Alunno bullizzato e malmenato dai compagni a scuola. Danno biologico e danno morale. Condannato il Miur a pagare 46.000 euro
Tribunale di Reggio Calabria, sentenza 18 novembre – 20 novembre 2020, n. 1087
Giudice Stella
Fatto e Diritto
Con atto di citazione ritualmente notificato, X nella qualità di genitori esercenti la responsabilità genitoriale sul minore X, hanno convenuto in giudizio il Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca (d'ora in avanti MIUR) per chiederne la condanna al risarcimento dei danni subiti dal figlio all'epoca dei fatti frequentante la classe terza della Scuola media statale di z, per effetto della condotta penalmente rilevante di un suo compagno di classe, y che dapprima, nell'ottobre 2013, lo aveva minacciato con un coltello puntato all'addome e che nel mese seguente, precisamente in data 13 novembre 2013, con la complicità di un altro compagno di classe, approfittando dell'assenza del personale scolastico sia docente che non docente, nel corso dell'intervallo, lo aveva avvicinato nel corridoio dell'istituto e, spingendolo a forza nei bagni, lo aveva percosso ripetutamente a calci e pugni fino a procurargli un trauma contusivo alla regione temporo- mascellare sinistra, con presenza di edema ed escoriazioni giudicate guaribili in 8 giorni - secondo il referto del pronto soccorso di Locri.
Hanno precisato gli attori che, nonostante gli evidenti segni di percosse sul volto, una volta in classe il minore non era stato soccorso dall'insegnante presente in aula, tanto che era rientrato a casa a mezzo dello scuolabus.
Hanno infine esposto gli attori che, a seguito dell'accaduto, X ha riportato - oltre alle lesioni fisiche temporanee - un danno biologico consistente nel cronico disturbo post-traumatico da stress da cui è tuttora afflitto, oltre al danno morale, legato alle sofferenze interiori causate dall'illecito.
Hanno quindi concluso per la condanna del ministero convenuto - civilmente responsabile ex art. 2048 c.c. dell'illecito commesso dai suoi preposti per la violazione dell'obbligo di vigilanza sulla sicurezza e sull'incolumità dell'allievo nel tempo in cui fruisce della prestazione scolastica - al pagamento della complessiva somma di Euro 22.400, ovvero della maggior somma risultante come dovuta all'esito del giudizio, oltre ad "interessi e rivalutazione sulla suddetta somma dal dovuto al soddisfo" e al rimborso delle spese mediche. Vinte le spese di lite, da distrarsi.
Il Ministero convenuto si è costituito e ha resistito alla domanda, variamente argomentandone l'infondatezza e comunque facendo richiesta di chiamata in causa della compagnia assicuratrice per la responsabilità civile (...), la quale pure si è costituita in giudizio, associandosi alla difesa del dicastero.
La causa è stata istruita documentalmente e mediante l'assunzione di prova orale a mezzo dei testi z c v e X. Ammessa ed espletata anche CTU medico legale sulla persona di X, all'udienza del 16 luglio 2020 - la prima davanti a questa giudice - la causa è stata trattenuta in decisione con autorizzazione al deposito di note ex articolo 190 c.p.c..
In primo luogo, reputa il Tribunale che la domanda proposta ex articolo 2048 c.c. facendo leva sull'obbligo di vigilanza del ministero, debba essere interpretata e qualificata come domanda contrattuale di responsabilità.
Costituisce ormai ius receptum che il titolo della responsabilità del MIUR, nel caso di alunni che subiscano danni durante il tempo in cui dovrebbero essere sorvegliati dal personale della scuola, può essere duplice. Il titolo è contrattuale se la domanda è fondata sull'inadempimento dell'obbligo, specificamente assunto dall'autore del danno, di vigilare, ovvero di tenere una determinata condotta o di non tenerla; extracontrattuale se la domanda è fondata sulla violazione del generale dovere di non recare danno ad altri.
