Il certificato di abitabilità nella vendita di un immobile.-
ORDINANZA
sul ricorso 10426-2017 proposto da:
C.A. , elettivamente domiciliata in ROMA,
V.LE G.MAZZINI 112, presso lo studio dell'avvocato
FRANCESCO MASSIMO CANDREVA, rappresentata e difesa
dagli avvocati MARCO LEPORI, CINZIA OPPEDISANO, UGO
BIANCHETTI giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente - contro
MA.M.C: - intimato -
avverso la sentenza n. 1828/2016 della CORTE D'APPELLO di
ROMA, depositata il 17/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 20/11/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate dalla ricorrente;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
M.C.M. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale
di Velletri, A.C. e il Gruppo UNO S.r.l.,
affermando che in data 7/11/2002 aveva sottoscritto una
proposta di acquisto di un appartamento nella sede della
società immobiliare, e successivamente di aver stipulato con la
C., in data 10/12/2002, un contratto preliminare di
compravendita dell'immobile, verso il corrispettivo del prezzo
di C 59.400,00 da corrispondere nel seguente modo: C
2.500,00 già versati prima della stipula; C 2.500,00 da versarsi
alla sottoscrizione del contratto preliminare a titolo di caparra
confirnnatoria; C 54.400,00 da corrispondere alla stipula del
contratto definitivo.
Il M. contestava la condotta inadempiente della C. la
quale, non avendo fornito il certificato di abitabilità ed il
progetto approvato del frazionamento dell'immobile, aveva
impedito la stipula del definitivo, entro il termine concordato
del 30/04/2003.
Pertanto, l'attore chiedeva la risoluzione del contratto per
inadempimento della promittente venditrice con la condanna
alla restituzione del doppio della caparra versata, pari a C
5.000,00, oltre al risarcimento dei danni conseguenti alla
mancata sottoscrizione del contratto definitivo.
Chiedeva altresì la condanna della Gruppo UNO S.r.l. alla
restituzione della somma di C 2.500,00 incassata a titolo di
caparra confirmatoria, qualora non avesse già corrisposto detta
somma alla C..
La convenuta si costituiva chiedendo il rigetto delle pretese
attoree ed eccependo che era stato il M.a rendersi
inadempiente, non avendo stipulato il contratto definitivo entro
il termine pattuito.
Si costituiva altresì la Gruppo UNO S.r.l., deducendo
l'infondatezza della domanda ed affermando di aver svolto
correttamente l'incarico di intermediazione immobiliare, e di
avere percepito per l'opera prestata il compenso pattuito di C
4.000,00.
Il Tribunale di Velletri, con la sentenza n. 2836/2007, rigettava
la domanda attorea, non ritenendo sussistente un'ipotesi
d'inadempimento della promittente venditrice, dal momento
che nel contratto preliminare non era stabilito alcun obbligo di
consegna dei documenti richiesti, a carico della promittente
venditrice, entro la data prevista per il definitivo. Peraltro,
ritenendo correttamente svolto l'incarico della società di
intermediazione, rigettava anche la domanda proposta avverso
quest'ultima.
Proponeva appello il M. nei confronti di entrambe le
convenute, assumendo l'erronea valutazione delle prove
testimoniali espletate in primo grado, dalle quali era invece
emerso che esso promissario acquirente aveva più volte
sollecitato la C. alla consegna della documentazione, ma
che le richieste erano rimaste senza esito, sebbene le avesse
inviato due telegrammi (nel giorno precedente e in quello
fissato per la stipula del definitivo) con i quali la preavvertiva
che la mancanza dei documenti avrebbe impedito la
conclusione del contratto definitivo.
L'appellante, inoltre, deduceva il vizio derivante dall'erronea
interpretazione delle norme di legge, avendo il primo giudice
ritenuto che la mancata assunzione nel preliminare dello
specifico obbligo di consegnare il certificato di abitabilità non
avrebbe potuto determinare alcun adempimento.
Infine, affermava l'incongruità della motivazione circa il rigetto
della domanda proposta nei confronti della Gruppo UNO S.r.l.
Si costituiva la C. che chiedeva il rigetto del gravame
l'appello.
Dichiarato improcedibile l'appello nei confronti della società
Gruppo UNO S.r.l., per la mancata produzione in giudizio della
notifica dell'appello alla stessa, il che non consentiva di ritenere
correttamente instaurato il contraddittorio, la Corte d'Appello di
Roma con la sentenza n. 1828/2016 riformava la decisione di
primo grado, dichiarando risolto il contratto preliminare di
vendita, condannando la promittente venditrice alla
restituzione della somma di C 5.000,00, oltre interessi legali
dal 10/12/2002, nonché al pagamento, in favore
dell'appellante, delle spese del doppio grado.
Secondo i giudici di appello la C. aveva garantito la
totale regolarità urbanistica dell'immobile in sede di
conclusione del contratto preliminare, con la conseguenza che,
per consentire la stipula del contratto definitivo, avrebbe
dovuto fornire al promissario acquirente la documentazione
attestante tale regolarità, ed in particolare, il certificato di
abitabilità, il quale era stato più volte richiesto dal promissario
acquirente, con l'avvertimento che senza di essi non si sarebbe
potuti addivenire alla stipula del contratto definitivo. Tale
inadempimento contrattuale, dunque, comportava la
risoluzione del contratto e, di conseguenza, faceva sorgere gli
obblighi restitutori delle somme ricevute a vario titolo
dall'appellata.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la C. con un
unico motivo.
L'intimato non ha svolto attività difensiva in questa fase.
Con l'unico motivo di ricorso si lamenta la falsa applicazione ed
estensione al contratto preliminare delle norme disciplinanti il
contratto di compravendita, in particolare degli artt. 1470 e
1477 c.c., in relazione all'art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c.
