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Sentenza

L'evento straordinario di cui agli artt. 182 e 304 cod.nav. - il cui verificarsi...
L'evento straordinario di cui agli artt. 182 e 304 cod.nav. - il cui verificarsi impone la redazione di apposita relazione da parte del comandante della nave e l'avvio della procedura di verificazione di cui all'art. 584 cod.nav. - non si identifica con i soli sinistri marittimi, ma comprende anche gli accidenti della navigazione, atteso che la funzione della relazione è quella di precostituire elementi probatori di fatti anomali, volontari o fortuiti, avvenuti durante la navigazione, integranti cause di esonero da responsabilità del comandante.
Sez. III, Sent. n. 17015 del 28-06-2018 (ud. del 15-11-2017), C. c. R. (rv. 649511-01)
Svolgimento del processo

1. C.S. ricorre per cassazione, sulla base di tredici motivi, avverso la sentenza n. 2024/14, pronunciata dalla Corte di Appello di Roma il 26 marzo 2014 nelle forme di cui all'art. 281-sexies c.p.c., che - rigettando il gravame da esso esperito contro la sentenza n. 1294/08, del 17 gennaio 2008, del Tribunale di Roma - ha respinto la sua domanda di risarcimento danni, avanzata nei confronti delle società Calabria di Navigazione S.r.l. (d'ora in poi, "Calabria") e Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. (d'ora in poi, "RFI"), relativamente al sinistro occorsogli a (OMISSIS), a bordo del rimorchiatore "(OMISSIS)", ove prestava servizio nella sua qualità di pilota di porto.

2. Riferisce, in punto di fatto, il C. di aver adito il Tribunale capitolino deducendo quanto segue, ovvero di essere stato violentemente colpito - nelle condizioni di tempo e di luogo sopra indicate, mentre pilotava la manovra di uscita dal porto messinese di due dragamine della Marina Militare, affiancati allo "(OMISSIS)" (armato dalla società Calabria), a propria volta trainato di poppa dal rimorchiatore "(OMISSIS)" - dal cavo di traino che collegava i due rimorchiatori. All'origine di tale movimento, che poneva il cavo dapprima in brusca tensione e poi in "bando", nonchè infine nuovamente in tensione, sarebbe stato il moto ondoso provocato dal passaggio del traghetto "(OMISSIS)" (armato dalla società RFI), presente anch'esso nelle acque portuali, sebbene - assumeva l'odierno ricorrente - in violazione dell'ordinanza con cui, in quello stesso 2 luglio 1999, la locale Capitaneria di Porto disponeva, a carico di tutte le navi in entrata ed uscita dal porto, di attendere a distanza di sicurezza, fuori delle acque portuali, l'uscita del convoglio trainato dal "(OMISSIS)".

Convenute in giudizio - con citazione notificata il 6 febbraio 2001 - le società Calabria e RFI, per conseguirne la condanna al ristoro dei danni subiti, il Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta dal C. nei loro confronti, compensando integralmente le spese di lite (ad eccezione di quelle per la CTU, poste a carico dell'attore).

Proposto gravame da esso C. contro la decisione de primo giudice, la Corte romana - nel rigettarlo - confermava la decisione impugnata, disponendo la compensazione delle spese di giudizio, salvo quelle della CTU, definitivamente poste a carico di parte attrice.

In particolare, il giudice d'appello, sul presupposto che i giornali di bordo dello "(OMISSIS)" e del "(OMISSIS)" non riferivano la circostanza del passaggio del "(OMISSIS)", ha ritenuto che siffatte risultanze potessero concorrere, unitamente agli altri elementi istruttori disponibili, alla formazione del giudizio, respingendo i motivi di appello tesi a negare l'efficacia probatoria dei giornali di bordo, per non essere stata effettuata la verificazione della relazione di evento straordinario ex art. 584 c.n., e ciò sul rilievo che tale procedimento si applichi ai soli "sinistri nautici", ai quali - secondo la Corte capitolina - non sarebbe stato riconducibile l'incidente occorso al C..

Tanto premesso, "valutate comparativamente le risultanze del giornale nautico dei due natanti" e quelle delle prove testimoniali raccolte (che confermavano, invece, la suddetta circostanza del passaggio del "(OMISSIS)"), il secondo giudice ha ritenuto che "il manifesto contrasto tra le une e le altre" dovesse "essere sciolto a favore delle prime", anche in ragione della inattendibilità dei testimoni escussi, trattandosi di soggetti "sospettabili" - a causa delle funzioni espletate (Comandante del "(OMISSIS)" ed allievi Piloti che collaborarono fattivamente alle operazioni condotte sullo "(OMISSIS)") - di aver "voluto sviare ogni sospetto di propria corresponsabilità nel sinistro". Di conseguenza, una "volta esclusa la serie causale prospettata dal C." come all'origine dei danni da esso patiti, la sentenza oggi impugnata ha ritento, "per esclusione", di l'attribuire l'eziologia dell'evento" alla "manovra sollecitata dallo stesso" attore/appellante, e cioè all'effettuazione di "un'evoluzione di 180 per riportare la prua dello (OMISSIS) in direzione del mare aperto", manovra che avrebbe "determinato in un primo tempo l'allentamento della tensione del cavo e quindi il repentino scoccare di esso, con il conseguente urto subito" dall'odierno ricorrente.

Esclusa, dunque, su tali basi la responsabilità della società RFI, il rigetto della domanda risarcitoria nei confronti dell'armatrice società Calabria veniva motivato sul seguente rilievo. Ovvero, che la responsabilità del sinistro fosse da ascrivere interamente al C., sia per avere sollecitato una manovra la quale avrebbe potuto provocare lo scoccare del cavo, sia per essersi andato a posizionare proprio laddove tale evento avrebbe potuto manifestarsi (come poi accadde), negando, così, la Corte romana la sussistenza delle condizioni per l'applicazione dell'art. 2087 c.c., norma che - a dire del già appellante ed odierno ricorrente - avrebbe imposto alla predetta società "di dotare lo (OMISSIS) di un passacavi attraverso il quale far scorrere il cavo in questione, sì da evitare che esso potesse brandeggiare e quindi scoccare". Difatti, secondo la Corte di Appello, quello intercorrente tra il pilota e l'armatore non sarebbe un rapporto di lavoro subordinato, bensì di prestazione d'opera, irrilevante essendo che egli, nel corso delle operazioni di pilotaggio, "venga a trovarsi temporaneamente inquadrato nell'equipaggio del natante" ove presta la propria attività.

