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Sentenza

 Malpractice medica – Responsabilità contrattuale - Responsabilità extracontrat...
Malpractice medica – Responsabilità contrattuale - Responsabilità extracontrattuale.

Pertanto, per i danni invocati iure proprio dagli attori (danno da lesione o perdita del rapporto parentale), la natura della responsabilità della struttura sanitaria è qualificabile come extracontrattuale (art. 2043 c.c.).

Con riferimento alla figura dei terzi protetti dal contratto, il suo campo di applicazione deve essere circoscritto - nell’ambito della responsabilità medica - al solo sottosistema in cui vengono in rilievo quelli che vengono definiti come wrongful birth damages, sicché al di fuori di queste ipotesi l’azione per perdita (o lesione) del rapporto parentale è di natura solo aquiliana.

Segnatamente, nell’ambito delle prestazioni mediche, la figura del contratto con efficacia protettiva verso terzi trova il suo luogo di emersione con riferimento alle relazioni contrattuali intercorse tra la puerpera e la struttura sanitaria (e/o il professionista) che ne segua la gestazione e/o il parto, atteso che la prima si atteggia alla stregua di un soggetto, per così dire, “esponenziale” degli interessi, oltre che dello stesso nascituro, anche di tutti gli altri soggetti appartenenti allo stretto nucleo familiare in cui il medesimo, una volta nato, andrà ad inserirsi.

Il tratto distintivo della responsabilità contrattuale risiede nella premessa della relazionalità, da cui la responsabilità conseguente alla violazione di un rapporto obbligatorio, sicché il danno derivante dall’inadempimento dell’obbligazione non richiede la qualifica dell’ingiustizia, che si rinviene nella responsabilità extracontrattuale, perché la rilevanza dell’interesse leso dall’inadempimento non è affidata alla natura di interesse meritevole di tutela alla stregua dell’ordinamento giuridico, come avviene per il danno ingiusto di cui all’art. 2043 c.c., ma alla corrispondenza dell’interesse alla prestazione dedotta in obbligazione, essendo, dunque, la fonte contrattuale dell’obbligazione che conferisce rilevanza giuridica all’interesse regolato
della sua integrazione, sono state rilevate condotte omissive da parte
dei sanitari, le quali, è stato accertato, hanno avuto conseguenze
rispetto al lamentato decorso, ponendosi, pertanto, in rapporto
eziologico diretto con la preclusione della possibilità di scongiurare il
decesso della stessa.
In particolare, le mancanze ravvisate, e individuate nel ritardo di
diagnosi dello stato settico e nella conseguente mancata/ritardata
adozione dei corretti provvedimenti diagnostici e terapeutici, sono
state determinanti ed incidenti sull'evoluzione della situazione della
paziente considerato che il ctu, premesso che la valutazione
diagnostica-terapeutica del caso in esame non richiedeva problemi
tecnici di speciale difficoltà, ha concluso nel senso che “nel corso del
relativamente breve periodo tempo intercorso tra l'ingresso della
paziente nell'### (ore 20:04 del 17.06.2016) e la constatazione del
decesso (ore 15:20 del 18.06.2016) si verificarono plurime omissioni
di natura diagnostica e terapeutica - deducibili: ● dalla completa
mancanza di osservazioni mediche ed infermieristiche dopo le ore
1:00 e prima delle ore 06:00 del 18.06.2016; ● dalla inadeguatezza
della somministrazione di ### farmaco antipsicotico fenotiazinico,
### e ### paracetamolo, a fronte dell'aggravamento del quadro
clinico, avvenuta alle ore 06:00 del 18.06.2016; ● dalla tardività della
consulenza rianimatoria, registrata alle ore 9:15 del 18.06.2016,
essendo trascorse 13 ore dall'ingresso della paziente; ● dalla assenza
di richiesta e/o di effettuata una consulenza infettivologica; ● dalla
tardività della prima somministrazione di terapia antibiotica, avvenuta
alle ore 11:00 del 18.6.2017, dopo 15 ore dall'ingresso della paziente
presso la struttura ospedaliera - in violazione delle linee guida e delle
regole di buona pratica clinico-assistenziale in materia, come più
ampiamente illustrato in sede di considerazioni medico-legale”,
evidenziando che “gli altri antecedenti di natura patologica
preesistenti (sclerosi multipla, obesità e recente frattura peroneale)
possono soltanto aver dispiegato un secondario ruolo concausale. (…)
