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Sentenza

Il danno non patrimoniale va sempre provato....
Il danno non patrimoniale va sempre provato.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza n. 3289/18; depositata il 12 febbraio 2018.
ORDINANZA
sul ricorso 7775-2016 proposto da:
C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CONCILIAZIONE 10, presso lo studio dell'avvocato VINCENZO
SCORDAMAGLIA, rappresentato e difeso dall'avvocato RODOLFO
GIUNGI;
- ricorrente -
contro
C.A. domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso
la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall'avvocato RENZO COLANTONIO;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1531/2015 del TRIBUNALE di PESCARA,
depositata in data 8/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 25/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA
SCRIMA.
FATTI DI CAUSA
Nel 2010 Francesco Caramanico convenne in giudizio, dinanzi al
Giudice di pace di Pescara, Arduino Colangelo per sentirlo condannare
al risarcimento del danno non patrimoniale - da liquidarsi in via
equitativa e quantificato nella somma di euro 2.000,00 - che
assumeva di aver subito per effetto della commissione, da parte del
convenuto, del delitto di minaccia di cui all'art. 612 cod. pen..
Il Giudice adito, con sentenza n. 791/2011, rigettò la domanda e
compensò per intero tra le parti le spese di lite.
Avverso detta sentenza il Caramanico propose gravame cui
resistette il Colangelo.
L'appellante lamentò, in particolare, l'errata valutazione delle
risultanze istruttorie, la violazione degli artt.116 cod. proc. civ. e 612
cod. pen. nonché la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2059
cod. civ. e 185 cod. pen. e concluse chiedendo che il Tribunale
riconoscesse integrato il reato di minaccia ex art. 612 cod. pen. da
parte del Colangelo, con condanna di quest'ultimo al risarcimento del
danno non patrimoniale ex delicto in favore dell'appellante, da
liquidarsi in via equitativa in euro 2.000,00 o in quell'altra somma di
giustizia, oltre alle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito.
L'appellato si costituì chiedendo il rigetto dell'impugnazione
perché infondata, col favore delle spese del doppio grado di giudizio,
ovvero, in subordine, del solo grado di appello, nonché la condanna
dell'appellante al pagamento di euro 1.000,00 per lite temeraria.
Il Tribunale di Pescara, con sentenza pubblicata in data 8
settembre 2015, rigettò l'appello, condannò l'appellante alle spese di
quel grado e confermò l'integrale compensazione delle spese e dei
compensi del giudizio di primo grado.
Avverso la sentenza del Tribunale Francesco Caramanico ha
proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi e illustrato da
memoria, cui ha resistito Arduino Colangelo con controricorso.
La proposta del relatore è stata comunicata agli avvocati delle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di
consiglio, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio ha disposto la redazione dell'ordinanza con
motivazione semplificata.
2. Con il primo motivo, lamentando violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 2059 cod. civ., 185 cod. pen. e 612 cod. pen.,
il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui il
Tribunale ha ritenuto che, a prescindere dalla sussistenza del reato di
minaccia, nessun risarcimento potrebbe essere riconosciuto all'attore
per non aver questi «in alcun modo allegato e provato la sussistenza
e l'entità del danno da risarcirgli, che non può essere assolutamente
liquidato in via equitativa, posto che tale liquidazione, com'è noto,
presuppone comunque che detto danno sia effettivamente
sussistente», in quanto «non sussiste il danno evento, quale danno
derivante automaticamente dal reato, ma solo il danno conseguenza
che, come tale, deve essere allegato e provato da chi lo richiede» .
Ad avviso del ricorrente, l'art. 2059 cod. civ. riconosce e
garantisce la risarcibilità del danno non patrimoniale nei casi stabiliti
dalla legge e segnatamente, per quanto rileva in questa sede, nei casi
stabiliti dall'art. 185 cod. pen., con la conseguenza che, nell'ipotesi di
commissione di reato, il danno non patrimoniale deve essere risarcito
dal colpevole. Sostiene il Caramanico che l'affermazione del
Tribunale, secondo cui il danno, anche se ex delicto, può essere
apprezzato solo quale danno conseguenza e non quale danno
identificabile automaticamente con l'evento, potrebbe essere
condivisa in relazione ai danni ulteriori e indiretti che non siano
conseguenza necessaria della lesione del bene giuridico protetto
dall'incriminazione penale e non sarebbe, invece, fondata con
riferimento «ai danni che si identifichino e si sostanzino nei beni
giuridici stessi che costituiscono l'oggetto giuridico del reato, e cioè
quei beni/interessi che il legislatore ha specificamente inteso tutelare
mediante il presidio della sanzione penale». Sostiene il ricorrente che,
in tali casi, «la sussistenza di un danno risarcibile si pone come
conseguenza necessaria dell'accertata commissione del reato per
effetto della esplicita e specifica previsione della legge penale, che
ritiene inevitabilmente lesi i beni giuridici oggetto del reato tutte le
volte in cui quest'ultimo si manifesti e risulti accertato»; ciò sarebbe
«particolarmente evidente nel caso di delitto di minaccia di cui all'art.
