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Sentenza

L'alunno maggiorenne è sottoposto all'obbligo di vigilanza da parte dei professo...
L'alunno maggiorenne è sottoposto all'obbligo di vigilanza da parte dei professori?
Civile Ord. Sez. 3   Num. 2334  Anno 2018
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA
Data pubblicazione: 31/01/2018

ORDINANZA
sul ricorso 14544-2014 proposto da:
F.L. , elettivamente domiciliata in ROMA,
CORSO VITTORIO EMANUELE 18, presso lo studio
dell'avvocato STUDIO GREZ, rappresentata e difesa
dall'avvocato FABRIZIO LOFOCO giusta procura a
margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA' RICERCA 80185250588;
- intimato -
avverso la sentenza n. 371/2013 della CORTE D'APPELLO
di BARI, depositata il 06/05/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 25/10/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA
GRAZIOSI;
14544/2014 FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 6 dicembre 1989 L.F. conveniva davanti al
Tribunale di  Bari il MIUR, l'Istituto scolastico di Bari e A.A. per ottenere il risarcimento del danni a lei derivati do una caduta per
accalcamento e spinte da parte dei compagni di scuola mentre stava uscendo dalla palestra del
suddetto Istituto che frequentava, fatto avvenuto dopo la lezione di Educazione Fisica tenuta
dalla professoressa A. si costituivano resistendo il MIUR e l'A..
Con sentenza del 21 agosto 2010 il Tribunale accoglieva la domanda nei confronti del MIUR -
che condannava quindi al risarcimento del danno nella misura di Euro 7763,16 -, respingendola
nei confronti degli altri due convenuti.
Avendo proposto appello principale la F. e appello incidentale il MIUR, la Corte d'appello
di Bari, con sentenza del 6 maggio 2013, accoglieva l'appello incidentale - assorbendo così
quello principale -, negando che l'appellante fosse responsabile ex articolo 2048, secondo
comma, c.c., e ritenendo che invece la responsabilità gravasse sulla F. e sui suoi
compagni di classe, tutti i maggiorenni, sul presupposto che l'articolo 2048, secondo comma,
c.c. riguardi soltanto i fatti illeciti commessi da minorenni.
2. Ha presentato ricorso contro il MIUR - che non si difende - la F. sulla base di quattro
motivi.
Il primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3, violazione e falsa applicazione
dell'articolo 2048, secondo comma, c.c. in relazione al fatto concreto, nonché mancata
applicazione degli articoli 39 ss. r.d. 30 aprile 1924 n. 965 e 61 I. 312/1980 in combinato
disposto con l'articolo 2048, secondo comma, c.c.
Osserva la ricorrente che l'evento avvenne durante l'orario scolastico, e per due fattori
attribuibili alla condotta omissiva della professoressa A.: l'essere stati lasciati dei tappetini
sul pavimento della palestra - in uno di questi sarebbe poi inciampata la ricorrente - e la
condotta di accalcamento e spinte nell'uscire propria degli alunni. L'insegnante quindi non
avrebbe adottato gli indispensabili provvedimenti organizzativi.
Osserva altresì la ricorrente che al secondo comma l'articolo 2048 c.c., a differenza del suo
primo comma, non menziona "minori", per cui disciplina una responsabilità che concerne anche
la condotta di alunni maggiorenni; d'altronde, autori del fatto illecito sarebbero stati i
compagni della ricorrente che l'avevano spinta, e nella quinta superiore non tutti gli alunni
sono già maggiorenni, per cui gli autori del fatto illecito non potevano essere ritenuti tutti
maggiorenni soltanto perché lo erano già la ricorrente e i testimoni. Sussisterebbe pertanto la
responsabilità per culpa in vigilando dell'insegnante ex articolo 2048, secondo comma, c.c.,
che dovrebbe ricadere sul Ministero.
Inoltre il giudice d'appello argomenta sulla differenza tra l'articolo 2047 e l'articolo 2048 c.c.,
laddove nel caso in esame il danno non fu causato dalla ricorrente a se stessa.