nella specie l'evento morte sarebbe stato prevedibile ed evitabile, ove
gli elementi sintomatologici presenti fin dall'accesso in ### fossero
stati correttamente interpretati e, sulla base di essi, fosse stato
attuato un tempestivo e corretto percorso diagnostico e terapeutico
che, secondo i criteri prognostici ### illustrati in sede di
considerazioni medico-legali, avrebbe consentito con elevata
probabilità la sopravvivenza della paziente” (cfr. pagg. 40 e 41
elaborato peritale del 15.4.2022) e che in sede di consulenza
integrativa lo stesso ctu, ### di ### medico chirurgo, coadiuvato,
su autorizzazione, dallo specialista infettivologo nella persona del
### ha precisato, sullo specifico quesito integrativo conferito con
ordinanza del 18.11.2023 di rimessione della causa sul ruolo
istruttorio, che “è ragionevole ritenere, (…), che la comorbosità
potenzialmente influente sulla evoluzione del processo settico,
ovverosia la sclerosi multipla costitutiva dello stato anteriore del
soggetto, abbia accelerato l'evoluzione peggiorativa culminata nel
decesso. Tuttavia, proprio perché anamnesticamente nota ai sanitari
fin dall'accesso in ### la cognizione di tale preesistente patologia
avrebbe dovuto indurre i sanitari a porre in essere immediatamente e
senza alcun indugio le misure terapeutiche (antibioticoterapia e
sostegno volemico) indicate dalle ### guida in materia, in attesa di
un chiarimento etiopatogenetico attraverso i risultati di altrettanto
solleciti esami colturali. Le une (misure terapeutiche) e gli altri (esami
colturali) ebbero attuazione con grave ritardo, posto che la prima
somministrazione di terapia antibiotica risulta essere avvenuta
soltanto alle ore 11:00 del 18.06.2017, dopo 15 ore dall'ingresso della
paziente presso la struttura ospedaliera, mentre gli esami colturali
risultano essere stati eseguiti non prima delle ore 9:15 dello stesso
giorno 18.06.2017, come da annotazione relativa alla ###
rianimatoria” (crf. Pag. 9 elaborato peritale integrativo del 5.3.2024),
in particolare poi “la principale cura per combattere la sepsi di
qualunque grado, in ogni caso, è la terapia antibiotica. In genere, gli
antibiotici sono somministrati direttamente in vena tramite una flebo.
Idealmente, la cura antibiotica dovrebbe iniziare entro un'ora
dall'accertamento della malattia ### per ridurre il rischio di
complicazioni o di morte. In genere, nell'attesa dei risultati
dell'emocoltura, analisi che identifica il tipo di batteri responsabili
dell'infezione, sono somministrati antibiotici ad ampio spettro in grado
di combattere molte varietà di batteri e curare le infezioni più comuni
(terapia empirica). Una volta individuato il batterio responsabile
dell'infezione, la cura con gli antibiotici ad ampio spettro viene
sostituita da una terapia antibiotica mirata, a spettro limitato. Quanto
al sostegno volemico, in caso di sepsi vanno in ogni caso e di norma
somministrate ai pazienti grandi quantità di liquidi per contrastare la
disidratazione e l'insufficienza renale, prima che si verifichi il crollo
ipotensivo caratteristico dello shock settico, e non già dopo che tale
crollo si sia verificato e cioè che sia subentrato lo shock settico.
Il trattamento erogato alla paziente, nel caso in esame, fu totalmente
difforme dalle suddette elementari prescrizioni. (…) Per quanto
concerne l'incremento di mortalità dovuto alla minore resistenza
all'infezione da parte di un organismo “fragile” a causa di una
importante comorbilità (nella specie: la sclerosi multipla), si deve
ribadire la risposta al II quesito della presente integrazione, ossia le
rispettive percentuali di mortalità (sepsi 7-17%; sepsi severa 20-
53%; shock settico 53-63%) e l'idoneità causale della sclerosi
multipla ad accelerare l'evoluzione peggiorativa culminata nel
decesso. Tuttavia, proprio perché anamnesticamente nota ai sanitari
fin dall'accesso in ### la cognizione di tale preesistente patologia
avrebbe dovuto indurre i sanitari a porre in essere immediatamente e
senza alcun indugio le principali misure terapeutiche
(antibioticoterapia empirica e sostegno volemico) indicate dalle ###
guida in materia, in attesa di un chiarimento etiopatogenetico
attraverso i risultati di altrettanto solleciti esami colturali.” (cfr. pagg.
