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Sentenza

La Cassazione sulla immutabilità della contestazione disciplinare...
La Cassazione sulla immutabilità della contestazione disciplinare
Cassazione civile, sez. lav., 15/05/2019, (ud. 26/02/2019, dep.15/05/2019),  n. 13023 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                               SEZIONE LAVORO                            
                  Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:              
    Dott. DI CERBO Vincenzo                           -  Presidente   -  
    Dott. BLASUTTO Daniela                            -  Consigliere  -  
    Dott. PAGETTA  Antonella                          -  Consigliere  -  
    Dott. CINQUE   Guglielmo                     -  rel. Consigliere  -  
    Dott. AMENDOLA Fabrizio                           -  Consigliere  -  
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         SENTENZA                                        
    sul ricorso 21113-2017 proposto da: 
                F.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO 
    BARTOLOMEI 23, presso lo studio degli Avvocati ANTONIO CARUSO 
    FRANCESCO SAVERIO IVELLA il quale lo rappresenta e difende giusta 
    delega in atti. 
    - ricorrente - principale - 
    contro 
    ACEA S.P.A. nella qualità di mandataria di ACEA ATO2 S.P.A., in 
    persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente 
    domiciliata in ROMA, VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio 
    dell'Avvocato ANDREA DI FRANCESCO, che la rappresenta e difende in 
    virtù di procura speciale in atti; 
    - controricorrente - ricorrente incidentale - 
    avverso la sentenza n. 3660/2017 della CORTE D'APPELLO di ROMA, 
    depositata il 05/07/2017 R.G.N. 5130/2016; 
    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 
    26/02/2019 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE; 
    udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. 
    CIMMINO Alessandro, che ha concluso per inammissibilità in 
    subordine rigetto di entrambi i ricorsi; 
    udito l'Avvocato FRANCESCO SAVERIO IVELLA; 
    udito l'Avvocato ANDREA DI FRANCESCO. 
                     


    Fatto
    FATTI DI CAUSA

    1. F.D., dipendente della ACEA ATO 2 spa con contratto di lavoro a tempo indeterminato full-time, inquadrato nel 2 livello del CCNL Settore acqua-gas con mansioni di operaio, a seguito di due contestazioni disciplinari del 20.1.2015 (n. 28 e n. 31), in data 11.2.2015 era destinatario di un provvedimento di licenziamento per giusta causa per avere, in sintesi, eseguito -non rispettando le procedure aziendali- in orario di lavoro attività (astrattamente aventi rilevanza penale) da cui era derivato un profitto per il dipendente ed un danno per l'azienda e per avere agito deliberatamente in concorso con altri dipendenti per ottenere vantaggi in danno dell'azienda.

    2. Impugnato il licenziamento, il Tribunale di Roma all'esito della fase sommaria rigettava il ricorso del lavoratore.

    3. Proposta opposizione, il medesimo Tribunale confermava l'ordinanza gravata.

    4. La Corte di appello di Roma, a seguito di reclamo del F., in parziale riforma della impugnata sentenza, riteneva sussistenti solo i fatti di cui alla contestazione n. 31 del 20.1.2015 (non effettuazione del cambio contatore così come previsto dall'Ordine di intervento n. 2010/13310; richiesta con il modulo sopralluogo -reclamo autogenerato n. 11520/2014-di un intervento di manutenzione su condotta risultata poi inesistente; installazione di un misuratore n. 146968 all'interno del civico 55 in contraddizione con quanto dichiarato nell'ordine di servizio), giustificativi del licenziamento e condannava la società al pagamento dell'indennità di preavviso, rientrando la condotta nella fattispecie disciplinata dalla clausola contrattuale (punto 6 art. 21 CCNL di settore che prevede il licenziamento con preavviso "a carico di chi...esegue lavori per conto proprio o di terzi utilizzando materiale dell'Azienda") la quale, pur configurando il comportamento come notevole adempimento e, quindi, come giustificato motivo soggettivo, non giustificava, in assenza di prova di un lucro per il lavoratore e di un danno per l'azienda, il recesso in tronco.

    5. Avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione F.D. affidato a tre motivi.

    6. Ha resistito la ACEA spa, in qualità di mandataria di ACEA ATO 2 spa, con controricorso formulando ricorso incidentale sulla base di un unico articolato motivo.
    Diritto
    RAGIONI DELLA DECISIONE

    1. Con il primo motivo del ricorso principale F.D. denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, L. n. 300 del 1970, artt. 7 e 18, art. 21 punto 4, 6 e 7 CCNL GAS ACQUA, art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., per non avere la Corte territoriale rilevato che, dalla lettura del contratto collettivo e del codice disciplinare ACEA, emergeva che alla condotta asseritamente contestata a esso dipendente fosse applicabile una sanzione conservativa e non quella espulsiva, come del resto irrogata ad altro dipendente in una fattispecie similare; eccepisce, poi, sia la mancata affissione del codice disciplinare nella sede aziendale L. n. 300 del 1970, ex art. 7 la violazione del principio della immutabilità della contestazione disciplinare.

