Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Civilista Trapani

Sentenza

Il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) tro...
Il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) trova la sua fonte nel contratto atipico c.d. di spedalità, concluso tra le parti per facta concludentia, ossia mediante la mera accettazione del malato presso la struttura.
Tribunale Milano Sez. I, Sent., 20-06-2018
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

PRIMA SEZIONE CIVILE

Il giudice Laura Massari ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. 13176/2015 promossa da:

I.C. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. BADAGLIACCA MAURO, elettivamente domiciliato in VIA AGRIGENTO, 51 90141 PALERMO presso il difensore avv. BADAGLIACCA MAURO

ATTRICE

contro

P.M. S.P.A. IN BREVE ANCHE P.M. S.P.A. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. LAMASTRA VINCENZO e dell'avv. TREVISANI GIUSEPPE ((...)), elettivamente domiciliato in VIA GUASTALLA, 1 20122 MILANO presso il difensore avv. LAMASTRA VINCENZO

CONVENUTO

Oggetto: Risarcimento danni da responsabilità professionale
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

La signora I.C. ha convenuto in giudizio il P.M. s.p.a. affinchè, previo accertamento della responsabilità del convenuto in relazione alla complicanza intervenuta a seguito dell'intervento di "protesi totale ginocchio sinistro dolente" eseguito in data 22.9.2010, lo stesso sia condannato al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali patiti dall'attrice, complessivamente quantificati in Euro 114.435,12, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

La vicenda è stata così riferita dall'attrice:

- in data 27.11.2009 la sig.ra C. ha eseguito intervento chirurgico di impianto di artroprotesi cementata presso l'Ospedale Cervello di Palermo; la paziente si è altresì sottoposta ad accertamenti strumentali che non hanno evidenziato segni di mobilizzazione della protesi; è stato eseguito anche esame scintigrafico con tecnezio marcato che ha confermato l'assenza di mobilizzazione non evidenziando focolai settici (docc. 2-12);

- in data 24.06.2010 la paziente si è sottoposta a visita per la prima volta presso il P.M. dal dott. B. che ha posto diagnosi di "protesi totale dolente ginocchio sin" e ha consigliato un reintervento di protesizzazione (doc. 13);

- in data 21.09.2010 la sig.ra C. si è ricoverata presso il C.C.: all'ingresso sono stati eseguiti esami Rx ("protesi...complessivamente in buona posizione") ed ematochimici (che escludevano segni di infezione) e in data 22.09.2010 la paziente è stata sottoposta al previsto intervento chirurgico, volto all'asportazione della protesi ed al reimpianto di artroprotesi totale cementata e semivincolata al ginocchio sinistro (doc. 15);

- sin dal giorno successivo, la paziente ha lamentato la presenza di dolore e gonfiore del ginocchio, venendo comunque rassicurata dai sanitari;

- in data 29.09.2010 ella presentava un notevole rialzo termico e un marcato incremento degli indici di flogosi, con VES pari a 28 mm/2h (a fronte di un valore normale inferiore a 20) e PCR pari a 135,2 mg/l (a fronte di un range di normalità compreso tra 0 e 8), valori che si mantenevano costanti anche nei giorni successivi. Ciò nonostante, da quanto emerge in cartella clinica, non è stata eseguita alcuna terapia antibiotica a seguito dell'intervento chirurgico né è stata consigliata terapia antibiotica nella relazione che ha accompagnato la dimissione in data 29.09.2010 (doc. 16-17);

- in pari data la paziente è stata trasferita presso la locale UO di riabilitazione neuromotoria con diagnosi di "Esiti di protesi ginocchio" e dove, a fronte della persistenza dell'incremento di VES e PCR riscontrato in data 30.09.2010, in associazione alla presenza di ematoma e termotatto positivo, in data 01.10.2010 è stata inserita in terapia antibiotica (doc. 18);

- dimessa in data 12.10.2010, nella stessa giornata la paziente ha fatto ingresso presso la UO di Riabilitazione degli Istituti Clinici Zucchi di Monza con diagnosi di "esiti protesi mono gin sin" e dove si è evidenziata la persistenza di edema a carico della gamba e incremento della VES. È emersa, inoltre, una diastasi della ferita chirurgica (per cui è stata prescritta terapia con Indocel dal 20.10) con fuoriuscita di materiale puruloide a partire dal 25.10.2010, per cui è stato effettuato un tampone per esame colturale il cui risultato ha mostrato la crescita di Staphylococcus Aureus Meticillino Resistente (MRSA) e Pseudomonas Aeruginosa;

- a partire da quel momento è stata intrapresa terapia mirata e la paziente è rimasta degente sino al 6.12.2010, quando è stata dimessa con diagnosi di "esiti di protesi totale di ginocchio sinistro con infezione secondaria" (doc. 20-21);

- in pari data la sig.ra C. è stata nuovamente ricoverata presso il C.C., dove è stata sottoposta ad un intervento chirurgico di revisione e toilette della ferita chirurgica con rimozione di una vite di sintesi, con prelievi intraoperatori che sono risultati ugualmente indicativi della presenza di MRSA;

- dimessa in data 14.12.2010, la paziente è stata trasferita presso la UO di Riabilitazione dove è rimasta degente fino al 11.01.2011 eseguendo terapia fisica e antibiotica con farmaci specifici (doc. 22);