25, 26 e 27 elaborato peritale integrativo del 5.3.2024).
Alla luce di quanto sopra, il ctu ha concluso affermando che in
presenza di una tempestiva e corretta assistenza diagnostica e
terapeutica, la sig.ra ### avrebbe avuto una “elevata probabilità di
sopravvivere”, tenuto conto che, in considerazione delle patologie
pregresse di cui era affetta, vale a dire obesità e sclerosi multipla, il
tasso di mortalità della paziente fin dal momento del ricovero, pur
rilevanti e più prossime al massimo del range identificato per la sepsi
severa (dal 20 al 53%) non era pari o superiore al 50%, nello specifico
“l'evento morte sarebbe stato prevedibile ed evitabile, ove gli
elementi sintomatologici presenti fin dall'accesso in ### fossero stati
correttamente interpretati e, sulla base di essi, fosse stato attuato un
tempestivo e corretto percorso diagnostico e terapeutico che, secondo
i criteri prognostici ### illustrati in sede di considerazioni
medicolegali, avrebbe consentito con elevata probabilità la
sopravvivenza della paziente” (cfr. pagg. 41 e 42 elaborato peritale
del 15.4.2022), nonché “in ogni caso, ammesso pure che le riportate
“normali” percentuali di mortalità (sepsi 7-17%; sepsi severa 20-
53%; shock settico 53-63%) nel caso di specie si debbano ora (ex
post) ritenere aumentate in ragione della sclerosi multipla e che,
quindi, uno stato di “sepsi severa” (quale può qualificarsi la condizione
della ###ra ### al momento del ricovero presso l'### comportasse
un rischio di mortalità più prossimo alla misura “massima” del 53%
piuttosto che a quella “minima” del 20%, appare piuttosto arduo
sostenere che fin dal momento del ricovero il divenire clinico della
paziente fosse gravato da una mortalità pari o superiore al 50%” (cfr.
pag. 27 elaborato peritale integrativo del 5.3.2024).
Le conclusioni cui è giunto l'ausiliario del giudice in ordine alla
negligenza ed omissioni quanto all'adozione dei corretti provvedimenti
diagnostici e terapeutici risultati non conformi alle linee giuda,
conclusioni cui si ritiene di aderire in quanto immuni da vizi e da
eccezioni di incoerenza o illogicità e svolte all'esito di operazioni
correttamente svolte e condotte con metodo scientifico e completo
delle osservazioni finali dopo le considerazioni dei ctp, puntualmente
e specificamente contraddette, rigettando la richiesta di parte
convenuta di formulazione di un espresso quesito a ctu specialista
infettivologo, considerata anche la concreta partecipazione e il
contributo all'elaborato peritale d'ufficio da parte del medico
specialista infettivologo ausiliario del ctu, hanno consentito invero di
acclarare che, in ragione della condotta dei sanitari, sono state
negate, alla paziente poi deceduta, delle chance terapeutiche, e quindi
negata la possibilità di risposte migliorative alle condizioni cliniche del
momento, con conseguente obbligo di parte convenuta al risarcimento
dei danni causati da intendersi quali privazione della possibilità di un
miglior risultato sperato, incerto ed eventuale (vale a dire la maggiore
durata della vita o la sopportazione di minori sofferenze) conseguente
- secondo gli ordinari criteri di derivazione eziologica - alla condotta
colposa del sanitario ed integrante evento di danno risarcibile (da
liquidare in via equitativa) soltanto ove la perduta possibilità, come
nel caso di specie in ragione di quanto emerso nella consulenza
tecnica espletata, sia apprezzabile, seria e consistente ( Cass. n.
28993/2019).
Quanto al risarcimento dei danni, invero, parte attrice lamenta un
danno non patrimoniale, iure hereditatis e iure proprio,
rispettivamente il danno da perdita di chance di guarigione e il danno
da perdita parentale, riconducibili alla condotta negligente, nonché
omissiva, accertata come sopra.