    2. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, art. 2697 c.c. sull'onere della prova; artt. 115 e 116 sulla disponibilità delle prove, art. 101 c.p.c. sul principio del contraddittorio; art. 111 Cost. sul principio del giusto processo, nonchè l'omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si sostiene che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto provati i fatti oggetto della contestazione sulla base delle relazioni provenienti dalla stessa società che, al più, potevano qualificarsi come prove atipiche; che il F. aveva solo ammesso di avere installato il contatore previa autorizzazione verbale dei suoi superiori ma non su richiesta del privato e che non erano state allegate e/o specificate le norme violate poste a fondamento della contestazione di violazione delle procedure interne.

    3. Con il terzo motivo si duole dell'omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; della violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell'art. 2697 c.c., dell'art. 115c.p.c., degli artt. 101 e 111 Cost. sui principi del giusto processo e della violazione L. n. 300 del 1970, ex art. 7, per avere omesso la Corte territoriale di esaminare una serie di fatti rilevanti (specificati nella doglianza) oggetto di discussione tra le parti, da considerarsi provati in quanto non contestati dalla controparte, e sui quali era stata articolata prova per testi.

    4. Con l'articolato motivo del ricorso incidentale la società, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, deduce la illegittimità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto non provati i fatti alla base della contestazione disciplinare n. 28 del 20.1.2015 nonchè nella parte in cui ha ritenuto non sussistente la giusta causa di licenziamento, derubricandolo stesso in licenziamento per giustificato motivo soggettivo con preavviso, per gli episodi di cui alla contestazione n. 31 del 20.1.2015.

    5. Il primo motivo del ricorso principale non è fondato.

    6. I giudici di seconde cure, a differenza da quanto affermato dal F., hanno valutato i fatti onde verificare se gli stessi fossero sanzionati dalle disposizioni contrattuali collettive, con misure conservative.

    7. La gravata sentenza è giunta, con argomentazioni adeguate e corrette da un punto di vista giuridico, alla conclusione che la fattispecie rientrasse in quella ("costruisce o fa costruire oggetti o in qualunque modo procaccia o esegue lavori per conto proprio o di terzi durante l'orario di lavoro utilizzando materiale dell'Azienda") per la quale è previsto il licenziamento con preavviso, escludendo conseguentemente sia l'applicabilità di quella sanzionata con la sospensione da 6 a 10 giorni ("costruisce o fa costruire oggetti o in qualunque modo procaccia o esegue lavori per conto proprio o di terzi durante l'orario di lavoro") sia quella punita con il licenziamento senza preavviso ("esecuzione in orario di lavoro di attività in concorrenza, anche indiretta, o in contrasto con quella dell'azienda o di attività per conto proprio o di terzi, da cui derivi direttamente o indirettamente un lucro per il lavoratore e/o un danno per l'azienda").

    8. Sotto il profilo metodologico, pertanto, non sussistono le violazioni di legge perchè la Corte territoriale ha verificato le sanzioni del CCNL di settore nonchè i canoni legali ex art. 2119 c.c., svolgendo un congruo accertamento di sussunzione il cui sindacato, riguardando nello specifico il controllo su una indagine di fatto, è precluso in sede di legittimità.

    9. Quanto, invece, alle censure sulla mancata affissione del codice disciplinare, deve osservarsi che, a prescindere dal fatto che la condotta accertata viola generali obblighi di legge (cfr. Cass. n. 6893 del 2018; Cass. n. 16291 del 2004) e doveri fondamentali per cui non è necessaria la previa affissione, il ricorrente non ha specificato, a fronte della prova fornita dalla società già durante la fase sommaria del procedimento della pubblicazione sul sistema internet del codice disciplinare, il "dove" ed il "quando" abbia sottoposto la specifica questione ai giudici di seconde cure che la hanno, evidentemente, ritenuta assorbita.

    10. Infine, sulla questione della immutabilità della contestazione, deve rilevarsi che manca una corretta prospettazione della censura, che si limita a richiamare precedenti di legittimità e circostanze oggettive, mentre la Corte territoriale ha affermato che il datore di lavoro non aveva modificato i fatti contestati, con l'introduzione di elementi integrativi di una diversa fattispecie di illecito disciplinare, ma aveva dato una ulteriore qualificazione degli stessi, per condividere l'assunto datoriale di un comportamento, già nella iniziale prospettazione, così fortemente negligente da ledere il rapporto fiduciario.

    11. Le suddette argomentazioni sono conformi all'orientamento di questa Corte (Cass. n. 6499 del 2011; Cass. n. 17604 del 2007) che ha ritenuto che, in tema di licenziamento disciplinare, il fatto contestato ben può essere ricondotto ad una diversa ipotesi disciplinare, dato che in tal caso non si verifica una modifica della contestazione, ma solo un diverso apprezzamento dello stesso fatto.