3. Avverso la sentenza della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione il C., sulla base - come detto - di tredici motivi, tesi a mettere in discussione il rigetto della domanda risarcitoria, i primi nove, nei confronti della società RFI, i restanti quattro nei riguardi, invece, della società Calabria.

3.1. In particolare, presupposto comune ai primi quattro motivi è il rilievo secondo cui, anche a voler escludere - ciò che, peraltro, il ricorrente contesta, in particolare con i motivi di ricorso terzo e quarto - che quello occorsogli fosse un "sinistro marittimo", non potrebbe negarsi che esso abbia pur sempre costituito un "evento straordinario", per il quale gli artt. 182 e 304 c.n., prescrivono l'obbligo di denuncia/relazione, con conseguente, necessità che quest'ultima (ovvero la relazione) fosse sottoposta alla procedura di verificazione ex art. 584 c.n.. Infatti, solo una volta espletata la relazione - ai sensi di quanto previsto dall'ultimo comma dell'articolo appena richiamato - "i fatti da essa risultanti si hanno per accertati, salvo l'esperimento della prova contraria da parte di chi vi abbia interesse". Poichè, tuttavia, nella specie, siffatta procedura non ha avuto corso, le risultanze sia dei giornali nautici che della relazione di evento straordinario redatta dal comandante della "(OMISSIS)" sarebbero - secondo il ricorrente - prive di valore probatorio, di talchè esse non potrebbero essere apprezzate a preferenza delle risultanze delle prove testimoniali.

3.1.1. Ciò premesso, con il primo motivo si denuncia - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) - errore di diritto "in relazione agli artt. 182, 304 e 584 c.n.", e ciò "per avere la Corte di Appello attribuito efficacia probatoria prevalente ai giornali di bordo (recte: giornali nautici) dei R/RI "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" ed alla relazione di evento straordinario del Comandante dello "(OMISSIS)" in difetto di verificazione della relazione di evento straordinario".

Muovendo dall'assunto che "la relazione di evento straordinario e la sua verificazione hanno oggetto più ampio" rispetto "a quello dei cd. "sinistri marittimi" elencati nell'art. 589 c.n.", giacchè ai sensi degli artt. 182 e 304 c.n., rileva "ogni evento straordinario che sia occorso nel corso del viaggio", non solo alla nave o al carico, ma "anche alle persone che erano a bordo", il ricorrente ritiene che l'incidente di cui fu vittima debba essere ricompreso in tale nozione. Di conseguenza, poichè la relazione di evento straordinario redatta dal Comandante dello "(OMISSIS)" non risulta essere stata "verificata" attraverso l'apposito procedimento ex art. 584 c.n., la Corte di Appello "avrebbe dovuto concludere che non poteva essere tratto elemento di prova alcuno, neppure "indiziaria", dai giornali nautici dei rimorchiatori e dalla relazione" stessa. Errata, pertanto, sarebbe stata la decisione del secondo giudice di ritenere insussistente il passaggio del "(OMISSIS)", durante le manovre del convoglio e in violazione dell'ordinanza della Capitaneria di Porto di Messina, e il moto ondoso da esso provocato, sol perchè escluso dai documenti suddetti, riconoscendo ad essi efficacia probatoria prevalente rispetto alle testimonianze di segno contrario.

3.1.2. Il secondo motivo si pone come completamento del primo, atteso che la decisione di attribuire efficacia probatoria prevalente ai giornali nautici de quibus e alla relazione di evento straordinario, nuovamente in difetto di "verificazione", integrerebbe - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) - vizio di nullità della sentenza per violazione di "regole del processo".

3.1.3. Il terzo motivo - proposto, in via espressa, subordinatamente ai primi due - denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), errore di diritto "in relazione all'art. 589 c.n., comma 1, lett. b)", e ciò "per avere la Corte di Appello escluso che quello occorso al Com.te C. fosse un sinistro marittimo".

Ammesso, infatti, che voglia ritenersi corretta (ciò che il ricorrente nega) l'affermazione della Corte di Appello secondo cui il procedimento di verificazione della relazione di "evento straordinario" opererebbe solo per i sinistri marittimi, tale comunque dovrebbe ritenersi l'incidente oggetto di giudizio, alla stregua di quanto previsto dalla norma sopra richiamata. Difatti, l'art. 589 c.n., comma 1, lett. b), include tra i sinistri marittimi "i danni cagionati da navi nell'esecuzione delle operazioni di ancoraggio e di ormeggio e di qualsiasi altra manovra nei porti o in altri luoghi di sosta", atteso che, "a prescindere dalla causa che ha determinato il brandeggio del cavo", quello in esame è - secondo il ricorrente - un infortunio "cagionato da nave (il rimorchiatore "(OMISSIS)") nell'esecuzione di manovra nel porto di Messina".

La diversa conclusione raggiunta dalla sentenza impugnata, in spregio alla norma suddetta, oltre a risolversi in "apodittiche ed immotivate asserzioni", si fonda sul rilievo che, pur essendo stata fatta la denuncia di evento straordinario, l'Autorità Marittima non ha condotto alcuna inchiesta, circostanza che il ricorrente assume come del tutto irrilevante ai fini "dell'inquadramento giuridico della fattispecie", anche alla luce di quell'indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo cui "la mancanza dell'inchiesta amministrativa non può pregiudicare, ne direttamente ne indirettamente, i diritti delle parti in ordine al risarcimento dei danni conseguenti ad un sinistro marittimo" (è citata Cass. Sez. 3, sent. 6 luglio 1973, n. 1936, Rv. 365030-01), di talchè la Corte di Appello non avrebbe dovuto "adagiarsi sull'inerzia della Capitaneria".