- sempre in data 11.01.2011 l'istante ha fatto ingresso presso la UO di Riabilitazione della Casa di Cura Habilita di Zingonia per proseguire la terapia fisica, rimanendo ricoverata fino al 25.02.2011, eseguendo durante il periodo un primo ciclo di ossigenoterapia iperbarica ma permanendo alla dimissione segni ematochimici e clinici di infezione locale (doc. 23-25);

- presi accordi con personale dell'Ospedale S. Corona di Pietra Ligure, in data 08.07.2011 la paziente è stata ricoverata presso la UO di Malattie Infettive e Ortopedia Settica con diagnosi di "infezione periprotesica ginocchio sin" e in data 11.07.2011 si è sottoposta ad intervento chirurgico di rimozione di protesi infetta, bonifica e posizionamento di spaziatore;

- in data 22.07.2011 la sig.ra C. è stata trasferita presso la locale UO di Riabilitazione, ove è rimasta degente fino al 30.08.2011 (doc. 35-38);

- dopo continue cure, nell'ottobre del 2011 si è ottenuta una normalizzazione degli indici di flogosi e una lieve flogosi aspecifica alla scintigrafia. Nel contempo, tuttavia, sono comparse ricorrenti infezioni urinarie da germi pluriresistenti (doc. 39-44);

- in data 03.07.2012 la paziente è stata nuovamente ricoverata presso la UO di Malattie Infettive e Ortopedia Settica con diagnosi di "Reimpianto complesso protesi ginocchio sin con ricostruzione dell'apparato legamentoso, IVU da Proteus mirabilis, Sepsi da Klebsiella pneumoniae" e in pari data sottoposta ad intervento di sostituzione dello spaziatore con protesi totale di ginocchio sinistro e contestuale ricostruzione dell'apparato estensore con gastrocnemio mediale;

- durante la degenza è emersa una crescita batterica locale di MRSE, una sepsi da Klebsiella Pneumoniae e una infezione urinaria da Proteus Mirabilis, per cui la paziente è stata sottoposta a una lunga terapia antibiotica mirata e dimessa in data 12.08.2012 senza poter ottenere l'eradicazione, in considerazione delle "multiple resistenze che rendono difficile il trattamento" (doc. 45);

- la paziente, in seguito, si è sottoposta a molteplici visite cliniche e strumentali, nonché terapie specifiche, mostrandosi alla scintigrafia del 06.02.2013 la "permanenza del processo flogistico-settico" e una grave insufficienza funzionale del ginocchio (doc. 46-50), oltre alla costante persistenza di infezioni urinarie da germi resistenti (ultimi esami urinocolturali del 30.04.2014 con crescita di Proteus Mirabilis multiresistente - doc. 51-56);

La sig.ra C. ha precisato che solo dopo il secondo intervento ha iniziato a manifestarsi un quadro clinico tipicamente infettivo: la paziente, nei primi mesi del 2010, aveva eseguito accertamenti strumentali volti a comprendere la causa scatenante della intolleranza protesica, ma non può tacersi che questi hanno mostrato una reazione flogistica aspecifica e asettica, non indicativa di una infezione insorta a causa del primo intervento di protesizzazione eseguito presso l'ospedale di Palermo.

Neppure durante l'intervento di sostituzione protesica eseguito in data 22.09.2010 presso la struttura convenuta è stata riscontrata alcuna manifestazione locale di infezione dei piani sottocutanei o dei tessuti ossei periprotesici.

Sin dal giorno successivo, invece, è emerso un rialzo termico con punte di 38,5 e con un riscontro di marcato incremento degli indici di flogosi, con VES pari a 28 mm/1h e PCR pari a 135,2 mg/l. Malgrado ciò, la paziente non è stata sottoposta ad alcuna copertura antibiotica dal momento dell'intervento e sino al giorno 1.10.2010, quando i sanitari, riscontrando febbre, ematoma e termotatto positivo, hanno prescritto terapia con Amoxicillina + Ac. Clavulanico.

Dopo un ininterrotto ricovero ospedaliero, in data 27.10.2010 è stato isolato lo Staphyloccoccus, che ha causato una colonizzazione settica della protesi e la susseguente osteomielite cronica.

Parte attrice si è avvalsa di una perizia medico-legale (consulenza a firma del dott. M.G., allegata al fasc. di parte attrice - doc. 58), ai fini della determinazione dei danni patiti in conseguenza della condotta sanitaria-assistenziale del convenuto, rilevando che "in considerazione di una personificazione del danno stesso alla luce anche del danno estetico conseguente al prelievo di gastrocnemio per ricostruzione dell'apparato legamentoso del ginocchio, con conseguente refluenza sulla validità muscolare della gamba, nonché delle infezioni urinarie ricorrenti da germi opportunisti multiresistenti, si ritiene equo valutare gli esiti attualmente riportati attribuendo una percentuale di danno biologico di natura iatrogena, comprensivo di danno estetico-fisiognomico, non inferiore al 20%".

