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Sentenza

Vendita di un toro rivelatosi infertile. Alienare un toro sterile equivale a ven...
Vendita di un toro rivelatosi infertile. Alienare un toro sterile equivale a vendere un aliud pro alio.
In tema di compravendita, al fine di distinguere l'ipotesi dei vizi redibitori e della mancanza di qualità da quella
della consegnadi aliud pro alio (la quale consente l'esperimento diun'ordinaria azione di risoluzione contrattuale,
svincolata dall'osservanza dei termini e delle condizioni di cui all'art. 1495 c.c.), è necessario aver riguardo
all'idoneità del bene ad assolvere la funzione economico-sociale assuntacomeessenziale dalle parti (nella specie,
in sede di rinvio ed in applicazione del principio di diritto enunciato dalla S.C., la Corte d'Appello di Salerno ha
confermato l'originaria sentenza di primo grado, la quale, in relazione alla vendita di un toro rivelatosi infertile,
aveva ritenuto la sussistenza dell'aliud pro alio, negando che l'animale potesse trovare altre utilizzazioni,
considerando che anche alla stregua degli usi, richiamati dall'art. 1496 c.c., l'acquisto di un toro è finalizzato
proprio alla riproduzione).
La Corte (omissis).
Motivi della decisione
1. La Corte di legittimità ha cassato la sentenza della Corte
di Appello di Salerno n. 100/07 enunciando il seguente
principio di diritto, cui deve attenersi questo giudice nel
presente giudizio di rinvio: “in tema di compravendita, vizi
redibitori e mancanza di qualità (le cui relative azioni sono
soggette ai termini di decadenza e prescrizione ex art. 1495
c.c.) si distinguono dall'ipotesi di consegna di aliud pro
alio - che dà luogo ad un'ordinaria azione di risoluzione
contrattuale svincolata dai termini e dalle condizioni di
cui al citato art. 1495 c.c. -, la quale ricorre quando la
diversità tra la cosa venduta e quella consegnata incide
sulla natura e, quindi, sull'individualità, consistenza e
destinazione di quest'ultima, sì da potersi ritenere che
essa appartenga ad un genere del tutto diverso da quello
posto a base della decisione dell'acquirente di effettuare
l'acquisto, o che presenti difetti che le impediscono di
assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta
assunta come essenziale dalle parti (cd. inidoneità ad
assolvere alla funzione economico-sociale), facendola
degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella
dedotta in contratto”.
In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che il giudice
del gravame, nell'esprimere il proprio giudizio di fatto, non
si fosse attenuto ad un corretto criterio di distinzione tra le
varie ipotesi e fosse giunto alla conclusione di escludere,
nella specie, la consegna di un aliud pro alio, affermata
invece dal Tribunale, solo per il fatto che il toro, privo di
capacità produttiva, poteva avere anche altre utilizzazioni,
a cominciare dall'uso alimentare, con la conseguenza che
l'infertilità assumeva la veste di mero vizio redibitorio.
Per il giudice di legittimità, l'errore della Corte di Appello
è invece consistito nel non considerare che nella compravendita
oggetto di causa “pacificamente la qualità
necessaria ad adempiere la funzione economico- sociale
in vista della quale il contratto era stato concluso era
proprio la fecondazione delle bufale: funzione cui il toro
consegnato si rivelò inidoneo (...), e che è nozione di
comune esperienza che proprio negli usi concreti del
mercato l'acquisto di un toro sia finalizzato alla riproduzione”
(cfr. sentenza 28419/13, pagg. 9, 10).
2. Questo giudice del rinvio è pertanto chiamato a verificare
se la finalità riproduttiva in vista della quale era stato
acquistato il toro - che costituisce, come rilevato anche
nella sentenza della Cassazione, un fatto pacifico, accertato
dal Tribunale e non oggetto di impugnazione - integri
la consegna di aliud pro alio ovvero un vizio redibitorio o
una qualità promessa.
Atal fine vanno poste in debito rilievo le circostanze della
vendita che sono emerse dalla prova per testi e dalla
documentazione agli atti.
In particolare, il testeN. F., direttore della SAF-Azienda
Improsta - che si occupò personalmente della vendita del
toro, ha riferito che il P. aveva chiesto di acquistare “un
torello da immettere nel branco anche per il miglioramento
del sangue; (...) fu consegnata al P. la certificazione
genealogica recante il nome del toro, le
caratteristiche morfologiche ed il punteggio che consente,
sempre su basi morfologiche, l'immissione del
toro nel branco;(...) verso la fine di ottobre, inizio di
novembre 1989, il P. mi invitò presso la sua azienda(...)
