Appello notificato a mezzo pec e causa iscritta cartaceamente. Come si dimostra la notifica telematica?
Nel caso di specie, era accaduto che l'appellante aveva notificato la citazione in appello a mezzo posta elettronica certificata e aveva, poi, iscritto a ruolo in forma cartacea.
Non vi è dubbio che nel momento in cui la costituzione sia cartacea (perché “necessariamente” cartacea non essendoci il processo civile telematico come davanti al Giudice di pace e alla Cassazione o perché a ciò (allora senz'altro) facoltizzato proprio dalle norme sul PCT) la produzione dell'atto notificato potrà essere data, ai fini dell'iscrizione, dalla copia analogica dell'atto e delle ricevute di notificazione elettronica che l'avvocato dichiarerà conformi ai corrispondenti atti elettronici.
Se, però, nel corso del processo sarà necessario fornire la prova dell'intervenuta notificazione perché il giudice deve verificare la regolarità della notificazione la parte avrà già assolto il suo onere probatorio oppure dovrà produrre con un deposito telematico i file telematici della notificazione (e, cioè, i file “.eml” o “.msg” della ricevuta di consegna e della ricevuta di accettazione)?
Orbene, per la Corte di appello di Napoli la soluzione è la seconda: “l'appellante non ha dimostrato [la corretta evocazione in lite dell'appellato] non avendo depositato l'idonea prova (files telematici) della notificazione mediante PEC dell'atto di appello”.
L'interpretazione della Corte napoletana si pone in continuità – sebbene non la richiami – con l'indirizzo seguito dalla Corte di appello di Torino che nel 2016, decidendo un appello su questo specifico aspetto (e, cioè, come fornire la prova della notifica a mezzo PEC) aveva avuto modo di affermare che “la prova della notificazione a mezzo PEC deve infatti essere offerta, sulla base della lettura degli artt. 9 della L. 53/1994 e 19-bis del Provvedimento del Responsabile S.I.A. del 16.4.2014, esclusivamente con modalità telematica.”.
La soluzione mi sembra corretta sia dal punto di vista normativo che dal punto di vista della coerenza del sistema intendendo con ciò la capacità (ancora tutta da implementare) del PCT (che ancora è sostanzialmente una informatizzazione dei registri di cancelleria) di sfruttare tutte le potenzialità degli atti elettronici che, a ragione delle loro “proprietà” possono fornire importanti informazioni (si pensi, per esemplificare: un conto è una mail stampata e la produzione del file della mail che contiene importanti dati informatici “non visibili prima facie” come il percorso seguito dai pacchetti informatici).
Sul punto l'art. 19 bis del Provvedimento 16 aprile 2014 (c.d. Specifiche tecniche) che riguarda le notificazioni per via telematica eseguite dagli avvocati prevede al comma 5 è chiaro nel prevedere che “la trasmissione in via telematica all'ufficio giudiziario delle ricevute previste dall'articolo 3-bis, comma 3, della legge 21 gennaio 1994, n. 53, nonché della copia dell'atto notificato ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della medesima legge, è effettuata inserendo l'atto notificato all'interno della busta telematica di cui all'art 14 e, come allegati, la ricevuta di accettazione e la ricevuta di avvenuta consegna relativa ad ogni destinatario della notificazione; i dati identificativi relativi alle ricevute sono inseriti nel file DatiAtto.xml di cui all'articolo 12, comma 1, lettera e.”.
Del resto, anche l'art. 17 comma 5 del decreto n. 44 del 2011 per le notificazioni effettuate dall'ufficiale giudiziario prevede che “il sistema informatico dell'UNEP, eseguita la notificazione, trasmette per via telematica a chi ha richiesto il servizio il documento informatico con la relazione di notificazione sottoscritta mediante firma digitale e congiunta all'atto cui si riferisce, nonche' le ricevute di posta elettronica certificata, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 34.”.
