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Sentenza

Sulla prelazione agraria....
Sulla prelazione agraria.
Cass. civ., sez. III, ord., 17 novembre 2023, n. 31996

Presidente Scarano - Relatore Guizzi

Fatti di causa

1. M.B. ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 772/20, del 23 luglio 2020, della Corte d'appello di Ancona, che - respingendone il gravame esperito avverso la sentenza n. 1142/18, del 30 ottobre 2018, del Tribunale di Macerata - ha confermato l'accoglimento della domanda, proposta nei suoi confronti dall'Istituto diocesano per il sostentamento del clero della diocesi di (omissis) (d'ora in poi, "Istituto diocesano"), di accertamento dell'occupazione abusiva di un fondo rustico con sovrastante fabbricato, nonché di condanna al rilascio dello stesso e al risarcimento dei danni.

2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierno ricorrente di essere stato convenuto in giudizio dall'Istituto diocesano, il quale - sul presupposto dell'intervenuta risoluzione automatica, alla scadenza del quinquennio pattuito, del contratto di affitto concluso con il M. il (omissis) - agiva perché fosse accertata l'occupazione ormai abusiva dell'immobile, nonché disposta la condanna del convenuto a rilasciarlo, oltre che a risarcire il danno cagionato.

Il M. resisteva all'avversaria domanda, eccependone, in via preliminare, l'improcedibilità per mancato espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione, atteso che - per causa, a suo dire, ad esso non imputabile - non gli era stata recapitata la comunicazione "PEC" di convocazione, a tale fine, presso l'Istituto provinciale per l'agricoltura.

Nel merito, il convenuto deduceva di aver esercitato - all'esito di notifica di preliminare di compravendita, concluso il (omissis) dall'Istituto diocesano con terzi - il diritto di prelazione, manifestando, con la stessa missiva del 2 agosto 2017, la volontà di avvalersi della sospensione del termine di tre mesi per il pagamento del prezzo prevista dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, comma 7, stante l'intervenuta richiesta, alla Regione Marche, di erogazione di mutuo agevolato ai sensi dell'art. 1 della stessa legge.

Ciò nonostante, l'Istituto diocesano, con raccomandata del 12 settembre 2017, diffidava il M. a rilasciare l'immobile, e ciò - a dire dell'odierno ricorrente - in modo inspiegabile, dato che la fase istruttoria relativa alla concessione del richiesto finanziamento non si era affatto conclusa con un diniego (condizione verificatasi la quale viene meno, sempre ai sensi del già citato comma 7 della L. n. 590 del 1965, art. 8 la sospensione del termine trimestrale per il pagamento del prezzo di acquisto).

Il giudice di prime cure accoglieva la domanda, con decisione confermata in appello. La Corte dorica condivideva, innanzitutto, il rilievo, già svolto dal Tribunale maceratese quanto all'eccepita improponibilità della domanda, circa l'impossibilità di ricondurre alla nozione di forza maggiore l'inadempimento che il M. addebitava alla società da esso incaricata della gestione del servizio di posta elettronica certificata. Quanto, poi, al merito della domanda, il giudice di appello confermava la conclusione raggiunta dal primo giudice in ordine alla equiparazione, al diniego della concessione del mutuo (quale condizione ostativa all'operatività della sospensione del termine per il pagamento del prezzo di acquisto da parte del prelazionario), dell'impossibilità di avviare ad istruttoria la relativa istanza. Esito, questo, che era stato motivato dall'Ispettorato provinciale per l'agricoltura - già con comunicazione dell'8 settembre 2017 (poi ulteriormente precisata il 18 settembre dell'anno successivo) - sul rilievo dell'assenza di una normativa regionale "ad hoc", che consentisse, nella situazione in cui versava il M. , la concessione del mutuo.

3. Ha resistito all'avversaria impugnazione, con controricorso, l'Istituto diocesano, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c.

5. Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Ragioni della decisione

6. Con il primo motivo è denunciata - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) - nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 11, commi 3 e 4.

La sentenza è impugnata nella parte in cui la corte di merito ha escluso l'improponibilità della domanda, per carenza di regolare svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, avendo negato la possibilità di ascrivere a causa di forza maggiore la mancata ricezione, da parte del M. , della notifica di convocazione presso l'Istituto provinciale per l'agricoltura, sebbene conseguenza di un inadempimento della società, incaricata dall'odierno ricorrente, della gestione del servizio di posta elettronica certificata dal medesimo fruito.

Il motivo è articolato in più censure, la prima delle quali è basata sull'assunto che "la Pubblica Amministrazione ha, innanzitutto, omesso la notifica cartacea" al M. , necessaria, invece, "ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 11, comma 3".

Si ribadisce, in secondo luogo, la riconducibilità della fattispecie in concreto verificatasi a quella di impossibilità di conoscenza, per causa di forza maggiore (si richiama, al riguardo, Cass. Sez. 3, ord. 21 agosto 2018, n. 20850), dello svolgimento del tentativo di conciliazione, con conseguente improponibilità della domanda giudiziale (è citata Cass. Sez. 3, sent. 20 marzo 2018, n. 6839).

Infine, si assume la violazione pure del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 11, comma 4 attesa la necessità di indirizzare anche al legale del M. - che aveva già ricevuto mandato di rappresentare lo stesso nei confronti dell'Istituto diocesano - la comunicazione dell'avvenuta fissazione del tentativo di conciliazione presso l'Istituto provinciale per l'agricoltura.

6.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte non fondato.

6.1.1. Quanto, infatti, alla prima censura, quella secondo cui la notifica dell'atto di convocazione sarebbe dovuta avvenire nelle forme cartacee, in disparte il profilo relativo all'inammissibilità della questione per novità (della stessa non dà, infatti, conto la sentenza impugnata; cfr. Cass. Sez. 2, ord. 24 gennaio 2019, n. 2038, Rv. 652251-02), del tutto corretto è il rilievo svolto dalla Corte territoriale, secondo cui il D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 48, comma 2 (c.d. "Codice dell'Amministrazione Digitale") equipara la trasmissione di documento informatico alla notificazione a mezzo posta. Del resto, come rileva - del pari, correttamente - il controricorrente, questa Corte ha affermato che "la posta elettronica certificata è il sistema che, per espressa previsione di legge (D.P.R. 11 Febbraio 2005, n. 68) consente di inviare e-mail con valore legale equiparato ad una raccomandata con ricevuta" (così, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 21 agosto 2019, n. 21560, Rv. 654818-01, non massimata sul punto).

La censura, dunque, non è fondata.

6.1.2. In merito, invece, alla circostanza - oggetto della seconda censura - dedotta dal ricorrente di essere stato impossibilitato a prendere conoscenza della comunicazione, per causa di forza maggiore, individuata nell'inadempimento della società incaricata della gestione del servizio di posta elettronica certificata, deve rilevarsi quanto segue. Premesso che il precedente citato nell'illustrazione del motivo (Cass. Sez. 3, ord. 21 agosto 2018, n. 20850) non è conferente, concernendo un caso di irregolarità della notificazione, irregolarità qui neppure allegata, dirimente è la circostanza che tale inadempimento - del quale non sono neppure meglio specificati i caratteri - non risulti essere stato accertato, donde il carattere puramente ipotetico della questione, donde l'inammissibilità per difetto di specificità.

6.1.3. Infine, quanto alla dedotta necessità - oggetto della terza censura - che la comunicazione fosse inviata (anche) al legale del M. , a fronte della chiara lettera della legge che individua "la parte" quale destinataria della stessa, non potrebbe postularsi un'interpretazione estensiva del suo dettato. Difatti, proprio perché il mancato esperimento del tentativo di conciliazione comporta l'improponibilità della successiva domanda giudiziale, della norma che lo contempla va data una "stretta" interpretazione.