3.1.4. Il quarto motivo si pone come completamento del terzo, atteso che la decisione di attribuire efficacia probatoria prevalente ai giornali nautici dei due rimorchiatori e alla relazione di evento straordinario del Comandante dello "(OMISSIS)", nuovamente in difetto di "verificazione" e nonostante "la ricorrenza di un sinistro marittimo", integrerebbe - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) - vizio di nullità della sentenza per violazione di "regole del processo".

3.1.5. Con il quinto motivo (proposto subordinatamente ai primi quattro) si denuncia - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), - errore di diritto "in relazione all'art. 178 c.n. e art. 2702 c.c.", e ciò "per avere la Corte di Appello attribuito efficacia probatoria ai giornali nautici del R/R "(OMISSIS)" e del R/R "(OMISSIS)" ed alla relazione di evento straordinario non solo quanto alla provenienza degli scritti, ma anche quanto al loro contenuto".

Secondo il ricorrente, infatti, anche ritenendo che alle scritture de quibus possa riconoscersi - pur in difetto di verificazione ex art. 584 c.n. - efficacia probatoria, la stessa dovrebbe circoscriversi "nei limiti dell'art. 2702 c.c., vale a dire unicamente quanto alla provenienza da chi le ha sottoscritte, senza estenderla al loro contenuto", come avrebbe fatto la Corte di Appello, sovvertendo la regola vigente "nel nostro diritto positivo" ed in forza della quale "le testimonianze raccolte sotto giuramento dall'Autorità Giudiziaria prevalgono sulle semplici dichiarazioni/annotazioni unilaterali fatte a tavolino, tanto più se da soggetti dichiaratamente interessati come i Comandanti nel momento in cui redigono il giornale nautico".

3.1.6. Anche il sesto motivo si pone come sviluppo di quello che lo precede, giacchè ipotizza nullità della sentenza - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) - "per avere la Corte di Appello attribuito efficacia probatoria ai giornali nautici del R/R "(OMISSIS)" e del R/R "(OMISSIS)" ed alla relazione di evento straordinario non solo quanto alla provenienza degli scritti, ma anche quanto al loro contenuto", violando pure in questo caso "regole del processo".

3.1.7. Il settimo motivo - proposto, pure esso, subordinatamente ai primi quattro - si articola in due censure.

Si denuncia, per un verso, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), un errore di diritto, "in relazione all'art. 2729 c.c.", per avere la sentenza impugnata "presunto un fatto "ignoto" (e cioè se il "(OMISSIS)" fosse passato o meno durante la manovra "de qua") senza ricercare elementi "gravi", "precisi" e "concordanti" da cui desumerlo". Per altro verso, si prospetta l'omesso esame - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) - del fatto decisivo per il giudizio costituito dal silenzio serbato, dai predetti documenti, oltre che sulla circostanza de qua (il passaggio del "(OMISSIS)"), anche su altre "pacifiche" e "assolutamente rilevanti".

Ed invero, la Corte ha ritenuto - secondo il ricorrente - di poter presumere il mancato passaggio del "(OMISSIS)" sul rilievo che esso, ove vi fosse stato, "sarebbe stato certamente annotato ad iniziativa dei Comandanti dei due rimorchiatori", omettendo, però, il giudice di appello di "ricercare" e, soprattutto "indicare quali sarebbero gli elementi gravi, precisi e concordanti" sui quali ha fondato siffatta presunzione.

Inoltre, la presa d'atto che i giornali nautici tacciano "due altri fatti pacifici ed assolutamente rilevanti" (ovvero, per un verso, l'ordine emesso dalla Capitaneria di Porto, a tutte le navi in entrata o in uscita dalle acque portuali, di attendere fuori di esse, a distanza di sicurezza, l'uscita del convoglio rimorchiato, nonchè, per altro verso, che il posto di Pilota sullo "(OMISSIS)" fu preso, in sostituzione dell'infortunato Com.te C., dall'allora Vice Capo Pilota Com.te D.D.) avrebbe dovuto essere esaminata dalla Corte capitolina per trarre la conclusione che il silenzio serbato dai giornali nautici, oltre che su tali fatti pure sul passaggio del "(OMISSIS)", rivelerebbe vieppiù "l'assoluta arbitrarietà" della presunzione operata.

3.1.8. Con l'ottavo motivo - proposto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) - si denuncia l'omesso esame del fatto decisivo costituito dall'avvenuta deposizione, non solo dei testi ( R., M. e N.) "sospettati di compiacenza" e per questo ritenuti inattendibili, ma pure di V.L., il quale ha pienamente confermato la circostanza del passaggio del "(OMISSIS)".

3.1.9. Il nono motivo denuncia, sempre ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'omesso esame del fatto, che si assume decisivo per il giudizio, rappresentato dall'acquisizione, in corso di causa, del brogliaccio delle comunicazioni radio intervenute con la Capitaneria di Porto di Messina, documento che - nel comprovare l'effettiva emissione dell'ordine a tutte le navi in entrata o in uscita dalle acque portuali, di attendere fuori di esse, a distanza di sicurezza, l'uscita del convoglio rimorchiato - confermerebbe l'attendibilità dei testi, che tale circostanza ebbero a riferire.

3.2. I motivi dal decimo al tredicesimo, come detto, sono volti a censurare l'esclusione della responsabilità della società Calabria.

Essi, pertanto, censurano - sotto diversi angoli visuali l'affermazione della Corte capitolina secondo cui "il sinistro si è verificato per responsabilità dello stesso C., per aver sollecitato una manovra la quale avrebbe potuto provocare lo scoccare del cavo ed essersi andato a posizionare proprio laddove tale evento avrebbe potuto manifestarsi", pervenendo a tale conclusione escludendo l'applicazione alla presente fattispecie all'art. 2087, anche in ragione della non appartenenza del pilota all'equipaggio della nave, e comunque affermando che "l'armatore non fosse tenuto, e non potesse materialmente predisporre strumenti di sicurezza per l'effettuazione di una manovra autonomamente indicata dal pilota".

