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Sentenza

Trapani. L'attore conviene in giudizio due avvocati al fine di ottenere il risar...
Trapani. L'attore conviene in giudizio due avvocati al fine di ottenere il risarcimento dei danni cagionati dall'asserito inadempimento al mandato professionale dallo stesso conferito ai convenuti per proporre appello avverso la sentenza resa dal Tribunale di Trapani.
Tribunale Trapani, Sent., 28-08-2019


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di TRAPANI

Sezione civile

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Daniela Galazzi

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 851/2016 promossa da:

M.A. rappresentato e difeso dall'avv. GAETANO LA ROCCA ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Alcamo, via Tasso 26 giusta procura in atti

Parte attrice

Contro

D.L.M. ed A.R. rappresentati e difesi dall'avv. MASSIMILIANO MARINELLI e dall'avv. ROBERTO NATOLI ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell'avv. Vincenzo De Mela sito in Trapani, via Passo Enea n. 92 giusta procura in atti

Parte convenuta

e

G.I. S.P.A. GIA' A.G. S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. ROBERTA VIERO ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Venezia Mestre, Riviera Magellano 5, giusta procura alle liti n. (...) rep. e n. (...) racc. Notaio in T. G.B.D. del (...)

terzo chiamato

e

G.R. rappresentato e difeso da sé stesso ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in A. via T. M. M.,19

Terzo chiamato
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

A.M. ha convenuto in giudizio l'avv. L.M.D. i e l'avv. R.A. al fine di ottenere il risarcimento dei danni cagionati dall'asserito inadempimento al mandato professionale dallo stesso conferito ai convenuti per proporre appello avverso la sentenza resa dal Tribunale di Trapani nr. 392/2013 (giudizio nel corso del quale era stato assistito dall'avv. G.R.), con la quale erano state rigettate le domande spiegate nei confronti di A. s.p.a. (dirette ad ottenere il riconoscimento del proprio diritto al mutamento di mansioni e, quindi, all'assegnazione di compiti compatibili con il proprio stato di salute; il riconoscimento della responsabilità di A. s.p.a. nell'aggravamento delle proprie condizioni fisiche; la condanna di A. al risarcimento dei danni subiti, quantificati in Euro 500.000,00 oltre al pagamento delle spese di giudizio).

Il M. ha dedotto che, avendo gli avvocati D. ed A. depositato tardivamente il ricorso in appello, quest'ultimo era stato dichiarato inammissibile con la sentenza nr. 839/2015 resa in data 18/30.6.2015, con la quale l'appellante era stato anche condannato al pagamento delle spese di giudizio.

Nel costituirsi in giudizio, gli avvocati D. e A. hanno contestato le avverse deduzioni rappresentando di avere predisposto il ricorso, depositato alla Corte di Appello il 13.9.2013, sul presupposto, loro riferito dall'avv. R. precedente difensore del M., che la notifica della sentenza era intervenuta in data 16.8.2013 (più precisamente: immissione ni cassetta dell'avviso di deposito il 10.8.2013 e ritiro del plico il 16.8.2013): soltanto con la costituzione delle controparti avanti la Corte di Appello, i convenuti avevano appreso che, in realtà, l'avviso in cassetta era stato immesso il 26.7.2013 e la notifica si era perfezionata per compiuta giacenza il 5.8.2013.

Hanno inoltre rappresentato che la linea difensiva spiegata nel corso del primo grado del giudizio aveva comunque pregiudicato il buon esito anche della seconda fase del giudizio: in particolare, il M. aveva rinunciato alla domanda di mutamento di mansioni ed il suo difensore in primo grado non aveva articolato alcuna attività né difensiva né istruttoria per replicare alla domanda riconvenzionale di risoluzione del rapporto per impossibilità della prestazione e per comprovare l'esistenza di un'altra mansione cui il M. avrebbe potuto essere adibito. I convenuti hanno allegato di avere fatto presente al M. la difficoltà di introdurre nuovi argomenti ed elementi di prova nel giudizio di secondo grado e di avere accettato la difesa per insistenza del M. stesso. Nel corso del giudizio di secondo grado, A. aveva eccepito, oltre alla tardività dell'appello, la sua inammissibilità ai sensi dell'art. 437, comma 2, c.p.c. in relazione ai motivi nuovi contenuti nel ricorso sui quali l'appellato non aveva potuto difendersi in primo grado e il giudice di primo grado non aveva potuto esprimere alcuna valutazione.