Si è costituito in giudizio il P.M. s.p.a., che ha chiesto il rigetto delle domande ex adverso formulate, rilevando che:

- risulta impossibile escludere in toto il rischio di infezioni in ambito ospedaliero;

- controparte era stata puntualmente informata sui rischi connessi all'intervento chirurgico, tra i quali era indicata anche l'infezione da stafilocco aureus (pagina 18 della cartella clinica 21.9.2010 depositata agli atti);

- il rialzo febbrile verificatosi nei giorni immediatamente successivi all'intervento del 22.9.2010 non era di per sè indice di infezioni in corso e la progressiva scomparsa della febbre in assenza di terapia antibiotica ha confermato che essa è stata provocata dall'affaticamento sopportato dal fisico per l'impianto della protesi;

- anche l'incremento della proteina C reattiva (PCR) nei giorni seguenti l'intervento non è sintomatico di fenomeni infettivi in corso, potendo rintracciarsi la sua causa in diversi fattori quali traumi recenti ed interventi chirurgici;

- nella fase post-operatoria non sono stati descritti segni clinici riconducibili ad una precoce infezione del sito chirurgico; pertanto una prescrizione di terapia antibiotica a fronti di tali dati non sarebbe stata corretta;

- al momento del trasferimento della paziente dal reparto di ortopedia a quello di riabilitazione (doc. 2) la PCR era in netta riduzione spontanea e il valore della VES, data la situazione positiva di PCR e leucociti, non era di per sé indicativa di infezione in atto;

- durante la degenza presso il reparto di riabilitazione, la ferita permaneva chiusa senza secrezioni e la sig.ra C. rimaneva apiretica;

- quanto alla terapia antibiotica disposta durante la riabilitazione, essa era correlata all'insorgenza di una sospetta lesione cutanea da flebite all'arto superiore sinistro; per tale ragione veniva sospesa dopo dieci giorni di trattamento;

- dopo le dimissioni del 12.10.2010 la paziente è stata contestualmente ricoverata presso un'altra struttura - Clinica Zucchi - per proseguire la riabilitazione, che si è protratta per circa due mesi; tredici giorni dopo il suo ingresso in tale struttura, a dire dell'attrice, si sarebbe verificata una fuoriuscita di materiale purulento;

- il P.M. ha fatto tutto quanto possibile per evitare l'insorgenza dell'infezione e, una volta insorta il 25.10.2010, si è scrupolosamente attivato per curare la stessa nel modo corretto (docc. 3, 4).

Sul punto, parte convenuta ha precisato che, data l'impossibilità dell'eliminazione totale del rischio, la diligenza della struttura sanitaria va valutata in base alla corretta esecuzione delle procedure volte a ridurre al minimo il rischio di una complicanza che non è scongiurabile.

Quanto alla prevenzione delle infezioni ospedaliere, parte convenuta ha prodotto una lunga serie di documenti, a riprova della diligenza e dell'attenzione che il P.M. pone al tema della prevenzione. Alla luce di tale documentazione, parte convenuta ha sostenuto che solo l'accertamento di una sua specifica condotta negligente potrebbe giustificarne la responsabilità, a meno di non voler affermare un addebito a titolo di responsabilità oggettiva.

Ha osservato inoltre che vi sono soggetti normali portatori sani del germe riscontrato, tra i quali in particolare pazienti con precedenti ricoveri ospedalieri e precedenti interventi di protesizzazione, come la sig.ra C.; ella, tra l'altro, era affetta da ipertensione arteriosa, diabete mellito di tipo II, ipotiroidismo, dislipidemia, aveva subito un'artroscopia al ginocchio ed un intervento per tunnel carpale, fattori predisponenti la complicanza di fatto verificatasi.

Il P.M. ha infine contestato le richieste risarcitorie avanzate dall'attrice, ritenendole esorbitanti tanto nella qualificazione giuridica quanto in ordine alla loro quantificazione monetaria, considerato peraltro che l'indicazione dell'invalidità permanente in 20 punti non tiene in alcun conto lo stato di salute della sig.ra C. al momento dell'intervento.

Disposta consulenza tecnica medico-legale richiesta da entrambe le parti; suggeriti i termini per una soluzione transattiva della controversia alla luce delle conclusioni dell'accertamento peritale, non accettati da parte convenuta; respinta la richiesta di convocazione dei periti a chiarimenti formulata da parte convenuta; sulle conclusioni delle parti come precisate all'udienza del 13.02.2018 la causa è stata trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di legge per il deposito di conclusionali e repliche.

La domanda dell'attrice è fondata nei limiti di seguito precisati.

La consulenza medico legale espletata, affidata ad un collegio peritale composto da uno specialista in microbiologia-infettivologia e da uno specialista in ortopedia e medicina legale, è chiara, completa e coerente con le risultanze documentali e con le emergenze cliniche e costituisce un valido supporto tecnico ai fini della decisione. Le conclusioni cui sono giunti i periti dell'ufficio sono pienamente condivisibili, per quanto conseguenti ad un esaustivo esame delle risultanze in esito al contraddittorio tecnico svoltosi.

Nella relazione vengono descritte le condizioni di salute e la vicenda clinica della signora C., visitata la stessa ed esaminati gli atti e i documenti (visite specialistiche e esami strumentali), a partire dal 27.11.2009.

I consulenti hanno descritto le visite e le terapie eseguite, dapprima presso l'Ospedale Cervello di Palermo, ove la signora è stata sottoposta ad intervento chirurgico per l'impianto di artroprotesi al ginocchio sinistro (27.11.2009) e, successivamente, presso la struttura convenuta in tale sede.

In risposta al quesito posto, i periti hanno ritenuto correttamente indicato l'intervento di reimpianto protesico al quale la paziente è stata sottoposta in data 22.09.2010, in presenza della persistenza del dolore e del deficit funzionale al ginocchio sinistro.

L'intervento è stato eseguito "con metodiche allo stato dell'arte e in Struttura adeguata ove risultano essere stati svolti regolari controlli dell'efficienza dei presidi operatori per la verifica della condizione microbiologica e del possibile rischio di infezione".