3.2.1. In particolare, il decimo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), l'errore di diritto - in relazione all'art. 92 c.n., comma 1, art. 295 c.n., comma 1 e art. 298 c.n. - in cui sarebbe incorsa la Corte di Appello, nello statuire che la manovra in occasione della quale il Com.te C. rimase infortunato sarebbe stata "autonomamente indicata" dal medesimo.

Osserva, al riguardo, il ricorrente che il ruolo del Pilota, a bordo della nave, non è affatto quello di "determinare/dirigere la manovra, ma solo quello di fornire al Comandante della nave la propria consulenza quale esperto del luogo". Difatti, l'art. 92 c.n., comma 1, individua quali sue attribuzioni "suggerire la rotta" e "assistere il comandante", e non già quella di dirigere la manovra, mentre l'art. 295 c.n., comma 1 e art. 298 c.n., stabiliscono che al "comandante della nave, in modo esclusivo, spetta la direzione della manovra e della navigazione", e che lo stesso, "anche quando sia obbligato ad avvalersi del pilota, deve dirigere personalmente la manovra della nave all'entrata e all'uscita dei porti (...) e in ogni circostanza in cui la navigazione presenti particolari difficoltà".

3.2.2. Con l'undicesimo motivo si denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), errore di diritto - in relazione all'art. 297 c.n. - per avere la Corte di Appello ritenuto "che spettasse al Pilota premurarsi di verificare che la nave (il R/R "(OMISSIS)") fosse idonea a compiere la manovra di uscita dalle acque portuali" di Messina, giacchè ai sensi della norma testè richiamata è il Comandante che, prima della partenza, "deve di persona accertarsi che la nave sia idonea al viaggio da intraprendere".

3.2.3. Il dodicesimo motivo censura - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) - errore di diritto, in relazione all'art. 316 c.n., comma 2 e art. 321 c.n., per avere la Corte di Appello ritenuto "che il Pilota quando presta servizio a bordo farebbe parte dell'equipaggio solo in senso lato e non sarebbe comunque assoggettato al potere gerarchico direttivo del Comandante della nave".

Si evidenzia, infatti, che il pilota è un ausiliario del Comandante, il quale - ai sensi dell'art. 316 c.n., comma 1 - fa parte dell'equipaggio durante il periodo in cui presta servizio a bordo", risultando equiparato al Primo Ufficiale (ai sensi dell'art. 321 c.n.), essendo soggetto al potere gerarchico anche del direttore di macchina, del comandante in seconda e del capo commissario.

3.2.4. Infine, il tredicesimo motivo censura - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) - errore di diritto, in relazione all'art. 2087 c.c., per avere la Corte di Appello ritenuto che la società Calabria, nell'esercizio della propria attività imprenditoriale di armatore, "non sarebbe tenuta ad adottare le misure necessarie per l'effettuazione della manovra in sicurezza anche per il pilota".

In particolare, il ricorrente evidenzia che già con l'undicesimo motivo di appello - del quale riproduce adeguatamente il contenuto, in modo da soddisfare la condizione richiesta dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) - avesse dedotto come il cavo di rimorchio dallo "(OMISSIS)" al "(OMISSIS)" non fosse stato messo in sicurezza, "potendo liberamente ed incontrollatamente brandeggiare, muoversi, scoccare sulla poppa dello "(OMISSIS)"", soggiungendo che l'infortunio era occorso proprio "perchè il cavo, brandeggiando liberamente e incontrollatamente sulla poppa dello "(OMISSIS)", lo ha falciato".

Deduceva, inoltre, che - sebbene ciò non costituisse suo onere esso ricorrente (allora appellante) aveva indicato come "per mettere in sicurezza il cavo di rimorchio sarebbe stato necessario e sufficiente filarlo in un passacavi, di cui tutti i rimorchiatori sono costantemente equipaggiati, ma di cui lo "(OMISSIS)"" - in occasione del sinistro "era privo".

Alla stregua di tali premesse, il C. censura la sentenza impugnata laddove ha escluso la responsabilità della società Calabria "per la mancata messa in sicurezza del cavo di rimorchio".

In particolare, reputa che tale conclusione si ponga in contrasto con l'art. 2087 c.c., non senza richiamare, tuttavia, pure gli artt. 2043, 2050, 2051 e 2054 c.c..

Segnatamente, con riferimento alla prima delle norme citate, si evidenzia che l'esclusione della sua applicazione da parte del giudice di appello, sarebbe in contrasto con quanto ritenuto dalla "unanime dottrina marittimista", secondo cui il Pilota "è inserito nella gerarchia dell'organizzazione di bordo in una situazione analoga a quella connessa con il contratto di arruolamento", donde l'applicabilità dell'art. 2087 c.c..

In ogni caso, poi, anche a volere inquadrare il contratto di pilotaggio come locatio operis, l'applicazione della norma suddetta dovrebbe, comunque, essere affermata, rappresentando l'evento di danno occorso ad esso C. la concretizzazione di un "rischio elettivo", del quale la società Calabria risponderebbe anche nei confronti di soggetti diversi dai propri dipendenti.

4. Ha resistito, con controricorso, alla descritta impugnazione, la società Calabria, chiedendone la declaratoria di inammissibilità o comunque il rigetto.

Inammissibili, in particolare, sarebbero i motivi - individuati nel primo, secondo, terzo, quinto e settimo - che sollevano, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), questioni relative alla valutazione della prova; essi, infatti, si risolvono - in violazione dell'art. 360-bis c.p.c. - nell'affermazione secondo cui al giudice non sarebbe consentito di pervenire al proprio convincimento attraverso la scelta delle fonti indiziarie o di prova cui attingere, così da contravvenire al principio giurisprudenziale che nega, al di fuori delle prove legali, l'esistenza di una gerarchia tra le prove.

