Licenziamento disciplinare e immutabilità della contestazione
Cass. Sez. Lav. 15 giugno 2020, n. 11540
Pres. Di Cerbo; Rel. Boghetich della Torre; P.M. Celeste; Ric. T.N.; Controric. I.I. S.p.A.
In tema di sanzioni disciplinari, sussiste una modifica della contestazione disciplinare solamente ove venga adottato un provvedimento sanzionatorio che presupponga circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle già contestate, non quando il datore di lavoro proceda ad un diverso apprezzamento e qualificazione dello stesso fatto.
La Corte d'appello, confermando la statuizione del giudice di primo grado, ha respinto il ricorso proposto dal lavoratore inteso ad ottenere la dichiarazione dell'illegittimità del licenziamento intimato per avere - nel suo ruolo di direttore dei lavori - posto in essere condotte illegittime quali la falsa attestazione nei libretti di misura e negli stati di avanzamento dei lavori sia dell'esecuzione di opere mai realizzate sia dell'esecuzione di opere realizzate in misura inferiore rispetto a quelle effettivamente contabilizzate, con conseguente formazione di contabilizzazioni non veritiere nonché per avere costretto i titolari di alcune imprese subappaltatrici ad eseguire lavori edili di ristrutturazione, a titolo gratuito o con compensi irrisori, presso un suo immobile, nonché a versare cospicue somme in denaro e ad assumere il figlio per alcuni mesi all'anno e per ingenti compensi.
La Corte territoriale ha ritenuto di escludere, a seguito di ampia disamina della lettera di contestazione disciplinare e della comunicazione di licenziamento, qualsiasi violazione del principio di immutabilità della contestazione e del diritto di difesa, sottolineando che i fatti contestati e sanzionati erano i medesimi e che l'eventuale ravvisata qualificazione in termini di colpa (anziché di dolo) dell'elemento soggettivo non modificava l'addebito disciplinare; la Corte ha aggiunto che non mutava la ricostruzione degli eventi la circostanza che i lavori fossero stati affidati "a corpo" piuttosto che "a misura", che il lavoratore non aveva avanzato alcuna richiesta di esibizione di documentazione o di incarico ad un consulente d'ufficio al fine di verificare la correttezza delle contabilizzazioni dei lavori non eseguiti come accertato in sede di indagini preliminari dal pubblico ministero (nell'ambito del processo penale pendente), che, infine, la condotta posta in essere non era contemplata dal c.c.n.l. applicato in azienda tra quelle punibili con sanzione conservativa e poteva, dunque, legittimamente applicarsi la sanzione del licenziamento in considerazione della gravità dell'addebito e in coerenza con i comportamenti elencati dalle parti sociali "a titolo indicativo" nell'ambito della sanzione espulsiva.
Avverso la sentenza della Corte d'appello ha proposto ricorso il lavoratore ma la Suprema Corte lo ha rigettato.
Per la Cassazione la sentenza impugnata si è correttamente conformata ai principi espressi in materia di immutabilità del fatto contestato. Invero, la Suprema Corte ha ripetutamente affermato che nel procedimento disciplinare a carico del lavoratore, l'essenziale elemento di garanzia in suo favore è dato dalla contestazione dell'addebito, mentre la successiva comunicazione del recesso ben può limitarsi a richiamare quanto in precedenza contestato, non essendo tenuto il datore di lavoro a descrivere nuovamente i fatti in contestazione per rendere puntualmente esplicitate le motivazioni del recesso e per manifestare come gli stessi non possano ritenersi abbandonati o superati. In virtù di detto principio, i fatti su cui si fonda il provvedimento sanzionatorio devono coincidere con quelli oggetto dell'avvenuta contestazione e il contraddittorio sul contenuto dell'addebito mosso al lavoratore può ritenersi violato (con conseguente illegittimità della sanzione, irrogata per causa diversa da quella enunciata nella contestazione) solo quando vi sia stata una sostanziale immutazione del fatto addebitato, inteso con riferimento alle modalità dell'episodio e al complesso degli elementi di fatto connessi all'azione del dipendente, ossia quando il quadro di riferimento sia talmente diverso da quello posto a fondamento della sanzione da menomare concretamente il diritto di difesa.
Per la Cassazione la Corte territoriale ha chiaramente pronunciato sulla censura relativa alla immutabilità del fatto contestato con particolare riguardo al profilo dell'elemento soggettivo nel senso del suo rigetto, avendo dapprima svolto una attenta disamina comparata del contenuto della lettera di contestazione disciplinare e di quello della lettera di licenziamento per giungere a respingere qualsiasi profilo di difformità in ordine alla condotta imputata al lavoratore, ed avendo, poi, aggiunto che anche una diversa qualificazione dell'elemento soggettivo della condotta (colpa anziché dolo) non era suscettibile di modificare i fatti addebitati al lavoratore, non conseguendo alcun pregiudizio al diritto di difesa.
07-07-2020 22:31
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