Sez. -

Dott. MANNA Antonio - Presidente di Sez. -

Dott. CIRILLO Ettore - Presidente di Sez. -

Dott. TRIA Lucia - Consigliere -

Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere -

Dott. DORONZO Adriana - Consigliere -

Dott. ORICCHIO Antonio - Consigliere -

Dott. CARRATO Aldo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10220-2017 proposto da:

COMUNE DI BRESSO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo studio dell'avvocato GIOVANNI CORBYONS, rappresentato e difeso dall'avvocato MARIO VIVIANI;

- ricorrente -

contro

C.C., D.M., MABRE S.R.L.;

- intimati -

avverso la sentenza n. 4059/2016 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 31/10/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4/12/2018 dal Consigliere ALDO CARRATO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l'Avvocato Giovanni Corbyons per delega dell'avvocato Mario Viviani.
Svolgimento del processo

I sigg. C.C. e D.M., quali proprietari di un immobile sito in (OMISSIS), esponendo che sul terreno confinante a sud del circostante giardino la Mabre s.r.l. aveva intrapreso la costruzione di un edificio residenziale multipiano (con inizio dei lavori fissato per il 17 febbraio 2010, poi interrotti) a distanza non legale (con particolare riferimento all'edificazione dei balconi prospicienti il loro appartamento), convenivano - con citazione del novembre 2012 - dinanzi al Tribunale di Milano la suddetta Mabre s.r.l. chiedendo la condanna della stessa al ripristino delle distanze di legge tra i fabbricati, mediante demolizione ed arretramento di tutte le parti dell'edificio in corso di costruzione ad opera della convenuta non rispettose delle predette distanze.

Si costituiva in giudizio la Mabre s.r.l., la quale - previa eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario avendo gli attori dedotto l'illegittimità della concessione edilizia rilasciata in suo favore del Comune di Bresso - instava per il rigetto dell'avversa domanda e, in ogni caso, chiedeva l'autorizzazione alla chiamata in causa dell'indicato Comune per l'ottenimento, in caso di accoglimento della domanda attorea, della sua integrale manleva.

Autorizzata la richiesta chiamata in causa, il Comune di Bresso si costituiva anch'esso in giudizio insistendo per l'inammissibilità della domanda di chiamata in garanzia sul presupposto della ritenuta insussistenza della giurisdizione del giudice ordinario e, nel merito, invocava la reiezione della domanda degli attori, in tal senso associandosi alla linea difensiva della società convenuta. All'esito dell'espletata istruzione probatoria, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 5014/2015, accoglieva la domanda principale formulata nei confronti della Mabre s.r.l. (condannando la stessa a procedere, in relazione al balcone posto al secondo piano dell'unità immobiliare di sua proprietà, all'immediato ripristino della distanza di dieci metri rispetto all'immobile degli attori) e dichiarava, invece, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla predetta domanda di manleva proposta dalla medesima convenuta nei riguardi del Comune di Bresso.

La Mabre s.r.l. proponeva appello - riferito a sette motivi - contro detta sentenza invocando il rigetto dell'avanzata domanda attorea e, in subordine, insisteva per la condanna del Comune di Bresso a tenerla indenne e manlevarla dalle conseguenze derivanti dall'accoglimento delle avverse domande e al risarcimento dei danni; con il sesto motivo deduceva, in particolare, la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla richiesta di manleva nei confronti del Comune di Bresso.

Gli appellati C.C. e D.M., oltre a dedurre l'infondatezza del formulato gravame, proponevano appello incidentale, chiedendo accertarsi che tutto l'edificio costruito dalla Mabre s.r.l. non rispettava le distanze legali, con particolare riferimento ai balconi del primo e del secondo piano, con condanna della suddetta società all'arretramento dei menzionati balconi di mt. 2,57 o della diversa misura ritenuta idonea.

Si costituiva, altresì, il Comune di Bresso, il quale chiedeva dichiararsi l'inammissibilità dell'appello principale, insistendo, in ogni caso, per il suo rigetto.

Nell'esaminare congiuntamente i primi cinque motivi dell'appello principale e il gravame incidentale (siccome attinenti alla comune questione dell'accertamento della violazione delle distanze legali), la Corte milanese, in parziale riforma dell'impugnata decisione di prime cure, condannava la Mabra s.r.l. al ripristino della distanza di 10 metri rispetto all'immobile di proprietà degli appellati C. e D. anche in relazione al balcone ubicato al primo piano. Con riguardo, invece, alla censura riguardante il profilo della giurisdizione (che viene in rilievo specificamente in questa sede), la Corte territoriale - sul presupposto che la cognizione della domanda di manleva svolta ab initio dalla Mabre s.r.l. nei confronti del Comune di Bresso (quale ente adottante il provvedimento concessorio in favore della chiamante in causa) era fondata sull'assunto, dedotto da parte della stessa società, della legittima esecuzione delle opere e che, di contro, la valutazione della fondatezza della domanda avversa comportava la mera disapplicazione dei provvedimenti amministrativi in virtù della cui inosservanza si era determinata la lesione lamentata dagli appellati ai fini dell'ottenimento del risarcimento dei danni - disponeva la separazione della causa avente ad oggetto la domanda proposta nei riguardi del citato Comune di Bresso e dichiarava, in relazione alla stessa, la giurisdizione del giudice ordinario; per l'effetto, rimetteva la relativa causa, ai sensi dell'art. 353 c.p.c., al primo giudice.

