25 minuti tra l’incidente e la morte: il danno da perdita della vita non può essere risarcito ai familiari iure hereditatis.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza n. 11279/20; depositata il 12 giugno 2020
Presidente Amendola – Relatore Cigna
Fatti di causa
An. Sp. (madre del defunto Fa. Al.), Da. Al. (sorella), Fr. Sp. e Ma. Ma. (zii), Fe. e Lu. Ma. (cugini) convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino Ivana Sola, quale conducente e proprietaria dell'autovettura Wolswagen Polo, e Genialloyd SpA, quale impresa assicuratrice del detto veicolo, per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni conseguenti al decesso di Fa. Al., avvenuto in data 25-7-2008 a causa di un sinistro stradale verificatosi in (omissis...).
Con sentenza 6052/2012, nel contradditorio delle parti, l'adito Tribunale, dato atto del versamento, da parte di Genialloyd, della somma di Euro 335.000,00, condannò Ivana Sola e la Genialloyd, in solido, al pagamento della residua somma di Euro 80.225,16 a favore di An. Sp., e della residua somma di Euro 9.342,48 a favore di Da. Al.; oltre interessi; rigettò invece le domande di Fr. Sp. e di Lu., Fe. e Ma. Ma..
Con sentenza 1573 del 12-8-2014 la Corte d'Appello di Torino ha rigettato il gravame proposto da parte attrice,
In particolare, per quanto ancora rileva, la Corte territoriale:
1) ha evidenziato che, in sede di gravame, il "danno da morte" era stato prospettato come danno da "perdita della vita", e cioè come perdita del bene supremo della vita, ed ha, quindi, ritenuto inammissibile, in quanto nuova, la domanda come proposta dalle appellanti, rilevando che in primo grado la richiesta risarcitoria aveva per oggetto il diverso danno "tanatologia)", inteso o come danno morale (a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte e che in tale periodo ha atteso in stato di lucidità la propria fine), o come danno biologico terminale, in caso di decorso di apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni e la morte;
2) ha rilevato che il danno patrimoniale subito per la perdita del contributo economico casalingo del figlio convivente era già stato ristorato dall'INAIL, che aveva infatti costituito una rendita al coniuge superstite del lavoratore, deceduto in esito ad incidente "in itinere", mentre la parte interessata non aveva fornito alcuna valida prova di un danno "differenziale", e cioè di un danno residuo superiore a quello già coperto dall'INAIL;
3) ha confermato il rigetto della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale "iure proprio" subito da Fr. Sp. e Ma. Ma. nonché da Fe. e Lu. Ma. (rispettivamente zii e cugini, non conviventi con la vittima) per la morte di Fa. Al.; in proposito, ha ritenuto necessario, ai fini dell'allargamento (oltre i legami "tipici") del quadro dei soggetti legittimati al risarcimento, condizioni oggettive di convivenza, affetto ed assistenza, non riscontrate nel caso in questione. Avverso detta sentenza An. Sp., Da. Al., Fr. Sp., Ma., Fe. e Lu. Ma. propongono ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi.
Genialloyd SpA resiste con controricorso.
Ivana Sola non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Con ordinanza interlocutoria del 12-12-2017/9-4-2018 questa S.C. ha rinviato la causa a nuovo ruolo in attesa di decisione delle sezioni unite su questione rilevante ai fini della decisione; intervenuta detta sentenza, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza.
Genialloyd SpA ha presentato ulteriore memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti, denunziando -ex art. 360 n. 3 c.p.c.- violazione degli artt. 2,3,32 Cost. e 1226, 2043, 2056, e 20159 c.c. nonché 10 e 117 Cost. in relazione all'art. 2 Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo, si dolgono che la Corte territoriale abbia rigettato la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale richiesto "iure hereditario" da An. Sp. e Da. Al.; al riguardo evidenziano che in primo grado avevano formulato domanda di risarcimento del danno non patrimoniale "iure hereditario" (mai diversamente qualificato) conseguente al decesso del congiunto, e che la Corte aveva confuso il pregiudizio allegato (vale a dire l'"unicum" rappresentato dal danno non patrimoniale iure hereditario conseguente alla morte del congiunto) con il diritto leso dalla condotta illecita (nelle sue varie prospettazioni teoriche), sovrapponendo indebitamente concetti come "danno alla salute", "danno morale" e "danno da perdita della vita"
I ricorrenti, in estrema sintesi, si dolgono del rigetto della domanda da essi proposta quali eredi, di risarcimento del danno subito dal "de cuius" per la perdita del bene vita; in particolare si dolgono che tale rigetto sia stato fondato sulla novità della domanda in appello rispetto a quella formulata in primo grado.
Il motivo è infondato.
Al riguardo questa S.C. ha statuito che "in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità "iure hereditatis" di tale pregiudizio, in ragione - nel primo caso - dell'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero - nel secondo - della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo" (Cass. S.U. 15350/2015; conf., da ultimo, Cass. 28989/2019).
In materia è stato anche precisato che il danno non patrimoniale da perdita della vita non è indennizzabile "ex se", e che non può essere invocato il "diritto alla vita" di cui all'art. 2 CEDU, norma che, pur di carattere generale e diretta a tutelare ogni possibile componente del bene vita, non detta specifiche prescrizioni sull'ambito ed i modi in cui tale tutela debba esplicarsi; né, in caso di decesso immediatamente conseguente a lesioni derivanti da fatto illecito, impone necessariamente l'attribuzione della tutela risarcitoria, il cui riconoscimento in numerosi interventi normativi ha comunque carattere di specialità e tassatività ed è inidoneo a modificare il vigente sistema della responsabilità civile, improntato al concetto di perdita-conseguenza e non sull'evento lesivo in sé considerato (Cass. 14940/2016; conf., da ultimo, Cass. 28989/2019).