Hanno comunque rilevato che "così come per molti altri interventi chirurgici, anche l'impianto di protesi articolare (ginocchio, anca, spalla), in continua espansione, soprattutto per l'innalzamento dell'età della popolazione dei paesi sviluppati e per l'aumento di traumatismi, non è scevro da rischi di complicanza infettiva.", precisando altresì che "la diagnosi di una infezione protesica si basa sui rilievi clinico-obiettivi, sulle indagini di laboratorio, sull'esame colturale e sulle tecniche di imaging. Per quanto riguarda i microorganismi coinvolti nelle infezioni protesiche un ruolo predominante è ricoperto da Stafiloccoccus Aureus ed Epidermidi, e anche da Pseudomonas aeruginosa. Questi germi, di solito multi resistenti, determinano particolari problemi per il loro trattamento antibiotico e risultano stati isolati dalla ferita chirurgica della sig.ra C.".

Nella fattispecie in esame, alla luce della documentazione clinica disponibile, i consulenti dell'ufficio hanno osservato che "la gestione del caso della Sig.ra I.C. non fu esente da difetti, con evidenti errori decisionali, sia per quanto riguarda la valutazione del quadro clinico generale post-operatorio, sia in riferimento alla interpretazione delle indagini di laboratorio abitualmente eseguite per l'identificazione di possibili processi infettivi (ad es. VES e Proteina C Reattiva). Infatti, nel caso in oggetto, da quanto si è potuto desumere dalla disamina della documentazione disponibile, se da un lato nell'immediato decorso post-operatorio la ferita chirurgica fu descritta in ordine, non particolarmente dolente e senza segni di secrezione, già nel tardo pomeriggio del giorno successivo all'intervento (23 settembre 2010), alle ore 19.15 e poi alle ore 20.30, la sig.ra C. presentò un rialzo febbrile (38) che indusse l'infermiere di reparto ad allertare il Medico di guardia. Nel diario è riportata la prescrizione di emocultura della cui esecuzione e relativo esito, però, non vi è traccia alcuna in cartella clinica. Il giorno successivo (Venerdì 24.09), a più riprese furono registrati rialzi termici con valori tra 37.5 °C e 38.5 °C, oltre a chiari segni laboratoristici considerevolmente alterati e chiaramente indicativi di un processo flogistico-settico in atto (VES 28, PCR 135,2). Nei due giorni successivi (sabato e domenica), non furono eseguiti esami ematochimici e non si evince alcuna annotazione sul diario clinico da parte dei Medici, specie nella giornata di domenica 26 settembre 2010. Per la giornata di lunedì 27.09 manca in cartella il diario infermieristico e tra gli esami ematochimici eseguiti, spicca il valore ancora elevato della PCR che risultò essere pari a 108.7. Il 28 settembre (martedì) sul diario infermieristico (alle ore 12.00) fu registrato episodio di brividi. Il 29 settembre la signora C. fu trasferita presso l'U.O. di Riabilitazione Neuromotoria del P.M. ove rimase degente fino al 12 ottobre 2010. Nel corso del ricovero non furono segnalati particolari problematiche alla ferita chirurgica, descritta come pulita alle medicazioni effettuate il 02.10 e 12.10; tuttavia in data 30.09.2010 tra gli esami ematochimici eseguiti emergono valori elevati di PCR (50.9) e di VES (72), esami non più effettuati nei giorni seguenti fino alla dimissione. Da segnalare che nelle giornate di sabato 02.10, domenica 03.10, sabato 09.10 e domenica 10.10.2010, sul diario clinico non risultano essere stati registrati rilievi semeiologici da parte dei Medici".

Ricostruita quindi la vicenda clinica dell'attrice, i consulenti hanno espresso valutazioni tecniche sulla gestione del decorso postoperatorio dell'attrice da parte dei sanitari del P.M., rilevando che "l'insieme dei dati riassunti mette in evidenza, nel corso del primo ricovero, la sottovalutazione degli indicatori di flogosi riscontrati già subito dopo l'intervento e rende incomprensibile, pur in presenza di ferita chirurgica apparentemente in ordine, la mancata effettuazione di opportune indagini diagnostiche, quali l'emocultura, oltre alla decisione di non sottoporre la sig.ra C. ad adeguata terapia antibiotico". I CTU hanno poi rilevato che "i dati desumibili dalla documentazione clinica disponibile e più sopra delineati, indicano che nella fase iniziale del primo ricovero della sig.ra C. ci sono state importanti imprecisioni riguardo alla decisione di non somministrare adeguata terapia antibiotica ed eseguire approfonditi accertamenti microbiologici".

E' inoltre segnalato che "la documentazione clinica disponibile è di difficile analisi, considerata la scarna registrazione (a tratti anche con grafia poco leggibile) sul diario clinico e infermieristico dei rilievi storico-clinici della Paziente".