Pure consolidato è il principio secondo cui "il giudice ha il potere dovere di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un nomen iuris diverso da quello indicato dalle parti, purché non sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o basandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio" (Cass. n.13945/2012).
Nel caso di specie non v'è dubbio che la domanda, essendo fondata sull' inadempimento dell'obbligo di vigilanza gravante contrattualmente sul personale scolastico - docente e non docente (cfr. Cass. n.14701/2016) - e non sulla violazione del dovere generale di non fare danno ad altri, debba qualificarsi come azione di responsabilità contrattuale dell'amministrazione scolastica.
Venendo quindi al merito, la domanda è fondata.
E' ormai pacifico l'orientamento giurisprudenziale per cui l'ammissione dell'allievo a scuola determina l'instaurazione di un vincolo negoziale dal quale sorge a carico dell'istituto l'obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni e, quindi, di predisporre gli accorgimenti necessari affinché non venga arrecato danno agli alunni in relazione alle circostanze del caso concreto: da quelle ordinarie, tra le quali l'età degli alunni, che impone una vigilanza crescente con la diminuzione dell'età anagrafica; a quelle eccezionali, che implicano la prevedibilità di pericoli derivanti dalle cose ed a persone.
Ne consegue l'applicabilità del regime probatorio desumibile dall' articolo 1218 c.c. sicché, mentre l'attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull'altra parte incombe l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all'insegnante (Cass. SU n. 9346/2002, ex mult. Cass. n. 3680/2011; n. 13457/2013).
D'altro canto, la posizione dell'amministrazione scolastica non muterebbe applicando i parametri di cui all'articolo 2048 c.c., a mente del quale il MIUR risponde del fatto illecito commesso dagli allievi minori sottoposti alla sua vigilanza, salvo che provi "di non aver potuto impedire il fatto" (art. 2048, co. 3, c.c.).
Al riguardo, la Suprema Corte ha affermato ripetutamente che incombe sull'allievo l'onere della prova dell'illecito commesso da altro allievo, quale fatto costitutivo della sua pretesa, mentre è a carico della scuola la prova del fatto impeditivo, e cioè dell'inevitabilità del danno nonostante la predisposizione, in relazione al caso concreto, di tutte le cautele idonee a evitare il fatto (Cass. n.8811/2020; n.9983/2019).
Tanto premesso in via generale e astratta, nel concreto della vicenda processuale è stato dimostrato che in data 13 novembre 2013 X, durante la ricreazione, si trovava nei corridoi della scuola, dove venne raggiunto da X, suo compagno di classe che, profittando dell'assenza del personale scolastico -docente e non docente - con la complicità di un altro allievo lo spinse nei bagni dove, costretto in terra, il malcapitato subì un pestaggio.
A fronte di ciò, il MIUR e il terzo chiamato hanno eccepito che la mancata predisposizione di un'attività di sorveglianza degli alunni all'interno dei bagni era indefettibilmente connessa all'esigenza di garantire il diritto alla privacy nei locali in questione - difatti, le richieste istruttorie articolate delle parti convenute sono: a) "vero che il minore, nelle circostanze di tempo e di luogo descritte in citazione, è stato aggredito nei locali del bagno della scuola"?; b) "vero che nei bagni non è previsto il controllo da parte degli insegnanti".
Tuttavia, l'allegazione secondo cui all'amministrazione scolastica sarebbe precluso di istituire un servizio di sorveglianza all'interno dei bagni dell'istituto, per ragioni legate alle esigenze di riservatezza degli allievi, non è rilevante ai fini del presente giudizio, perché dall'istruttoria è emerso che la condotta causativa del danno ha avuto inizio prima che X fosse cacciato a forza nei bagni della scuola e che, pertanto, l'evento lesivo non si sarebbe verificato in presenza di un'attività di sorveglianza degli alunni lungo i corridoi dell'istituto e, segnatamente, lungo il tragitto dalle singole classi fino ai bagni.