Pertanto, nell'interpretazione di norme che prevedono una condizione di proponibilità della domanda, valgono gli stessi criteri ermeneutici operanti per le norme che contemplino condizioni di procedibilità, giacché l'improponibilità, non meno dell'improcedibilità, si pone "quale conseguenza sanzionatoria di un comportamento procedurale omissivo, derivante dal mancato compimento di un atto espressamente configurato come necessario nella sequenza procedimentale", sicché la stessa "dev'essere espressamente prevista" (così, in motivazione, Cass. Sez. 2, sent. 8 settembre 2017, n. 20975, Rv. 645551-01). Se è vero, infatti, che "l'art. 24 Cost., laddove tutela il diritto di azione, non comporta l'assoluta immediatezza del suo esperimento, ben potendo la legge imporre oneri finalizzati a salvaguardare "interessi generali", con le dilazioni conseguenti" (così Corte Cost., sent. 13 luglio 2000, n. 276), resta, nondimeno, inteso che il rispetto del diritto costituzionale di azione non solo esige che la cd. "giurisdizione condizionata" sia oggetto di un'espressa previsione di legge, ma anche "che le condizioni di procedibilità" (ma lo stesso è dirsi per quelle di proponibilità) "stabilite dalla legge non possono esser aggravate da una interpretazione che conduca ad estenderne la portata" (così, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 21 gennaio 2004, n. 967, Rv. 569540-01).

7. Con il secondo motivo denuncia - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) - violazione o falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 2.

Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha accertato la legittimità del contratto preliminare e della conseguente "denuntiatio" al prelazionario, "nonostante il fondo fosse costituito da plurime porzioni con destinazioni differenti" e dunque trattandosi di compravendita in blocco e a prezzo unico.

In particolare, censura l'affermazione della Corte territoriale, dalla stessa suffragata richiamando pure un arresto di questo giudice di legittimità (Cass. Sez. 3, sent. 6 agosto 2002, n. 11757), secondo cui la previsione contenuta nella L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 2, in base alla quale il diritto di prelazione agraria non spetta "rispetto a terreni che in base ai piani regolatori, anche se non ancora approvati, siano destinati ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica, non osta alla applicabilità della disciplina della prelazione agraria all'intero contratto nel caso in cui l'alienante venda ad un prezzo globale il suo intero fondo del quale faccia parte una porzione compresa in zona destinata ad usi turistici, quando, sia per valore che per superficie, la zona agricola sia prevalente sull'altra, in quanto la prevalenza del contratto speciale relativo ai terreni anche urbanisticamente agricoli comporta l'assorbimento, nella prevalente disciplina speciale, del meccanismo giuridico traslativo concernente i terreni non agricoli, con estensione al loro acquisto degli elementi normativi peculiari di quella disciplina".

Siffatta affermazione, sottolinea, "cozza in modo evidente con il dettato normativo", visto che la L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 2 esclude espressamente la prelazione "quando i terreni in base a piani regolatori, anche se non ancora approvati, siano destinati ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica".

7.1. Il motivo è inammissibile.

Premesso che l'ammissibilità del motivo è dubbia già alla luce dell'eccezione, sollevata dall'Istituto diocesano, di carenza d'interesse del M. in relazione ad esso (atteso che - come rilevato dal primo giudice - l'eventuale invalidità del preliminare, e dunque della "denuntiatio", non potrebbe incidere sull'intervenuta scadenza del contratto di affitto, lasciando così permanere l'obbligo del rilascio), tale esito è imposto, vieppiù, dalle seguenti considerazioni.