Si sono costituiti in giudizio anche i terzi chiamati, l'avv. G.R., che ha negato ogni responsabilità nell'occorso, allegando di avere consegnato ai convenuti in tempo utile per presentare tempestivo appello la sentenza notificata e la busta dalla quale si evinceva che il termine di notifica si era maturato il 5.8.2013, nonché G.I. s.p.a. che ha contestato la avversa domanda risarcitoria sostanzialmente richiamando le difese già svolte dai convenuti D. ed A., ed ha invocato l'applicazione delle clausole contrattuali relative alla franchigia ed al massimale risarcitorio.

Tanto premesso, in punto di diritto va evidenziato che "la responsabilità professionale dell'avvocato configura un'obbligazione di mezzi e non di risultato e quindi presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, c.c., da commisurare alla natura dell'attività esercitata" (Cass. civ. n. 16690/2014). Peraltro, "il cliente che sostiene di aver subito un danno, per l'inesatto adempimento del mandato professionale del suo avvocato, ha l'onere di provare: a) la difettosa o inadeguata prestazione professionale; b) l'esistenza del danno; c) il nesso di causalità tra la difettosa o inadeguata prestazione professionale e il danno" (Cass. civ. n. 9238/2007). E invero, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, "la responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone" (Cass. civ. n. 1984/2016; così anche Cass. civ. n. 17016/2015, n. 16690/2014 e n. 2638/2013).

In relazione alla specifica ipotesi di comportamento omissivo dell'avvocato che abbia fatto perdere il diritto ad impugnare una sentenza, la Suprema Corte ha puntualizzato che "il cliente che chieda al proprio difensore il ristoro dei danni che egli assume subiti a seguito della mancata impugnazione della sentenza di primo grado non può limitarsi a dedurre l'astratta possibilità della riforma in appello di tale pronuncia in senso a lui favorevole, ma deve dimostrare l'erroneità della pronuncia in questione oppure produrre nuovi documenti o altri mezzi di prova idonei a fornire la ragionevole certezza che il gravame, se proposto, sarebbe stato accolto" (Cass. civ. n. 722/1999), all'esito di un accertamento da compiersi "secondo il criterio del "più probabile che non", poiché l'accertamento del rapporto di causalità ipotetica derivante dalla condotta omissiva passa attraverso l'enunciato "controfattuale" che pone al posto dell'omissione il comportamento alternativo dovuto, alla luce del quale verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato" (Cass. civ. n. 20828/2009).

Tanto premesso, deve rilevarsi che è pacifico che il ricorso in appello non fu depositato tempestivamente. Risulta altresì dagli atti allegati e dalle risultanze istruttorie che gli avv.ti Dentici ed A. furono contattati il 27 o il 28 luglio 2013 dall'avv. R. affinché assumessero l'incarico di proporre appello alla sentenza nr. 392/2013 resa dal Tribunale di Trapani. Altrettando pacifico è che la predetta sentenza venne notificata al difensore in primo grado dell'odierno attore nel corso del periodo feriale, peraltro provocando lo sconcerto dell'avv. D. per i tempi stretti di impugnazione (cfr. esame dell'avv. L.M.L.C.: ricordo quando avvenne il fatto in oggetto, posto che in pieno agosto mi telefonò l'avv. D. molto seccato dal fatto che era stata notificata la sentenza in oggetto in pieno agosto, E' un comportamento che noi avvocati lavoristi non teniamo posto che decorrono i termini in pieno periodo feriale. Così, riaperto lo studio agli inizi di settembre, l'avv. D. monipolizzò la segreteria (che noi condividiamo) proprio perché i tempi erano stretti. Il cliente venne ricevuto quindi agli inizi di settembre e ci portò la sentenza in oggetto).

Ritiene il decidente che, a fronte degli stringenti tempi di impugnazione, una condotta professionale maggiormente avveduta, consistente nell'accertamento dell'effettiva data di notifica della sentenza al procuratore costituito in primo grado, avrebbe senz'altro consentito il deposito tempestivo dell'appello.

La circostanza, poi, che i rapporti tra l'attore ed i convenuti siano avvenuti in questa fase attraverso un altro avvocato, ossia il procuratore dell'attore del giudizio di primo grado, non esclude né attenua l'obbligo di diligenza degli avvocati convenuti che avrebbero dovuto sincerarsi della data di notifica.

Non può poi sottacersi che, dal doc. nr. 4 allegato al fascicolo di parte convenuta, asseritamente consegnato il 9.9.2013 all'avv. D., si evince l'annotazione del notificante sull'assenza dell'avv. R. in data 26.7.2013 per la notifica, indicazione che avrebbe dovuto mettere in allarme tutti i difensori interessati per verificare l'esatta decorrenza dei termini per l'impugnazione.

In buona sostanza, è provata la mancanza di diligenza dei convenuti sia che la sentenza notificata sia stata loro consegnata il 16 agosto, sia che sia stata consegnata il 9 settembre: nel primo caso, i convenuti avrebbero potuto interporre appello tempestivamente, nel secondo avrebbero dovuto comunicare al cliente che l'appello era ormai tardivo e non procedere al suo deposito.