Ancora, rileva la ricorrente che il giudice d'appello non avrebbe tenuto in conto che, quale
insegnante, la professoressa Araldo avrebbe dovuto rispettare, indipendentemente dall'età
degli alunni, gli articoli 39, secondo comma, r.d. 1924/965 (per cui i professori devono
assistere all'ingresso e all'uscita degli alunni) e 61 I. 312/1980 (per cui il Ministero si surroga ai
docenti per la responsabilità civile relativa ai danni arrecati in connessione ai comportamenti
degli alunni durante la loro permanenza a scuola): norme, queste, che dovrebbero porsi in
combinato disposto con l'articolo 2048, secondo comma, c.c. E la giurisprudenza richiamata
dalla corte territoriale (Cass. 7387/2001) sarebbe isolata e superata, essendo stato invece
successivamente ribadito che il Ministero dell'istruzione è responsabile anche per i danni
cagionati da un maggiorenne durante l'orario scolastico.
2.2 II secondo motivo, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., denuncia nullità della
sentenza per violazione dell'articolo 112 c.p.c., per omessa decisione del giudice d'appello in
ordine all'omessa motivazione della sentenza di primo grado relativa alle ragioni di adesione
alla c.t.u. e all'omessa considerazione delle risultanze della consulenza tecnica di parte, non
raffrontata con quella d'ufficio.
2.3 Il terzo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., nullità della sentenza
per omessa decisione del giudice d'appello sull'errata quantificazione del danno morale.
2.4 n quarto motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., nullità della sentenza
per omessa decisione del giudice d'appello sulla domanda riguardante il mancato
riconoscimento degli interessi compensativi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3. Il ricorso è parzialmente fondato.
3.1 Per meglio comprendere il contenuto del primo ricorso, è il caso di prendere le mosse da
una completa illustrazione del contenuto della decisione del giudice d'appello nella sua parte
centrale e dirimente, ovvero quella relativa all'applicabilità — negata - dell'articolo 2048,
secondo comma, c.c.
Afferma il giudice d'appello che quest'ultima norma "si riferisce unicamente ai danni provocati
dal minore sottoposto alla vigilanza dell'insegnante e non a quelli procurati dall'allievo
maggiorenne", non apparendo "dubitabile che la responsabilità dei precettori e degli
insegnanti, al pari di quella dei genitori, cessi con il raggiungimento della maggiore età degli
allievi, in quanto da tale momento non vi è più ragione che l'insegnante eserciti la vigilanza su
persone ormai dotate di piena maturità e capacità di discernimento": pertanto "la
responsabilità dell'insegnante e quindi dell'istituzione scolastica" deriverà, se ne ricorrono i
presupposti, dall'articolo 2043 o dall'articolo 2051 c.c.
Secondo la corte territoriale, infatti, l'articolo 2048 "postula l'esistenza di un fatto illecito
compiuto da un minore capace di intendere e di volere", in relazione al quale soltanto sono
configurabili la "culpa in educando" e la "culpa in vigilando" rispettivamente previste dal primo
e dal secondo comma, per cui la responsabilità dei genitori o tutori viene "a concorrere con la
responsabilità del minore, mentre entrambe restano escluse nell'ipotesi di caso fortuito che
come tale elimina l'ingiustizia del danno". Dopo alcune ulteriori argomentazioni, di palese
irrilevanza, relative all'articolo 2047 c.c., richiamate S.U. 27 giugno 2002 n. 9346 - per cui
l'articolo 2048, secondo comma, si applica solo per il danno cagionato ad un terzo dal fatto
illecito dell'allievo e non per il danno che l'allievo abbia procurato a se stesso -, la corte
territoriale osserva che tale intervento nomofilattico condivide in sostanza una dottrina che
vede nell'articolo 2048 una norma di "propagazione" della responsabilità ai genitori, ai tutori, ai
precettori e maestri d'arte per il fatto illecito cagionato dal minore a terzi: e pertanto non
dovrebbe dubitarsi che l'articolo 2048 c.c. "non si applica ai casi in cui il danno sia stato
procurato da soggetti maggiori di età". Sulla scorta, poi, di Cass. sez. 3, 15 gennaio 1980 n.