Innanzitutto, il motivo è articolato in violazione dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), giacché non riproduce - nè localizza nel fascicolo di parte - i documenti sui quali si fonda, asseritamente idonei a dimostrare la fondatezza della censura formulata, ciò che esclude che il ricorrente abbia provveduto a soddisfare quell'onere di "puntuale indicazione" (cfr. Cass. Sez. Un, ord. 18 marzo 2022, n. 8950, Rv. 664409-01), che è richiesto da tale norma, pur nell'interpretazione "non formalistica" che di essa - in base al testè citato arresto delle Sezioni Unite di questa Corte - s'impone alla luce della sentenza della Corte EDU Succi e altri c. Italia, del 28 ottobre 2021.

Inoltre, il motivo è fondato su di un presupposto errato, atteso che la sentenza impugnata ha escluso - diversamente da quanto assume il ricorrente - che il fondo fosse costituito da plurime porzioni, con destinazioni differenti. Si legge, infatti, in sentenza che "il fondo oggetto del preliminare notificato all'affittuario risulta coincidere esattamente con quello concesso al medesimo in affitto e, quindi, destinato essenzialmente ad uso agricolo", soggiungendo che "non si desume dall'esame della mera mappa catastale", prodotta in giudizio dallo stesso M. , "che una parte dei predetti fondi abbia natura o vocazione di area edificabile".

A fronte di tali risultanze che emergono dalla sentenza impugnata, il ricorrente assume, invece, che "per delimitare l'oggetto della prelazione si rende necessario individuare quali sono i terreni che sono espressamente esclusi dall'esercizio di tale diritto", ribadendo che, nella specie, "a fronte di una superficie complessiva del terreno" che "risulta pari a 20,7187 ettari", una "porzione di 7.600 metri quadrati è classificata dal punto urbanistico come area edificabile residenziale". In questo modo, però, è messo in discussione l'accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito, prima ancora che il riferimento della sentenza impugnata - da intendersi come mero "obiter dictum", a fronte della ritenuta esclusione che anche solo una parte dei fondi oggetto di causa avesse natura o vocazione di area edificabile - all'arresto di questa Corte secondo cui non osta alla applicabilità della disciplina della prelazione agraria all'intero contratto la circostanza che rispetto a taluni terreni, in base ai piani regolatori, anche se non ancora approvati, emerga la destinazione ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica.

Essendo, dunque, messo in discussione l'accertamento di fatto, ne consegue che il vizio prospettato non è neppure astrattamente riconducibile a quello di violazione di legge, se è vero che esso "consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità" ("ex multis", Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 65254902), e ciò in quanto il vizio di sussunzione "postula che l'accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito" (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01). Ne consegue, quindi, che il "discrimine tra l'ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l'ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa" (così, in motivazione, Cass. Sez., Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442); evenienza, quest'ultima, che ricorre nel caso di specie, visto che il presente motivo sollecita, in realtà, un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie.

8. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) - violazione o falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, art. 8, commi 7 e 8, ovvero dell'art. 1354 c.c.

Censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte di merito ha accertato lo spirare del termine trimestrale di sospensione, invocato da esso M. per poter efficacemente esercitare il diritto di prelazione, assimilando il mancato avvio dell'istruttoria per l'erogazione del finanziamento, in difetto di normativa regionale "ad hoc", al diniego del finanziamento a conclusione dell'istruttoria, ovvero la sola circostanza espressamente prevista dalla L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 7.

Secondo il ricorrente non sarebbe "giuridicamente sostenibile accostare l'ipotesi normativamente disciplinata, ovvero l'espresso diniego a fronte dell'avvenuta istruttoria, a quanto verificatosi nel caso di specie", sicché l'iniziativa per il rilascio del fondo sarebbe stata assunta dall'Istituto diocesano, in data 21 giugno 2018, ancora in pendenza del termine - stante la perduranza della sua sospensione, L. n. 590 del 1965, ex art. 8, comma 7, - per il pagamento del prezzo da parte del prelazionario.

Ma vi sarebbe di più.