Le deposizioni dei compagni di classe di X sono chiarissime e convergenti nel descrivere la dinamica del sinistro: z ha dichiarato che "Sono a conoscenza dei fatti di causa in quanto ho assistito direttamente (...) ci trovavamo in prossimità dei bagni, quando Y An. con minacce e spintoni costringeva X, con la complicità di un altro compagno, ad entrare nei locali dei bagni e qui sferrava contro il viso del X calci e pugni. Il personale scolastico docente e non docente e non era presente al momento dell'accaduto, in quanto intenti in presidenza a prendere il caffè. In conseguenza del pestaggio il X lamentava forti dolori alla testa e nello stesso tempo cercava di nascondere con il braccio il volto in quanto si vergognava di mostrare i lividi. Confermo che il X alla fine dell'orario scolastico rientrava a casa da solo a mezzo dello scuolabus".
Allo stesso modo, S, ha confermato che "Nell'ora della consumazione del panino ci trovavamo nei corridoi della scuola quando il nostro compagno di classe Y ha cominciato a spingere il X e a prenderlo in giro costringendolo con la forza e la complicità di un altro compagno j ad entrare nei locali dei bagni (...) preciso nell'antibagno dove si trovano i lavandini, il X è stato buttato a terra e preso a calci e pugni da Y (...) posso confermare che al momento dell'accaduto sia i professori che i bidelli non erano presenti né nei corridoi né nelle classi, in quanto intenti a prendere il caffè nella presidenza".
La deposizione di X - della cui attendibilità non vi è ragione di dubitare - consente peraltro di precisare che il pestaggio avvenne non già nei bagni, ma nell'antibagno, dove non sono ravvisabili esigenze di riservatezza che ostino ad un'attività di sorveglianza da parte dell'istituto scolastico.
L'omissione di vigilanza del personale sull'incolumità degli alunni, sia nelle classi che nei corridoi della scuola, è tanto più rimproverabile ove si pensi che, meno di un mese prima, X era stato vittima di una violenza altrettanto grave e pericolosa, sempre ad opera di Y, che lo aveva minacciato puntandogli un coltello all'addome alla presenza della compagna di classe z. Quest'ultima, interrogata sulla circostanza ha dichiarato: "Posso dire che spesso Y e zz assumevano atteggiamenti da bulli nei confronti miei e di X. Confermo che il 2 ottobre 2013 il X durante l'orario di scuola e all'interno della scuola é stato minacciato dai compagni ZZ e YY, i quali gli hanno puntato il coltello all'addome in mia presenza. Io a mia volta sono stata aggredita verbalmente dai suddetti" (cfr. deposizione testimoniale resa all'udienza del 5.10.2016). Ha confermato la circostanza z, che ha dichiarato sul punto: "Posso dire che il X veniva sempre preso in giro da questi compagni con ingiurie, intendo dire da Y e z... Ricordo che io mi trovavo in bagno e rientrando in classe ho visto che tutti i compagni erano in agitazione appunto ho chiesto cosa era successo e mi hanno riferito che il X era stato minacciato con un coltello dai compagni di scuola (...).
Accertata la responsabilità strutturale a monte, va detto che dall'istruttoria compiuta emergono anche gli elementi di una responsabilità risarcitoria a valle, a carico del MIUR e, per esso, della Compagnia assicuratrice chiamata in causa, soprattutto rispetto al danno non patrimoniale subìto da X, nella duplice declinazione del danno biologico e morale.
Le circostanze di fatto che meritano di essere valorizzate per una corretta valutazione, in concreto, del danno biologico patito da X, attengono all'incidenza delle violenze subite sulla psiche del ragazzo, all'epoca quattordicenne.
Anche sul punto, soccorrono le convincenti deposizioni dei suoi compagni di classe (uno dei quali ha potuto frequentare X anche negli anni a seguire, perché è stato suo compagno di classe anche alle scuole superiori).