In riferimento al danno da perdita di chance, si ritiene di riconoscere
tale profilo di danno come danno a sé stante, distinto dal danno alla
salute in aderenza a quanto affermato dalla giurisprudenza della
Suprema Corte (cfr. Cass. n. 16993/2015 e Cass. n. 21245/2012) non
risultando, altresì, legato all'evento morte, ma è danno del tutto
peculiare e più specificatamente riferito alla perdita o alla
compromissione di chance di sopravvivenza della sig.ra ### Inoltre,
la prova del danno-evento e, dunque, della "chance", intesa quale
"perdita della possibilità di conseguire un risultato utile", non richiede
che si raggiungano determinate percentuali di verificazione
dell'occasione perduta, essendo sufficiente che si dimostri la lesione,
in sé, della "chance", anche "in presenza di margini statistico-
probabilistici inferiori alla soglia del 50%” (Cass. n. 7195/2014)
avendo altresì chiarito la giurisprudenza di legittimità che ove vi sia
incertezza sulle conseguenze quoad vitam dell'errore medico, come
nel caso di specie tenuto conto del quadro clinico già compromesso
della sig.ra ### al momento dell'ingresso in ospedale e della gravità
della sepsi in atto, già severa, nonché del grado di mortalità
ricollegabile a tale stato di sepsi in atto come individuata dal ctu (dal
20 al 53%) , “il paziente, o i suoi eredi "iure hereditario", potranno
pretendere il risarcimento del danno da perdita delle "chance" di
sopravvivenza, ricorrendone i consueti presupposti di serietà,
apprezzabilità, concretezza e riferibilità eziologica certa della perdita
di quella "chance" alla condotta in rilievo. In nessun caso sarà
risarcibile "iure hereditario" un danno da "perdita anticipata della
vita", risarcibile soltanto "iure proprio" ai congiunti quale pregiudizio
da minor tempo vissuto dal congiunto.” (cfr. Cass. n. 26851/2023)
Nella consulenza così come nella successiva integrazione, il ctu ha
ribadito che nel caso di sepsi severa, quale poteva qualificarsi la
condizione della paziente al momento del ricovero presso la struttura
ospedaliera, le probabilità di sopravvivenza erano legate
essenzialmente alla tempestività della diagnosi e del trattamento
terapeutico posto in essere. Posto che sussiste una condotta
connotata da negligenza ed omissione da parte dei sanitari del
nosocomio convenuto, poiché non davano esecuzione ai necessari
approfondimenti diagnostici che potevano rallentare l'evoluzione
somministrando tempestivamente terapia medica appropriata, nulla
di quanto sopra effettuato nei necessari tempi brevi, ne consegue che
risulta provato il nesso eziologico tra la condotta dei sanitari e le
lamentate perdite di chance per la paziente, preclusa quindi la
possibilità per la stessa di risposte migliorative alle condizioni cliniche
del momento.
Nel contesto di pregresse patologie di cui era affetta la sig.ra ###
(obesità e sclerosi multipla), l'opportuna assistenza diagnostica
terapeutica in favore della paziente avrebbe avuto una “elevata
probabilità di sopravvivere”, atteso che in “uno stato di “sepsi severa”
(quale può qualificarsi la condizione della ###ra ### al momento
del ricovero presso l'### comportasse un rischio di mortalità più
prossimo alla misura “massima” del 53% piuttosto che a quella
“minima” del 20%, appare piuttosto arduo sostenere che fin dal
momento del ricovero il divenire clinico della paziente fosse gravato
da una mortalità pari o superiore al 50%” (cfr. pag. 27 elaborato
peritale integrativo del 5.3.2024). Così descritto non appare che il
danno in esame possa costituire mera sovrapposizione di quello alla
salute, neppure sotto forma di personalizzazione, atteso che questo,
vale a dire il danno alla salute, attiene specificatamente ai postumi
permanenti o temporanei e quindi ad una effettiva lesione
concretamente verificatasi e non ad una mera possibilità che, la
mancata opportuna assistenza, diagnosi e cura, non ha potuto offrire
al paziente.
Deve dunque procedersi alla liquidazione del danno in conformità ai
principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità a ### richiamanti
il carattere unitario del danno non patrimoniale (cfr. Cass. n.
26972/2008).
