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Sentenza

Trapani. Prenotazione di una camera d'albergo online. L'offerta "no...
Trapani. Prenotazione di una camera d'albergo online. L'offerta "non rimborsabile" è vessatoria
Giudice di Pace di Trapani sentenza del 14 ottobre 2019.
Nelle pratiche commerciali attuali molto diffuse sono le prenotazioni on line di viaggi, soggiorni e servizi di vario genere. E il caso, sotteso alla sentenza oggetto di disamina, attiene proprio a una prenotazione on line di un'offerta alberghiera "non rimborsabile" e, dunque, agli effetti giuridici discendenti dalla mancata specifica sottoscrizione di siffatta clausola contrattuale pienamente qualificabile quale "vessatoria" ai sensi del disposto di cui all'art. 1341 c.c.

Invero, nella fattispecie di che trattasi l'attore premetteva: di aver concluso, a causa di un erroneo click sul computer, la procedura di prenotazione on line di un'offerta "non rimborsabile"; di aver provveduto alla cancellazione della suddetta prenotazione appena accortosi dell'errore; di non aver ottenuto il rimborso di quanto erroneamente pagato alla struttura alberghiera in conseguenza dell'indicato carattere "non rimborsabile" dell'offerta oggetto di contratto. Sulla base di tali allegazioni, l'attore evocava in giudizio il titolare della predetta struttura, dinanzi all'Ufficio del Giudice di Pace di Trapani, al fine di ottenere il rimborso della somma erroneamente corrispostagli.

Ebbene, deve preliminarmente rilevarsi che nella specie ricorre una particolare figura di contratto, poiché pattuito in via telematica, dunque, assimilabile al contratto a distanza (cfr. sent. Giudice di Pace Milano sez. II, 12 maggio 2009) in cui la stipulazione, ex art. 50 del D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206 meglio noto come Codice del consumo, avviene tra un professionista e un consumatore nell'ambito di un sistema di vendita o di prestazione di servizi a distanza, organizzato dal primo che, per tale contratto, impiega esclusivamente una o più tecniche di comunicazione a distanza sino e compresa la conclusione dello stesso.

Ciò posto, di precipuo interesse risulta la qualificazione, in termini giuridici, della "spunta" della casella concernente le condizioni generali di contratto, operata dall'utente della rete-attore, e in virtù della quale si giungeva alla conclusione del contratto di che trattasi. E, proprio su tale elemento, il Giudice de quo chiarisce che la digitazione eseguita dall'attore, nello specifico la summenzionata "spunta", non può ritenersi sostitutiva della firma del contraente. A ciò aggiungasi che, considerato il carattere vessatorio, a tutti gli effetti, delle clausole che impongono il pagamento di una penale in caso di disdetta ovvero di quelle che indicano l'adesione a un'offerta alberghiera come "non rimborsabile", l'eventuale "spunta" delle relative voci - non sostituendo la firma del contraente - comporta, quale inevitabile corollario, che le stesse rimangono prive di qualsivoglia effetto giuridico qualora non siano espressamente approvate dal medesimo. E tanto rinviene adeguato fondamento nel principio generale sancito dall'art. 1341 c.c. Tale disposizione, infatti, prevede espressamente che non hanno alcun effetto le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, «oneri particolarmente gravosi per la parte "debole" del contratto» (cfr. sent. Cass. civ. sez. III, 11 novembre 2015, n. 22984), come le limitazioni alla facoltà di recesso, qualora esse non siano state specificamente approvate per iscritto. Trattasi, peraltro, di nullità eccepibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento (cfr. Cass. civ. 9 febbraio 2004, n. 2429).

Invero e con particolare riferimento, per quanto d'interesse, alle condizioni generali di contratto, deve evidenziarsi che secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità sul punto l'obbligo della specifica approvazione per iscritto a norma dell'art. 1341 c.c. è rispettato anche nel caso in cui la sottoscrizione sia stata apposta «specificamente in calce ad un richiamo operato non a tutte ed indistintamente le clausole contrattuali, ma solo ad alcune di esse, evidenziandosi che oltre al richiamo numerico delle stesse, vi è pure una, benché sintetica, indicazione del contenuto, così risultando rispettata l'esigenza di tutela codificata nell'art. 1341 c.c., dovendo reputarsi essere stata l'attenzione del contraente, ai cui danni le clausole sono state predisposte, adeguatamente sollecitata e la sua sottoscrizione in modo consapevole rivolta specificamente proprio anche al contenuto a lui sfavorevole ed è proprio questo il discrimine per la validità delle forme di specifica approvazione ai sensi dell'art. 1341 c.c.…» (Cass. civ. sez. VI - 3, ord., 9 luglio 2018, n. 17939).

Tanto chiarito, appare evidente che le particolari modalità di conclusione del contratto oggetto di causa pongono effettivamente delle problematiche in ordine all'idoneità o meno della semplice "spunta", operata dall'attore, quale espressione di consenso e accettazione delle condizioni generali, comprese quindi le clausole qualificabili quali vessatorie, propostegli dal titolare della struttura alberghiera pubblicante l'offerta on line oggetto del contratto contestato.

Ed infatti, imprescindibile risulta la necessità di chiarire se la "spunta" apposta dall'utente della rete de quo possa ritenersi rispettosa del requisito della specificità della sottoscrizione imposto dal secondo comma dell'art. 1341 c.c. Ebbene, proprio su tale aspetto si è recentemente pronunciata la Sezione VI del Giudice di Pace di Milano, con sentenza del 28 gennaio 2019, precisando che «In tema di contratti, il procedimento "point and click", che è una modalità di conclusione dei contratti utilizzata nel commercio elettronico e che prevede che la volontà negoziale del contraente rispetto a un modulo negoziale "on line" sia espressa compilando i campi elettronici di volta in volta proposti e cliccando sul pulsante previsto per l'accettazione, pur valendo come consenso contrattuale, non è idonea a soddisfare il requisito della specifica approvazione della clausola vessatoria così come richiesta dall'art. 1341, comma 2 c.c., poiché con tale modalità non è garantita l'attenzione del contraente debole verso la clausola a lui sfavorevole, in quanto ricompresa tra le altre richiamate». Dunque, le peculiari modalità che, anche nella specie, fondano l'accettazione delle condizioni generali di contratto da parte dell'attore, non possono considerarsi rispettose del sopra menzionato principio generale codicisticamente preposto alla tutela della parte "debole" del contratto unilateralmente predisposto, per come giustamente rilevato anche nella sentenza in commento.

Ne consegue, quindi, la corretta declaratoria di accoglimento della domanda attorea, pronunciata dal Giudice de quo, che, proprio alla luce dei principi sopra esposti ha dichiarato la vessatorietà della clausola "non rimborsabile", contemplata nel contratto oggetto di causa, e condannato il convenuto sia a rimborsare all'attore l'importo corrispostogli, oltre interessi legali dalla data del fatto e sino all'effettivo soddisfo, sia al pagamento delle spese e competenze di lite.
Avv. Antonino Sugamele

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