369 - per cui il contenuto dell'obbligo di vigilanza è inversamente proporzionale al grado di
maturità degli alunni, onde con l'avvicinarsi di questi all'età del pieno discernimento il dovere
di vigilanza dei precettori richiede in minor misura la loro continua presenza -, nella quale già
si sarebbe riconosciuto che, con l'acquisizione del "pieno discernimento" coincidente con il
raggiungimento della maggiore età, cessa l'obbligo di vigilanza ex articolo 2048, secondo
comma, in linea alla cessazione di responsabilità dei genitori secondo il primo comma per culpa
in educando, il giudice d'appello invoca in modo più specifico Cass. sez. 3, 30 maggio 2001 n.
7387 (non nnassimata), che ha effettivamente attribuito all'articolo 2048, secondo comma,
quale presupposto l'età minorenne dell'allievo, dovendosi presumere che non sia stato
riservato "ai precettori e maestri d'arte un trattamento deteriore rispetto a quello dei genitori
di cui al primo comma, irrazionalmente dilatando, oltre quel limite temporale, la loro
responsabilità".
3.2 Questa interpretazione restrittiva dell'articolo 2048, secondo comma, c.c. è, come sopra si
è visto, l'oggetto precipuo di censura nel primo motivo del ricorso.
L'impostazione della corte territoriale, pur sostenuta anche da richiami giurisprudenziali,
peraltro abbastanza risalenti, si fonda, a ben guardare, su una sorta di correzione integrativa -
che la corte ritiene inevitabilmente logica - operata dalla corte sul dettato letterale dell'articolo
2048 c.c., che nel primo comma prevede la responsabilità dei genitori o del tutore per il danno
causato dal fatto illecito "dei figli minori non emancipati" o delle persone soggette alla tutela
che abitano con loro, mentre nel secondo comma attribuisce responsabilità a "precettori e
coloro che insegnano un mestiere o un'arte" per il danno causato dal fatto illecito "dei loro
allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza".
Tale equiparazione, già a livello letterale, non corrisponde peraltro all'evidente contenuto delle
due norme affiancate nel primo e nel secondo comma dell'articolo 2048.
Le due fattispecie racchiuse nei primi due commi dell'articolo 2048 c.c. non sono, in realtà, del
tutto sovrapponibili come prospetta la corte territoriale, ovvero non sono configurabili come
due species di un unico genus di responsabilità che si infrange sul confine della maggiore età
dell'autore del fatto illecito. L'unico elemento in comune fra le due fattispecie risiede, a ben
guardare, nel terzo comma, il quale indica che a entrambe le responsabilità viene posto limite
in una prova liberatoria: che, peraltro, pur essendo identico il testo normativo - esigente la
prova "di non aver potuto impedire il fatto" -, logicamente non può avere un contenuto
identico, poiché la fonte della responsabilità è diversa.
Invero, già la mera lettura dei due commi dimostra la loro ontologica divergenza: il primo
comma disegna quella che tradizionalmente viene qualificata come responsabilità per culpa in
educando senza peraltro indicare che cosa genitori (e tutori) abbiano fatto, rectius, omesso di
fare affinché la responsabilità insorga, tutto essendo incluso implicitamente nella qualità
genitoriale da un lato e filiale dall'altro; e il secondo comma, invece, indica expressis verbis
che cosa non è stato fatto, cioè la "vigilanza". Notoriamente, anche i genitori sono gravati di
un onere di vigilanza dei figli minorenni; ma è evidente che la "vigilanza" del secondo comma è
di contenuto specifico, in quanto si rapporta alla cognizione culturale e tecnica che viene
trasferita dai responsabili ai loro "allievi e apprendisti". Già questo è sufficiente per escludere
che il raggiungimento della maggiore età di per sé estingua l'onere della vigilanza, poiché la
maggiore età non significa che il soggetto cessi di essere allievo o apprendista, ovvero cessi di
essere sottoposto a quella vigilanza che, logicamente, è teleologica, ovvero necessaria per
l'attività di insegnamento/addestramento cui si riferisce l'articolo 2048,secondo comma.