Mentre z si è limitato a riferire che: "dopo l'episodio il X era un pò cambiato nell'umore e posso aggiungere che aveva e manifestava un po' di paura nei confronti di Y", l'altro suo compagno di classe, z, interrogato all'udienza del 18.1.2018 ha dichiarato: "Abbiamo cercato di difendere il X dall'aggressione del Y ed ho potuto vedere che il X presentava un ematoma alla tempia, alla mascella del viso e tutta la parte sinistra del viso ...posso dire che successivamente all'accaduto oggetto di causa il X era diverso, nel senso che si isolava dai compagni e si isola a tutt'oggi. So questo in quanto a tutt'oggi frequentiamo la stessa classe, la quarta dell'istituto (...) di (...)".
Le proiezioni delle violenze e delle umiliazioni subite hanno vulnerato in modo durevole la capacità del ragazzo di rapportarsi in modo sereno ai suoi coetanei, di intraprendere il percorso scolastico più confacente alle proprie inclinazioni e di godere delle relazioni sociali e affettive in modo appropriato alla sua età, pregiudicandone perfino la possibilità di soddisfare in modo appagante ed equilibrato i più elementari bisogni fisiologici, tra cui il sonno e l'appetito.
La nonna di X, interrogata all'udienza del 18.1.2018 e dunque a distanza di oltre quattro anni dai fatti in questione, ha dichiarato che "Dopo il fatto di cui ho riferito mio nipote presenta umore depresso. Spesso dorme a casa mia e posso dire che non è più quello di prima; Si sveglia la notte in quanto fa incubi sogna di essere picchiato".
Emerge dalla CTU che X è attualmente in grave sovrappeso (110 Kg per cm 172 di altezza), che soffre di ansia immotivata, facile irascibilità, cefalea molto frequente, iperidrosi alle mani, claustrofobia.
Il ragazzo ha, inoltre, riferito al consulente dell'ufficio di aver frequentato i primi anni dell'istituto industriale e di aver abbandonato gli studi per scarso interesse verso le materie scolastiche. Gli ha confidato, in particolare, che gli sarebbe piaciuto iscriversi all'istituto alberghiero di Soverato e che non lo ha fatto perché lì avrebbe ritrovato il ragazzo che lo aveva aggredito.
Ha, infine, dichiarato al CTU di non praticare alcuna disciplina sportiva e di aiutare il padre nei lavori in campagna e la madre in quelli casalinghi.
Il quadro che emerge, nitidamente, è quello di un ragazzo chiuso in sé e piegato dal suo dolore, refrattario alle relazioni sociali e alla molteplicità delle esperienze umane, ricreative, culturali e professionali.
Dall'istruttoria, a parere di questa giudice, sono emersi molteplici elementi concreti da cui desumere la devastante incidenza, sulla vita di X, degli episodi di bullismo da lui subiti con vergogna e mortificazione (basti pensare che, subito dopo l'aggressione di novembre 2013, dalla quale ha riportato un trauma cranico alla regione temporo-mascellare sinistra, lividi ed escoriazioni, la sua reazione fu quella di minimizzare l'accaduto e tentare di nascondere agli insegnanti e ai suoi compagni i segni - pur evidenti - delle percosse, fino a trovare la forza di rientrare da solo a casa, sullo scuolabus).
Reputa il Tribunale che il CTU, pur avendo ricostruito in modo dettagliato il pregiudizio dinamico-relazionale patito da X, abbia errato nella diagnosi e nella conseguente quantificazione del danno biologico, stimato nella esigua misura di due punti percentuali.
Il consulente dell'ufficio è giunto alle predette conclusioni basandosi unicamente sulla mancanza di una storia clinica documentata per patologie psichiche, tanto da ritenere superfluo ogni approfondimento in tal senso.