Si sottolinea, infatti, come sia stato lo stesso Istituto diocesano ad ammettere, nella propria comparsa di risposta, di aver subordinato l'efficacia del preliminare di vendita concluso con terzi alla condizione del mancato valido esercizio del diritto di prelazione, nel termine di trenta giorni, da parte dell'affittuario, di talché, l'assoluta e originaria irrealizzabilità dell'evento (stante la mancanza di normativa che consentisse la concessone del richiesto finanziamento) avrebbe determinato, ex art. 1354 c.c., la nullità del contratto, rilevabile d'ufficio.

8.1. Il motivo non è fondato.

Il ricorrente propone una lettura meramente formalistica dalla L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 7, norma che ricollega "al diniego del finanziamento a conclusione dell'istruttoria" il venir meno della sospensione del termine trimestrale per il pagamento del prezzo, da parte del prelazionario. Invero, la finalità della norma è chiarissima, ed è quella di sancire la ripresa del decorso del termine per il pagamento del prezzo - e dunque la cessazione del protrarsi di una situazione di incertezza circa la destinazione del bene oggetto di "denuntiatio" (Cass. Sez. 3, sent. 14 febbraio 2007, n. 3255, Rv. 598200-01) - quando il finanziamento risulti, con certezza, non erogabile. Orbene, poiché tale è la condizione che si verifica anche quando l'istruttoria per l'erogazione del finanziamento neppure possa avere luogo, non vi è ragione per distinguere le due ipotesi.

Quanto, invece, alla dedotta violazione dell'art. 1354 c.c. (norma che contempla la nullità del contratto sottoposto a condizione sospensiva se "l'evento con essa previsto è irrealizzabile originariamente, per ragioni fisiche o giuridiche"; cfr. Cass. Sez. 3, sent. 16 luglio 1976, n. 2834, Rv. 381584-01), è sufficiente rilevare che, nel caso in esame, l'evento oggetto della clausola condizionale - "sospensiva negativa" - era il mancato esercizio del diritto di prelazione, e non invece il rilascio del mutuo; sicché non può dirsi che il mancato esercizio della prelazione fosse, nella specie, irrealizzabile "ab origine", dal momento che il M. avrebbe potuto procurarsi in altro modo quanto necessario per poter utilmente esercitare il diritto di prelazione, provvedendo al pagamento del prezzo di acquisto.

9. Con il quarto motivo denuncia - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) - nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c.

Censura la sentenza per avere la corte di merito omesso ogni valutazione e decisione allo specifico motivo di appello, con il quale era stata dedotta la perduranza della sospensione del termine per il pagamento del prezzo di acquisto, in ragione dell'avvenuta presentazione, il 29 settembre 2017, di un'ulteriore richiesta di mutuo, ancora in istruttoria, alla Banca Credito Commerciale di Falconara Marittima.

9.1. Il motivo è inammissibile.

Sebbene l'omissione sia indubbia, il motivo non può essere, comunque, accolto.

Poiché dalla sentenza di primo grado - la cui disamina è consentita a questa Corte, essendo stato denunciato con il presente motivo un "error in procedendo", in relazione al quale essa è giudice del fatto, e dunque abilitata a prendere visione degli atti processuali (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 22 maggio 2012, n. 8077, Rv. 622361-01) - emerge una carenza di prova circa l'effettivo avvio dell'istruttoria per conseguire il richiesto finanziamento alla Banca Credito Commerciale di Falconara Marittima, tale circostanza priva la lamentata omissione del carattere della "decisività", donde l'inammissibilità del presente motivo.

Va dato, infatti, seguito al principio secondo cui "la censura concernente la violazione dei "principi regolatori del giusto processo" e cioè delle regole processuali ex art. 360 c.p.c., n. 4), deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia" (così, da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 15 ottobre 2019, n. 26087, Rv. 655459-01).

10. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.000,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Avv. Antonino Sugamele

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