612 cod. pen.», sicché, «laddove la legge penale ritenga accertato il
reato, e con esso leso il bene giuridico della libertà morale, tale
lesione - proprio in quanto ritenuta tale direttamente dalla legge -
non potrà non integrare anche un danno rilevante ai sensi della legge
civile, tipicamente di carattere non patrimoniale ex art. 2059 c.c., per
effetto della illegittima compromissione della libertà morale
dell'individuo minacciato».
2.1. Il motivo è infondato.
Ed invero, secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza di legittimità, al quale va data continuità in questa
sede, anche quando il fatto illecito integra gli estremi del reato la
sussistenza del danno non patrimoniale non può mai essere ritenuta
in re ipsa, ma va sempre debitamente allegata e provata da chi lo
invoca, anche attraverso presunzioni semplici (Cass., ord.,
12/04/2011, n. 8421). Questa Corte ha pure avuto già modo di
affermare che il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di
diritti inviolabili costituzionalmente garantiti, non può mai ritenersi in
re ipsa, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche
attraverso il ricorso a presunzioni semplici (Cass. 13/05/2011, n.
10527).
Il Tribunale, nella specie, ha fatto corretta applicazione dei
richiamati principi.
3. Con il secondo motivo rubricato «Nullità della sentenza per
violazione dell'art. 112 c.p.c.», il ricorrente lamenta che il Giudice del
secondo grado, ritenendo irrilevante, per quanto già rappresentato
con il primo mezzo, l'accertamento della sussistenza o meno, nel caso
all'esame, del delitto di minaccia di cui all'art. 612 cod. pen., abbia
completamente omesso ogni pronuncia sul motivo di appello con cui il
Caramanico aveva censurato la sentenza di primo grado nella parte in
cui il Giudice di pace aveva escluso la sussistenza del reato di
minaccia nei fatti ascritti al Colangelo.
4. Con il terzo motivo, rubricato «Omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti
(art. 360, n. 5 cpc)», il ricorrente deduce che l'assenza assoluta di
motivazione nella sentenza impugnata circa la sussistenza o meno,
nel caso di specie, del delitto di minaccia integrerebbe il vizio
denunziato, in quanto «il Tribunale, sull'erroneo presupposto
dell'irrilevanza del fatto di reato (quand'anche accettato)
mostr[erebbe] di aver completamente evitato l'indagine sulla effettiva
commissione - o meno - da parte del Colangelo Arduino del reato di
minaccia, fatto dal quale invece ... la decisione del presente giudizio
appariva profondamente condizionata», così pretermettendo
completamente l'esame del primo motivo di appello proposto sul
punto
5. I motivi secondo e terzo, i quali, essendo strettamente
connessi, ben possono essere esaminati congiuntamente, sono
inammissibili e, comunque, infondati.
Ed invero i motivi all'esame risultano generici, non essendo stato
stata riportata nei mezzi in scrutinio la testuale formulazione delle
domande proposte, onde consentire a questa Corte di verificare che
la domanda volta all'accertamento del reato di cui si discute in causa
fosse autonoma e non meramente strumentale in funzione di quella di
risarcimento dei danni (Cass. 4/07/2014, n. 15367; Cass. 3/02/1971,
n. 252).
A quanto precede va aggiunto che, in ogni caso, risulta evidente
che il Tribunale ha correttamente deciso in base alla ragione più
liquida (Cass. 28/05/2014, n. 12002).
6. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in
dispositivo.
8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell'art. 13, comma 1-
quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento,
in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di
legittimità, che liquida in euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese
forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00
ed agli accessori di legge; ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del
d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma
17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta
Civile - 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 25 maggio 2017.
Il Presidente
Avv. Antonino Sugamele

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