Infine, la Corte di secondo grado riteneva equo condannare il Comune di Bresso al pagamento di un sesto delle spese del doppio grado di giudizio in favore della Mabre s.r.l., compensando tra le parti la residua percentuale.

Avverso la pronuncia di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione per motivi di giurisdizione il Comune di Bresso riferito a due motivi.

Nessuna delle parti intimate ha svolto attività difensiva nella presente sede di legittimità.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo l'ente ricorrente ha denunciato l'erroneità della declaratoria di giurisdizione in capo al giudice ordinario con riguardo alla domanda di risarcimento proposta - a titolo di manleva - dalla Mabre s.r.l. nei suoi confronti, in conseguenza dell'asserita violazione, almeno per falsa applicazione, del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 7, commi 1 e 5, e art. 133.

Con la seconda censura il Comune di Bresso ha dedotto la (supposta) violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. quanto alla sua invocata condanna a rifondere alla Mabre s.r.l. "un sesto delle spese del...giudizio" di appello stante il difetto di giurisdizione in ordine alla domanda formulata dalla suddetta società nei riguardi del medesimo Comune.

2. Con riferimento specifico alla prima doglianza per ragioni di giurisdizione il Comune di Bresso ha inteso confutare la sentenza della Corte milanese, contestando la ricostruzione della stessa nella parte in cui aveva ritenuto che la domanda svolta dalla Mabre s.r.l. nei suoi confronti trovava il suo fondamento nel fatto che la costruzione del C. e della D. era stata realizzata nel rispetto del piano attuativo e delle norme locali, con la conseguenza che l'accoglimento delle domande proposte dai due attori-appellati (ed appellanti incidentali) e la conseguente lesione si sarebbe dovuta ritenere riconducibile ai provvedimenti comunali. In particolare, secondo la Corte territoriale, la situazione giuridica fatta valere dalla Mabre s.r.l. andava qualificata come "affidamento incolpevole da adozione di provvedimento favorevole poi rimosso (anzi disapplicato)", onde non si trattava di una lesione dell'interesse legittimo pretensivo del danneggiato ma di una lesione della sua integrità patrimoniale ai sensi dell'art. 2043 c.c., rispetto alla quale l'esercizio del potere amministrativo non rilevava in sè, ma per l'efficacia causale del danno-evento da affidamento incolpevole.

Contrariamente alla richiamata ricostruzione della Corte di seconde cure il ricorrente ha dedotto, invece, che, nella fattispecie, la situazione giuridica prospettata dalla Mabre s.r.l. andava qualificata con già come di diritto soggettivo, bensì come di interesse legittimo pretensivo, sul presupposto che il ritenuto affidamento era un elemento che contribuiva ad arricchire tale situazione nel rapporto con l'Amministrazione, che risultava caratterizzato dall'esercizio di un potere autoritativo da parte della stessa P.A. consistente nel rilascio del titolo edilizio richiesto e della sussistenza in capo all'anzidetta società privata - come già evidenziato - di un interesse legittimo pretensivo all'ottenimento del titolo medesimo in favore della stessa.

Pertanto, secondo l'avviso del ricorrente, la domanda risarcitoria per i danni dovuti per la pretesa lesione dell'affidamento generato dal rilascio di un provvedimento amministrativo, poi disapplicato, non avrebbe potuto che rientrare nella giurisdizione del giudice amministrativo così come accade per la domanda di risarcimento del danno conseguente alla revoca in autotutela di provvedimento (caso in cui, ugualmente, l'affidamento si radica nella pretesa alla conservazione degli effetti del provvedimento medesimo).

Sulla scorta delle riportate argomentazioni il ricorrente ha prospettato l'erroneità dell'impugnata sentenza siccome asseritamente in contrasto, in primo luogo, con il D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 7, comma 1, secondo cui "sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi".

In ogni caso, il Comune ricorrente ha dedotto che - quand'anche la pretesa della Mabra s.r.l. fosse da ricollegarsi al soddisfacimento di un diritto soggettivo - la sentenza oggetto del ricorso si sarebbe dovuta ritenere errata per violazione dell'art. 7, commi primo e quarto, e dell'art. 133 dello stesso D.Lgs. n. 104 del 2010, poichè la controversia riguardava la "materia dell'edilizia", come tale devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi del citato art. 133, comma 1, lett. f), nella quale il giudice amministrativo "conosce pure a fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi".