I consulenti hanno così conclusivamente affermato che "la sig.ra C., nel mese di settembre 2010, riportò, a seguito di intervento chirurgico di revisione di protesi totale di ginocchio, una infezione dei tessuti periprotesici. Trattasi di infezione nosocomiale ossia, di processo infettivo insorto durante il ricovero in ambiente ospedaliero, non presente, né in incubazione, al momento dell'ingresso della paziente in nosocomio, ma riferibile, per epoca e condizioni dell'insulto infettivo, nonché per tempo d'incubazione, al periodo di ricovero (...) Vi è concreta ragione di ritenere che i micro-organismi furono direttamente inoculati nella sede chirurgica durante la procedura del 22 settembre 2010, trattandosi quindi del fenomeno noto come 'infezione del sito chirurgico In merito al comportamento assunto dagli specialisti che ebbero in cura la paziente nel decorso postoperatorio presso l'azienda ospedaliera convenuta, i periti hanno osservato che "non fu certamente diligente, in considerazione del fatto che il corteo sintomatologico e laboristico presentato avrebbe imposto una sorveglianza postoperatoria maggiormente approfondita, mediante l'effettuazione di esami laboratoristici adeguati e l'impostazione di una corretta antibioticoterapia, una volta confermata la diagnosi di infezione del sito chirurgico".

E' dunque configurabile il nesso causale tra la procedura terapeutica effettuata il 22.09.2010 dai curanti dell'U.O. e l'infezione periprotesica contratta dalla signora C.; come emerge dalla relazione peritale, invero, risultano soddisfatti i presupposti "- integranti il legame eziologico, rappresentati dai criteri:

cronologico: complicanza settica insorta subito dopo l'intervento chirurgico;

- topografico: corrispondenza topografica tra sede in cui venne effettuato l'intervento chirurgico e quello d'insorgenza della complicanza infettiva;

- idoneità quali-quantitativa: l'intervento chirurgico di reimpianto protesico di ginocchio effettuato in data 22 settembre 2010 per caratteristiche intrinseche legate alla tecnica scelta (invasività, profondità e quindi strutture anatomiche lese), risulta del tutto idoneo a determinare la complicanza settica dei tessuti periprotesici;

- continuità fenomenica: la sintomatologia riferita dalla paziente a distanza di pochi giorni dall'intervento chirurgico ed il quadro clinico evolutivo sviluppatosi successivamente nel corso della vicenda clinica, costituito da aumento degli indici biochimici di flogosi associato a piressia, risultano del tutto coerenti per modi e tempo d'incubazione alle caratteristiche d'esordio e d'incubazione delle infezioni dei tessuti osteomuscolari;

- di esclusione di altre cause: non sono emersi, nel corso della presente indagine, fattori idonei sotto il profilo causale nel determinismo delle sequele lesive patite dalla sig.ra C..

Non vi è dubbio, quindi, che esista una relazione diretta di causa-effetto tra l'intervento chirurgico stesso e il quadro infettivo successivamente presentato dalla Sig.ra C..

A conferma di quanto sino ad ora discusso, la presenza di lieve secrezione della ferita chirurgica nel corso delle medicazioni, l'esito dell'analisi microbiologica del tampone, datato 27/10/2010, identificativo della presenza di Stafiloccocus Aureus Meticillina Resistente (MRSA) E Pseudomonas Aeruginosa, così come il successivo del 23/11/2010, documentante la presenza di MRSA.

Vi è concreta ragione di ritenere che i micro-organismi furono direttamente inoculati nella sede chirurgica durante la procedura del 22 settembre 2010, trattandosi quindi del fenomeno noto come 'infezione del sito chirurgico".

Se ne ricava, pertanto, la sussistenza di una relazione diretta di causa-effetto tra l'intervento di reimpianto protesico del 22.09.2010 - pur correttamente eseguito - e il quadro infettivo presentato dalla sig.ra C.. Sul punto, nella relazione peritale è precisato che "la genesi della complicanza settica in questione, non può essere ricondotta a specifico momento od a specifica occasione sotto il profilo patogenetico. Infatti, non è possibile identificare con certezza il momento infettante, ma semplicemente ricondurlo nell'arco cronologico della degenza ospedaliera e, quindi, riferirlo "genericamente" ad uno dei tanti adempimenti tecnici, medico-chirurgici od anche infermieristici od anche, più latamente, ausiliari".

Complessivamente, la consulenza appare chiara ed esaustiva e non necessita di chiarimenti. I periti dell'ufficio hanno evidenziato gli aspetti critici e i difetti riscontrati nel caso in esame, consistenti principalmente nella non corretta valutazione degli indici di flogosi (PCR) e nella negligente tenuta del diario clinico da parte dell'azienda ospedaliera, diario non particolarmente accurato nella descrizione dell'obiettività clinica.

Le risultanze peritali (dalle quali non si ha ragione di discostarsi) consentono quindi di ritenere accertata la responsabilità della struttura P.M. s.p.a. per la condotta colposa dei sanitari nella gestione dell'iter clinico e terapeutico postoperatorio della sig.ra C., con particolare riferimento alla gestione della complicanza settica verificatasi.

I consulenti di parte convenuta hanno rilevato come i CTU non abbiano tenuto in debito conto il quadro locale specifico della paziente in seguito al primo intervento, assolutamente silente dal punto di vista infettivologico ed improntato alla guarigione. Secondo le allegazioni dei predetti, le condizioni dell'attrice avrebbero subito una modifica presso gli Istituti Zucchi la sera del 24 ottobre 2010, ossia ben 12 giorni dopo il ricovero presso detta clinica. Prima di tale data non si sarebbero mai riscontrati sintomi di infezione: la paziente era assolutamente asintomatica, la VES era ridotta a 32 e la PCR era rientrata nella norma. Inoltre, il rialzo termico ed i valori di PCR, stando ai consulenti di parte, vanno considerati valori fisiologici in un post-intervento ortopedico.