Tuttavia, a fronte del ricco corteo di manifestazioni umorali, fisiche, psichiche e relazionali espressive del profondo malessere di X, il fatto che la storia clinica del ragazzo documenti solo un breve percorso di psicoterapia presso l'ambulatorio di neuropsichiatria infantile dell'ASP competente può trovare plausibile spiegazione in fattori diversi dalla mancanza di esigenze terapeutiche, quali la mancanza di possibilità economiche da parte della sua famiglia ovvero il mancato riconoscimento, su un piano socialmente tipico che connota in special modo il nostro meridione, della necessità di prestare attenzione e cure appropriate alle patologie psichiche al pari di quelle prettamente fisiche.
Alla luce dei sintomi pure accuratamente registrati dal CTU, risulta pertanto inadeguata la sua valutazione nella misura in cui, basandosi soltanto sulla mancanza di una storia psichiatrica ha diagnosticato a X un disturbo somatoforme indifferenziato lieve o disturbo dell'adattamento cronico lieve, stimando come già detto il danno permanente in misura pari al 2%.
Valorizzando, quale peritus peritorum, gli elementi tecnico-valutativi offerti dal CTU, reputa il giudice che la diagnosi più appropriata per qualificare e quantificare i pregiudizi psichici conseguenti all'illecito per cui è causa, sia quella indicata dal consulente di fiducia della parte attrice, e cioè quella di un cronico disturbo post-traumatico da stress, da quantificarsi in misura pari all'11% alla stregua del valore base previsto dal DSM-5 per tale patologia.
Militano in tal senso proprio i criteri diagnostici (tratti dal citato DSM-5) prospettati dal CTU a pagina 10 della sua relazione tecnica e cioè : A) esposizione a minaccia di morte o grave lesione mediante esperienza diretta degli eventi traumatici; B) presenza di sogni sgradevoli ricorrenti con contenuto correlato all'evento psico-traumatico; C) evitamento o tentativo di evitamento di riferimenti esterni (persone, luoghi, conversazioni, attività, oggetti, situazioni) che sollecitano ricordi o pensieri sgradevoli strettamente associati all'evento post-traumatico;
D) alterazioni negative di tipo cognitivo ed emotivo associate all'evento psico-traumatico e iniziate o peggiorate dopo di esso, evidenziate da: persistenti condizioni emotive di segno negativo (paura, rabbia, sensi di colpa, vergogna); marcato calo dell'interesse alla partecipazione in attività significative; sensazione di distacco o estraniamento dagli altri; persistente incapacità di provare emozioni positive (felicità, soddisfazione, sentimenti amorosi); E) marcate alterazioni della vigilanza e della reattività insorte o peggiorate dopo l'evento e dimostrate da: comportamento facilmente irritabile e scatti d'ira immotivati; esagerate reazioni d'allarme; disturbi del sonno; F) la durata delle alterazioni espresse dai punti B,C,D,E è superiore ad un mese; G) il disturbo determina disagio clinicamente significativo o notevole compromissione nelle aree del funzionamento sociale e lavorativo; H) il disturbo non è imputabile ad effetti nEuropsichici di sostanze o ad altra condizione medica. Non pare condivisibile, per contro, l'opinione espressa dall'ausiliare dell'ufficio, a pagina 11 della sua relazione, secondo cui la diagnosi dovrebbe essere fatta da specialisti esperti mentre "nel nostro caso la diagnosi è stata fatta da un internista che, senza minimamente voler mancare di rispetto alla sua professionalità, non ha potuto applicare la metodologia idonea", sia perché non argomentata ma soprattutto perché, se così fosse, il nominato CTU - che non è uno psichiatra o psicoterapeuta - avrebbe dovuto declinare l'incarico.
Altrettanto apodittica è l'affermazione secondo cui gli eventi traumatici denunciati per intensità e numero, non avrebbero "la carica patematica necessaria per lo sviluppo di un sì grave disturbo", nonché quella secondo cui la mancanza di "un iter terapeutico eseguito nel tempo", in uno alla mancata assunzione di psico¬farmaci, "conferma l'ipotesi di un danno di lieve entità in soggetto che, con ogni evidenza, ha subito due aggressioni le quali, pur non avendo provocato alcun danno fisico, in età adolescenziale possono risultare significative".