Quanto, specificamente, ai quattro motivi che involgono la (supposta) responsabilità della società Calabria, essa ne eccepisce l'inammissibilità, nella parte in cui tendono ad affermarne la natura extracontrattuale, trattandosi di domanda proposta per la prima volta in comparsa conclusionale, e dunque inammissibile, non risultando scrutinabile in appello (ai sensi dell'art. 346 c.p.c.), nè tantomeno in sede di legittimità.

5. Ha resistito, con controricorso, alla descritta impugnazione, anche la società RFI, chiedendone la declaratoria di inammissibilità anche in relazione al difetto di valida procura speciale ai difensori - o comunque il rigetto.

In relazione all'eccezione ex art. 365 c.p.c., essa rileva che nel caso della procura in esame "non figurano la data del relativo conferimento" nè "l'apposizione in margine del ricorso", risultando essa "redatta su foglio separato che neppure segue la numerazione progressiva dei fogli che lo costituiscono".

In ordine alle censure formulate ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nè eccepisce l'inammissibilità, considerato che quella di appello costituisce pronuncia del tipo "doppia conforme".

Quanto al merito, insiste nel sottolineare la correttezza della decisione impugnata, laddove ha ritenuto sottratta all'applicazione della procedura di verificazione la denuncia di eventi diversi dal sinistro marittimo, i cui presupposti - carenti nel caso di specie sarebbero costituiti dall'evento di danno o di pericolo che ha ripercussioni dirette sull'unità navale e che realizza una situazione di minaccia per la sicurezza della navigazione nel suo complesso.

6. Hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c., il C. e la società RFI, insistendo nelle proprie difese ed argomentazioni.
Motivi della decisione

7. Il ricorso deve essere accolto, sebbene nei limiti che saranno di seguito indicati.

8. In via preliminare deve, peraltro, respingersi l'eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di procura speciale, e ciò alla stregua del principio secondo cui la procura per il ricorso per cassazione "è validamente conferita, soddisfacendo il requisito di specialità di cui all'art. 365 c.p.c., anche se apposta su di un foglio separato, purchè materialmente unito al ricorso e benchè non contenente alcun riferimento alla sentenza impugnata o al giudizio da promuovere, in quanto, ai sensi dell'art. 83 c.p.c. (come novellato dalla L. 27 maggio 1997, n. 141), si può ritenere che l'apposizione topografica della procura sia idonea - salvo diverso tenore del suo testo - a fornire certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e a far presumere la riferibilità della procura medesima al giudizio cui l'atto accede; nè la mancanza di data produce nullità della predetta procura, dovendo essere apprezzata con riguardo al foglio che la contiene alla stregua di qualsiasi procura apposta in calce al ricorso, per cui la posteriorità del rilascio della procura rispetto alla sentenza impugnata si desume dall'intima connessione con il ricorso cui accede e nel quale la sentenza è menzionata, mentre l'anteriorità rispetto alla notifica risulta dal contenuto della copia notificata del ricorso" (Cass. Sez. 1, sent. 19 dicembre 2008, n. 29785, Rv. 606059-01).

Del pari è da respingere - come rilevato anche dal ricorrente nella propria memoria - pure l'eccezione di inammissibilità dei motivi proposti a norma dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), eccezione fondata sul rilievo dell'operatività dell'art. 348-ter c.p.c., u.c., essendo l'impugnazione proposta all'esito di una "doppia conforme" di rigetto.

L'applicazione della norma è da escludere, ratione temporis, essendo stato il giudizio di appello radicato ben prima dell'11 settembre 2012, risalendo l'atto di gravame al 15 ottobre 2008 (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 18 dicembre 2014, n. 26860, Rv. 633817-01).

9. Passando all'esame del ricorso, debbono scrutinarsi, in limine, i primi quattro motivi, dando, tuttavia, precedenza al tema implicato dal terzo motivo.

9.1. Invero, se risultasse confermata la tesi espressa dalla sentenza impugnata - tesi che il motivo suddetto tende a contrastare - circa l'applicabilità della procedura di verificazione ex art. 584 c.n., ai soli "sinistri marittimi", una volta escluso che l'incidente occorso al C. rientri in tale ambito (ciò che, del pari, il presente motivo si propone di confutare), diventerebbe superfluo interrogarsi sul valore probatorio che - in assenza della verificazione presenterebbero le annotazioni apposte sui giornali nautici dei due rimorchiatori, con riferimento al ridetto incidente.

9.1.1. Orbene, l'affermazione che limita l'operatività della procedura di verificazione ai soli sinistri marittimi non è corretta (imponendo l'applicazione dell'art. 384 c.p.c., u.c.), constatazione che si impone avuto riguardo, oltre che alla lettera dell'art. 584 c.n., anche a ragioni di natura sistematica.

9.1.2. Premesso, invero, che il codice della navigazione non fornisce una definizione, nè di evento straordinario, nè di sinistro marittimo, deve osservarsi che la prevalente dottrina - nel tentativo di dare una sistemazione concettuale alla materia - ha ricostruito quella intercorrente tra l'uno e l'altro come un rapporto di "genere a specie". In particolare, alcuni autori, richiamandosi all'elencazione non esaustiva dell'art. 589 c.n., distinguono tra sinistro tipico ed atipico, facendo rientrare in quelli tipici le fattispecie che godono di una denominazione specifica (quali naufragio, sommersione, urto, investimento contro opere fisse o fondo solido, incaglio, arenamento, incendio, esplosione) ed in quelli atipici quei sinistri che, privi di denominazione ad hoc, si concretizzano in un evento concernente la sfera nautica, che sia idoneo a mettere in pericolo la sicurezza della navigazione, e, dunque, l'incolumità pubblica.

Elementi costitutivi del sinistro marittimo sono, dunque, l'evento di danno o di pericolo che si ripercuote sull'unità navale, la situazione di minaccia per l'incolumità delle persone, dei beni e per la stessa sicurezza della navigazione nel suo complesso. Siffatti elementi permetterebbero, dunque, di distinguere il "sinistro" dal mero "accidente" della navigazione (di cui il primo rappresenta una species particolarmente qualificata), ovvero ogni evento anomalo e fortuito che, senza necessariamente puntualizzarsi sul mezzo nautico (o determinare una disfunzione operativa), abbia prodotto un danno economico.