Il secondo comma, in altre parole, ha un tasso di specificità superiore rispetto al primo
comma: l'attività dell'allievo/apprendista si svolge in un luogo e in un tempo specifici - quelli in
cui si localizza e si protrae l'obbligo di vigilanza -, ed è proprio la presenza
dell'allievo/apprendista in quel luogo e in quel tempo che costituisce il presupposto del fatto
illecito rilevante ai fini dell'articolo 2048, secondo comma (v. tra gli arresti più recenti Cass.
sez. 3, 29 maggio 2013 n. 13457 e Cass. sez. 3, 15 febbraio 2011 n. 3680; cfr. altresì sulla
specifica connessione con il contatto sociale qualificato sotteso all'insegnamento Cass. sez. 6 -
3, 16 febbraio 2015 n. 3081, Cass. sez. 3, 25 febbraio 2016 n. 3695 e Cass. sez. 3, 28 aprile
2017 n. 10516), laddove, nel primo comma, il luogo e il tempo in cui si verifica il fatto illecito è
irrilevante, trattandosi di una responsabilità del tutto "generalista". E la specificità della
fattispecie del secondo comma si riverbera pure nel fatto che l'evento dannoso può anche
derivare proprio dalla natura dell'attività che viene insegnata: è il caso, per esempio, di un
evento dannoso compiuto con l'attività lavorativa che l'apprendista effettua. Peraltro una
stretta connessione con l'attività di insegnamento sussiste normalmente pure nel caso in cui
l'insegnamento non ha per oggetto attività materiali: a differenza dell'epoca, ormai ben
risalente, in cui fu scritto il codice civile, al giorno d'oggi l'insegnamento viene ricevuto quasi
sempre in un ambito collettivo, ovvero non tramite lezioni personali da parte appunto di
"precettori", bensì entro istituti scolastici: e allora l'insegnamento comporta anche il controllo
della condotta sociale degli studenti in tale ambito, così da consentire che l'insegnamento sia
praticato in modo proficuo e che gli studenti esperimentino in modo positivo la loro socialità,
comportandosi in modo corretto e rispettoso delle persone - compagni di classe e personale -
con cui condividono la costante frequentazione dell'istituto scolastico come comparto sociale.
3.3 Quanto si è fin qui sinteticamente rilevato è sufficiente, allora, a inficiare il ragionamento
fondamentale della corte territoriale, che ha equiparato la responsabilità del primo comma a
quella del secondo comma dell'articolo 2048 - erroneamente quindi - e pertanto ha - parimenti
erroneamente - espanso l'estinzione della responsabilità espressamente prevista dal primo
comma, cioè la maggiore età, a investire pure la responsabilità, ben diversa, del secondo.
Tuttavia, ciò non può certo significare, ictu ocull, che la maggiore età non abbia alcuna
incidenza sulla responsabilità del secondo comma dell'articolo 2048 c.c., pur avendo appunto
escluso che automaticamente la faccia venir meno. E al riguardo è opportuno anzitutto
richiamare la folta giurisprudenza che ha già fornito questa Suprema Corte. Tale incidenza,
infatti, si manifesta in primis nella determinazione del contenuto dell'obbligo di vigilanza, che
appunto la giurisprudenza di legittimità da tempo commisura alle concrete caratteristiche del
soggetto vigilato che consentono di conoscere le sue condotte prevedibili: e tra queste
caratteristiche è inserita l'età.
Scorrendo gli ultimi decenni, Cass. sez. 3, 4 marzo 1977 n. 894 già chiaramente afferma che il
maestro delle scuole pubbliche elementari, quale rientrante nella nozione di precettore di cui
all'articolo 2048, secondo comma, c.c., in riferimento al terzo comma dell'articolo "in tanto... si
libera dalla presunzione di responsabilita, in quanto provi di aver esercitato la vigilanza sugli
alunni nella misura dovuta e che, nonostante l'esatto, completo adempimento di tale dovere
...gli sia stato impossibile impedire il compimento dell'atto illecito causativo di danno per la sua
repentinità e imprevedibilità, che non ha consentito un tempestivo efficace intervento", non
essendo però assoluto il contenuto del dovere di vigilanza, "bensi relativo all'età e al normale( -,
grado di maturazione degli alunni"; l'arresto ne deduce che la vigilanza nella scuola elementare
(oggi scuola primaria) deve pertanto "raggiungere il massimo grado di continuità e attenzione
nella prima classe".
