Opposizione avverso l'espropriazione immobiliare
Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 21-09-2017) 12-12-2017, n. 29654
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta - Presidente -
Dott. RUBINO Lina - Consigliere -
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere -
Dott. D'ARRIGO Cosimo - Consigliere -
Dott. ROSSI Raffaele - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7909-2016 proposto da:
T.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTONACCIO, 200, presso lo studio dell'avvocato DANIELE MARIOTTI, rappresentato e difeso dall'avvocato PIERO SANTIN giusta procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrente - contro
EQUITALIA NORD SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore e per esso Avv. LISETTA CUBEDDU nella sua qualità di responsabile del Contenzioso Esattoriale Veneto, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell'avvocato ARTURO MARESCA, rappresentata e difesa dall'avvocato GIANFRANCO IVANCICH giusta procura speciale a margine del controricorso;
- controricorrente - avverso la sentenza n. 2302/2015 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 05/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/09/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE ROSSI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l'Avvocato DANIELE MARIOTTI per delega;
udito l'Avvocato CESIRA TERESINA SCANU per delega orale.
Svolgimento del processo
T.V. e L.R., coniugi in regime di comunione legale, proposero opposizione avverso l'espropriazione immobiliare intrapresa nelle forme della procedura di riscossione mediante ruolo (con la notifica di avviso di vendita D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 79) dalla Ge.Ri.Co. S.p.A. (concessionario) per la soddisfazione di un credito di natura tributaria nei riguardi del T., deducendo la impignorabilità del bene immobile pignorato (di proprietà comune) poichè costituito in fondo patrimoniale in epoca anteriore alla formazione del ruolo.
Il rigetto della opposizione, pronunciato dalla Corte di Appello di Venezia a conferma della decisione di primo grado, venne cassato da questa Corte (con la sentenza del 07 luglio 2009, n. 15862), con l'affermazione del seguente principio di diritto: "Il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo patrimoniale va ricercato non già nella natura delle obbligazioni (legale o contrattuale), ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse ed i bisogni della famiglia , essendo irrilevante l'anteriorità o posteriorità del credito rispetto alla costituzione del fondo".
La sentenza resa dalla Corte di Appello di Venezia a seguito del rinvio così disposto venne poi dichiarata nulla da questa Corte (con ordinanza del 12 novembre 2014, n. 24042) per vizio di composizione del giudice ex art. 158 c.p.c., in quanto pronunciata, in violazione del principio dell'alterità del giudice del rinvio, da un collegio composto anche da un magistrato che aveva pronunciato il provvedimento in precedenza cassato.
Riassunta la controversia, la Corte di Appello di Venezia - con la sentenza del 5 ottobre 2015, n. 2302 - disattendeva l'opposizione.
Ricorrono per cassazione T.V. e L.R." affidandosi a due motivi illustrati da memoria; resiste, con controricorso, la Equitalia Nord S.p.A., succeduta nelle more del giudizio, per effetto di plurime vicende successorie, all'originario contraddittore Ge.Ri.Co. S.p.A..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, per violazione e falsa applicazione dell'art. 170 c.c. e dell'art. 53 Cost., parte ricorrente assume che i beni costituti in fondo patrimoniale, integranti un patrimonio separato, rispondono soltanto per le obbligazioni assunte per la soddisfazione delle esigenze familiari, dalle quali sono "istituzionalmente" estranei i debiti di natura fiscale, per essere i tributi per loro funzione finalizzati al soddisfacimento delle spese e dei bisogni pubblici.
Il motivo è infondato.
Ai fini dell'esame della censura, occorre muovere dai principi di diritti affermati da questa Corte nella sentenza n. 15862/2009 di cassazione della prima pronuncia di appello: "il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato non già nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse e i bisogni della famiglia , di talchè risulta senz'altro erronea la sentenza impugnata ove ha ritenuto di eludere il divieto di esecuzione sui beni del fondo di cui all'art. 170 c.c., sulla base della natura legale e non contrattuale dell'obbligazione tributaria azionata in via esecutiva. Facendo, dunque, corretta applicazione dei principi, va accertato, in punto di fatto, se il debito de quo possa dirsi contratto o meno per soddisfare i bisogni della famiglia , considerato che, se è vero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che tale finalità non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito sia sorto nell'esercizio dell'impresa, è evidente tuttavia che la richiamata circostanza non è, a contrario, nemmeno idonea ad escludere in via di principio che il debito possa dirsi contratto per soddisfare detti bisogni. L'accertamento relativo alla riconducibilità dei debiti alle esigenze della famiglia costituisce un accertamento istituzionale rimesso al giudice di merito. Quanto ai criteri cui tale accertamento deve conformarsi, la giurisprudenza in prevalenza accoglie un parametro negativo, affermando che sono ricompresi nei detti bisogni anche le esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia nonchè al potenziamento della sua capacità lavorativa, con esclusione solo delle esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi. A tali principi si atterrà il giudice di rinvio, con l'avvertenza, tuttavia, che anche operazioni meramente speculative possono essere ricondotte ai bisogni della famiglia , allorchè appaia certo, in punto di fatto, che esse siano state poste in essere al solo fine di impedire un danno sicuro al nucleo familiare. E' invece irrilevante in questa sede qualsiasi indagine riguardo alla anteriorità del credito rispetto alla costituzione del fondo, in quanto l'art. 170 c.c. non limita il divieto di esecuzione forzata ai soli crediti (estranei ai bisogni della famiglia ) sorti successivamente alla costituzione del fondo, ma estende la sua efficacia anche ai crediti sorti anteriormente, salva la possibilità per il creditore, ricorrendone i presupposti, di agire in revocatoria ordinaria".
