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Sentenza

Il singolo condomino ha diritto di aprire una finestra sul muro comune...
Il singolo condomino ha diritto di aprire una finestra sul muro comune
Tribunale Roma sez. V, 20/05/2020, (ud. 19/05/2020, dep. 20/05/2020), n.7424
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 24/25.7.2017 il Condominio nell'edificio di Via B.U., Roma, in persona dell'ammin.re pro tempore, E.D., ha convenuto in giudizio, innanzi questo Tribunale, il condomino M.D.S. (proprietario esclusivo dell'unità abitativa al piano primo interno A della scala A - in catasto urbano al foglio .., p.lla .. sub. 510 -), per sentirlo condannare, una volta accertata la proprietà comune della chiostrina, al rilascio della porzione di quest'ultima indebitamente sottratta all'attore, provvedendo, a sue spese, alla rimozione della ringhiera in ferro e della pavimentazione in legno ivi posizionate, nonché al ripristino della finestra in luogo della porta-finestra, successivamente aperta e che ora gli consente l'accesso all'area comune.

Costituitosi con comparsa di risposta depositata in Cancelleria il 6.11.2017 (udienza di prima comparizione fissata, ex art. 168-bis, quinto comma, cod. proc. civ., per il successivo 31.1.2018), il convenuto ha resistito all'avversa domanda, riconoscendo, bensì, la proprietà comune della chiostrina e ammettendo l'avvenuta realizzazione (per altro, già da parte dei suoi danti causa) delle opere contestate, ma rivendicando il suo diritto di fruire di detto spazio uti condominus anche nel modo concretamente praticato.

La causa, denegata - dopo lo scambio delle memorie ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ. - l'ammissione delle prove orali hinc et inde richieste, viene, quindi, in decisione, sulle conclusioni definitive precisate all'udienza indicata in epigrafe, dopo la scadenza degli assegnati termini di legge per lo scambio degli scritti conclusionali e di replica.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda, per la parte ancora oggetto di decisione, deve essere respinta.

E invero, l'avvenuta "occupazione" dello spazio comune (con le modalità indicate dal condominio attore) è sostanzialmente pacifica tra le parti.

Sennonché, da un lato, in corso di causa, è avvenuta la rimozione della ringhiera in ferro, dotata di cancelletto, già apposta a recinzione di una parte della chiostrina condominiale (che comportava, di fatto, l'appropriazione di una parte di suolo comune).

È rimasta, invece, la pavimentazione in legno, insistente sulla superficie condominiale del cortile, dinanzi alla porta-finestra e (secondo il non contestato assunto del convenuto) con una dimensione di circa un metro quadro, che, tuttavia, non risulta, di per sé, danneggiare l'area né limitare i diritti degli altri condòmini.

Dall'altro, si rinviene, in tema di diritto del singolo condomino di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio (ma non a vantaggio di un immobile esterno: cfr., da ultimo, Cass. ord., 5 febbraio 2020, n. 5060), e, perciò, nel caso dei muri perimetrali - sia esterno che interno - dell'edificio condominiale, di apportarvi modificazioni (come aperture ulteriori o di dimensioni o forma non corrispondenti a quelle già esistenti) che gli garantiscano una qualunque utilità aggiuntiva rispetto a quelle godute dagli altri condòmini (a condizione - beninteso - che 1: non venga limitato il diritto di costoro all'uso del muro; 2: non ne venga alterata la normale destinazione; 3: tali modificazioni non pregiudichino il decoro architettonico dell'edificio), un chiaro arresto giurisprudenziale di legittimità (cfr. Cass., 3 gennaio 2014, n. 53; vedi anche Cass., 9 giugno 2010, n. 13874; Cass., 23 maggio 2007, n. 12047; Cass., 26 febbraio 2007, n. 4386; Cass., 27 ottobre 2003, n. 16097; Cass., 18 febbraio 1998, n. 1708) del seguente tenore:

"ai sensi dell'articolo 1102 c.c., gli interventi sul muro comune, come l'apertura di una finestra o di vedute, l'ingrandimento o lo spostamento di vedute preesistenti, la trasformazione di finestre in balconi, sono legittimi dato che tali opere, non incidono sulla destinazione del muro, bene comune ai sensi dell'articolo 1117 c.c., e sono l'espressione del legittimo uso delle parti comuni.

Tuttavia, nell'esercizio di tale uso, vanno rispettati i limiti contenuti nella norma appena indicata consistenti nel non pregiudicare la stabilità e il decoro architettonico dell'edificio, nel non menomare o diminuire sensibilmente la fruizione di aria o di luce per i proprietari dei piani inferiori, nel non impedire l'esercizio concorrente di analoghi diritti degli altri condomini, nel non alterare la destinazione a cui il bene è preposto e nel rispettare i divieti di cui all'articolo 1120 c.c. (pregiudizio alla stabilità e sicurezza del fabbricato, pregiudizio al decoro architettonico o rendere alcune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino).

Legittima è anche l'apertura di finestre su area di proprietà comune e indivisa tra le parti (cortili e chiostrina) che assolve alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti e, pertanto, sono beni fruibili dai condomini, cui spetta anche la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, con il solo limite posto dall'articolo 1102 c.c., di non alterare la destinazione del bene comune o di non impedirne l'uso da parte degli altri proprietari".