Quanto ai criteri di liquidazione del danno richiesto, da effettuarsi
necessariamente in via equitativa, in assenza di parametri normativi,
si ritiene di doverli modulare in considerazione della vicenda clinica,
delle condizioni familiari e degli altri indici presenti nella situazione
concreta della parte lesa, apprezzabili in funzione del contenuto
specifico delle possibilità (di guarigione o di sopravvivenza) perdute,
ritenendo pertanto di liquidare per tale danno la somma complessiva
di € 100.000,00 da ritenersi già rivalutata all'attualità, tenuto conto,
da un lato, della indubbia gravità delle patologie già presenti nella
paziente, e, dall'altro, della ragionevole chance di sopravvivenza della
stessa allo stato di sepsi già accertabile al momento dell'accesso al
### Avendo parte attrice richiesto il risarcimento integrale del danno
subito su detta somma decorrono di diritto gli interessi legali sulla
somma sopra liquidata, avendo, detti interessi natura compensativa
del mancato godimento del predetto importo e concorrendo, con la
rivalutazione monetaria, alla reintegrazione del danneggiato nella
situazione patrimoniale antecedente il fatto illecito e da calcolarsi
anno per anno, sul valore della somma via via rivalutata nell'arco di
tempo compreso tra l'evento dannoso e la liquidazione.
Quanto invece al danno iure proprio per la perdita del rapporto
parentale si osserva che è stato precisato che il danno da morte di un
congiunto è ontologicamente diverso da quello che consegue alla
lesione dell'integrità psico-fisica e va al di là del crudo dolore che la
morte di una persona cara provoca nei congiunti prossimi
comportando una perdita irreparabile della comunione di vita e affetti
e dell'integrità della famiglia, ossia la distruzione di un sistema di vita
basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante
quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio e tra
fratello e fratello. Costituendo il danno morale dei congiunti una
sofferenza interna dei medesimi, esso non è accertabile con metodi
scientifici, e, il più delle volte, va individuato in base ad indizi e
presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi
per la sua configurabilità. La suprema Corte ha, infatti, rilevato che
“La morte di una persona cara costituisce di per sé un fatto noto dal
quale il giudice può desumere, ex art. 2727 cod. civ., che i congiunti
dello scomparso abbiano patito una sofferenza interiore tale da
determinare un'alterazione della loro vita di relazione e da indurli a
scelte di vita diverse da quelle che avrebbero altrimenti compiuto,
sicché nel giudizio di risarcimento del relativo danno non patrimoniale
incombe al danneggiante dimostrare l'inesistenza di tali pregiudizi”
(cfr. Cass. n. 10527/2011).
Nella liquidazione del danno si dovrà tuttavia tenere conto di quanto
affermato dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla necessità di
vagliare in concreto quale sia stata da un lato la sofferenza patita,
anche apprezzata nella sua prosecuzione nel tempo e dall'altra la
compromissione della sfera affettiva familiare da ciò derivata, il tutto
alla luce della allegazione e della prova - di cui è onerata parte attrice
- in ordine alle condizioni soggettive di vittima e congiunto, del grado
di parentela, delle rispettive età, dell'eventuale convivenza e di ogni
altro indice che la parte interessata abbia inteso sottoporre
all'attenzione del giudicante.
In merito alla liquidazione del danno, parte attrice ha chiesto la
condanna al risarcimento del danno parentale in considerazione del
fatto che “la sig.ra ### all'epoca del decesso, era molto attiva
all'interno della famiglia sia in termini di tempo che di energia. La
sig.ra ### era infatti una mamma amorevole e allo stesso tempo
educatrice, consigliera di vita per i figli, una nonna che faceva di tutto
per i propri nipoti. Un pilastro nella vita quotidiana degli attori la cui
prematura scomparsa ha provocato negli stessi un immane dolore e
senso di vuoto” (cfr. atto di citazione).
Gli elementi indicati, così come genericamente descritti, avrebbero
richiesto, in ogni caso, un'adeguata prova. A tale riguardo, infatti,
benché nel caso in esame la quantificazione del danno si basa su
criteri equitativi, si segnala che i dati da considerare al fine della
predetta quantificazione debbano in ogni caso investire la durata del
rapporto, l'intensità del vincolo familiare, la situazione di convivenza
e ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno
ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei
singoli superstiti considerando che tutti gli elementi indicati rendono
evidente il livello ed il grado di sofferenza patita da un congiunto a
causa del decesso di un parente.