Dall'accertamento del non corretto espletamento dell'attività professionale da parte dei convenuti non discende però l'affermazione della loro responsabilità, mancando la prova che dal corretto comportamento tenuto, secondo criteri probabilistici, l'attore avrebbe viste accolte le proprie domande.

Con il ricorso in primo grado, l'attore, dipendente della A. (società di handling aeroportuale) con mansioni di operaio addetto alle operazioni di carico e scarico, aveva proposto diverse domande: il riconoscimento del diritto al mutamento delle mansioni lavorative per l'aggravarsi del suo stato di salute; l'accertamento della responsabilità di A. nell'aggravamento delle proprie condizioni fisiche, per la mancata assegnazione di mansioni compatibili con il sopravvenuto stato di salute e la condanna della predetta società al risarcimento del danno pari ad Euro 500.000,00.

Nel costituirsi, A., oltre a contestare le avverse domande, aveva spiegato domanda riconvenzionale per ottenere l'accertamento della risoluzione del rapporto lavorativo per impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa.

Sul punto, non era stato articolato alcunché dal ricorrente, che, anzi, aveva rinunciato alla domanda di riconoscimento del diritto al mutamento delle mansioni lavorative per l'aggravarsi del suo stato di salute.

Le domande del M. erano state rigettate, mentre era stata accolta la domanda riconvenzionale di A. e, previa esclusione di qualsivoglia responsabilità della predetta società nell'aggravarsi delle condizioni di salute dell'odierno attore, era stato dichiarato insussistente l'obbligo di "repechage" e risolto il rapporto di lavoro per impossibilità della prestazione non imputabile ad alcuna delle parti.

Orbene, appare del tutto condivisibile la motivazione della sentenza di primo grado in ordine al rigetto della domanda di condanna di A. per avere concorso ad aggravare le condizioni di salute del ricorrente: detta parte di motivazione si basa infatti su elementi documentali e fattuali (data della conoscenza dello stato di salute del lavoratore; condotta mantenuta dal datore di lavoro che provvide a modificare le sue mansioni rendendole meno gravose in un tempo assolutamente congruo) che, all'evidenza, non avrebbero potuto condurre a diversa decisione la Corte di Appello.

Analogamente condivisibile appare l'ulteriore decisione di accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata da A. tenuto conto che lo stesso M. ha rinunciato al mutamento di mansioni e non ha fornito alcuna indicazione circa l'esistenza di altre possibilità di impiego nella società compatibili con il proprio stato di salute. Ed infatti, va rammentato che "costituisce parimenti principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l'onere della prova relativo all'impossibilità di impiego del dipendente licenziato nell'ambito dell'organizzazione aziendale - concernendo un fatto negativo - deve essere assolto mediante la dimostrazione di correlativi fatti positivi, come il fatto che i residui posti di lavoro relativi a mansioni equivalenti fossero, al tempo del recesso, stabilmente occupati, o il fatto che dopo il licenziamento non sia stata effettuata alcuna assunzione nella stessa qualifica (Cass. n. 10527/1996, Cass. n. 3030/1999); detto onere, ha precisato la Corte, deve essere comunque mantenuto entro limiti di ragionevolezza, sicché esso può considerarsi assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva ed indiziaria (Cass. n. 3198/1987, Cass. n. 8254/1992), con l'ulteriore precisazione che il lavoratore, pur non avendo il relativo onere probatorio, che grava per intero sul datore di lavoro, ha comunque un onere di deduzione e di allegazione di tale possibilità di "repechage" (Cass. n. 8396/2002, Cass. n. 10559/1998, Cass. n. 8254/1992)" cfr. Cass., Sez. lav., 9 agosto 2003, n. 12037).

Orbene, poiché nel primo grado di giudizio il M. non aveva adempiuto all'onere di allegazione circa la possibilità di repechage (limitandosi a richiedere di essere adibito ad altre mansioni all'interno dell'aeroporto, domanda, peraltro, rinunciata nel corso del giudizio), in fase di appello sarebbe stato necessario integrare la domanda con l'introduzione di nuovi argomenti ed elementi, così esponendosi ad una eccezione di inammissibilità (eccezione puntualmente spiegata da A.).

Non è quindi possibile effettuare alcuna valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell'appello.

Ne consegue che la domanda va rigettata.

In considerazione del complessivo esito del giudizio, sussistono giusti motivi per compensare tra tutte le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando,

rigetta le domande spiegate da M.A.;

compensa tra tutte le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Trapani, il 27 agosto 2019.

Depositata in Cancelleria il 28 agosto 2019.
Avv. Antonino Sugamele

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