Venendo quindi alla liquidazione - in moneta attuale - del danno biologico permanente nella misura accertata dell'11%, reputa il Tribunale di dover applicare i parametri delineati dalle tabelle milanesi (Cass. n.12408/2011), che quantificano il pregiudizio subito da X (all'epoca del sinistro quattordicenne) nella somma di Euro 30.291, cui deve aggiungersi il danno biologico temporaneo, condivisibilmente stimato dal CTU in 1 giorno di invalidità totale e 12 giorni di invalidità parziale nella misura del 50%, ammontante pertanto ad Euro686, oltre al rimborso delle spese mediche pari ad Euro 142,37.
Passando alla valutazione del danno morale, va detto in via generale e astratta che è ormai consolidato l'insegnamento del giudice di legittimità, a mente del quale il danno morale non può ritenersi ricompreso mai nel danno biologico e va liquidato autonomamente, in ragione della differenza ontologica esistente tra di essi, corrispondendo infatti tali danni a due momenti essenziali della sofferenza dell'individuo, il dolore interiore e la significativa alterazione della vita quotidiana (così, da ultimo, Cass. 21970/2020).
Sulla scorta del superiore insegnamento, reputa il giudice che la percentuale di invalidità permanente riconducibile al danno psichico subito da X per effetto dell'illecito compiuto ai suoi danni, sia idoneo ad assorbire unicamente i cosiddetti aspetti dinamico- relazionali del pregiudizio subito, cioè le compromissioni alla sua vita sociale, relazionale e professionale.
Non così è a dirsi per i pregiudizi estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (Cass. n.7513/2018, che testualmente afferma: "ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione").
Nel caso di specie, emergono in tutta evidenza il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura e la rabbia provocati nel giovane X dal fatto illecito, integrante reato di natura dolosa, di cui il MIUR è civilmente responsabile (cfr. Cass. n. 4733/19).
Ai fini della aestimatio del danno morale debbono essere considerati: la reiterazione dei singoli episodi illeciti, connotati da crudeltà e codardia; la fragilità psicologica della vittima intimamente connessa all'età adolescenziale che aveva al momento in cui è stata perpetrata la condotta lesiva; la mancanza di accudimento e pronta reazione all'aggressione da parte del personale scolastico alle cui cure il minore era affidato che, lungi dall'acquietarsi sulla risposta di X di non aver bisogno di aiuto (che trova spiegazione nella vergogna e mortificazione causati in lui dal pestaggio, come ha chiarito lucidamente uno dei suoi compagni), di fronte ai segni evidenti delle percosse sul suo volto, avrebbe dovuto contattare prontamente i genitori oppure accompagnare il minore a casa, prestando personalmente i primi soccorsi anziché consentire che il ragazzo, dolorante, tornasse da solo a casa sul pulmino dello scuolabus, al termine delle lezioni.
In considerazione delle circostanze sopra indicate, questo Tribunale reputa equo procedere alla liquidazione del danno morale in misura pari all'incirca alla metà del danno biologico accertato, dovendosi pertanto liquidare alla parte attrice, per tale titolo, la somma di Euro 15.000.
Da ultimo, deve essere liquidato il danno da mora: va infatti qualificata come domanda di risarcimento del danno da ritardato adempimento la dicitura "oltre interessi e rivalutazione come per legge sulla suddetta somma dal dovuto al soddisfo", contenuta nelle conclusioni a pagina 4 dell'atto di citazione.
Reputa infatti il tribunale che il riferimento agli interessi, trattandosi di un credito risarcitorio e dunque di un'obbligazione di valore, debba intendersi fatto ai cosiddetti interessi compensativi, che non sono frutti civili di un capitale, ma la stima del danno da lucro cessante derivante dalla perduta possibilità di disporre tempestivamente di una somma di denaro per investirla e ricavarne un profitto; si tratta, quindi, di una componente dell'unico credito risarcitorio.