Questo giudice ritiene che le allegazioni di parte convenuta, tese a dimostrare che l'infezione articolare periprotesica contratta dalla sig.ra C. non sarebbe riconducibile all'intervento del 22.09.2010, oltre ad essere generiche e prive di concreti elementi che possano sostenere una diversa ragione di contrazione dell'infezione, non siano fondate e palesemente contraddette dalle indicazioni fomite dai consulenti tecnici. Le criticità evidenziate dal P.M. in relazione all'elaborato peritale, inoltre, non hanno apportato elementi significativi avverso le risultanze medico-legali esposte dai consulenti dell'ufficio né idonee ad inficiarne la chiarezza, sistematicità e correttezza tecnica.

I periti dell'ufficio hanno chiarito che, pur ammettendo il rischio di sviluppare una infezione a seguito di intervento chirurgico, nella fattispecie in esame i sanitari del P.M. hanno sottovalutato i sintomi riscontrati già a partire dal giorno successivo all'intervento, allorché la paziente presentava rialzi termici con valori tra 37.5 e 38.5; inoltre, dagli esami ematochimici eseguiti risultavano valori VES e PCR elevatissimi, fortemente indicativi della presenza di una PJI, valori che avrebbero dovuto allertare i sanitari della struttura ed indurli ad attivare gli opportuni approfondimenti diagnostici al fine di monitorare il quadro clinico della paziente.

In punto di genesi del fenomeno infettivo, i consulenti dell'ufficio hanno riscontrato le contestazioni mosse dal convenuto ribadendo come debba ritenersi altamente improbabile che l'infezione sia stata contratta durante la degenza della sig.ra C. presso gli Istituti Clinici Zucchi, dal momento che la comparsa di materiale liquido sieroso dalla ferita chirurgica era "il risultato dell'affiorare in superficie dei danni dovuti alla moltiplicazione microbica che stava accadendo in profondità" e che l'infezione non può aver avuto una genesi endogena poiché "la lesione della cute (in questo caso da incisione chirurgica) è il tramite che permette ai batteri cutanei di passare all'interno del corpo raggiungendo anche direttamente tessuti profondi".

In tutti i casi nei quali i sintomi sono simili a quelli lamentati dall'odierna attrice è opportuno che la struttura e gli operatori sanitari che hanno in cura i pazienti predispongano delle indagini accurate, finalizzate alla ricerca delle cause scatenanti il manifestarsi di quei sintomi, così da prendere i necessari provvedimenti. Ciò consentirebbe sia di ridurre gli effetti dannosi derivanti dalla contrazione dell'infezione, sia di riempire il concetto di sensibilità al tema delle infezioni di validi e tangibili contenuti.

Proprio la cura e la sensibilità asseritamente rivolte dal P.M. al tema della prevenzione delle infezioni avrebbe dovuto indurre il convenuto ad effettuare delle opportune indagini sulle condizioni della sig.ra C. al fine di confermare o escludere il sospetto di un processo infettivo in atto e dunque di accertare se fosse o meno opportuno somministrare una terapia antibiotica; l'esecuzione di approfondimenti diagnostici con esami ematochimici ed accertamenti strumentali è specificamente prevista dalle linee guida accreditate dalla Comunità Scientifica in fattispecie analoghe a quella per cui è causa, e n.n. rispettate nel caso di specie.

Tanto i consulenti quanto la difesa di parte convenuta, inoltre, non hanno proposto alcuna idonea ipotesi alternativa, che possa ritenersi corretta da un punto di vista medico-chirurgico, circa la genesi dell'infezione.

Pertanto, non vi è ragione per discostarsi dalle conclusioni raggiunte dai periti d'ufficio in punto di responsabilità dell'azienda ospedaliera convenuta, la cui validità tecnica non risulta contraddetta dalle contestazioni mosse dalle parti e va, pertanto, confermata.

L'imputabilità della compromissione dello stato di salute dell'attrice al convenuto P.M. discende dall'art. 1228 c.c., come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità.

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) trova la sua fonte nel contratto atipico c.d. di spedalità, concluso tra le parti per facta concludentia, ossia mediante la mera accettazione del malato presso la struttura. Si tratta di un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell'ente), accanto a quelli di tipo "lato sensu" alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell'ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell'art. 1218 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell'art. 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale (Cass. n. 13953/2007).

La struttura sanitaria pertanto, con l'accettazione del paziente ha concluso un contratto atipico di spedalità e di assistenza sanitaria ed è tenuta al risarcimento dei danni anche nell'ipotesi in cui essi siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui essa stessa necessariamente si avvale per svolgere la propria attività, non rilevando il rapporto struttura/medico (vedi anche Cass. n. 1620/2012).

Dalla suddetta qualificazione in termini di responsabilità contrattuale, discende l'applicazione, tra l'altro, del relativo regime giuridico dettato in materia di termine di prescrizione dell'azione - ordinario decennale - e distribuzione dell'onere probatorio. Sul punto, il paziente danneggiato deve provare l'esistenza del rapporto contrattuale e dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, del "più probabile che non", potendosi limitare ad allegare (ma non provare) l'inadempimento, ancorché qualificato, ossia astrattamente efficiente alla produzione del danno (Cass. SU 11.1.2008 n. 577). Ricade viceversa sulla struttura, che intenda liberarsi dall'obbligazione risarcitoria, l'onere di provare di aver correttamente adempiuto o che quegli esiti siano derivati da un evento imprevisto o imprevedibile, non imputabile o non riconducibile alla condotta sanitaria.

