Festa di paese con fuochi d’artificio: il sindaco risponde per i danni subiti da uno spettatore colpito da un tizzone?
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3 , ordinanza 16 gennaio – 24 giugno 2020, n. 12417
Presidente De Stefano – Relatore Positano
Rilevato che:
con atto di citazione del 14 giugno 2004, Umberto Decimoterzo evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Caltagirone, Sezione distaccata di Grammichele, il Comune di Militello in Val di Catania chiedendo il pagamento dei danni subiti per essere stato accidentalmente colpito da un tizzone sparato dagli addetti allo spettacolo pirotecnico tenutosi, nella piazza del paese, il 9 settembre 2003, in occasione delle festività in onore di Santa Maria della Stella. Si costituiva l'amministrazione comunale eccependo, preliminarmente, il difetto di legittimazione passiva e chiedendo di chiamare in causa le ditte organizzatrici degli spettacoli pirotecnici, S.A. e B.V. . Nel merito evidenziava che gli aspetti gestionali e l'affidamento dell'incarico erano stati curati direttamente da un comitato temporaneo per i festeggiamenti, nominato dal parroco, padre M.P. . Tale comitato aveva affidato l'esecuzione degli spettacoli alle predette ditte. Chiedeva, comunque, di chiamare in causa la compagnia di assicurazione Unipol S.p.A. e, nel merito, eccepiva l'infondatezza della domanda. Si costituivano l'assicuratore e la ditta S.A. ;
con sentenza parziale del 29 agosto 2011, il Tribunale condannava, in solido, l'amministrazione comunale e la ditta B.V. al risarcimento dei danni;
avverso tale sentenza parziale il Comune proponeva appello e si costituivano in giudizio D.U. e la compagnia di assicurazione, chiedendo il rigetto dell'impugnazione;
con sentenza del 14 febbraio 2018, la Corte d'Appello di Catania, rigettava l'impugnazione;
avverso tale decisione il Comune di Militello propone ricorso per cassazione affidandosi ad un unico motivo. Gli intimati non svolgono attività processuale in questa sede.
Considerato che:
con il ricorso si deduce, ai sensi art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 54. Erroneamente il giudice di appello avrebbe affermato che il Sindaco aveva agito nella qualità di ufficiale di governo solo nella fase prodromica al rilascio della licenza per i fuochi di artificio, e non anche nel predisporre le necessarie misure volte a garantire la sicurezza e l'ordine pubblico. Ciò sarebbe in contrasto con il citato art. 54, che prevede che il Sindaco, quale ufficiale di Governo, sovraintende, tra l'altro "alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico". Pertanto, l'attività del Sindaco quale ufficiale di Governo riguarderebbe anche quella finalizzata alla vigilanza sulla sicurezza e l'ordine pubblico. Sotto altro profilo il rilascio dell'autorizzazione da parte del Sindaco comporterebbe l'assunzione in capo allo stesso, ma sempre nella qualità di ufficiale di Governo, di tutti gli obblighi in materia di sicurezza oggetto della circolare ministeriale dell'11 gennaio 2001;
le censure del ricorrente non sono specifiche, poiché reiterano la questione già oggetto di appello che, al contrario, è stata adottata sulla base dei principi affermati, in motivazione, dalle Sezioni Unite di questa Corte nella decisione n. 2726 del 1991. Ai sensi dell'art. 57 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (approvato con R.D. 18 giugno 1931 n. 773) e del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 54, è necessaria, per l'accensione dei fuochi di artificio, la licenza dell'autorità di pubblica sicurezza,
le cui attribuzioni, in campo locale, sono esercitate dal capo dell'ufficio di pubblica sicurezza, o, in mancanza, dal sindaco (art. 1 - comma 4 Testo unico). In tale veste il Sindaco opera - in virtù della funzione esercitata, e diretta al mantenimento dell'ordine pubblico, oltre che alla sicurezza e all'incolumità dei cittadini non quale capo dell'amministrazione comunale, bensì quale ufficiale di governo. Ma tale profilo - si legge nella decisione delle Sezioni Unite - non esclude l'applicazione della regola generale di salvaguardia dei diritti dei terzi, in base al principio generale del "neminem laedere" e, ex art. 2050 c.c., a carico della pubblica amministrazione, responsabile del danno, se questo è riferibile, per l'esistenza di un nesso eziologico, a un comportamento antigiuridico della pubblica amministrazione stessa. Tale condotta ricorre nelle ipotesi in cui non siano state osservate ragionevoli cautele per evitare il danno, cautele imposte da prescrizioni normative, oltre che dettate da criteri scientifici e tecnici, ovvero, ancora, suggerite dai comuni canoni di diligenza e di prudenza. Lo stesso ricorrente evidenzia come sia espressamente prescritta l'adozione di specifiche cautele, poiché le accensioni "non possono compiersi che in luogo sufficientemente lontano dalla folla, in modo da prevenire danni e infortuni". Inoltre, in considerazione dell'obiettiva pericolosità insita nell'accensione dei fuochi d'artificio, è innegabile che la scelta dei mezzi e delle modalità devoluta all'attività discrezionale della pubblica amministrazione non è esente dai limiti dettati dagli elementari criteri di diligenza e di prudenza;
infine le doglianze riferite al contenuto della Circ. Min. 11 gennaio 2001 sono dedotte in violazione dell'art. 366 c.p.c., n. 6, sotto tre profili:
- trattandosi di atto amministrativo non è allegato, trascritto o localizzato il contenuto di tale documento;
- non è precisato il momento o contesto processuale in cui l'atto sarebbe stato prodotto in giudizio;
- non è allegato che tale questione ha formato oggetto di appello; l'esito della controversia consente di superare i profili di irregolarità della notificazione nei confronti di B.V. (del quale è stato accertato il decesso in grado di appello sin dall'udienza del 4 dicembre 2013) eseguita ex art. 143 c.p.c., in applicazione del principio espresso da questa Corte a Sezioni Unite (Cass. n. 6826/2010). Infatti, in caso di ricorso per cassazione inammissibile o "prima facie" infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l'integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell'effettività dei diritti processuali delle parti (da ultimo, Cass. n. 12515 del 21/05/2018);
ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; nulla per le spese, non avendo la parte intimata svolto attività processuale in questa sede. Infine, tenuto conto del tenore della decisione, mancando ogni discrezionalità al riguardo (Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245), va dichiarato che sussistono i presupposti per il pagamento del doppio contributo se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
25-06-2020 23:06
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