Ad un livello ancora più elevato di astrazione si colloca, sempre secondo la prevalente dottrina, l'avvenimento straordinario in senso ampio, quale genus cui è possibile ricondurre sia l'accidente della navigazione come pure l'atto volontario, eventi che, ove non integrino gli estremi del sinistro, saranno comunque oggetto dei particolari procedimenti di cui agli artt. 182 e 304 c.n..

D'altra parte, la conclusione raggiunta - che reputa l'evento straordinario fenomeno più ampio del sinistro - è confortata anche da un argomento di tipo teleologico, tratto, cioè, dalla specifica funzione destinata ad essere assolta dalla relazione prevista dalla seconda delle due nome appena menzionate, funzione che è essenzialmente quella di precostituire elementi probatori di eventi di viaggio integranti cause di esonero della responsabilità del comandante della nave, potendo gli stessi identificarsi con qualsiasi fatto anomalo, volontario o fortuito, relativo al mezzo, al carico, o alle persone a bordo che si sia verificato durante la navigazione.

9.1.3. Ciò premesso, deve, tuttavia, rilevarsi come l'erroneità dell'affermazione compiuta dalla Corte capitolina, laddove pretende di identificare nei soli sinistri marittimi gli eventi straordinari rilevanti ai fini ed agli effetti previsti dall'art. 584 c.n., non giovi, comunque, all'odierno ricorrente, attesa la correttezza dell'ulteriore ratio decidendi che sorregge la sentenza impugnata.

Essa, infatti, ha ritenuto che le risultanze delle annotazioni presenti sui giornali nautici dei due rimorchiatori fossero, comunque, dotate di efficacia probatoria (valutandole, poi, prevalenti S.U. quelle emerse dalle testimonianze raccolte in giudizio), ancorchè siffatti documenti non fossero stati oggetto del procedimento di verificazione.

9.2. Ad infirmare tale passaggio motivazionale tendono - come detto - i motivi primo, secondo, terzo e quarto, che sono, tuttavia, infondati.

9.2.1. Giova, sul punto, premettere che l'esito del procedimento di verificazione non è quello di conferire tout court efficacia probatoria alla relazione di eventi straordinari o alle annotazioni dei giornali nautici, bensì quellà di determinare una "presunzione di verità" (ovviamente, iuris tantum) dei fatti in essa attestati. Invero, come ha chiarito questa Corte "l'art. 584 c.n., condiziona la efficacia probatoria, fino a prova contraria, della relazione del capitano, al particolare che la stessa sia confermata alle testimonianze o da prove raccolte" nel corso del procedimento da tale norma previsto (così già Cass. Sez. 1, sent. 22 maggio. 1959, n. 1563).

Si tratta di principio successivamente ribadito da questa Corte (ma, in senso contrario, si veda Cass. Sez. 1, sent. 15 giugno 1964, n. 1523), con l'ulteriore precisazione che le annotazioni dei giornali nautici "conservano integra la loro efficacia probatoria nella istruttoria che si svolge in sede giudiziale, anche nel caso in cui non abbia avuto luogo la indagine stragiudiziale diretta a confermare o meno la relazione del capitano" (Cass. Sez. 1, 22 luglio 1965, n. 1714, Rv. 313244-01; nonchè, più di recente, Cass. Sez. 1, sent. 1 ottobre 2014, n. 20724, Rv. 632892-01).

Si è, poi, pure puntualizzato che, "in conseguenza del noto carattere complesso (pubblicistico o privatistico) della figura giuridica del comandante, il valore di atto pubblico, in conformità dell'art. 2699 c.c., è limitato a quanto annotato dal capitano nell'adempimento delle funzioni pubbliche di cui egli è investito ai sensi dell'art. 296 c.n. (redazione di atti di stato civile ecc.)", al contrario sussistendo "la efficacia di scrittura privata (art. 2702 c.c.) per le annotazioni relative alla condotta della nave e agli eventi del viaggio"; in questo secondo caso, pertanto, "l'efficacia propria del giornale nautico è limitata alle attestazioni fattevi dal capitano, ma non vincola il giudice sulla valutazione dei fatti attestati" (Cass. Sez. 1, sent. 7 febbraio 1962, n. 244, in motivazione nonchè, più di recente, Cass. Sez. Lav., sent. 26 luglio 2013, n. 18163, Rv. 627289-01), operando tale documento - come è stato notato in dottrina - quale "prova semplice, sottoposta cioè al vaglio del libero apprezzamento del giudice ex art. 116 c.p.c. ".

Infine, la "particolare efficacia probatoria (ai sensi dell'art. 178 c.n.) delle annotazioni sul giornale nautico" è stata, inoltre, intesa nel senso che esse "si sottraggono, da un lato, alle limitazioni, previste (dall'art. 2710 c.c.) per le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione (v. relazione ministeriale al codice della navigazione, n. 111), e, dall'altro, "fanno prova", tra l'altro, dei fatti inerenti - anche soltanto in via indiretta (...) - alla navigazione" e non esclusivamente "all'esercizio nautico" (Cass. Sez. Lav., sent. 23 aprile 1992, n. 5070, in motivazione, nonchè, anteriormente, Cass. Sez. 1, sent. 22 luglio 1965, n. 1714, Rv. 313244-01).

9.2.2. Orbene, a questi principi - ai quali va data continuità, a dispetto di taluni, isolati e risalenti, precedenti di segno opposto (oltre alla già citata Cass. Sez. 1, sent. 15 giugno 1964, n. 1523 va ricordata anche Cass. Sez. 1, sent. 22 luglio 1976, n. 2899, Rv. 381658-01, secondo cui all'annotazione, sul giornale nautico, degli eventi normali della navigazione va riconosciuta l'efficacia probatoria di cui all'art. 178 c.n., a prescindere dall'effettuazione delle denunce e verifiche di cui agli artt. 182, 304 e 584 c.n., solo quando detta annotazione abbia ad oggetto eventi ordinari) - si è attenuta la Corte di Appello di Roma nel valutare le risultanze dei giornali nautici tenuti dello "(OMISSIS)" e del "(OMISSIS)", ciò che esclude la fondatezza dei suddetti motivi di ricorso.