Se il PCT è operativo questa è l'unica strada percorribile: quando è tecnicamente consentito al giudice accedere agli “originali” informatici – rectius agli atti informatici (e non alle copie analogiche) – è necessario produrre i file telematici perché sono gli unici che possono dimostrare tecnicamente (e, cioè, per la loro “qualità” o meglio “proprietà” diversamente dal documento analogico) (a) l'avvenuta consegna della PEC e (b) ciò che è stato effettivamente inviato (come emerge, proprio per le notificazioni degli avvocati, dal combinato disposto degli articoli 18, comma 6 d.m. 44/2011 e 6, comma 4 del d.P.R. 68/2005)
Peraltro, noi qui abbiamo fatto riferimento soltanto all'ipotesi della controparte non costituita, ma il problema si può porre anche laddove la parte si sia costituita e ponga un problema di corrispondenza di quanto “asseritamente” e quanto “effettivamente” notificato.
Non può, quindi, essere ritenuto un ammissibile succedaneo – neppure ove sia ancora facoltativa la costituzione cartacea - la certificazione dell'avvocato (ovvero anche dell'ufficiale giudiziario che così abbia provveduto) altrove senz'altro ammessa “per forza di cose” in quanto altri giudizi non consentono (ancorché sarebbe molto facile) la diretta verifica informatica dell'avvenuta notificazione.
Del resto, laddove ci sia stata costituzione telematica di atto notificato analogicamente e l'avvocato abbia attestato la conformità del file contenente la scansione della ricevuta di ritorno della notifica, egli non deve comunque produrre, in caso di contestazione, l'originale cartaceo (dal quale la copia è stata estratta e di cui ha già attestato la conformità)?
Ne deriva che, operativamente e per evitare anche un semplice rinvio dell'udienza per la verifica dell'incombente (ove processualmente possibile), nell'immediatezza della prima udienza l'avvocato – nel caso in cui la controparte (o una delle controparti) non sia ancora costituita – dovrà provvedere ad allegare nel fascicolo telematico le ricevute telematiche dell'avvenuta notificazione a prescindere da ciò, che la costituzione sia stata “cartacea” o “informatica”: in quel momento esiste senz'altro il fascicolo telematico.
Corte d'Appello di Napoli, sez. I-bis Civile, sentenza 19 maggio – 16 giugno 2020, n. 2151
Presidente Celentano – Relatore Petruzziello
Motivi della decisione
1. Il Tribunale di Torre Annunziata, accogliendo con la decisione indicata in epigrafe la domanda principale proposta dal fallimento della società di fatto costituita tra M.I., M.L.L., G.I., G.I., L.L., L.B., A.D.G. e M.D.G., ha dichiarato inefficaci nei confronti del curatore, ai sensi dell'art. 64 l. fall., i pagamenti di 2.977.082,44 €, di 1.361.693,80 € e di 503.630,27 € effettuati da M.L.L., tramite la fiduciaria Servizio Italia Rubrica, in favore della Santander Private Banking S.p.A. ed ha condannato quest'ultima alla restituzione in favore della curatela attrice dei suddetti importi, da maggiorarsi degli interessi legali a decorrere dalla domanda giudiziale e fino all'effettivo soddisfo. Ha inoltre dichiarato l'inefficacia nei confronti del fallimento degli atti di pegno impugnati ed ha condannato la banca convenuta al pagamento delle spese di lite.
2. Questa decisione è stata impugnata da Santander Private Banking S.p.A., che con atto di appello – che la banca medesima assume di aver notificato il 7.10.2019 – le ha mosso tre censure.
Il fallimento – la cui corretta evocazione in lite l'appellante non ha dimostrato, non avendo depositato l'idonea prova (files telematici) della notificazione mediante PEC dell'atto di appello – non si è costituito.
3. L'appellante non è comparso all'udienza di comparizione e trattazione.
Il processo è stato rinviato ex art. 348, comma 2, c.p.c. all'udienza del 19 maggio 2020.
