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Sentenza

Il titolare del carro attrezzi chiamato dal Comune per rimuovere mezzi abbandona...
Il titolare del carro attrezzi chiamato dal Comune per rimuovere mezzi abbandonati non ha diritto ad essere pagato per la custodia se non ha un contratto scritto con l'Ente.
Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 30/01/2019) 12-04-2019, n. 10354
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni - Presidente -

Dott. CARRATO Aldo - Consigliere -

Dott. PICARONI Elisa - Consigliere -

Dott. GRASSO Giuseppe - rel. Consigliere -

Dott. SCARPA Antonio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9424-2013 proposto da:

COMUNE DI ATRIPALDA, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE CARSO 43, presso lo studio dell'avvocato CARLO GUGLIELMO IZZO, rappresentato e difeso dall'avvocato PAOLA VITAGLIANO;

- ricorrente -

contro

M.G.;

- intimato -

avverso la sentenza n. 3412/2012 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/01/2019 dal Consigliere Dott. GRASSO Giuseppe;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per accoglimento primi tre motivi, assorbito il IV;

udito l'Avvocato IZZO Carlo Guglielmo, con delega depositata in udienza dell'Avvocato Paola VITAGLIANO, difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. La Corte d'appello di Napoli, con la sentenza di cui in epigrafe, in riforma della sentenza del Tribunale di Avellino, accolta l'impugnazione di M.G., condannò il Comune di Atripalda al pagamento di Euro 15.000,00, quale corrispettivo per la custodia di veicoli abbandonati, rimossi dalla pubblica via.

La sentenza d'appello, andando di diverso avviso rispetto a quella di primo grado, aveva escluso che occorresse, a pena di nullità, una specifica previsione negoziale, nonostante la natura pubblica di uno dei due contraenti, facendo derivare l'obbligo di remunerare la custodia direttamente dalla legge.

Il Comune di Atripalda ricorre avverso la sentenza d'appello esponendo quattro motivi di censura, ulteriormente illustrati da memoria.

La controparte non ha svolto difese in questa sede.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 14, art. 394, D.P.R. n. 495 del 1992, nonchè del D.M. n. 460 del 1999, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.

Questo, in sintesi, il ragionamento impugnatorio, stigmatizzante l'erronea individuazione delle norme, che a parere della Corte locale imponevano liquidarsi il compenso, pur in assenza di convenzione scritta:

a) l'art. 14 C.d.S., disciplinante i doveri di manutenzione, gestione e pulizia delle strade, non era riferibile a qualunque tipo di rifiuto, specie in presenza della disposizione specifica (art. 159 del medesimo corpo normativo), contemplante, con il richiamo al D.P.R. n. 915 del 1982, art. 15, la rimozione e il blocco di veicoli abbandonati sul suolo pubblico;

b) non pertinente era da ritenere il richiamo del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 394, il quale disciplina l'ipotesi, affatto diversa, del sequestro del veicolo, effettuato ai sensi dell'art. 213 C.d.S., comma 2;

c) non pertinente il richiamo del D.M. n. 460 del 1999, art. 3, che pone a carico dell'ente proprietario della strada sulla quale il veicolo viene rinvenuto l'onere finanziario, poichè entrato in vigore in epoca successiva, risalendo le rimozioni al periodo 1993/1998;

d) in ogni caso, sulla scorta della esposta ricognizione normativa (art. 159 C.d.S., D.P.R. n. 915 del 1982, artt. 15 - 17, e, successivamente, D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 46) "l'espletamento dell'attività di raccolta e custodia dei veicoli abbandonati non compete a qualunque deposito giudiziario, anche se autorizzato dall'ACI o inserito nell'elenco prefettizio", necessitando della scelta dell'area da parte della regione di appartenenza, di licenza comunale e autorizzazione regionale all'esercizio.

1.1. La doglianza è infondata.

Dalla stessa rassegna normativa esposta dal ricorso si trae che l'obbligo per l'ente proprietario o concessionario della strada pubblica di far luogo alla rimozione dei veicoli abbandonati e alle attività successive e consequenziali deriva dalla legge.