La convenuta non ha fornito tale prova liberatoria.

Per la liquidazione del danno di natura non patrimoniale in favore della signora C., da effettuarsi secondo criteri equitativi, soccorrono le indicazioni fornite dai consulenti, compatibili con la descrizione della complessiva vicenda clinica.

I periti hanno riconosciuto che "La complicanza settica ha comportato l'allungamento del periodo di convalescenza post-operatoria, rapportato ai tempi medi generalmente caratterizzanti un intervento chirurgico. In particolare la necessità di un successivo intervento chirurgico correttivo, di una prolungata immobilizzazione e di una adeguata rieducazione motoria funzionale, impongono il riconoscimento di un periodo di inabilità temporanea assoluta, definibile alla stregua di danno biologico assoluto pari a giorni 250 (DUECENTOCINQUANTA), seguito da un periodo di danno biologico temporaneo parziale al 75% pari a giorni 60 (SESSANTA), da un ulteriore periodo di danno biologico temporaneo parziale al 50% pari a giorni 60 (SESSANTA) e da un successivo periodo di danno biologico temporaneo parziale al 35% pari a giorni 60 (SESSANTA)".

Per quanto concerne i postumi di carattere permanente, il quadro menomativo attualmente residuato a carico dell'arto inferiore sinistro della sig.ra C. (ormai stabilizzato) è complessivamente quantificabile, in termini di danno biologico permanente, nella misura del 30% (trenta per cento), comprensivo delle limitazioni funzionali articolari e degli esiti cicatriziali e meiopragici muscolo-ligamentosi post chirurgici e post-infettivi".

Tale proposta valutativa indica il complessivo danno residuato dagli esiti chirurgici delle cruentazioni al ginocchio sinistro in un quadro di pregressa gonartrosi necessitante di iniziale intervento di sostituzione protesica e di successiva ri-protesizzazione, al cui interno è stata differenziata la quota ascrivibile alle complicanze settiche (c.d. danno iatrogeno).

Secondo le risultanze peritali, "il 'plus' monomativo anatomo-funzionale ascrivibile alle complicanze settiche del sito chirurgico, inteso come 'maggior danno' o 'danno differenziale iatrogeno' può essere equamente individuato nella misura del 10% (DIECI per cento), con 'delta' compreso tra il 20 (VENTI) %, indicativo della percentuale dei postumi che sarebbero residuati in caso di decorso esente da manifestazioni infettive, e il 30 (TRENTA) % rappresentante l'attuale quota menomativa posseduta dalla Signora I.C.".

Non vi sono ragioni per discostarsi dalla valutazione dei consulenti, che tiene in debito conto tanto le pregresse condizioni dell'attrice, quanto le inevitabili ripercussioni disfunzionali dell'intervento di reimpianto protesico - danni che non possono certamente ascriversi alla condotta dei sanitari del P. - identificando il punto di invalidità effettivamente riconducibile alla negligenza e all'imperizia degli stessi. Nel caso di specie, viste le conclusioni dei periti, il danno iatrogeno è da identificarsi nella misura del 10%, con calcolo differenziale tra gli esiti menomanti che sarebbero comunque conseguiti ad un corretto trattamento (20%) e quelli effettivamente imputabili al convenuto (30%).

Si deve quindi procedere ad un addebito risarcitorio per quei soli danni che hanno aggravato una condizione già pregiudicata per fattori indipendenti, poiché una menomazione biologica permanente sarebbe comunque residuata anche senza complicanza, senza tuttavia ignorare la maggiore capacità afflittiva che un aggravamento delle condizioni di salute comporta rispetto ad una lesione di pari entità che incide su un soggetto "sano".

Ciò impone di tenere distinti i due livelli di causalità (materiale e giuridica) al fine di "accertare, sul piano della causalità materiale (...) l'efficienza eziologica della condotta rispetto all'evento in applicazione della regola di cui all'art. 41 c.p. (...) così da ascrivere l'evento di danno interamente all'autore della condotta illecita, per poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica (rettamente intesa come relazione tra l'evento di danno e le singole conseguenze dannose risarcibili all'esito prodottesi) onde ascrivere all'autore della condotta, responsabile tout court sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno, bensì determinate dal fortuito, come tale da reputarsi la pregressa situazione patologica del danneggiato che, a sua volta, non sia eziologicamente riconducibile a negligenza, imprudenza ed imperizia del sanitario" (v. Cass. n. 15991/2011).

Il Tribunale di Milano ha già avuto modo di affrontare la questione relativa all'imputabilità risarcitoria del danno iatrogeno incrementativo sottolineando -con argomentazioni totalmente condivise da questo giudice- come si ponga "la necessità di procedere, sotto il profilo della causalità giuridica, ad una selezione, nell'ambito della complessiva situazione di invalidità della parte lesa, delle conseguenze per individuare il danno alla persona oggetto dell'obbligo risarcitorio a carico del medico operante. Principio che inevitabilmente deve riflettersi anche sui criteri liquidatori di esso che non possono prescindere dal rilievo che assume la situazione preesistente sotto due principali profili: a) non può farsi gravare sul medico, in via automatica, una misura del danno da risarcirsi incrementata da fattori estranei alla sua condotta, così come verrebbe a determinarsi attraverso una automatica applicazione di tabelle con punto progressivo, computato a partire, in ogni caso, dal livello di invalidità preesistente; b) la liquidazione va necessariamente rapportata ad una concreta verifica, secondo le allegazione delle parti, delle conseguenze negative "incrementative" subite dalla parte lesa." (Tribunale Milano, giudice Bichi, sent. 30.10.2013).