Nello stesso intento di calibrare il contenuto dell'obbligo di vigilanza anche rispetto all'età della
persona vigilata Cass. sez. 3, 15 gennaio 1980 n. 369 ribadisce che il dovere di vigilanza
previsto dall'articolo 2048, secondo comma, c.c. "è da intendere in senso non assoluto ma
relativo, in quanto il contenuto di detto obbligo è in rapporto inversamente proporzionale al
grado di maturità degli alunni, con la conseguenza che con l'avvicinarsi di costoro all'età del
pieno discernimento il dovere di vigilanza dei precettori richiede meno la loro continua
presenza".
Conformemente, Cass. sez. 3, 10 febbraio 1998 n. 12424 e Cass. sez. 3, 4 febbraio 2005 n.
2272 concordano che il dovere di vigilanza dell'insegnante presenta una estensione che "va
commisurata all'età ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione alle
circostanze del caso concreto". E a sua volta Cass. sez. 3, 23 luglio 2003 n. 11453 riconosce
che la presunzione di responsabilità ex articolo 2048, secondo comma, "non è assoluta - come
se si trattasse di ipotesi di responsabilità oggettiva - ma configura una responsabilità
soggettiva aggravata in ragione dell'onere... di fornire la prova liberatoria, onere che risulta
assolto in relazione all'esercizio - da accertarsi in concreto - di una vigilanza adeguata all'età e
al normale grado di comportamento" degli affidati, che in quel caso erano minorenni. L'onere
di vigilanza come inversamente proporzionale all'età anagrafica viene più recentemente
ribadito pure da Cass. sez. 3, 29 maggio 2013 n. 13457 e Cass. sez. 3, 4 ottobre 2013 n.
22752. Da ultimo, Cass. sez. 1, 9 maggio 2016 n. 9337, quanto al superamento probatorio
della presunzione di responsabilità dell'insegnante per il fatto illecito dell'allievo, pur
nell'ambito di un'impostazione assai rigorosa, giunge a sfociare nell'età dei vigilanti come
elemento sostanzialmente dirimente, affermando che l'insegnante dovrebbe dimostrare "di non
essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l'inizio della serie
causale sfociante nella produzione del danno, e di aver adottato, in via preventiva, tutte le
misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo
favorevole al determinarsi di quella serie, commisurate all'età ed al grado di maturazione
raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreto, dovendo la sorveglianza
dei minori essere tanto più efficace e continuativa in quanto si tratti di fanciulli in tenera età".
3.4 La considerazione del contenuto concreto dell'obbligo di vigilanza si innesta, d'altronde, nel
correlato concetto di caso fortuito quale elemento che, secondo principi generali, infrange il
nesso causale tra la condotta del soggetto che si presume responsabile e l'evento dannoso,
caso fortuito che discende dalla non prevedibilità, id est non prevenibilità, dell'evento stesso. Il
caso fortuito ordinariamente costituisce, nelle fattispecie di responsabilità indiretta, l'elemento
che le circoscrive e impedisce che si configuri una responsabilità realmente oggettiva. La
prevedibilità/prevenibilità dell'evento dannoso sostanzia, a ben guardare, proprio la
presunzione di responsabilità; e ad essa viene logicamente connessa la sottospecie della
evitabilità. Nella fattispecie di responsabilità ex articolo 2048, secondo comma, c.c., dunque,
l'elemento della imprevedibilità/inevitabilità come caratteristica dell'evento dannoso è stato più
volte evidenziato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr. ex multis Cass. sez. 3, 28
luglio 1972 n. 2590 - che esclude appunto la responsabilità nel caso di fatto dannoso
imprevedibile/inevitabile -; Cass. sez. 3, 10 febbraio 1981 n. 826 - nel senso della
imprevedibilità come contenuto della prova da fornire ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo
2048 -; Cass. sez. 3, 22 gennaio 1990 n. 318; Cass. sez. 1, 2 dicembre 1996 n. 10723 - per
cui affinché sussista responsabilità ex articolo 2048, secondo comma, occorre che il fatto sia
prevedibile ovvero prevenibile, e per accertare tale natura del fatto "il giudice di merito deve
far riferimento alla sua ripetitività o ricorrenza statistica, non astrattamente intesa, ma
correlata al particolare ambiente di cui si tratta" -; Cass. sez. 3, 18 gennaio 2001 n. 5668 - per
cui accanto alla prova di aver esercitato la vigilanza "nella misura dovuta", anche tramite
regole organizzative/disciplinari, l'insegnante deve fornire la "prova dell'imprevedibilità e