Si è avuto modo di spiegare, in ordine al nodo giuridico centrale costituito dall'identificazione del titolo della responsabilità del predetto ente che "questa corte ha già affrontato e deciso in altra controversia, nella quale è stato affermato il principio che i proprietari od i concessionari di strade pubbliche hanno l'obbligo, previsto dall'art. 14 C.d.S. (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285) di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia d'esse, da ritenersi comprensivo della rimozione, custodia e se del caso demolizione sia dei veicoli lasciati in sosta d'intralcio, sia di quelli abbandonati, e di sostenere i relativi oneri e spese, salvo rivalsa nei confronti del proprietario del veicolo (Cass. 24 giugno 2008 n. 17178). Nella motivazione di quella sentenza è chiarito che nella predetta, ampia previsione di compiti rientra sicuramente, in primo luogo, la rimozione dalle strade dei veicoli che le ingombrano, e dunque la connessa custodia dei veicoli rimossi. Ma vi rientra anche lo smaltimento di quelli che tecnicamente vanno qualificati come "rifiuti" ("qualsiasi sostanza od oggetto... di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi", secondo la definizione datane al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 1, lett. a, che non a caso contiene anche - all'art. 46 - la norma primaria che prevede il regolamento più volte sopra richiamato), ossia dei veicoli abbandonati e non reclamati dai proprietari e quindi destinati alla demolizione (sempre che il comune non ritenga conveniente disporne la vendita), ai sensi del D.M. n. 460 del 1999, artt. 1 e 2 cit. (se, invece, il veicolo o rimorchio è reclamato dal proprietario, le spese di rimozione e custodia gravano ovviamente su quest'ultimo, come ribadisce anche l'art. 2, comma 3, D.M. n. cit.). Se tali compiti spettano all'ente proprietario o concessionario della strada, non v'è dubbio, in difetto di previsione contraria, che al medesimo ente spetti anche sostenere i relativi oneri economici (salvo, ovviamente, rivalsa nei confronti dei proprietari o responsabili dell'abbandono dei veicoli).

Non è, dunque, il regolamento ad attribuire all'ente concessionario della strada l'onere delle spese in questione: il regolamento non fa che esplicitare quanto già ricavabile dalla norma primaria" (Sez. 1, n. 11543, 19/5/2009).

2. Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 1350 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto, dovendosi escludere, in relazione a quanto esposto con il primo motivo, che l'obbligazione discendesse direttamente dalla legge, dovevasi convenire che la stessa derivava da una attività negoziale della P.A. in violazione della forma scritta ad substantiam prevista a pena di nullità.

2.1. La doglianza è fondata.

La circostanza che la fonte del dovere dell'ente gestore della pubblica strada scaturisce dalla legge non implica, a dispetto di quanto mostra di ritenere anche lo stesso il ricorrente, che l'attività negoziale, che l'adempimento di un tale dovere sollecita, sfugga alla regola formale imposta tassativamente all'attività negoziale della P.A. (R.D. n. 2440 del 1923, art. 17); regola, questa, reiteratamente riaffermata da questa Corte da vari decenni (cfr., ex multis, a partire dalla sentenza n. 12769/1991 delle S.U., e per restare alle ultime massimate, Sez. 1, n. 8539/2011; Sez. 6, n. 13886/2011; Sez. 3, n. 9975/2014; Sez. 1, n. 25631/2017).

Il rispetto della forma scritta ad substantiam, prevista a pena di nullità, pertanto, deve essere comunque assicurato: nel nostro ordinamento non c'è spazio per un facere della P.A. che non trovi fondamento in una fonte normativa, comunque regolante il settore; ciò, tuttavia, non libera l'azione pubblica dal dovere di rendere leggibile, e, pertanto, conoscibile dai consociati il percorso volitivo che conduce al negozio privato, la certezza delle clausole contrattuali e del corrispettivo pattuito e di manifestare la volontà negoziale in forme oggettive ed estrinseche.

3. Con il terzo motivo il ricorrente Comune allega l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo, con riferimento all'art. 116 c.p.c., e in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5.

Si assume, "solo in via del tutto subordinata, per la malaugurata ipotesi di reiezione dei superiori motivi di gravame", che la Corte d'appello aveva "erroneamente valutato le risultanze istruttorie emerse nel corso del giudizio", avendo posto a fondamento della propria decisione il convincimento che il M. fosse individuato quale custode "da un provvedimento del Prefetto, e che da tale provvedimento sorge nell'ente territoriale l'obbligo del pagamento delle spese", nel mentre di ciò non era stata acquisita prova alcuna, essendosi il M. limitato a produrre in giudizio i "decreti di individuazione custodi di veicoli sottoposti a sequestro o a fermo amministrativo" e, peraltro, in relazione ad anni diversi.

3.1. La censura, siccome anticipato dallo stesso ricorrente, è assorbita a cagione dell'accoglimento del secondo motivo.

4. Con il quarto ed ultimo motivo viene denunziato l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto, sul presupposto, ancor più subordinato, che gli altri argomenti dovessero essere rigettati, viene contestata la liquidazione, effettuata sulla scorta del tariffario dell'ACI, nel mentre, nel caso in cui i veicoli vengano conferiti ai centri di raccolta, sulla base della procedura legale (che nel caso non era stata attivata) compensi sono determinati con il decreto prefettizio; senza contare che i veicoli, già abbandonati, non erano stati affatto custoditi, ma accatastati malamente e disordinatamente.

4.1. Anche questo motivo resta assorbito dall'accoglimento del secondo.

5. Alla luce dell'esposto la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio. Il Giudice del rinvio regolerà le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

accoglie il secondo motivo, dichiara assorbiti il terzo e il quarto e rigetta il primo; cassa e rinvia alla Corte d'appello di Napoli, altra sezione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione Civile, il 30 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2019
Avv. Antonino Sugamele

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