Con decreto del 6 maggio, depositato l'11 maggio 2020, il Presidente della Sezione ha disposto – in forza di quanto previsto dal decreto congiuntamente adottato, ai sensi dell'art. 83, co. 5, 6 e 7, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, dal Presidente della Corte col n. 139 e dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte col n. 32 il 25 marzo 2020 e pubblicato nel sito internet della Corte dal 26 marzo 2020 – che l'udienza fissata per la data del 19 maggio 2020 si svolgesse secondo le modalità indicate dall'art. 83, co. 7, lett. h), del d.l. 18/2020, onerando, per l'effetto, i procuratori ad litem delle parti costituite di depositare telematicamente entro le ore 10:30 dello stesso giorno note scritte contenenti soltanto le proprie rispettive istanze e/o conclusioni e corredate dalla prova del loro invio per mezzo della posta elettronica certificata ai difensori e/o procuratori ad litem delle altre parti costituite, ed «avvisandoli che il mancato deposito di dette note entro il suddetto orario potrebbe es-sere considerato dai collegi giudicanti equivalente alla diserzione dell'udienza, con tutte le conseguenze normalmente previste dalla legge per quest'eventualità, e che i provvedimenti, ordinatori o decisori, che sarebbero stati normalmente adottati in udienza, saranno adottati fuori udienza, compresi quelli eventualmente ritenuti indispensabili per assicurare il rispetto del principio del contraddittorio e dei ter-mini processuali sospesi».
I procuratori ad litem della banca appellante, sebbene ritualmente avvertiti dell'adozione di quest'ultimo decreto, non hanno depositato alcuna nota scritta.
È avviso del Collegio che siffatta condotta debba essere considerata equivalente alla mancata comparizione all'udienza contemplata dall'art. 348, comma 2, c.p.c.
L'art. 83, comma 7, lett. h), d. l. 18 del 2020, convertito con modificazioni dalla l. 27 del 2020, include – tra le numerose misure che i capi degli uffici giudiziari possono adottare al fine di assicurare le finalità di cui al comma 6 della medesima disposizione («contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell'attività giudiziaria») – anche «lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice».
Si è già detto del decreto n. 139 del 25 marzo 2020, adottato congiuntamente dal Presidente della Corte e dal Procuratore Generale, vigente al tempo in cui è stata disposta la trattazione scritta di questo processo.
Quel decreto ha contemplato la predetta modalità di «svolgimento delle udienze civili» per i casi in cui ad esse non debbano partecipare soggetti diversi dai difensori.
Lo svolgimento dell'udienza (regolata per il processo d'appello, per effetto del rinvio di cui all'art. 132 disp. att. c.p.c., oltreché dagli artt. da 127 a 130 c.p.c., dagli artt. 84, 113, 114, 115, 116 e 117 disp. att. c.p.c., gli ultimi cinque in particolare applicabili alle udienze collegiali innanzi alla Corte d'Appello) comporta l'accesso personale dei «difensori delle parti» (così l'art. 84 cit.) innanzi al Giudice e, per quanto concerne in particolare lo «svolgimento della discussione» (art. 117 cit., rubrica), prevede, tra l'altro, che «i difensori debbono leggere davanti al collegio le loro conclusioni e possono svolgere sobriamente le ragioni che le sorreggono».
La rievocata legislazione emergenziale, dal canto suo, ha espressamente disposto che «lo svolgimento delle udienze civili» possa avvenire «mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni». Dunque, allorché i capi degli uffici giudiziari interessati adottino siffatta misura organizzativa, a questi due adempimenti (scambio e deposito delle note scritte) il legislatore assegna una funzione succedanea delle codicistiche modalità di svolgimento dell'udienza.
Sicché, ove lo scambio ed il deposito delle note vi sia stato, lo svolgimento dell'udienza deve ritenersi avvenuto, ed il giudice d'appello dovrà, nell'adottare «fuori udienza» il suo provvedimento, valutare questa surrogatoria attività processuale alla luce delle disposizioni che avrebbe applicato se essa si fosse svolta secondo le ordinarie modalità.