Alla luce della documentazione in atti, gli unici dati che emergono
riguardano il fatto che alla data del decesso la sig.ra ### aveva 54
anni e che fosse affetta da obesità e sclerosi multipla e nessuna altra
prova è stata allegata con riguardo all'effettiva convivenza tra le parti,
alla durata della eventuale convivenza ed alle abitudini di vita
riguardanti tutti i componenti il nucleo familiare, assenti invero prove
circa la consistenza, l'intensità e le abitudini dei rapporti tra le odierne
parti e la de cuius.
Tenuto conto di quanto sopra nonché della circostanza che le parti
attrici iure proprio possono richiedere il danno da perdita parentale
relativamente all'incidenza della condotta dei sanitari quanto alla
perdita di chance di sopravvivenza determinata in capo alla propria
congiunta in ragione delle condotte omissive e intempestive tenute
durante il breve lasso di tempo dal ricovero presso la struttura
ospedaliera fino all'exitus infausto, si ritiene di provvedere alla
liquidazione di detto danno in via equitativa tenuto conto anche delle
già minori aspettative di vita della de cuius in ragione della patologia
di sclerosi multipla della quale la stessa era già affetta.
Pertanto, si ritiene di liquidare il danno come segue: in favore del
marito della de cuius, ### € 80.000,00; in favore di ciascun figlio
della de cuius € 40.000,00, somme da intendersi già rivalutate
all'attualità.
Anche sulle predette somme liquidate in conto capitale e già al valore
attuale, trattandosi di debito di valore, dovranno essere aggiunti, a
titolo di risarcimento del danno da lucro cessante, gli ulteriori importi
per il mancato godimento della somma liquidata a titolo di
risarcimento. Quanto al calcolo degli interessi compensativi, occorre
applicare il criterio elaborato nella sentenza della Corte di Cassazione
a ### 17.2.1995 n. 1712. In applicazione di tale criterio, al fine del
calcolo degli interessi, la somma capitale come sopra determinata
deve essere devalutata dalla data della pubblicazione della sentenza
alla data dell'illecito (18.6.2016) e sulla somma così ottenuta,
progressivamente rivalutata anno per anno in base agli indici ###
fino alla data della pubblicazione della sentenza, devono calcolarsi gli
interessi al tasso legale.
Sull'intera somma liquidata per sorte capitale e lucro cessante, tanto
iure hereditatis che iure proprio, decorrono gli interessi legali dal
giorno della pubblicazione della sentenza al saldo ex art. 1282 Le
spese di lite, liquidate come in dispositivo in base al valore
indeterminato della causa come indicato nell'atto di citazione (da
ritenersi di media importanza) e tenendo conto dei relativi parametri
di cui al D.M. 55/14, con applicazione dei valori medi per tutte le fasi
e dei valori massimi per la fase decisionale avendo provveduto alla
redazione delle memorie e repliche due volte in ragione della
rimessione della causa sul ruolo istruttorio per l'integrazione della ctu
come richiesta, seguono la soccombenza e devono pertanto porsi a
carico di parte convenuta e in favore degli attori, con distrazione nei
confronti del loro procuratore costituito, dichiaratosi antistatario.
Le spese di ctu, già liquidate con separato decreto, sono poste
definitivamente a carico di parte convenuta soccombente.
P.Q.M.
Il Tribunale di Viterbo in composizione monocratica, definitivamente
pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione disattesa, così
provvede: - condanna parte convenuta a pagare agli attori iure
hereditatis la somma complessiva di € 100.000,00, oltre ad interessi
compensativi nei limiti di cui in motivazione ed interessi legali dalla
data di pubblicazione della sentenza al saldo; - condanna parte
convenuta a pagare agli attori iure proprio la somma complessiva di
€ 80.000,00, in favore di ### ed € 40.000,00 in favore di ciascuno
dei figli della de cuius, ### e ### oltre ad interessi compensativi nei
limiti di cui in motivazione ed interessi legali dalla data di
pubblicazione della sentenza al saldo; - pone definitivamente a carico
di parte convenuta le spese di CTU già liquidate con separato
provvedimento; - condanna la convenuta ### di ### in persona del
rappresentante legale pro tempore, a rifondere agli attori le spese di
lite, liquidate, in complessivi € 15.545,00, di cui € 545,00 per spese
esenti ed € 15.000,00 per compensi, comprensivi di aumento ex art.
4, comma 2, D.M. 55/2014, oltre spese forfettarie generali al 15%,
iva e cpa come per legge, e da distrarsi in favore del loro procuratore
costituito, avv. ### dichiaratosi antistatario.
Avv. Antonino Sugamele

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