È, infatti, irrilevante che la diversa utilizzazione del muro si correli non già alla necessita di ovviare a un'interclusione vera e propria (o anche soltanto a una naturale minore praticabilità) dell'unita immobiliare al cui servizio il (nuovo) accesso o la (nuova) veduta/luce siano stati realizzati, quanto, piuttosto, all'intento di conseguire (semplicemente) una più comoda fruizione dell'unità stessa da parte del suo proprietario.

Anche sul piano non più petitorio, ma dello ius possessionis, inoltre, dove pure è identificabile una posizione tutelabile nelle concrete modalità (desumibili dagli artt. 1102 e 1120 cod. civ.) del godimento già esercitato sul bene (muro perimetrale) comune, l'attività di realizzazione di nuove aperture o di trasformazione di quelle preesistenti nello stesso intanto arriverà a integrare una molestia di fatto, reprimibile, dagli altri partecipanti al condominio, con la caratteristica azione di manutenzione, in quanto (evidentemente) detta attività si risolva in una immutazione della situazione dei luoghi che renda incomodo o restringa a vantaggio del singolo condomino il precedente modo di esercizio del possesso da parte degli altri (il che non avviene quando, invece, le opere in contestazione eseguite dal singolo compossessore, oltre a non modificare la consistenza materiale del bene comune, neanche ne mutino la destinazione, ma rispondano soltanto allo scopo di consentirne un uso più agevole e, conseguentemente, più intenso e proficuo, senza incidere negativamente sulla facoltà degli altri condomini di - continuare a - praticarne la stessa, precedente pari utilizzazione).

Neppure si può porre giuridicamente un problema di distanze legali, facendo assolutamente difetto, nel caso, il relativo presupposto dell'esistenza dei due fondi "finitimi", sui quali (art. 873 cod. civ.) devono insistere le costruzioni che non possono trovarsi, fra loro, a uno spazio di distacco inferiore a quello prescritto (per ragioni di igiene, decoro e sicurezza degli edifici a uso abitativo), poiché, se si può ritenere che, nelle intenzioni del legislatore, anche un'unità immobiliare in proprietà esclusiva costituisca un "fondo", certamente, invece, non è tale il muro perimetrale prospiciente uno spazio condominiale e, quindi, l'innovazione edilizia realizzata su detto muro (già asservito all'utilità delle proprietà individuali e in corrispondenza di una di queste) costituisce, in linea di principio, non già atto eccedente i limiti dell'art. 1102 cod. civ., in quanto esercizio di una servitù ("l'apertura di finestre su area di proprietà comune e indivisa tra le parti costituisce ... opera inidonea all'esercizio di un diritto di servitù di veduta, sia per il principio nemini res sua servit sia per la considerazione che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, ben sono fruibili a tale scopo dai condòmini, cui spetta anche la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in tema di luci e vedute, a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di proprietà esclusiva": cfr. Cass. ord., 14 giugno 2019, n. 16069), ma atto lecito, in quanto pieno esercizio del diritto dominicale.

Nessun rilievo è stato mosso, infine, nella fattispecie, sotto l'aspetto del decoro:

"Non v'e dubbio che il concetto di danno, cui la norma fa riferimento, non va limitato esclusivamente a quello materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma va esteso anche a quello conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili della cosa comune, anche se di ordine edonistico o estetico (v. Cass. 27.4.1989, n. 1947), per cui ricadono nel divieto tutte quelle modifiche che costituiscono un peggioramento del decoro architettonico del fabbricato. Decoro da correlarsi non soltanto all'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata armonia, ma anche all'aspetto di singoli elementi o di singole parti dell'edificio che abbiano una sostanziale e formale autonomia o siano comunque suscettibili per sé di considerazione autonoma (v. Cass. 24.3. 2004, n. 5899). In altri termini, la voce di danno di cui all'art. 1122 c.c. fa riferimento, non solo al pregiudizio per la sicurezza e la stabilità del fabbricato, deterioramento di parti comuni causato dai lavori (es. infiltrazioni), ma anche all'alterazione del decoro architettonico. Con l'ulteriore specificazione che il condomino, nell'eseguire opere su parti di sua proprietà, altera il decoro architettonico dello stabile se, tenendo conto delle caratteristiche dello stabile al momento dell'opera, reca un pregiudizio tale da comportare un deprezzamento dell'intero fabbricato e delle unità immobiliari in esso comprese" (cfr. Cass. n. 53/2014 cit.).

Spese compensate (stante il parziale rigetto della domanda, ma anche la - potenziale - soccombenza del convenuto rispetto alla rimozione della ringhiera in ferro).
PQM
P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunziando sulle domande proposte dal Condominio nell'edificio di Via B.U., Roma, in persona dell'amministratore pro tempore, con atto di citazione ritualmente notificato il 24/25.7.2017, contro M.D.S., convenuto costituito, così decide:

a) Dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla domanda di rimozione della ringhiera in ferro;

b) Rigetta la domanda in ordine alla chiusura della porta finestra e al ripristino dell'originaria sola finestra, nonché alla rimozione della parziale pavimentazione in legno;

c) Compensa, infine, integralmente, fra le parti, le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2020.

IL GIUDICE

(DOTT. PAOLO D'AVINO)
Avv. Antonino Sugamele

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