La fotocopia di una email diffamatoria, nel processo civile, se non disconosciuta tempestivamente ha valore di prova.
ORDINANZA
sul ricorso 22257-2017 proposto da:
L.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
MONTE SANTO, 16, presso lo studio dell'avvocato TOMMASO
FONTE, rappresentato e difeso dall'avvocato MASSIMILIANO
BIANCHI;
- ricorrente -
contro
T.S., C.B.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 355/2017 della CORTE D'APPELLO di
CATANZARO, depositata il 03/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
non partecipata del 27/09/2018 dal Consigliere Dott. LINA
RUBINO.
Rilevato che:
1.L.F. ha proposto ricorso per cassazione contro
S.I. e B. C. , avverso la sentenza n. 355 del
2017, depositata dalla Corte d'Appello di Catanzaro il
3.3..2017.
2. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa
sede.
3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi
dell'art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal d.l. n. 168 del
2016, convertito, con modificazioni, dalla I. n. n. 197 del 2016,
è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione
del ricorso con declaratoria di manifesta infondatezza dello
stesso.
4.11 decreto di fissazione dell'adunanza camerale e la proposta
sono stati comunicati all'avvocato della ricorrente.
4. Non sono state depositate memorie.
Considerato che:
1. Il Collegio condivide le conclusioni cui è pervenuto il relatore
nel senso della manifesta infondatezza del ricorso.
2. La domanda di risarcimento danni per diffamazione a mezzo
mail, proposta da S.I. e B.C. nei confronti
dell'odierno ricorrente, veniva accolta in primo grado, con
pronuncia confermata in appello, risultando accertato che le
mail diffamatorie fossero state inviate dall'indirizzo di posta
elettronica del L..
3. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la
violazione degli artt. 2697 e 2712 c.c. nonché l'omessa
valutazione su un fatto decisivo della controversia perché il
giudice d'appello ha ritenuto non tempestivamente formulata
l'eccezione di disconoscimento delle fotocopie avversariamente
prodotte, come riproduttive delle mail da lui inviate.
Il L. afferma di aver contestato da subito paternità e
contenuto delle mail e che sia illogica l'affermazione della corte
d'appello secondo la quale, avendo egli contestato l'alterabilità
dei testi word, avrebbe dovuto portare i testi delle mail
effettivamente partite dal suo computer.
Anche con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione
dei medesimi articoli di legge, riproponendo la questione
relativa alla ritenuta necessità di un disconoscimento formale
delle fotocopie per poterle espungere dal processo, ed in più
denuncia l'omessa valutazione sul punto del ricevimento delle
mail da parte di una pluralità di destinatari.
I due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto
connessi, e devono essere rigettati in quanto infondati.
La giurisprudenza di legittimità, al fine del disconoscimento
della conformità agli originali delle fotocopie prodotte in
giudizio, richiede la tempestività del disconoscimento e che lo
stesso, sebbene non debba essere espresso in formule
sacramentali, debba essere chiaro, circostanziato ed esplicito
(v. Cass. n. 2374 del 2014: "l'art. 2719 cod. civ., che esige
l'espresso disconoscimento della conformità con l'originale delle
copie fotografiche o fotostatiche, è applicabile tanto alla ipotesi
di disconoscimento della conformità della copia al suo originale,
quanto a quella di disconoscimento della autenticità di scrittura
o di sottoscrizione, e, nel silenzio normativo sui modi e termini
in cui deve procedersi, entrambe le ipotesi sono disciplinate
dagli artt. 214 e 215 cod. proc. civ., con la conseguenza che la
copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto
nella sua conformità all'originale quanto nella scrittura e
sottoscrizione, se non venga disconosciuta in modo formale e
inequivoco alla prima udienza, o nella prima risposta
successiva alla sua produzione".)