repentinità, in concreto, dell'azione dannosa" -; Cass. sez. 3, 18 novembre 2005 n. 24456 -
che ravvisa nell'evento non prevedibile né prevenibile il caso fortuito che esonera dalla
responsabilità -). E dunque, in ultima analisi, è la prevedibilità dell'evento dannoso, nel senso
più lato del termine (ovvero inclusivo pure di prevenibilità/evitabilità) che individua al negativo
il contenuto dell'obbligo di vigilanza dell'insegnante, id est determina in che cosa deve
consistere la vigilanza per evitare l'evento dannoso prevedibile: prevedibilità che, a sua volta,
viene specificamente concretizzata dall'ambito in cui la vigilanza deve essere esercitata,
ambito in cui - creandosi quindi una connessione logica, per così dire, circolare - l'elemento
realmente dirimente è la necessità di vigilanza dei soggetti vigilati; la quale necessità a sua
volta si commisura all'esistenza o meno - e se sì in quale grado - di una carenza di
autosufficienza di tali soggetti nella gestione della propria condotta nell'ambito in cui si trovano
e nell'attività che vi stanno svolgendo (e così riemerge la specificità che distingue, come si è
visto, la responsabilità del secondo comma da quella del primo comma dell'articolo 2048).
3.5 La vigilanza, invero, è un supporto suppletivo di cui devono fruire in primis proprio i
soggetti vigilati che non abbiano ancora capacità di gestire, o di gestire in modo completo, la
propria condotta nell'ambito e nell'attività specifici in cui si trovano, così da evitare di porre in
essere fatti dannosi. L'età della persona vigilata usualmente si rapporta, d'altronde, con il
livello di capacità autogestionale: e quel che la tradizione definisce capacità di discernimento
alla luce del notorio si incrementa con lo sviluppo psicofisico ed esperienziale della persona.
Al riguardo, su un piano generale, il legislatore, conferendo la maggiore età, presume che tale
età renda capace una persona normale sotto il profilo psicofisico che l'ha raggiunta di evitare
consapevolmente una condotta colpevole che cagioni danni a terzi. Se, allora, nel caso
specifico dell'articolo 2048, secondo comma, la maggiore età del soggetto direttamente non
priva il soggetto stesso del supporto della vigilanza da parte dell'insegnante, ciò non toglie che
la presunzione di capacità di autogestione propria della maggiore età, quantomeno per le
attività che non sono attività materiali oggetto di insegnamento (come potrebbero essere le
attività sportive, artigianali, meccaniche e in generale tecniche), incida così da rendere a
questo punto imprevedibile - nel senso di eccezionale, e quindi ordinariamente inevitabile - una
condotta da parte dell'allievo maggiorenne che sia dannosa alle persone a lui prossime. Il che
è insito nel secondo comma dell'articolo 2048 in un'ottica di interpretazione che aggiorni una
norma promulgata negli anni 40 del secolo scorso con la situazione complessiva in cui oggi
viene ad essere applicata. Non solo, infatti, il legislatore ha anticipato, rispetto a quell'epoca,
l'età maggiorenne - che quando fu promulgato il codice ben difficilmente avrebbe potuto
essere raggiunta da chi ancora frequentava un istituto scolastico o svolgeva attività di
apprendistato -; ma altresì deve considerarsi che la complessiva evoluzione sociale è coerente
ormai con il riconoscere nelle persone di età prossima ai 18 anni una maturazione psicofisica
ormai completa, e quindi idonea a giustificare una loro autoresponsabilità come responsabilità
diretta ed esclusiva. I c.d. grandi minori costituiscono oramai, in effetti, una fascia di
passaggio tra l'età adolescenziale in senso stretto e la maggiore età, assimilandosi, peraltro,
più a quest'ultima che a un periodo di necessità di sostegno altrui e di incapacità di
comprendere direttamente gli effetti delle proprie azioni od omissioni. Mentre all'epoca della
promulgazione del codice civile il minore era, d'altronde, complessivamente ancora un
soggetto passivo, tanto che il genitore, sul piano più generale, esercitava nei suoi confronti
una potestà, nel sistema odierno il minore è ora un soggetto, per così dire, giuridicamente
incrementato; a fortiori, dunque, l'età del discernimento pieno non può non presumersi
raggiunta dall'allievo maggiorenne in riferimento a quelle condotte che, come già si è detto,
non necessitano di particolari conoscenze tecniche per essere compiute in modo corretto e
privo quindi di pericoli.