Viceversa, allorché i procuratori non abbiano provveduto né allo scambio né, soprattutto, al deposito delle note, deve escludersi non, come taluni opinano, che l'udienza si sia svolta, bensì che siano state attuate le modalità sostitutivamente previste per il suo espletamento e deve dunque affermarsi che i difensori delle parti non hanno preso parte all'attività processuale contemplata come suo surrogato.
Stabilendo, con l'art. 83, co. 7, lett. h), del d.l. 18/2020, che, per contrastare l'emergenza derivante dall'epidemia di COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sull'attività giudiziaria, i capi degli uffici giudiziari – sentiti l'autorità sanitaria regionale, per il tramite del presidente della giunta regionale, e il consiglio dell'ordine degli avvocati – possano, tra l'altro, disporre «lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice», il legislatore ha invero abbastanza chiaramente inteso eccezionalmente individuare nel deposito telematico delle suddette «note scritte» un eccezionale surrogato della comparizione fisica dei difensori delle parti all'udienza tenuta dal giudice, la cui mancanza è ragionevole simmetricamente equiparare alla diserzione di tale udienza da parte del difensore rimasto inerte.
D'altronde, ad opinare il contrario, le «udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti» potrebbero concretamente svolgersi secondo le eccezionali modalità previste dall'art. 83, co. 7, lett. h), del d.l. 18/2020 soltanto con il consenso e la fattiva adesione di tutti i difensori delle parti; conclusione, questa, che però, consegnando a ciascun difensore il potere di decidere se le udienze possono o meno svolgersi secondo le indicate modalità, sarebbe in evidente contrasto con la ratio della previsione normativa, il cui scopo è quello di contenere il diffondersi dell'epidemia di COVID-19 con il minor sacrificio possibile per l'efficacia e l'efficienza dell'attività giudiziaria e il diritto di difesa.
Né può trascurarsi di rilevare che la lett. f) del settimo comma dell'art. 83 del d.l. 18/2020 ha cura di precisare che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti possono svolgersi mediante collegamenti da remoto soltanto ove consti la «libera volontà» e dunque il consenso delle parti, in tal modo indirettamente rafforzando l'idea che le udienze civili possano svolgersi secondo le modalità indicate dalla lett. h) dello stesso comma anche senza il consenso dei difensori delle parti processuali.
Queste conclusioni vanno confermate anche alla luce del decreto n. 217 del 2020 C.A. e n. 48 del 2020 P.G., adottato dal Presidente della Corte d'Appello e dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello il 7 maggio 2020, le cui disposizioni sono immediatamente applicabili alla trattazione dei procedimenti civili e del lavoro in corso di svolgimento per il periodo fino al 31 luglio 2020. Al di là, infatti, di alcune puntualizzazioni e dell'invito a valutare con particolare cautele determinate evenienze processuali (qui non ricorrenti), esso reitera le disposizioni precedentemente dettate.
L'appello è pertanto improcedibile ex art. 348 c.p.c.
La relativa dichiarazione va fatta d'ufficio, e con sentenza (cfr. Cass. 17.4.2001 n. 5610).
Le spese di lite sono irripetibili, stante la mancata costituzione del fallimento.
Infine, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115/2002 deve darsi atto della ricorrenza di un caso di infondatezza, inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione , dunque, dell'astratta sussistenza della fattispecie che pone a carico della parte impugnante rimasta soccombente l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, fermo restando che (secondo quanto precisato da Cass. Sez. Un. n. 4315 del 2020) l'accertamento se la parte, in dipendenza di quest'esito, sia in concreto tenuta al versamento del contributo è rimesso all'amministrazione giudiziaria e, quindi, al funzionario di cancelleria.
P.Q.M.
La Corte così provvede:
a) dichiara l'improcedibilità dell'appello;
b) dichiara irripetibili le spese di lite;
c) dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte
dell'appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per l'appello proposto.
27-07-2020 15:10
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