L'accertamento così richiesto è stato analiticamente compiuto nella sentenza in questo giudizio impugnata.
La Corte territoriale ha infatti ritenuto che: "l'attività imprenditoriale del T., peraltro svolta individualmente e non già in forma societaria, aveva l'eminente scopo di garantire reddito, per poter vivere adeguatamente a sè ed alla sua famiglia "; "l'imposizione risulta correlata alla produzione di reddito"; "l'imposizione indiretta concorre alla definizione del reddito di impresa destinato ai bisogni di vita propri e della famiglia "; "la genesi dell'obbligazione erariale, quale ripresa a tassazione connessa ad operazioni commerciali in nero" è correlata ai bisogni della famiglia , "poichè sorge in connessione con il reddito prodotto dall'impresa e goduto dall'imprenditore per sè e la propria famiglia ".
Ha poi affermato, conclusivamente, che l'onere della prova della destinazione del reddito ad altri scopi, diversi dal soddisfacimento delle esigenze della famiglia, incombeva agli opponenti e non era stato in alcun modo assolto.
Così argomentando, il giudice del rinvio si è conformato ai principi di diritto enunciati da Cass. 15862/2009, più volte ribaditi da questa Corte con successive pronunce afferenti la aggredibilità in executivis o la sottoponibilità ad ipoteca di beni costituiti in fondo patrimoniale per la soddisfazione di crediti tributari (tra le ultime, Cass. 22/02/2017, n. 4593; Cass. 09/11/2016, n. 22761/2016; Cass. 24/02/2016, n. 3600; Cass. 29/01/2016, n. 1652; Cass. 13/11/2015, n. 23328; Cass., 21/10/2015, n. 21396; Cass. 24/02/2015, n. 3738).
A fronte di ciò, il motivo di ricorso si concreta nella riproposizione di argomentazioni di carattere astratto e generale sulla natura del fondo patrimoniale e sulla funzione delle obbligazioni tributarie, senza specifici riferimenti alla vicenda controversa e, soprattutto, senza una puntuale confutazione dell'articolata ratio decidendi della sentenza della Corte di Appello.
2. Con il secondo motivo, rubricato "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti", parte ricorrente deduce come la Corte di Appello non abbia debitamente valutato la documentazione prodotta nei gradi di merito - in specie, le cartelle esattoriali a carico del T. per tributi - da cui potevano evincersi, nella prospettazione dell'impugnante, indici sufficienti a ritenere provata, in via presuntiva, l'estraneità dei debiti ai bisogni familiari.
La censura è inammissibile.
Alla vicenda, per essere stata la sentenza impugnata pubblicata nell'ottobre 2015, trova applicazione il disposto dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha operato la riduzione al minimo del sindacato di legittimità sui vizi di motivazione, possibile ora, alla stregua dell'orientamento di questa Corte, soltanto in presenza di un'anomalia che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sè, e che si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (sul punto, sia sufficiente il richiamo a Cass., Sez. U, 22/09/2014, n. 19881 e a Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
Il motivo formulato, tuttavia, lungi dal prospettare un'anomalia motivazionale del genere, non individua nemmeno il fatto (da intendersi non come una questione o un punto della sentenza, ma come un fatto vero e proprio, ovvero un fatto principale - costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo - od anche un fatto secondario, purchè dedotto in funzione prova di un fatto principale: Cass. 13/09/2013, n. 20931) la cui valutazione sarebbe stata omessa nè, a fortiori, il carattere di decisività ai fini della risoluzione della lite: denunciando la - peraltro inadeguata e non già omessa - valutazione delle cartelle esattoriali, parte ricorrente intende rimarcare la natura tributaria delle obbligazioni inadempiute dal T. e la riferibilità delle stesse all'attività commerciale da questi esercitata, circostanze fattuali diffusamente considerate dalla Corte territoriale al fine di escludere l'estraneità di siffatti debiti alle esigenze familiari tutelate dal fondo patrimoniale.
3. Rigettato il ricorso, la disciplina delle spese del giudizio di legittimità segue il principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., con liquidazione operata alla stregua dei parametri fissati dal D.M. n. 55 del 2014, come in dispositivo.
Avuto riguardo all'epoca di proposizione del ricorso per cassazione (posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte dà atto dell'applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): il rigetto del ricorso costituisce il presupposto per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.200,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 21 settembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2017
19-01-2018 22:38
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