3. Osserva il collegio che il formulato ricorso per motivi di giurisdizione deve essere respinto, confermandosi - come correttamente ritenuto dalla Corte di appello di Milano nell'impugnata sentenza - la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario sulla dedotta controversia attinente all'accertamento del rapporto di manleva tra la Mabre s.r.l. e il ricorrente Comune di Bresso e, quindi, all'operatività della garanzia a carico di quest'ultimo in favore della prima con riferimento alle conseguenze negative che la suddetta società avrebbe subito per effetto del possibile accoglimento della domanda principale proposta nei suoi confronti dagli attori in primo grado per la prospettata violazione delle distanze legali nei termini esposti in narrativa.

Infatti, conformandosi alla giurisprudenza di questa Corte, il giudice di appello ha esattamente escluso che - con riferimento alla predetta domanda risarcitoria proposta a titolo di garanzia dalla Mabre s.r.l. nei riguardi del Comune di Bresso - sussistesse la giurisdizione del giudice amministrativo e che, quindi, la stessa potesse rientrare nell'ambito di applicabilità del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133.

Invero, la Corte del capoluogo lombardo ha correttamente ritenuto che - con riguardo alla domanda in questione - non veniva in rilievo una questione di diritto soggettivo come la suppone, secondo le adoperate espressioni, l'art. 7, comma 1, c.p.a., ovvero una controversia relativa all'esercizio del potere amministrativo: e tanto nè con riferimento ad un provvedimento nè con riguardo ad un atto nè in relazione ad un comportamento mediatamente riconducibile all'esercizio di quel potere. Da ciò consegue che nemmeno il vantato diritto al risarcimento del danno concerne, ai sensi del comma 5 dell'appena citato art. 7, un diritto soggettivo riconducibile alle controversie attratte nelle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, secondo la previsione dell'art. 133 dello stesso c.p.a. (anche con riferimento specifico alla materia dell'edilizia di cui alla lett. f), come prospettato dall'ente ricorrente).

Invero, la questione presupposta dall'esercizio dell'azione di manleva da parte della Mabre s.r.l. nei confronti del Comune di Bresso concerne l'attitudine del pregresso esercizio del potere di detto ente sfociato nel provvedimento concessorio (eventualmente) illegittimo a determinare come conseguenza causale l'insorgenza di un incolpevole affidamento del privato beneficiario nella permanenza della situazione di vantaggio derivante dal rilascio di tale provvedimento: in altri termini, la questione involta dalla suddetta domanda concerne l'apprezzamento del comportamento tenuto dalla P.A. non come espressione dell'esercizio di un potere bensì nella sua oggettività a determinare il legittimo affidamento del privato.

Pertanto, deve essere ribadito in questa sede il principio - già reiteratamente statuito dalla giurisprudenza di questa Corte e fatto proprio anche dal giudice di appello nell'impugnata sentenza - secondo cui la domanda risarcitoria proposta (anche a fini di garanzia) nei confronti della P.A. per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo illegittimo rientra nella giurisdizione ordinaria, non trattandosi di una lesione dell'interesse legittimo pretensivo del danneggiato (interesse soddisfatto, seppur in modo illegittimo), ma di una lesione della sua integrità patrimoniale ex art. 2043 c.c., rispetto alla quale l'esercizio del potere amministrativo non rileva in sè, ma per l'efficacia causale del danno-evento da affidamento incolpevole (cfr. Cass. S.U. n. 17586/2015; Cass. S.U. n. 12799/2017 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 1654/2018; peraltro, già in precedenza ancorchè con riferimento alla disciplina normativa antecedente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 104 del 2010, v. Cass. S.U. nn. 6594, 6595 e 6696 del 20111).

E del resto è stato correlativamente chiarito che le controversie tra proprietari di fabbricati vicini relative all'osservanza di norme che prescrivono distanze tra le costruzioni o rispetto ai confini appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, senza che rilevi l'avvenuto rilascio del titolo abilitativo (pur eventualmente illegittimo) all'attività costruttiva, la cui legittimità potrà essere valutata "incidenter tantum" dal giudice ordinario attraverso l'esercizio del potere di disapplicazione del provvedimento amministrativo, salvo che la domanda risarcitoria non sia diretta anche nei confronti della P.A. per far valere l'illegittimità dell'attività provvedimentale, sussistendo in questo caso la giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. Cass. S.U. n. 13673/2014).

4. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il proposto ricorso per motivi di giurisdizione deve essere integralmente rigettato, anche con riguardo alla censura in punto spese, per effetto della confermata (ma erroneamente contestata dal ricorrente) sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, affermata dal giudice di appello in conformità ai più recenti univoci orientamenti della giurisprudenza di questa Corte (diversamente da quanto prospettato dal medesimo ente ricorrente).

In virtù della mancata costituzione di entrambe le parti intimate non occorre adottare alcuna statuizione sulle spese del presente giudizio di cassazione. Tuttavia, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni unite, il 4 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 dicembre 2018
Avv. Antonino Sugamele

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