D'altro canto, la giurisprudenza maggioritaria reputa che il giudice possa accordare d'ufficio il risarcimento del danno da ritardato adempimento dell'obbligazione risarcitoria (ex mult. Cass. n. 6973/2017).
Considerato l'importo complessivo del credito risarcitorio, sia pure devalutato al momento del sinistro (Euro 44.899,41), è improbabile che una somma di denaro così rilevante sarebbe stata interamente impiegata dalla parte attrice in beni di consumo; reputa ragionevole il Tribunale che una somma pari a 35.000 sarebbe stata invece tesaurizzata e che, pertanto, su tale somma il danno da mora debba essere riconosciuto, liquidandolo equitativamente con riferimento al saggio degli interessi legali.
Nel presente giudizio è stata chiamata in causa la compagnia assicurativa (...), nei cui confronti il MIUR ha fatto valere il rapporto di garanzia in base alla polizza assicurativa in atti, sulla cui operatività - oltre alla contestazione circa la responsabilità
dell'amministrazione assicurata - non è stata opposta da parte della terza chiamata eccezione alcuna.
Può per tale motivo accogliersi la domanda di manleva svolta dalla difesa del MIUR, con conseguente condanna della predetta terza chiamata a tenere indenne l'amministrazione convenuta dell'importo risarcitorio complessivamente liquidato a suo carico.
Il regolamento delle spese di lite segue il criterio della soccombenza.
Per tale motivo, il MIUR va condannato al pagamento delle spese di lite a favore della parte attrice che, tenuto conto della tariffa professionale vigente e in relazione alla complessità e durata della controversia - si liquidano complessivamente nella misura indicata in dispositivo, in applicazione dei valori medi previsti per il corrispondente scaglione tariffario, da distrarsi ex art. 93 c.p.c..
Sul punto, deve osservarsi in via generale come l'assicurazione della responsabilità civile è disciplinata dall'art. 1917 cod. civ., i cui commi 1 e 3 regolano la prestazione complessiva dell'assicuratore, comprensiva di due distinte obbligazioni, una principale e l'altra accessoria. Nel danno indennizzabile in forza della predetta norma sono dunque da includersi anche le spese reclamate dalla parte danneggiata vittoriosa.
Per tale ragione la terza chiamata va condannata a rimborsare al MIUR anche le spese di lite che l'amministrazione è tenuta a rimborsare alla parte attrice in forza della presente pronuncia;
Infine, anche le spese di CTU, liquidate in separato decreto, seguono la soccombenza e sono poste a carico della terza chiamata
P.Q.M.
Il Tribunale di Reggio Calabria, rigettata ogni contraria istanza, deduzione, difesa o eccezione, definitivamente pronunciando:
1) Condanna il Ministero convenuto al risarcimento del danno biologico (permanente e temporaneo) e morale patito da X, che liquida nella complessiva somma di
Euro45.977, oltre agli interessi legali (a titolo di danno da mora) sulla somma di Euro35.000 dal giorno dell'illecito all'effettivo pagamento, oltre al danno patrimoniale (spese mediche), pari ad Euro142,37;
2) condanna il MIUR a rimborsare agli attori le spese di lite che liquida in complessivi Euro 7.300,00 per compensi ed Euro 264 per esborsi oltre al rimb. forf. 15% sp. gen. I VA e CPA, da distrarsi a favore dei procuratori costituiti, dichiaratisi antistatari ex art. 93 c.p.c.;
3) pone definitivamente a carico del MIUR le spese di CTU, liquidate in separato decreto;
4) condanna la terza chiamata X a tenere indenne e a rimborsare al MIUR gli importi sopra indicati ai punti che precedono.
Sulle somme liquidate al punto 1), compete a favore della parte attrice la rivalutazione monetaria dalla pronuncia al saldo.
30-12-2020 23:54
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