La decisione impugnata ha ritenuto che mancasse un formale e
tempestivo disconoscimento delle mail inviate, e comunque ha
affermato che l'eventuale disconoscimento delle riproduzioni
informatiche non sarebbe idoneo ad inficiare del tutto la
portata probatoria di tali riproduzioni, ma le avrebbe degradate
a livello di presunzioni semplici.
Così facendo, la sentenza di merito non si è distaccata dalla
interpretazione di legittimità in ordine alla circoscritta valenza
probatoria del messaggio di posta elettronica privo di
certificazione volta ad attestarne la provenienza dall'autore,
che come tale è liberamente valutabile dal giudice (v. Cass. n.
5523 del 2018, secondo la quale in tema di efficacia probatoria
dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (cd.
e-mail) privo di firma elettronica non ha l'efficacia della
scrittura privata prevista dall'art. 2702 c.c. quanto alla
riferibilità al suo autore apparente, attribuita dall'art. 21 del
d.lgs. n. 82 del 2005 solo al documento informatico sottoscritto
con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, sicché
esso è liberamente valutabile dal giudice, ai sensi dell'art. 20
del medesimo decreto, in ordine all'idoneità a soddisfare il
requisito della forma scritta, in relazione alle sue caratteristiche
oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità).
La decisione della corte d'appello ha affermato la responsabilità
del ricorrente attraverso una valutazione non solo del testo
delle mail ma di tutto il materiale probatorio: ha tenuto in
conto la facile alterabilità del testo dei documenti estratti da
computer, ma ha ritenuto provato, anche a mezzo delle prove
testimoniali, che le comunicazioni diffamatorie effettivamente
provenissero dal computer del Lopez, in quanto
effettivamente spedite dal ricorrente, o comunque riconducibili
alla sua sfera di controllo.
Risultano pertanto inconferenti le censure del ricorrente,
laddove denuncia che la corte d'appello non abbia tenuto in
alcun conto la manipolabilità dei testi delle mail e la loro
alterabilità, e che essa abbia mal valutato le prove: si tratta di
considerazioni tutte inammissibili in questa sede, perché
relative al giudizio in fatto formulato dalla Corte d'appello.
Anche le contestazioni relative alla prova dell'attingimento di
più destinatari con le mail denigratorie cozzano contro
l'accertamento in fatto contenuto nella sentenza impugnata.
Quanto alla idoneità delle comunicazioni diffamatorie inviate a
più di un destinatario a mezzo mail ad integrare l'ipotesi della
diffamazione, a ciò non osta la non contestualità della
comunicazione, atteso che l'idoneità a gettare discredito sulle
persone menzionate è insita nella idoneità del mezzo prescelto
ad una ampia diffusività e prescinde dalla contestualità della
ricezione del messaggio denigratorio: v. Cass. n. 18919 del
2016 "la missiva a contenuto diffamatorio diretta a una
pluralità di destinatari, oltre l'offeso, non integra il reato di
ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, bensì quello
di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento
delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione
della stessa. (Fattispecie, in cui la missiva offensiva era
indirizzata impersonalmente anche "all'amministratore del
condominio" nella quale la S.C. ha escluso la configurabilità del
reato di ingiuria in quanto l'imputato non poteva essere certo
che il legale rappresentante del condominio si identificasse
ancora con la persona che stava offendendo),In particolare,
sulla idoneità delle comunicazioni a mezzo mail ad integrare
l'ipotesi di diffamazione aggravata si è espressa la
giurisprudenza penale di legittimità: v. Cass. n. 44980 del
2012 "L'invio di e- mail a contenuto diffamatorio, realizzato
tramite l'utilizzo di internet, integra un'ipotesi di diffamazione
aggravata e l'eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia
anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non
consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di
ingiuria.
Complessivamente, il ricorso deve essere rigettato.
Nulla sulle spese, in difetto di attività difensiva da parte degli
intimati.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore
al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente,
pertanto è gravata dall'obbligo di versare un ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso
principale, a norma del comma 1 bis dell' art. 13, comma 1
quater del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il
27 settembre 2018
Il Presidente
08-02-2019 16:09
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