dove mi invitò a prendere atto che le bufale non erano
gravide, cosa alla quale io credetti sulla parola. In quella
occasione offrii la sostituzione del toro venduto con altro
soggetto del nostro allevamento (...) per mantenere
buoni rapporti con la ditta Polito”;
il teste T. L., impiegato con mansioni tecniche nella SAF
spa, ha riferito che “il P. scelse il toro da acquistare in base
alle caratteristiche morfologiche e successivamente in
ufficio prese visione della genealogia del toro scelto, constatando
che la madre, denominata ‘Apocalisse', aveva
una buona camera produttiva nella lattazione ed un buon
punteggio morfologico; tale circostanza è importante per
garantire il miglioramento della linea di sangue”;
il teste L. E., che all'epoca dei fatti forniva piante da
rimboschimento all'azienda lmprosta, ha riferito di essere
stato presente al ritiro dell'animale da parte del P. e di
essersi complimentato con lui per l'acquisto giacché “il
capo in questione appariva morfologicamente idoneo alla
riproduzione”; con la nota di contestazione inviata alla
SAF spa con raccomandata A/R del 27-29 novembre
1989, cui la destinataria non ha dato alcun riscontro, il
P. lamentava l'inadempimento della venditrice giacché il
toro era stato acquistato quale riproduttore di razza in
quanto iscritto all'albero genealogico, che l'acquisto era
stato effettuato nel mese di marzo per programmare i parti
delle bufale in primavera onde ottenere un migliore prezzo
del latte, e che il veterinario aveva constatato che delle 63
bufale, tutte in buona salute, nessuna era rimasta gravida.
Orbene, ritiene questa Corte che dalla disamina delle
risultanze istruttorie emerga con chiarezza che l'acquisto
del toro da parte dell'allevatore P. V. sia stato determinato
dalla finalità, nota alla venditrice (in particolare al N., che
ne curò la vendita), della riproduzione del bestiame oltre
che a ricavare tutte le altre utilità che da essa sarebbero
derivate.
Ne consegue che la sterilità dalla quale l'animale è risultato
affetto ha costituito non già un semplice vizio del
bene, tale, cioè, da determinarne una minore possibilità di
utilizzo e quindi un minor valore, ma un difetto che gli ha
impedito di assolvere alla sua funzione naturale e tipica,
considerata altresì essenziale dall'acquirente.
Avendo fornito un animale diverso da quello richiesto,
inidoneo cioè a soddisfare l'interesse che in concreto
aveva indotto il P. ad effettuare l'acquisto, la SAF spa è
pertanto rimasta inadempiente all'obbligazione assunta,
sicché fondatamente l'acquirente ha avanzato la domanda
di risoluzione del contratto.
3.Neconsegue il rigetto di tutti gli argomenti addotti dalla
difesa del Ministero, originario appellante.
3.1 Ed invero, costituendo i fatti di causa un inadempimento
contrattuale per consegna di aliud pro alio, non
operano i termini di decadenza e di prescrizione che
sono invece previsti per la denuncia di vizi redibitori o
per mancanza delle qualità promesse (cfr. Cass. 16/2313);
3.2 secondo i noti principi sul riparto dell'onere della
prova (cfr. Cass.SU2001/13533), era la società venditrice
che doveva provare il fatto estintivo dell'obbligazione, e
cioè l'esatto adempimento - che nella specie non poteva
limitarsi alla sola consegna della certificazione attestante
il buono stato di salute dell'animale - ovvero che l'inadempimento
era stato determinato da causa ad essa non
imputabile;
3.3. una volta accertato il contenuto dell'obbligazione
assunta dalla venditrice, è del tutto irrilevante che la
medesima non avesse consapevolezza della condizione di
infertilità del toro;
3.4. l'infertilità dell'animale, integrando, come detto, gli
estremi dell'inadempimento della venditrice, costituisce
poi una condizione che assorbe l'eventuale infertilità delle
bufale, peraltro solo ventilata ma non provata dalla medesima
società venditrice, che ne aveva l'onere;
3.5. il riferimento alle condizioni in cui il toro sarebbe
stato costretto ad accoppiarsi, che, secondo la prospettazione
del Ministero, avrebbe impedito che le bufale
rimanessero gravide, è generico giacché l'appellante
non specifica quali condizioni si sarebbero dovute
creare per favorire l'accoppiamento per il giovane
toro. Il rilievo è comunque infondato giacché risulta
accertato che il toro non era affetto da impotentia
coeundi, tant'è che si accoppiò regolarmente con le
bufale (cfr. dichiarazione del teste O.L.), ma da impotentia
generandi, che gli impedì di ingravidarle;
3.6. anche la contestazione dell'entità dei danni subiti
dall'allevatore nella misura quantificata dal CTU nominato
dal Tribunale è assolutamente generica, limitandosi
il Ministero appellante a lamentare l'astrattezza della
valutazione delle relazioni del consulente senza tuttavia
specificare le ragioni della contestazione della sentenza
che ne aveva recepito le conclusioni e senza considerare
che, trattandosi di danno da mancato guadagno, il calcolo
dell'ausiliario d'ufficio non poteva che essere condotto su
cognizioni generali della scienza biologica e su proiezioni
statistiche.
4. L'appello qui riassunto va pertanto rigettato e per
l'effetto la sentenza del Tribunale di Salerno va integralmente
confermata.
(omissis).
Avv. Antonino Sugamele

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