Afferma la ricorrente che la Corte territoriale ha errato
nell'applicare al caso di specie le predette norme che, in
quanto dettate per il contratto di compravendita, possono
operare solo a seguito della stipulazione del definitivo, e non
anche per effetto della conclusione del contratto preliminare.
Le obbligazioni gravanti sul venditore, tra le quali rientra anche
quella della consegna della cosa oggetto della compravendita,
dei titoli e dei documenti relativi alla proprietà della cosa
venduta, vanno eseguite al momento della stipula del
definitivo, non potendosene esigere l'adempimento nella fase
precedente.
Il ricorso deve essere rigettato.
In tal senso rileva che, con accertamento in fatto
i giudici di appello hanno ritenuto che la ricorrente avesse garantito la
totale regolarità urbanistica dell'immobile, e che quindi
"avrebbe dovuto fornire al promissario acquirente la
documentazione attestante tale regolarità", documentazione in
cui rientra inequivocabilmente anche il certificato di abitabilità,
ritenendo che tale obbligo fosse consequenziale all'assunzione
della garanzia quanto alla regolarità urbanistica del bene.
Peraltro è consolidato orientamento di questa Corte quello per
cui il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la
compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di
abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia,
pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune - nei
cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il promittente
venditore - è giustificato, ancorché anteriore all'entrata in
vigore della legge 28 febbraio 1985, n. 47, perché l'acquirente
ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad
assolvere la funzione economico - sociale e a soddisfare i
bisogni che inducono all'acquisto, e cioè la fruibilità e la
commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati devono
ritenersi essenziali (Cass. nn. 10820/2009 e 15969/2000).
Nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato
di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene
compravenduto, come ricorda Cass. n. 1514/2006, al punto
tale che esso è in grado di incidere sull'attitudine del bene
stesso ad assolvere la sua funzione economico - sociale,
assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità.
D'altronde, ed anche prima della formale stipula del definitivo,
si è affermato che ( cfr. Cass. n. 13969/2006) nel caso in cui il
preliminare preveda la consegna anticipata del bene, rientra
tra le obbligazioni gravanti sul promittente venditore anche
quella di allegare il certificato di abitabilità dell'immobile
contestualmente alla consegna dell'appartamento, nel caso in
cui sia anche anticipato il pagamento del prezzo (conf. Cass. n.
4513/2001).
In tale ottica, reputa il Collegio che non possa essere censurata
la valutazione compiuta dai giudici di appello circa l'attualità
dell'obbligo della ricorrente di dover consegnare il certificato in
questione, attese le reiterate richieste di parte intimata, così
come comprovate dall'istruttoria svolta, ed avvenute in
prossimità proprio della scadenza del termine per la stipula del
definitivo, e con il chiaro intento quindi di mettere a
disposizione del notaio rogante tutta la documentazione idonea
ad assicurare la verifica circa la regolarità urbanistica del bene.
Trattasi di soluzione che costituisce a ben vedere una piana
applicazione del principio della buona fede.
Al riguardo può richiamarsi quanto ritenuto in passato da
questa Corte (cfr. Cass. n. 20399/2004, Cass. n. 13345/2006),
secondo cui in tema di contratti, il principio della buona fede
oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve
presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua
formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva,
accompagnarlo in ogni sua fase, sicché la clausola generale di
buona fede e correttezza è operante tanto sul piano dei
comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del
singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul
piano del complessivo assetto di interessi sottostanti
all'esecuzione di un contratto (art. 1375 cod. civ.),
concretizzandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare
alla realizzazione dell'interesse della controparte e ponendosi
come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente
attribuita, determinando così integrativamente il contenuto e
gli effetti del contratto. La buona fede, pertanto, si atteggia
come un impegno od obbligo di solidarietà, che impone a
ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a
prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del
"neminem laedere",
senza rappresentare un apprezzabile
sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi
dell'altra parte (nel precedente del 2004 è stata confermata la
sentenza della Corte d'Appello che, in relazione all'esecuzione
di un contratto preliminare di vendita immobiliare antecedente
l'entrata in vigore della legge n. 47 del 1985, aveva ritenuto
inadempienti i promittenti venditori in quanto essi non avevano
proceduto a sanare l'immobile, abusivamente costruito, e ad
acquisire il relativo certificato di abitabilità, e ciò aveva fatto
sebbene tale condotta omissiva non fosse stata esplicitamente
sanzionata nell'accordo negoziale).
Ad avviso del Collegio, a fronte di un'assunzione della garanzia
circa la regolarità urbanistica del bene, se, come dedotto in
ricorso, il certificato de quo era già esistente, l'omessa risposta
alle richieste di consegna dello stesso da parte del promissario
acquirente in epoca prossima alla scadenza del termine
previsto per la stipula del definitivo, allorquando quindi si
palesava la necessità di entrarne in possesso, costituisce
comportamento evidentemente contrario ai principi di buona
fede, laddove allo stesso abbia fatto poi seguito la
dichiarazione di recesso della promittente venditrice sul
presupposto del mancato rispetto del termine de quo, e
giustifica quindi l'accoglimento della domanda di risoluzione per
inadempimento della ricorrente.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Nulla per le spese atteso che l'intimato non ha svolto attività
difensiva.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30
gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare
atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013),
che ha aggiunto il comma 1-quater dell'art. 13 del testo unico
di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza
dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente,
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Rigetta il ricorso;
Ai sensi dell'art. 13, co. 1
quater, del d.P.R. n. 115/2002,
inserito dall'art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza
dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del
contributo unificato dovuto per il ricorso liarincipale a norma
dell'art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio del 20 novembre 2018
21-01-2019 22:46
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