Nella specie, pertanto, ove in fatto è stato accertato che il decesso di Fa. Al. è avvenuto circa venticinque minuti dopo l'incidente, in applicazione dei predetti principi, va ritenuto che, a prescindere dalla novità o meno (in appello) della richiesta risarcitoria, il pregiudizio subito da Fa. Al., costituito dalla perdita della sua vita, non può essere risarcito "iure hereditario" in favore della madre e della sorella.
Con il secondo motivo i ricorrenti, denunziando -ex art. 360 n. 3 cpc-violazione degli artt. 1223, 1226, 2056 c.c., si dolgono che la Corte territoriale abbia rigettato la richiesta di An. Sp. di risarcimento del danno patrimoniale dalla stessa subito per effetto della perdita della contribuzione economica, da parte del figlio defunto, alle spese della famiglia; al riguardo evidenziano che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d'Appello, la costituzione, da parte dell'INAIL, di una rendita in favore dei prossimi congiunti di lavoratore deceduto per sinistro stradale "in itinere" non escludeva il loro diritto al risarcimento del danno nei confronti del responsabile, non operando in tale ipotesi il principio della "compensatio lucri cum damno" a causa della diversità del titolo giustificativo della rendita rispetto a quello del risarcimento.
Il motivo è infondato.
Come di recente chiarito da questa S.C., "l'importo della rendita per l'inabilità permanente, corrisposta dall'INAIL per l'infortunio "in itinere" occorso al lavoratore, va detratto dall'ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato da parte del terzo responsabile del fatto illecito, in quanto essa soddisfa, neutralizzandola in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo al quale sia addebitabile l'infortunio, salvo il diritto del lavoratore di agire nei confronti del danneggiante per ottenere l'eventuale differenza tra il danno subito e quello indennizzato" (Cass. S.U. 12566/2018); questa S.C., successivamente, ha anche precisato che "la rendita vitalizia in favore del coniuge superstite del lavoratore vittima di un infortunio "in itinere" ... assolve ad una funzione di "anticipo" del ristoro del danno da perdita degli apporti economici garantiti dal familiare deceduto, e va quindi detratta dall'ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, da parte del terzo responsabile del fatto illecito ai congiunti, i quali, di conseguenza, hanno diritto ad ottenere l'importo residuo, nel caso in cui il danno liquidato sia stato soltanto in parte coperto dalla predetta prestazione assicurativa, e non somme ulteriori".
Con il terzo motivo i ricorrenti, denunziando -ex art. 360 n. 3 c.p.c.- violazione degli artt. 2 e 29 Cost., 155, 1226, 2043, 2056, 2059 c.c. nonché art. 2 Convenzione Europea Diritti dell'Uomo in relazione all'art. 117 Cost., si dolgono che la Corte d'Appello abbia rigettato la domanda proposta da Fr. Sp. e da Ma., Fe. e Lu. Ma. (zii e cugini del defunto) e diretta ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale dagli stessi subito per il decesso di Fa. Al..
Il motivo è inammissibile.
Va innanzitutto premesso che, in caso di risarcimento del danno da perdita (o da lesione) del rapporto parentale quale conseguenza della morte (o di una non lieve lesione) di un congiunto, il pregiudizio si compone di due essenziali elementi, da risarcire unitariamente, costituiti dalla sofferenza eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore, e quella che eventualmente si sia riflessa, in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana del soggetto che l'ha subita (mutamento peggiorativo delle abitudini di vita, con fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita); conf. Cass. 28989/2019).
La parte interessata potrà fornire la prova di tale danno anche con ricorso a meccanismi presuntivi, con riferimento a quanto ragionevolmente riferibili alla realtà dei rapporti di convivenza e dalla gravità delle ricadute della condotta, e spetterà al giudice del merito il compito di procedere alla verifica, sulla base delle evidenze probatorie complessivamente acquisite, l'eventuale sussistenza di uno solo, o di entrambi, i profili di danno non patrimoniale sopra descritti.
In particolare, con riguardo ai detti meccanismi presuntivi (e cioè alle conseguenze tratte da un fatto noto per risalire ad uno ignoto), è stato precisato (v. da ultimo la già menzionata Cass. 28989/2019) che, al fine di apprezzare la gravità o l'entità effettiva del danno, può essere utilizzato il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale (coniuge, convivente, figli, genitore, sorella, fratello, nipote, ascendente, zio, cugino), senza escludere anche altri rapporti e legami parentali di più lontana configurazione formale (rispetto a quelli in precedenza elencati) o financo di assente configurazione formale (vedi rapporto affettivo con i figli del coniuge o del convivente) per i quali tuttavia venga rigorosamente dimostrata la consistente ed apprezzabile dimensione affettiva.
La valutazione, in base alle evidenze probatorie (ivi inclusi i predetti meccanismi presuntivi), della sussistenza in concreto del danno spetta comunque, come detto, al giudice del merito, il cui giudizio in fatto è di per sé insindacabile in sede di legittimità; ne consegue, come detto, l'inammissibilità del motivo, che si risolve, benché formulato sub specie di violazione di legge, in una critica alla valutazione in fatto operata dalla Corte in ordine all'assenza, nella fattispecie in esame, di oggettive e giuridicamente rilevanti, per quanto detto innanzi, condizioni di convivenza, affetto ed assistenza.
In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato.
In considerazione dell'intervento solo recente delle Sezioni Unite sulla "compensalo lucri cum damno", si ritiene sussistano giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite relative al presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 115/2002, poiché il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del cit. art. 13.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; dichiara compensate tra le parti le spese di lite relative al presente giudizio di legittimità; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
16-06-2020 23:57
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