9.3. Anche i motivi quinto, sesto e settimo sono infondati.

9.3.1. Essi, in vario modo, tendono a contestare la scelta della Corte romana - dopo aver posto a confronto le risultanze dei giornali nautici con quelle delle deposizioni testimoniali - di dare prevalenza alle prime, ciò che ha costituito, diversamente da quanto ritiene il ricorrente, il risultato non del riconoscimento di una loro "intrinseca" maggiore efficacia probatoria, bensì del prudente apprezzamento del materiale istruttorio.

Orbene, si tratta di una scelta da ritenersi esente da mende, anche sulla scorta del principio secondo cui "l'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata" (così, ex multis, Cass. Sez. 1, sent. 2 agosto 2016, n. 16056, Rv. 641328-01).

9.4. Pure i motivi ottavo e nono sono infondati.

9.4.1. Entrambi denunciano asserite "omissioni" in cui sarebbe incorsa la Corte di Appello nel valutare il materiale probatorio, evocando il vizio di cui al nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), contravvenendo, perciò, al principio secondo cui "laddove non si contesti la inesistenza del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale, il vizio di motivazione può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un "fatto storico" controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia "decisivo" ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio - ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi" (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, in motivazione).

10. Il ricorso, invece, merita accoglimento nella parte in cui mira alla cassazione della sentenza impugnata laddove ha escluso la responsabilità della società Calabria, risultando, in partcolare, fondato il tredicesimo motivo di impugnazione.

10.1. Si è visto come il motivo - al pari degli altri t:re che immediatamente lo precedono - censuri la decisione della Corte romana laddove afferma che "il sinistro si è verificato per responsabilità dello stesso C., per aver sollecitato una manovra la quale avrebbe potuto provocare lo scoccare del cavo ed essersi andato a posizionare proprio laddove tale evento avrebbe potuto manifestarsi", in particolare assumendo il giudice di appello che "l'armatore non fosse tenuto, e non potesse materialmente predisporre strumenti di sicurezza per l'effettuazione di una manovra autonomamente indicata dal pilota".

Orbene, sul rilievo di aver già dedotto in appello - ma la circostanza deve ritenersi non contestata tra le parti, anzi inconfutabilmente accertata all'esito delle fasi di merito del presente giudizio - che il cavo di rimorchio dallo "(OMISSIS)" al "(OMISSIS)" non fosse stato messo in sicurezza, "potendo liberamente ed incontrollatamente brandeggiare, muoversi, scoccare sulla poppa dello "(OMISSIS)", il C. ha, altresì, riferito (sempre nell'illustrazione del tredicesimo motivo di ricorso) che "per mettere in sicurezza il cavo di rimorchio sarebbe stato necessario e sufficiente filarlo in un passacavi, di cui tutti i rimorchiatori sono costantemente equipaggiati, ma di cui lo "(OMISSIS)"" - in occasione del sinistro "era privo".

A fronte di queste deduzioni la Corte capitolina ha, invece, ritenuto che, una volta negato "che le lesioni patite dal C. siano state determinate dal moto ondoso prodotto dal sopraggiungere del (OMISSIS)", e dunque "esclusa la serie causale prospettata" dal medesimo danneggiato, "non resta, per esclusione, che attribuire l'eziologia dell'evento" - come era già stato fatto dal giudice di prime cure - "alla manovra sollecitata dallo stesso C.". Costui, infatti, suggeriva "una manovra di 180 per riportare la prua dello (OMISSIS) in direzione del mare aperto", così determinando "in un primo tempo l'allentamento della tensione del cavo e quindi il repentino scoccare di esso", con la conseguenza - dal punto di vista giuridico - che "la responsabilità dell'occorso ricade sullo stesso danneggiato per essersi andato a collocare nel punto in cui il cavo avrebbe potuto scoccare".

Nel censurare tale affermazione, il ricorrente ipotizza - con il motivo qui in esame - che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto in debito conto che la società armatrice, a norma dell'art. 2087 c.c., avrebbe dovuto mettere in sicurezza il cavo, evenienza ad assicurare la quale "sarebbe stato necessario e sufficiente filarlo in un passacavi".

10.1.1. Ritiene questa Corte che la censura sia fondata, sebbene la stessa vada ricondotta ad una violazione dell'art. 2043 e non del successivo art. 2087 c.c., norma, la seconda, non applicabile in relazione alla presente fattispecie, atteso che l'attività di pilotaggio "esula dall'ambito del lavoro subordinato in quanto le prestazioni del pilota sono effettuate autonomamente in favore del comandante della nave da pilotare, i piloti si avvalgono di mezzi in comproprietà degli associati, il loro compenso è condizionato al saldo attivo detratte le spese di gestione (con correlata partecipazione al rischio d'impresa)" (cfr. Cass. Sez. Lav., 7 luglio 2014, n. 15451, Rv. 631774; in senso analogo Cass. Sez. Un., sent. 16 dicembre 1986, Rv. 449563-01).

10.1.2. Ciò nondimeno, come detto, è ipotizzabile - nella specie la ricorrenza del vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in relazione all'art. 2043 c.c..

10.1.3. Invero, non osta all'applicazione della norma de qua la circostanza che la stessa non sia richiamata nel motivo, e ciò alla stregua del consolidato principio secondo cui, "nell'esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di cassazione può ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte e individuata d'ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioè che sia necessario l'esperimento di ulteriori indagini di fatto, fermo restando, peraltro, che l'esercizio del potere di qualificazione non deve inoltre confliggere con il principio del monopolio della parte nell'esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto, con la conseguenza che resta escluso che la Corte possa rilevare l'efficacia giuridica di un fatto se ciò comporta la modifica della domanda per come definita nelle fasi di merito o l'integrazione di una eccezione in senso stretto" (così Cass. Sez. 3, sent. 22 marzo 2007, n. 6935, Rv. 597297-01; in senso analogo Cass. Sez. 6-3, ord. 17 maggio 2011, n. 10841, Rv. 617225-01; Cass. Sez. 6-3, sent. 14 febbraio 2014, n. 3437, Rv. 629913-01; Cass. Sez. 3, ord. 26 luglio 2017, n. 18775, Rv. 645168-01).