Se, dunque, permane la responsabilità ex articolo 2048, secondo comma, anche nel caso in cui
l'allievo sia maggiorenne, in ultima analisi l'età maggiorenne incide comunque sul contenuto
dell'onere probatorio dell'insegnante, in quanto la dimostrazione da parte sua della maggiore
età dell'allievo - al di fuori, come si è appena ripetuto, di condotte specificamente correlate ad
un insegnamento tecnico - deve ritenersi ordinariamente sufficiente per provare che l'evento
dannoso ha costituito un caso fortuito, essendo stato posto in essere da persona non
necessitante di vigilanza alcuna in quanto giunta ad una propria completa capacità di
discernimento, persona che pertanto - essendo ben consapevole delle sue conseguenze - non
era prevedibile che effettuasse una siffatta condotta. Questo principio, per le appena descritte
condotte, per così dire, socialmente "generaliste", non può non valere anche per le persone
che sono ormai prossime alla maggiore età, come sono usualmente quelle che frequentano
l'ultimo anno di una scuola superiore. Il caso fortuito, infatti, si ripete, non può non
conformarsi alla complessiva realtà giuridica e sociale odierna in cui viene ad inserirsi una
norma precauzionale come l'articolo 2048, secondo comma, c.c., ben potendo comunque - è
ovvio - la parte danneggiata contrastare la presunzione di caso fortuito appena delineata come
discendente dalla dimostrazione dell'età maggiorenne o prossima alla maggiore età con la
prova della prevedibilità della condotta dannosa da parte del soggetto che l'ha posta in essere,
ovvero di un peculiare contenuto dell'obbligo di vigilanza che l'insegnante non abbia
adempiuto: per esempio, dimostrando che autore dell'evento dannoso è stata una persona che
aveva già manifestato spiccati elementi di asocialità, oppure una persona notoriamente
ostile/vendicativa per pregressi eventi nei confronti della persona danneggiata ecc.
Nei limiti allora di quanto osservato e chiarito, pertanto, deve accogliersi il primo motivo di
ricorso - assorbiti gli ulteriori motivi - e cassare la sentenza impugnata, con rinvio al giudice di
merito, il quale, sulla base di quel che è già emerso dalla istruttoria in ordine all'accadimento
dell'evento, dovrà valutare se nel concreto caso in esame ricorra, applicando l'appena
affermato principio di presunzione della capacità di autonomo discernimento all'età degli
studenti coinvolti (essendo pacifico, nel caso in esame, che gli studenti che avrebbero
cagionato l'inciampo alla compagna di classe erano maggiorenni o comunque assai prossimi
alla maggiore età), il caso fortuito come fonte causale del sinistro; e giudice di rinvio deve
essere un'altra sezione della corte territoriale, cui si rimette anche la decisione in ordine alle
spese del grado.
P.Q.M.
Accogliendo il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia,
anche per le spese del grado, ad altra sezione della Corte d'appello di Bari.
Così deciso in Roma il 25 ottobre 2017
Avv. Antonino Sugamele

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