    12. Il secondo motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.

    13. Sono inammissibili le censure dirette ad una rivisitazione della ricostruzione dei fatti come operata dai giudici del merito che è preclusa nel procedimento di cassazione (cfr. Cass. 7.12.2017 n. 29404).

    14. Sono, invece, infondate le doglianze riguardanti l'asserita erronea valorizzazione delle relazioni scritte provenienti dalla stessa società, in quanto prove atipiche e non sufficienti, di per sè, a basare un accertamento di colpevolezza, perchè la Corte di merito, a tal fine, non ha considerato solo le risultanze delle suddette relazioni ma le ha riscontrate con circostanze di fatto incontestabili (come per esempio il prelievo di un contatore con la mancata restituzione dello stesso a fronte di un preciso intervento non realizzato ovvero la realizzazione di lavori di terzi) e con le dichiarazioni rese dallo stesso lavoratore, cui può attribuirsi una efficacia probatoria, sebbene non piena ma sufficiente a contribuire con altri elementi al libero convincimento del giudice, anche se rese in sede di indagini preliminari dirette ad accertare la commissione di un illecito disciplinare (Cass. n. 772/2003; Cass. n. 3524/1985).

    15. Va da ultimo ribadito che la violazione dell'art. 2697 c.c. si configura soltanto nell'ipotesi che il giudice abbia attribuito il relativo onere ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, ma non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle risultanze istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull'esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 5.9.2006 n. 19064; Cass. 10.2.2006 n. 2935), da escludersi, per quanto sopra detto, nel caso in esame.

    16. Il terzo motivo è inammissibile.

    17. Il nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile in causa ratione temporis, ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Al compito assegnato alla Corte di Cassazione resta dunque estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti che implichi un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito (cfr. Cass. 7.4.2014 n. 8053; Cass. 29.10.2018 n. 27415).

    18. Nel caso in esame, invece, ciò che si contesta è unicamente la valutazione di merito dei fatti, come già detto non sindacabile da questa Corte.

    19. Deve, poi, sottolinearsi che la valutazione delle prove (apprezzamento della attendibilità e della concludenza dei singoli elementi probatori e, in particolare, la valutazione di una prova testimoniale e la scelta delle risultanze ritenute maggiormente idonee alla ricostruzione dei fatti) è funzione del giudice di merito che, priva di vizi logici e giuridici, in sede di legittimità è insindacabile (Cass. n. 13045/1997; Cass. n. 21412/2006).

    20. Anche il ricorso incidentale è infondato.

    21. Sulle censure relative alla ritenuta, da parte della Corte territoriale, assenza di prova sui fatti di cui alla contestazione disciplinare n. 28 del 20.1.2015, si richiama quanto già sopra evidenziato in tema di sindacato della Corte di cassazione in materia di valutazione delle prove.

    22. Sulla derubricazione del licenziamento per giusta causa, deve, invece, osservarsi che tale facoltà spetta pacificamente al giudice del lavoro (Cass. 837/2008; Cass. n. 12781/2005) e può essere esercitata anche di ufficio (Cass. 12884/2014).

    23. I giudici di seconde cure hanno dato conto, nella motivazione della gravata sentenza, che il fatto accertato configurava un notevole inadempimento ai propri obblighi contrattuali, in violazione delle procedure aziendali ed era tale da giustificare, ai sensi del punto 6 dell'art. 21 CCNL, il recesso ma non in tronco, escludendo pertanto una gravità tale da non consentire la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto di lavoro.

    24. La ratio decidendi, giuridicamente, è corretta perchè il notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro (cd. giustificato motivo soggettivo), ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 1, comporta in linea generale il differimento dell'estinzione del rapporto al termine di un periodo di preavviso salvo che non ricorrano ipotesi di giusta causa (art. 2119 c.c., richiamato dall'art. 1 citato), non ravvisate nel caso in esame perchè, conformemente a quanto previsto dalla disciplina collettiva, è stata ritenuta mancante -con argomentazioni logiche e adeguatamente motivate e, quindi, insindacabili in cassazione-nell'esecuzione dell'attività per conto proprio, la prova di un lucro per il lavoratore e/o di un danno per l'azienda.

    25. In conclusione, quindi, vanno condivise sia l'impostazione che le conclusioni dei giudici di merito i quali, esclusa la insussistenza dei fatti quanto alla contestazione n. 31 del 20.1.2015 nonchè la sussunzione della condotta accertata in una fattispecie sanzionata con misure conservative dalle disposizioni del contratto collettivo, ritenuti ricorrenti gli estremi del giustificato motivo soggettivo, rispetto a quelli della giusta causa, hanno considerato legittimo il recesso riconoscendo, conseguentemente, l'indennità di mancato preavviso.

    26. Alla stregua di quanto esposto devono essere rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale.

    27. La soccombenza reciproca induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

    28. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
    PQM
    P.Q.M.

    La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa tra le parti le spese di giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

    Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2019.

    Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2019
Avv. Antonino Sugamele

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