Che nel presente caso, poi, la domanda attorea non possa dirsi modificata è quanto emerge - prima ancora che dal ricorso del C., ove si precisa che la pretesa risarcitoria nei confronti della società Calabria era stata azionata ab ovo anche per titolo aquiliano (in tal senso si vedano pure i rilievi a pag. 33 della memoria ex art. 378 c.p.c., depositata dal ricorrente) - dalla stessa sentenza impugnata, la quale, sulla base delle considerazioni sopra riassunte, ha concluso che la domanda di risarcimento dovesse essere "respinta sia con riguardo al titolo extracontrattuale che a quello contrattuale".

10.1.4. Infine, che ricorra - nel caso che qui occupa - una violazione dell'art. 2043 c.c., è conclusione che si impone sulla scorta dei seguenti rilievi.

10.1.5. Occorre, al riguardo, muovere dalla constatazione che - in tema di responsabilità aquiliana - "il nesso di causalità indica la derivazione di un evento dannoso da una condotta dolosa o (come nella specie) colposa in quanto il primo non si sarebbe verificato in assenza di quest'ultima" (cfr., in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 6 ottobre 2016, n. 19993, nonchè, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, sent. 22 febbraio 2016, n. 3428; Cass. Sez. 3, sent., 6 maggio 2015, n. 9008), escludendo, nel contempo, che il contegno del danneggiato non "connotato da carattere di eccezionalità ed imprevedibilità", possa configurarsi come causa "interruttiva del nesso di causalità (così, nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 19993 del 2016, cit.).

Si tratta di affermazioni che rispondono ad un indirizzo consolidato di questa Corte, secondo cui "il giudice di merito, per stabilire se sussista il nesso di causalità materiale - richiesto dall'art. 2043 c.c., in tema di responsabilità extracontrattuale - tra un'azione o un'omissione ed un evento deve applicare il principio della "conditio sine qua non", temperato da quello della regolarità causale, sottesi agli artt. 40 e 41 c.p.", sicchè, "alla stregua di ciò, se la condotta della vittima si inserisce in una serie causale avviata da altri, concorrendo alla produzione dell'evento dannoso, il suo apporto non vale ad interrompere quella serie in quanto non è possibile distinguere fra cause mediate o immediate, dirette o indirette, precedenti o successive e si deve riconoscere a tutte la medesima efficacia"; l'interruzione, invece, verificandosi "se la condotta della vittima, pur inserendosi nella serie causale già intrapresa, ponga in essere un'altra serie causale eccezionale ed atipica rispetto alla prima, idonea da sola a produrre l'evento dannoso, che sul piano giuridico assorbe ogni diversa serie causale e la riduce al ruolo di semplice occasione" (Cass. Sez. 3, sent. 6 aprile 2006, n. 8096, Rv. 588863-01; in senso analogo, Cass. Sez. 3, sent. 22 ottobre 2013, n. 23915, Rv. 629115-01).

Orbene, a questi principi non si è attenuta la Corte capitolina, laddove, una volta negato "che le lesioni patite dal C. siano state determinate dal moto ondoso prodotto dal sopraggiungere del (OMISSIS)", ha ritenuto "per esclusione" - con affermazione apodittica e giuridicamente errata - non restare altro "che attribuire l'eziologia dell'evento" alla condotta del C., per aver sollecitato la manovra di rotazione a 180^ dello "(OMISSIS)" e, soprattutto, per essersi posizionato, nel corso della sua effettuazione, "nel punto in cui il cavo avrebbe potuto scoccare". In questo modo, tuttavia, il giudice di seconde cure non solo non si è interrogato sul carattere di eccezionalità e imprevedibilità della condotta del danneggiato, ma ha, per così dire, "sterilizzato" il rilievo che, all'interno della serie causale in cui essa si è inserita, aveva assunto - come dedotto nel giudizio di merito dall'odierno ricorrente e riproposto con il tredicesimo motivo dell'odierna impugnazione - la circostanza della mancata messa in sicurezza del cavo stesso (eventualmente anche attraverso l'uso di un passacavi). Una circostanza, questa, alla quale la Corte capitolina non ha prestato rilievo, rivolgendo la propria attenzione esclusivamente all'antecedente prossimo dell'evento dannoso (il posizionamento del C. innanzi al cavo), senza però qualificarlo come imprevedibile ed eccezionale, disinteressandosi di quello a monte, ovvero il libero brandeggio del cavo, affermando, addirittura, come l'armatore "non potesse materialmente predisporre strumenti di sicurezza per l'effettuazione di una manovra autonomamente indicata dal pilota", e ciò a fronte della deduzione per cui sarebbe stato possibile "bloccare" il cavo, filandolo in un passacavi.

10.1.6. Il motivo va, dunque, accolto (con assorbimento del decimo, undicesimo e dodicesimo), con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, affinchè decida, nel merito, in ordine alla responsabilil:à della società Calabria nella causazione del sinistro, attenendosi ai principi testè rammentati in tema di applicazione dell'art. 2043 c.c. e, segnatamente, di accertamento del nesso causale.

11. Quanto, infine, alle spese del presente giudizio, il definitivo rigetto della domanda risarcitoria del C. nei confronti della società RFI (conseguente, come visto, al rigetto dei primi nove motivi di ricorso) comporta la necessità di riconoscere le stesse in favore della predetta società, come da liquidazione effettuata in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso limitatamente al tredicesimo motivo, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio, quanto al rapporto processuale tra C.S. e la società Calabria di Navigazione S.r.l., condannando, invece, Salvatore C. a rifondere alla società Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 10.000,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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