Alla luce dei sopra richiamati principi, al convenuto va addebitato esclusivamente il danno dallo stesso provocato, che ha inciso sull'integrità psico-fisica globale dell'attrice nella misura del 10%, senza tuttavia trascurare che il danno iatrogeno di natura infettiva rappresenta un'infermità funzionalmente invalidante che ha concretamente inciso sulla complessiva infermità della signora C..

Vanno dunque considerate, da un lato, la imputabilità del solo maggior danno derivato dalla condotta negligente e imperita dei sanitari della struttura convenuta, dall'altro, la più pesante incidenza del danno iatrogeno patito dall'attrice rispetto ad altra persona priva di ulteriori menomazioni.

Di questa maggiore afflittività deve tenersi conto nella liquidazione unitaria del danno non patrimoniale, mediante adeguata personalizzazione.

In un caso affatto analogo a quello in esame (postumi permanenti residuati da un intervento chirurgico di osteosintesi più gravi di quelli che sarebbero comunque derivati nel caso di esecuzione di intervento a regola d'arte), accertata la maggiore invalidità differenziale in termini percentuali, la Suprema Corte ha ritenuto che una liquidazione del danno effettuata in quella percentuale mediante ricorso alle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, sia da ritenersi adeguata sempre che si provveda alla personalizzazione del valore del punto di invalidità, che tenga conto delle conseguenze delle complessive maggiori difficoltà nelle quotidiane attività (cfr Cass. n.15733/2015).

Richiamati quindi i principi consolidatisi a partire delle pronunce della Suprema Corte nn.26972, 26973, 26074 e 26075 del 2008; considerati tutti gli aspetti di danno rientranti nella categoria del danno non patrimoniale, anche sotto il profilo del danno morale; assunte le ultime tabelle elaborate da questo Tribunale quale criterio generale di valutazione (Cass. n.12464/2012); considerate altresì l'età dell'attrice al momento della stabilizzazione dei postumi, la complessiva vicenda, le sue condizioni personali, la complessiva gravità delle conseguenze pregiudizievoli di carattere permanente ed il loro rilievo funzionale; si perviene, secondo un necessario criterio equitativo ed operata una congrua personalizzazione, ad un risarcimento complessivo del danno non patrimoniale di natura permanente di Euro25.000,00.

Il danno non patrimoniale a carattere temporaneo, alla luce delle indicazioni dei consulenti ed assunto il valore delle ultime tabelle milanesi con personalizzazione, anche in questo caso in misura media, in ragione della presumibile sofferenza per il prolungamento della guarigione, viene liquidato secondo i medesimi criteri in Euro 41.000,00.

Sull'importo complessivamente liquidato in moneta attuale pari ad Euro 66.000,00 devono essere riconosciuti gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell'equivalente pecuniario del bene perduto, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte (sent. n.1712/1995) sulla somma via via rivalutata dal verificarsi dell'evento di danno alla data della liquidazione, interessi ad oggi pari ad Euro 5.515,87 (quantificati secondo il criterio indicato dalla Suprema Corte nella sent. n.4791/2007).

Le altre domande risarcitorie non possono trovare accoglimento.

I consulenti dell'ufficio nella relazione hanno dato atto del fatto che "non sono documentate spese mediche né sono prevedibili per il futuro spese per diagnosi e cura". In riscontro alle note critiche redatte da parte attrice, che ha posto in evidenza l'allegato 59 della produzione depositata contenente le spese sanitarie sostenute dalla sig.ra C. nel corso degli ultimi anni, i periti hanno rilevato documentazione per spese mediche pari a Euro 610,00 (ft. n. 79/2014 del 16.07.2014 - Dott. M.G.), oltre ad Euro 48,00 per copia lastre radiologiche (ft. n. 145520/A del 10.12.2010 - P.M.).

Si tratta tuttavia di spese che, attesane la natura e il dato temporale, è ragionevole ritenere che la sig.ra C. avrebbe comunque sostenuto per far fronte ai postumi dell'intervento di protesizzazione; né l'attrice ha fornito chiarimenti e precisazioni per diversamente ritenere.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo con riferimento allo scaglione tariffario relativo alla somma riconosciuta e operata una complessiva riduzione del 20% tenuto conto della ridotta attività istruttoria e della non particolare complessità delle questioni trattate.

Le spese di consulenza tecnica d'ufficio sono poste in via definitiva a carico della parte convenuta.
P.Q.M.

il giudice, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda, istanza ed eccezione disattese, così provvede:

-in accoglimento della domanda dell'attrice, dichiara la responsabilità del convenuto P.M. s.p.a. nei confronti dell'attrice e lo condanna al pagamento in favore di I.C. della somma, liquidata in moneta attuale, di Euro 71.515,87 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale comprensiva di interessi alla data odierna, oltre interessi al tasso legale dalla data della presente sentenza;

-condanna il convenuto P.M. s.p.a., al pagamento in favore dell'attrice I.C. delle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 10.744,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, Cpa e Iva;

-pone definitivamente a carico del convenuto le spese di consulenza tecnica d'ufficio liquidate con decreto del 26 ottobre 2016.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza