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Sentenza

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO - (Legge 23 dicembre 1978, n. 833; Legge 27 dice...
AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO - (Legge 23 dicembre 1978, n. 833; Legge 27 dicembre 1983, n. 730; articolo 11 della Carta sociale europea; Costituzione dell’O.M.S.; Convenzione Onu sui diritti delle Persone con disabilità)

In materia di rette per il ricovero presso strutture residenziali di pazienti affetti da malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer, le prestazioni devono essere qualificate come “prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria” a totale carico del Sistema Sanitario Nazionale (SSN), quando vi è inscindibilità e prevalenza delle prestazioni sanitarie rispetto a quelle socioassistenziali, con conseguente nullità di ogni accordo che preveda il pagamento delle rette da parte del paziente o dei suoi familiari. L’attività prestata in favore di soggetto gravemente affetto da morbo di Alzheimer ricoverato in istituto di cura è qualificabile come attività sanitaria, quindi di competenza del S.S. Nazionale, ai sensi dell’articolo 30 della legge n. 730 del 1983, non essendo possibile determinare le quote di natura sanitaria e detrarle da quelle di natura assistenziale, stante la loro stretta correlazione, con netta prevalenza delle prime sulle seconde, in quanto comunque dirette, anche ex articolo 1 del Dpcm 8 agosto 1985, alla tutela della salute del cittadino; ne consegue la non recuperabilità, mediante azione di rivalsa a carico dei parenti del paziente, delle prestazioni di natura assistenziale erogate dal Comune

    Tribunale Pordenone, sentenza 25 settembre 2025 n. 503 - Giudice Costa
Oggetto: altri contratti atipici.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1.1 Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato il 22 giugno 2020, il ricorrente Comune di S... (in
seguito anche solo ricorrente o Comune) ha chiesto al Tribunale di Pordenone di fissare udienza per
la comparizione delle parti, invitando la convenuta K.G. a costituirsi in giudizio e proponendo
contro costei le seguenti, testuali, domande:
"Voglia l'Ill. Tribunale di Pordenone, in accoglimento del ricorso,
nel merito:
- per le motivazioni di cui in narrativa, accertato e dichiarato che Z.P. era debitrice nei confronti della
C.R. del Comune di S... di Euro 52.421,52 per rette di degenza insolute dal luglio 2014 al decesso
avvenuto il 29.03.2017, accertare e dichiarare che la resistente G.K. è soggetto obbligato in solido al
pagamento delle rette per la degenza della madre Z.P. o, in via alternativa, accertare e dichiarare che
la resistente G.K. vi è tenuta quale unica erede universale di Z.P.;
- per l'effetto, condannare G.K. al pagamento, in favore del ricorrente Comune di S..., di Euro
52.421,52 oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla scadenza di ogni singola fattura al saldo;
spese di lite rifuse".
A sostegno di tali domande, il Comune ha dedotto:
- che il 10 febbraio 2014 P.Z., madre della convenuta, era stata accolta nella C.R. di S. - N.G., dedicato
alle "patologie dementigene in pazienti che deambulano in autonomia senza bisogno di ausili";
- che la relativa domanda era stata presentata dalla figlia nonché amministratrice di sostegno, in
quanto la gestione a domicilio della madre era divenuta difficoltosa;
- che contestualmente la signora G. aveva sottoscritto l'impegno a far fronte agli oneri economici di
pagamento della retta;
- che l'ammontare della retta di ospitalità a carico della ricoverata, come da regolamento, era stato
stabilito nei seguenti termini, in base alle delibere di Giunta del Comune di S..., tenuto conto della
condizione economica della beneficiaria e detratti i contributi regionali: per l'anno 2014 la retta
giornaliera era stata di Euro 49,50, calcolata detraendo dall'importo giornaliero di Euro 67,60 il
contributo regionale di Euro 16,60 ed Euro 1,50 per la situazione ISEE; per l'anno 2015 la retta
giornaliera era stata di Euro 52,50, calcolata detraendo dall'importo giornaliero di Euro 70,60 il
contributo regionale di Euro 16,60 ed Euro 1,50 per la situazione ISEE; per l'anno 2016 la retta
giornaliera era stata di Euro 53,00, calcolata detraendo dall'importo giornaliero di Euro 71,10 il
contributo regionale di Euro 16,60 il contributo regionale di Euro 1,50;
- che sin dal luglio 2014 l'amministrazione della C.R. aveva iniziato a registrare i mancati pagamenti
della retta di ricovero, essendo risultato vano il sollecito del 15 gennaio 2015;
- che a febbraio 2015 la convenuta, in qualità di amministratrice di sostegno della madre, aveva
comunicato al Giudice tutelare di aver interrotto il pagamento delle rette mensili, sostenendo, a
giustificazione di tale condotta, che, essendo la madre stessa affetta da morbo di Alzheimer, le
prestazioni sanitarie dovevano ritenersi prevalenti rispetto a quelle assistenziali e che, pertanto,
l'intero costo della retta andava posto a carico del S.S. nazionale o regionale, come asseritamente
statuito dalla Corte di Cassazione;
- di aver comunicato al Giudice tutelare, con missiva del 23 febbraio 2015, la situazione della
ricoverata, evidenziando che l'atteggiamento e le prese di posizione della amministratrice di
sostegno stavano creando disagio sia alla signora Z. che agli operatori della struttura e precisando,
altresì, di aver interessato gli uffici regionali preposti per ottenere dei chiarimenti su quanto
sostenuto dalla signora G. in merito alla debenza della retta di degenza;
- che la Regione, nel rispondere al quesito sottopostole, aveva ribadito, come già fatto in altre
occasioni, che la sentenza n. 4558/2012 della Suprema Corte non poteva essere considerata fonte di
diritto, ma era valevole unicamente fra le parti specifiche della controversia, rilevando che non era,
in ogni caso, possibile ricondurre ad una determinata patologia una correlata serie di prestazioni
socio-sanitarie e, conseguentemente, individuare secondo tale criterio l'istituzione competente ad
assumere i relativi costi;
- che vano era risultato anche altro sollecito di pagamento;
- che la procedura di negoziazione assistita, nelle more attivata dalla signora G., si era risolta con
verbale negativo;
- che il 29 marzo 2017 la signora Z. era deceduta;
- che l'insoluto nei propri riguardi era pari ad Euro 52.421,52;
- che, mentre il marito della signora Z. aveva rinunciato all'eredità di che trattasi, la figlia l'aveva
accettata puramente e semplicemente, essendo erede universale della madre;
- che la signora G. era, anzitutto, tenuta al pagamento delle rette per un duplice ordine di ragioni,
ossia sia per essersi obbligata, in solido con la madre, in virtù di specifico impegno dalla stessa
sottoscritto, sia e comunque in quanto unica erede della signora Z.;
- che, secondariamente, era infondata la decisione, adottata dalla convenuta sin dal luglio 2014, di
interrompere il versamento di tali rette, poiché i principi enunciati nella sentenza n. 4558/2012 della
Cassazione non erano di per sé invocabili laddove si fosse trattato di pazienti affetti dal morbo di
Alzheimer, dovendosi effettuare una valutazione concreta sulla natura delle prestazioni erogate;
- che, infatti, ove tali prestazioni fossero state caratterizzate da forme di lungo -assistenza
residenziali, come nel caso della signora Z., la ripartizione dei costi tra S.S. nazionale e Comuni
faceva, comunque, salva la compartecipazione da parte dell'utente, prevista dalla disciplina
regionale e comunale;
- che, diversamente da quanto ritenuto dalla signora G., le prestazioni rese alla de cuius non si
potevano qualificare come socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria, in quanto tali assicurate
dalle aziende sanitarie;
- che, peraltro, in vita la signora Z. aveva percepito anche l'indennità di accompagnamento erogata
dall'INPS, prestazione erogata proprio al fine di far fronte alle prestazioni assistenziali che, nella
specie, le erano state erogate dalla C.R. comunale.
1.2 Con decreto del 3 luglio 2020 il Giudice ha fissato l'udienza di comparizione delle parti.
1.3 Si è, quindi, costituita la convenuta K.G., formulando le seguenti, testuali, conclusioni:
"Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, rigettata ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così
provvedere, contrariis reiectis:
1 in via preliminare di rito: accertato che le difese svolte dalla resistente richiedono un'attività
istruttoria non sommaria, previa conversione del rito, fissare, ai sensi dell'art. 702-ter, terzo comma,
cod. proc. civ., con ordinanza non impugnabile, l'udienza di cui all'art. 183 cod. proc. civ., per le
ragioni di cui in narrativa.
2 Nel merito in via principale:
- respingere le eccezioni, deduzioni e domande tutte proposte da dal COMUNE in quanto
improcedibili, inammissibili ed, in ogni caso, infondate in fatto ed in diritto;
3 Nel merito in via riconvenzionale:
-previo accertamento dell'illegittimità e conseguente disapplicazione di ogni atto amministrativo
illegittimo, nonché di ogni ulteriore atto antecedente, presupposto e/o conseguente, anche
infraprocedimentale, e comunque connesso alla determinazione della compartecipazione de qua per
violazione di legge ed eccesso di potere
- accertare che il COMUNE non vanta alcun credito nei confronti della resistente per le ragioni di
cui in narrativa
- dichiarare inefficace, invalido, nullo ed in ogni caso annullabile l'"impegno a pagare" sottoposto
alla firma della sig.ra G. (doc. 1 Comune) al fine della degenza della sig.ra Z., per i motivi di cui in
narrativa
- accertare, anche a mezzo ctu, e dichiarare, ai sensi della normativa nazionale ed internazionale in
materia (L. n. 833 del 1978, L. n. 730 del 1983, D.Lgs. n. 502 del 1992, D.P.C.M. 14 febbraio 2001 art.
3, D.Lgs. n. 289 del 2002, L. n. 18 del 2009, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, TFUE,
Carta sociale europea, Costituzione dell'O.M.S.) che le prestazioni erogate alla sig.ra Z., in relazione
alla loro componente sanitaria, devono ritenersi in toto a carico del SSN e, per l'effetto,
- condannare il COMUNE a restituire alla resistente le somme indebitamente pagate per l'importo
di Euro 9.355,50= oltre interessi legali da ogni singolo pagamento e moratori dalla domanda al saldo,
nonché interessi ex art. 1284, comma 3, c.c., ovvero per la diversa somma che risulterà dovuta in
corso di causa;
in subordinata ipotesi:
- accertare e dichiarare in applicazione della normativa in materia (D.Lgs. n. 502 del 1992, D.P.C.M.
14 febbraio 2001, L. n. 328 del 2000 e D.Lgs. n. 109 del 1998, D.P.C.M. n. 159 del 2013), il quantum
dovuto dalla sig.ra G. per la degenza della sig.ra Z., nella misura di legge ovvero degli importi ex
lege richiedibili a titolo di compartecipazione ai costi della "quota alberghiera",
in via denegata, dichiarare ed accertare la minor somma dovuta rispetto a quella richiesta per effetto
della normativa richiamata in narrativa e, per l'effetto, ridurre l'importo preteso; In ogni caso: con
vittoria di spese, anche generali, diritti ed oneri processuali.
IN VIA ISTRUTTORIA
- si chiede ammissione di prova per interpello del convenuto opposto e per testi sulle circostanze
dedotte in narrativa e da intendersi qui ritrascritte come capitoli di prova, preceduti tutti dalla frase
"vero che" ed espunte eventuali frasi, aggettivi, sostantivi ovvero locuzioni contenenti giudizi, con i
seguenti testi: dottor C.S., Pordenone; dott.ssa D.M., Pordenone; dott. E.C., S.; signora M.S., S.; signor
D.G., S.; dott. P.A., S.V. al Tagliamento, con riserva di altri indicarne.
- Si chiede CTU medico legale al fine di accertare la valenza sanitaria delle prestazioni erogate alla
sig.ra Z. alla luce della normativa alla luce della normativa nazionale, europea ed internazionale in
materia (artt. 32, 38 e 117, co. 2, lett. m, Cost.; art. 3 septies del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, dell'art.
3, comma 1 e 3, D.P.C.M. 14 gennaio 2001, del D.P.C.M. 29 novembre 2001, della L. n. 833 del 1978 e
della L. n. 730 del 1983, dell'art. 35 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dell'art.
168 TFUE, dell'art. 11 Carta sociale europea, della Costituzione dell'O.M.S., della Convenzione Onu
sui diritti delle Persone con disabilità, ratificata con L. n. 18 del 2009).
- Si chiede CTU contabile al fine di accertare, relativamente alla eventuale "quota alberghiera" nella
percentuale ex lege, il quantum a carico della stessa in base all'ISEE, detratte le spese sostenute, ed
alla normativa in materia (L. n. 328 del 2000, D.Lgs. n. 109 del 1998, D.P.C.M. n. 159 del 2013) in
modo tale da conservare un importo pari al 50% del reddito minimo di inserimento.
Ai sensi degli artt. 210 e 212 c.p.c. si chiede l'esibizione al COMUNE della seguente documentazione:
- valutazioni V. del 26.05.2014 ed eventuali successive
- diario infermieristico e/o di consegne integrate
- I.Z.P., relativamente anni 2015 - 2017
I documenti di cui si chiede l'esibizione sono stati inutilmente richiesti con specifiche istanze di cui
si è dato atto sopra e che si allegano in copia (docc. 43-46 e 61)".
A sostegno di tali domande, la signora G. ha, in estrema sintesi e per quanto ancora rileva, dedotto:
- che il principio sancito dalla Cassazione nella sentenza n. 4458/2012 (rectius: 4558/2012) era stato
successivamente ribadito da numerose altre pronunce, in cui erano stati fissati i parametri
dell'analisi del caso concreto al fine di individuare, in ipotesi di degenza presso struttura
convenzionata/accreditata, i soggetti (pubblici e/o privati) sui quali dovevano gravare, in tutto o in
parte, le spese per le prestazioni rese in favore del paziente ivi collocato;
- che, in particolare, nel caso di prestazioni di natura sanitaria non eseguibili se non congiuntamente
all'attività di natura socio-assistenziale doveva prevalere la natura sanitaria del servizio, da erogarsi,
perciò, a titolo gratuito;
- che spettava, peraltro, al ricorrente dimostrare la pretesa valenza "sociale" delle prestazioni de
quibus;
- che, al contrario di quanto sostenuto dal Comune, già al momento dell'ingresso in C.R. la signora
Z. era affetta da malattia di Alzheimer in fase avanzata, oltre che da altre gravi patologie, e
necessitava, perciò, di assistenza sanitaria e monitoraggio continuo del proprio stato di salute, tanto
è vero che il 9 giugno 2014 era stata trasferita nel diverso reparto denominato "nucleo Rosso",
riservato ad "ospiti con un alto carico sanitario", e che proprio grazie alle cure ed agli accertamenti
sanitari ivi somministrati non aveva subito, sino a febbraio 2016, alcun ricovero ospedaliero;
- che la signora Z. percepiva unicamente la pensione di circa Euro 1.050,00 al mese e l'indennità di
accompagnamento di circa Euro 500,00 al mese, reddito insufficiente a coprire le rette della C.R.
pretese dal Comune, anche in considerazione delle spese (ad esempio, per farmaci e/o presìdi)
sostenute direttamente;
- che la signora Z. si era, pertanto, trovata nell'impossibilità di far fronte alle rette ex adverso
richieste;
- che per errore era stato corrisposto, dal giorno del ricovero della madre, il considerevole importo
di Euro 9.355,50 (caparra compresa), somma di cui chiedeva in via riconvenzionale la restituzione,
in tutto o in parte, essendo affetta da nullità ogni pattuizione fra struttura convenzionata/assicurata
ed assistito volta a stabilire un corrispettivo per le prestazioni sanitarie erogate, interamente a carico
del S.S. nazionale.
1.3 All'udienza del 27 novembre 2020 il Giudice, ritenuto che le difese svolte dalle parti non si
prestavano ad essere trattate nelle forme del procedimento sommario di cognizione, ha disposto il
mutamento del rito.
1.4 All'udienza del 29 gennaio 2021 (celebrata secondo le modalità della trattazione scritta) il Giudice
ha, quindi, autorizzato il ricorrente alla chiamata in causa dell'Azienda S.F.O..
1.5 Si è costituita, infine, la terza chiamata Azienda S.F.O.P. (in seguito anche terza chiamata o, in
sigla, A.), formulando le seguenti, testuali, conclusioni:
"In via principale
Respingere per i motivi esposti in narrativa e comunque perché infondate in fatto ed in diritto, tutte
le domande svolte da parte chiamante nei confronti dell'Azienda Sanitaria.
In via subordinata
Nella denegata ipotesi in cui l'eccellentissimo Tribunale condannasse l'azienda Sanitaria a
rimborsare al Comune le somme di natura alberghiera risultanti dalla quantificazione effettuata dal
Comune stesso nei confronti della sig. G., detrarre gli importi di natura assistenziale percepiti in vita
dalla sig. G. da tale rimborso.
Con vittoria di spese".
La terza chiamata ha, in particolare, dedotto:
- che la vigente normativa regionale (D.P. dalla Giunta 14 febbraio 1990, n. 083/Pres., art. 7 comma
6) aveva espressamente distinto fra prestazioni sanitarie e prestazioni non sanitarie, le quali ultime
non potevano essere poste a carico del S.S. nazionale;
- che la disciplina regionale aveva, altresì, previsto un contributo economico per l'abbattimento della
retta giornaliera di accoglienza a carico dell'utente, disponendone specificatamente l'applicazione
anche agli ospiti affetti da Alzheimer;
- di aver stipulato nell'anno 2013 una convenzione con la C.R. di S., poi rinnovata negli anni 2014,
2015, 2016 e 2017, nonché un accordo bilaterale operativo, al fine di garantire l'attività di assistenza
sanitaria, cura e riabilitazione a favore di persone in condizione di non autosufficienza, mettendo a
disposizione della Struttura l'assistenza medico-generica, l'assistenza infermieristica e fisioterapica,
l'assistenza farmaceutica, l'assistenza ospedaliera e specialistica e la quota integrativa forfettaria per
posto letto;
- che, stando a quanto allegato dalla convenuta, alla signora Z. erano state effettuate un numero
normale di visite da parte del medico di medicina generale (100 accessi in più di due anni
significavano una visita a settimana), visite il cui costo, al pari di quello per le prestazioni
specialistiche ricevute, già era stato sostenuto dal S.S. pubblico, di talché la quota giustamente
richiesta all'utente dalla C.R. era relativa alla sola spesa alberghiera, ampiamente superiore a quella
sanitaria;
- che la domanda in garanzia o in manleva, svolta dal ricorrente nei propri confronti, era, invece,
priva di fondamento, avendo, come detto essa già sostenuto i costi di propria competenza;
- che, poiché la signora Z. aveva percepito, sino alla data del decesso, vari emolumenti di natura
assistenziale, connessi alla sua situazione di non autosufficienza, nella denegata ipotesi in cui fosse
stata condannata a pagare, in via di manleva, la quota al Comune, contestualmente la signora G.
avrebbe dovuto restituire gli importi corrisposti a titolo di indennità di accompagnamento, la cui
erogazione da parte dell'INPS non era, infatti, dovuta al soggetto inabile gratuitamente ricoverato
presso una struttura pubblica;
- che per le stesse ragioni doveva essere rigettata la domanda riconvenzionale della convenuta;
- che, laddove tale domanda riconvenzionale fosse stata, invece, accolta, nulla essa doveva in ogni
caso al Comune.
1.6 Autorizzato il deposito delle memorie di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., la causa, dopo essere stata
trattenuta in decisione all'udienza dell'11 novembre 2022, in considerazione degli scritti finali
depositati dalle parti è stata rimessa in istruttoria per l'espletamento di Ctu medico legale, affidata
al dr. D.S. e volta a dirimere la questione, controversa e non decidibile allo stato degli atti, circa la
natura delle prestazioni in concreto rese in favore della defunta P.Z. durante il suo ricovero presso
la C.R. di S..
1.7 Da ultimo, all'esito dell'udienza cartolare del 16 maggio 2025 la causa è stata trattenuta in
decisione sulle conclusioni in epigrafe riportate, con concessione alle parti dei termini di legge per il
deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
2.1 Esposti, nei termini succinti che precedono, i fatti rilevanti oggetto del contendere, per le ragioni
che si passa ad esporre va, anzitutto, rigettata la domanda principale proposta dal Comune nei
confronti della signora G., deve, invece, accogliersi la domanda subordinata che il Comune ha svolto
contro A. e va, infine, accolta la domanda riconvenzionale articolata dalla signora G. nei confronti
del ricorrente.
Ed, invero, la questione sottoposta all'attenzione di questo Tribunale concerne l'inquadramento delle
prestazioni che vennero erogate dal 10 febbraio 2014 al 29 marzo 2017 alla defunta P.Z. presso la
C.R. di S. ed, in particolare, se esse debbano essere qualificate come "prestazioni sociali a rilevanza
sanitaria" a carico dell'utente, secondo quanto ritiene in principalità il ricorrente, ovvero come
"prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria" a titolo gratuito per l'utente stesso,
come sostiene la convenuta.
Questione che il Supremo Collegio ha affrontato più volte, risolvendola nei termini che seguono (si
veda, per tutte, Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 34590 dell'11 dicembre 2023, che appare
particolarmente decisiva, in quanto è intervenuta in un giudizio che riguardava proprio la Regione
Friuli Venezia Giulia).
Appare, allo scopo, utile premettere che il D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229 (recante Norme per la
razionalizzazione del S.S. nazionale, a norma dell'art. 1 della L. 30 novembre 1998, n. 419),
modificando il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (recante Riordino della disciplina in materia sanitaria,
a norma dell'art. 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421):
- ha demandato alle regioni l'organizzazione distrettuale delle Unità Sanitarie Locali, in modo da
garantire "l'erogazione delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, connotate da specifica ed
elevata integrazione, nonché delle prestazioni sociali di rilevanza sanitaria se delegate ai comuni"
(art. 3-quinquies, comma 1, lett. C.);
- ha espressamente definito "prestazioni socio sanitarie ... tutte quelle attività atte a soddisfare,
mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni della salute della persona che richiedono
unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel
lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione" (art. 3 septies, comma 1).
Detto decreto legislativo ha demandato a successivo atto di indirizzo e coordinamento la dettagliata
individuazione delle prestazioni da ricondurre alle diverse tipologie e la precisazione dei criteri di
finanziamento delle stesse, per quanto compete, rispettivamente le Unità Sanitarie Locali ed i
Comuni.
Tale atto di indirizzo e coordinamento è stato emanato con il D.P.C.M. del 14 febbraio 2001, al quale
è subentrato il D.P.C.M. del 12 gennaio 2017.
D'altronde, in base al D.P.C.M. del 29 novembre 2001, le cui norme sono cogenti ai sensi dell'art. 54
della L. n. 289 del 2002, il S.S. è obbligato a garantire le occorrenti prestazioni (domiciliari,
semiresidenziali e residenziali) agli anziani cronici non autosufficienti, ai malati di Alzheimer e ai
pazienti colpiti da altre forme di demenza senile, nonché ai soggetti con handicap intellettivo grave
e con limitata o nulla autonomia. A loro volta gli Enti gestori delle attività socio -assistenziali sono
tenuti a fornire gli interventi di loro competenza a tutti i cittadini sopra indicati.
Poiché detti obblighi sono previsti dai L. essenziali di assistenza (c.d. l.e.a.), le A. ed i Comuni singoli
e associati non possono negare o ritardare le prestazioni adducendo la mancanza di risorse
economiche.
Invero, l'obbligo dell'attuazione dei Lea da parte del S.S. e dei Comuni è sancito dall'art. 117 della
Costituzione e rientra fra "i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale". Ed il Consiglio di Stato con sentenza n. 1607/2011 ha stabilito che l'evidenziazione della
situazione economica del solo assistito (soggetto con handicap permanente grave o
ultrasessantacinquenne non autosufficiente) contenuta nei D.Lgs. n. 109 del 1998 e D.Lgs. n. 130 del
2000 "costituisce uno dei L. essenziali delle prestazioni da garantire in modo uniforme nell'intero
territorio nazionale" a cui "sia il legislatore regionale sia i regolamenti comunali devono attenersi".
Nel vigente quadro normativo, le "prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria"
vanno distinte sia dalle "prestazioni sanitarie a rilevanza sociale" che dalle "prestazioni sociali a
rilevanza sanitaria".
Quanto all'interpretazione della nozione di "prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione
sanitaria", soccorre ancora una volta la Suprema Corte (così, in motivazione, Cass. n. 28321 del 2017,
che richiama, sul punto, Cass. n. 4558 del 2012 e Cass. n. 22776 del 2016), la quale:
- ha affermato che, ferma restando la tendenziale autonomia delle prestazioni socio -assistenziali,
"nel caso in cui le prestazioni di natura sanitaria non possano, invece, essere eseguite "se non
congiuntamente" alla attività di natura socio-assistenziale, talché non sia possibile discernere il
rispettivo onere economico, prevale in ogni caso la natura sanitaria del servizio, in quanto le altre
prestazioni - di natura diversa - debbono ritenersi avvinte alle prime da un nesso di strumentalità
necessaria, essendo dirette a consentire la cura della salute dell'assistito, e dunque la "complessiva
prestazione" deve essere erogata a titolo gratuito";
- ha al contempo precisato che "la disciplina del S.S. pubblico che assicura a tutti i cittadini L.
essenziali uniformi di assistenza sanitaria, con spesa interamente a carico della Amministrazione
pubblica", concerne, per l'appunto, "la erogazione di prestazioni sanitarie o di prestazioni sanitarie
"inscindibili" con quelle socioassistenziali, e presuppone, pertanto, che l'assistito debba essere
sottoposto ad un programma di trattamento terapeutico riabilitativo o conservativo".
In sostanza, si è osservato, "l'elemento differenziale tra prestazione socioassistenziale "inscindibile"
dalla prestazione sanitaria e prestazione socio-assistenziale "pura", non sta, pertanto, nella
situazione di limitata autonomia del soggetto, non altrimenti assistibile che nella struttura
residenziale -...- ma sta invece nella individuazione di un trattamento terapeutico personalizzato che
non può essere somministrato se non congiuntamente alla prestazione assistenziale", e ciò perché in
tal caso, "l'intervento "sanitario-socio assistenziale" rimane interamente assorbito nelle prestazioni
erogate dal Sistema sanitario pubblico, in quanto la struttura convenzionata/accreditata garantisce
all'assistito dal SSR, attraverso il servizio integrato, il programma terapeutico, ed è quindi inserita a
pieno titolo nell'ambito organizzativo e funzionale del S.S. pubblico".
Alla luce del quadro che precede, il Supremo Collegio ha ravvisato nella "individuazione di un
trattamento terapeutico personalizzato" (e, dunque, non connotato da occasionalità) il discrimen per
ritenere la prestazione socio-assistenziale "inscindibilmente connessa" a quella sanitaria e, quindi,
soggetta al regime di gratuità propria di quest'ultima.
Quanto, in particolare, ai soggetti gravemente affetti da morbo di Alzheimer, la Sezione Prima della
Suprema Corte, con sentenza n. 4558/2012, ha chiarito che: "l'attività prestata in favore di soggetto
gravemente affetto da morbo di Alzheimer ricoverato in istituto di cura è qualificabile come attività
sanitaria, quindi di competenza del S.S. Nazionale, ai sensi dell'art. 30 della L. n. 730 del 1983, non
essendo possibile determinare le quote di natura sanitaria e detrarle da quelle di natura assistenziale,
stante la loro stretta correlazione, con netta prevalenza delle prime sulle seconde, in quanto
comunque dirette, anche ex art. 1 D.P.C.M. 8 agosto 1985, alla tutela della salute del cittadino; ne
consegue la non recuperabilità, mediante azione di rivalsa a carico dei parenti del paziente, delle
prestazioni di natura assistenziale erogate dal Comune".
Quindi, nel caso in cui le prestazioni di natura sanitaria non possano essere eseguite "se non
congiuntamente" alla attività di natura socioassistenziale, cosicché non sia possibile discernere il
rispettivo onere economico, prevale, in ogni caso, la natura sanitaria del servizio, in quanto le altre
prestazioni -di natura diversa- debbono ritenersi avvinte alle prime da un nesso di strumentalità
necessaria, essendo dirette alla "complessiva prestazione" che deve essere erogata a titolo gratuito,
dimostrata la natura inscindibile ed integrata della prestazione: in tal caso, infatti, l'intervento
sanitario- socio assistenziale rimane interamente assorbito nelle prestazioni erogate dal Sistema
sanitario pubblico, in quanto la struttura convenzionata/accreditata garantisce all'assistito,
attraverso il servizio integrato, il programma terapeutico, secondo un piano di cura personalizzato.
Successivamente, la Sezione Lavoro della Suprema Corte (sent. n. 22776/2016) ha ribadito che "in
tema di prestazioni a carico del S.S.N., l'art. 30 della L. n. 730 del 1983 - che per la prima volta ha
menzionato le attività di rilievo sanitario connesse con quelle assistenziali - deve essere interpretato,
alla stregua della L. n. 833 del 1978 che prevede l'erogazione gratuita delle prestazioni a tutti i
cittadini, entro i L. di assistenza uniformi definiti con il piano sanitario nazionale, nel senso che, nel
caso in cui oltre alle prestazioni socio-assistenziali siano erogate prestazioni sanitarie, tale attività,
in quanto diretta in via prevalente alla tutela della salute, va considerata comunque di rilievo
sanitario e, pertanto di competenza del S.S.N.".
In applicazione di questi principi, la Sezione Prima del Supremo Collegio ha respinto alcuni ricorsi
(v. Cass. n. 16409, n. 16410, n. 19303 e n. 19305 del 2021), proposti da RSA operanti nel territorio della
Regione Lombardia, volti ad ottenere, dai parenti dei ricoverati malati di Alzheimer, una
integrazione della retta, ritenendo che, nella specie, il Tribunale, con accertamento in fatto non
sindacabile, a fronte di una motivazione logica e coerente, avesse accertato che la patologia di cui
erano affetti i degenti (morbo di Alzheimer) comportava un'attività intrinsecamente di carattere
sanitario, quindi di competenza del S.S. Nazionale, ai sensi dell'art. 30 della L. n. 730 del 1983, stante
la netta prevalenza delle prestazioni di natura sanitaria su quelle di natura alberghiera, in difetto di
prova contraria, con conseguente irrecuperabilità della spesa mediante azione di rivalsa a carico dei
parenti del paziente-degente presso la struttura.
Operate dette premesse e calando nel caso di specie i principi che precedono (giacché dettati, come
si è visto, anche nell'ambito di un contenzioso che ha coinvolto la nostra Regione), deve evidenziarsi
che dagli atti di causa, dai documenti acquisti e dalle risultanze della Ctu complessivamente emerge:
- che sin dal 10 febbraio 2014 (data in cui venne accolta presso la C.R. di S.) P.Z. era affetta da
demenza di Alzheimer a esordio giovanile in fase avanzata (e ciò già dal 2011), oltre che da
cardiopatia ipertensiva, problemi odontostomatologici, artropatia diffusa, insufficienza venosa ed
ipercolesterolemia;
- che il 12 febbraio 2014 (dunque, a soli due giorni dall'ingresso in C.R.) nel "diario fisioterapista"
viene riportata una caduta della paziente;
- che già all'ingresso viene registrato un peggioramento del controllo dell'equilibrio e della già scarsa
capacità deambulatoria rispetto alla valutazione V. del 14 ottobre 2013;
- che da fine aprile 2014 si deve ricorrere alla carrozzina ed al sollevatore a sacca per gli spostamenti;
- che da maggio/giugno 2014 si devono applicare, più o meno regolarmente, spondine, cintura
pelvica e carrozzina con tavolino, per l'alto rischio di cadute;
- che a fine maggio 2014 P.Z. risulta passiva e non collaborante, non controllando più il tronco;
- che il 9 giugno 2014, a causa del peggioramento delle sue condizioni sanitarie, P.Z. viene trasferita
dal "N.G.", dedicato alle patologie dementigene, al "nucleo rosso", dedicato ad ospiti con alto carico
sanitario, ove viene assistita con l'aiuto di ausili costanti;
- che le patologie sopra menzionate, di particolare rilievo e di indubbia severità, sono
progressivamente peggiorate nel tempo, sì da rendere necessaria una assistenza sanitaria continua
(prestata, appunto, da personale sanitario, ossia medici, infermieri e fisioterapisti), sia per
monitorare lo stato di salute di P.Z., sia per risolvere o, comunque, per tentare di attenuare la varie
acuzie volta per volta emerse; invero, la demenza di Alzheimer, già in fase avanzata, ha subito un
inarrestabile decorso neurodegenerativo, imponendo consulenze neurologiche e psichiatriche per
necessari e frequenti adattamenti posologici della farmacoterapia in corso; la cardiopatia ipertensiva
ha comportato la necessità di continuo monitoraggio cardiologico e la comparsa di episodi di
scompenso, che hanno richiesto specifica terapia; la trombosi venosa profonda femorale emersa nel
novembre 2015 ha richiesto terapia anticoagulante continuativa; il primo episodio ischemico
cerebrale del febbraio 2016 ha provocato emiparesi faciobrachio-crurale sinistra, con crisi epilettiche
necessitanti di controllo neurologico e successiva recidiva; dal marzo 2016 viene prescritta
alimentazione con "piatto unico con acqua e addensante", dovendo P.Z. essere imboccata dagli
operatori, con diffida ai familiari a non somministrarle alimenti o liquidi;
- che ne risulta, pertanto, dovuta l'elaborazione di un piano personalizzato, modulato sulle esigenze
di P.Z., a scopo terapeutico, aggiornato alle sempre peggiorate sue condizioni di salute e con
continui aggiustamenti farmacologici sulla base delle prescrizioni di specialisti neurologi e psichiatri
allo scopo intervenuti e, dunque, con l'intervento coordinato di medici, infermieri, fisioterapisti e
personale specializzato nella gestione di disturbi comportamentali gravi;
- che conseguentemente le prestazioni meramente assistenziali sono da intendersi, sin dall'ingresso
in C.R., inscindibili da quelle di natura sanitaria, non limitandosi il presidio a mero ausilio nello
svolgersi delle attività quotidiane e nella correlata sorveglianza, ma comportando la
somministrazione di trattamenti terapeutici e farmacologici di rilievo; con l'ulteriore conseguenza
che le attività socio assistenziali, essendo dirette in via prevalente alla tutela del diritto inviolabile
alla salute, restano a carico totale del S.S., mentre rimangono escluse le ipotesi residuali in cui
vengono somministrate prestazioni di natura essenzialmente assistenziale;
- che la stretta correlazione tra prestazioni assistenziali e prestazioni sanitarie non consente una
determinazione di quote, che presuppone, per contro una scindibilità qui non rinvenibile,
conseguendone la nullità di ogni accordo pattizio comportante l'impegno del paziente e/o dei suoi
familiari al pagamento della retta, non essendo la prestazione dovuta come da previsione normativa.
In definitiva, per le dirimenti ragioni sin qui esposte, dandosi continuità alla giurisprudenza di
legittimità sopra sinteticamente ripercorsa, deve affermarsi che, anche alla luce dell'evoluzione
normativa intervenuta nella materia de qua, niente affatto derogata e comunque non derogabile
dalla specifica normativa regionale, è l'integrazione fra le prestazioni, ovvero l'unitaria ed
inscindibile coesistenza dei due aspetti della prestazione, che ne produce, nel caso che ci occupa, la
gratuità per la degente P.Z. (ed ora per la convenuta, anche quale sua erede), con il rigetto, per
l'effetto, della domanda principale proposta dal Comune nei confronti della convenuta, e, di contro,
determina sia l'integrale addossamento dei relativi oneri economici in capo ad A., che va condannata
a corrispondere l'importo di Euro 52.421,52 (oltre interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo
effettivo) secondo quanto il medesimo Comune ha, come si è detto, chiesto in via di subordine,
domanda che, va, dunque, accolta, sia la condanna del Comune alla restituzione della somma di
Euro 9.355,50 (oltre interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo effettivo) pari alle rette ed alla
caparra percepite, in accoglimento questa volta della domanda riconvenzionale formulata da K.G..
A tale ultimo riguardo, appare, infatti, sufficiente osservare:
- che rilievo alcuna assume la questione relativa al percepimento dell'indennità di
accompagnamento, che attiene esclusivamente il rapporto con l'INPS, nel presente giudizio, tuttavia,
non evocato;
- che l'eccezione, sollevata dal ricorrente, di prescrizione dell'azione di ripetizione svolta dalla
convenuta per le somme da ella pagate nel 2014, oltre ad essere di per sé inammissibile in quanto
generica (per non essere stato specificato il tipo di prescrizione in concreto invocato, il dies a quo del
decorso prescrizionale e la norma applicabile), nell'ipotesi in cui il Comune avesse inteso eccepire la
prescrizione estintiva, è, comunque, infondata, pacifico essendo che l'azione di ripetizione soggiace
al termine ordinario decennale, nella specie niente affatto trascorso (azione proposta nel 2020
rispetto a pagamenti effettuati nel 2014, ossia ampiamente entro il decennio).
2.2 Il Comune, in quanto soccombente nel rapporto processuale con la convenuta, va condannato
alla rifusione delle relative spese, liquidate come in dispositivo in applicazione dei criteri medi
suggeriti dai vigenti parametri forensi per lo scaglione di valore dichiarato (senza l'ingiustificata
richiesta duplicazione per le fasi istruttoria e decisionale per effetto della rimessione della causa per
l'espletamento di Ctu).
Attesi i profili di parziale soccombenza reciproca, la terza chiamata va, quindi, condannata alla
rifusione della metà delle spese sostenute dal ricorrente limitatamente al relativo rapporto
processuale, metà liquidata come in dispositivo per i medesimi pr incipi sopra esposti, con
compensazione della restante metà.
2.3 Stante la sostanziale soccombenza circa l'inquadramento in concreto delle prestazioni oggetto di
causa, appare opportuno porre a definitivo carico del ricorrente e della terza chiamata, per la giusta
metà ciascuno, sia le spese di Ctu nella misura già liquidata in corso di causa al dr. D.S., sia quelle
del Ctp della convenuta, liquidate come in dispositivo in conformità alla fattura prodotta.
P.Q.M.
Il Tribunale di Pordenone, definitivamente pronunciando nella causa civile di cui in epigrafe, così
provvede:
1) rigetta la domanda principale proposta dal ricorrente Comune di S... nei confronti della convenuta
K.G.;
2) in accoglimento della domanda subordinata proposta dal ricorrente Comune di S..., condanna la
terza chiamata Azienda S.F.O.P. a corrispondere al ricorrente Comune di S... Euro 52.421,52, oltre
interessi come specificati in motivazione;
3) in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta K.G., condanna il
ricorrente Comune di S... alla restituzione, in favore della convenuta K.G., di Euro 9.355,50, oltre
interessi come specificati in motivazione;
4) condanna il ricorrente Comune di S... alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla
convenuta K.G., che liquida in Euro 14.103,00 per compenso ed Euro 118,50 per anticipazioni, oltre
rimborso forfettario 15%, CNA ed IVA come per legge;
5) condanna la terza chiamata Azienda S.F.O.P. alla rifusione della metà delle spese processuali
sostenute dal ricorrente Comune di S..., metà che liquida in Euro 7.051,50 per compenso ed Euro
192,32 per anticipazioni, oltre rimborso forfettario 15%, CNA ed IVA come per legge, dichiarando
compensata la restante metà;
6) pone a definitivo carico del ricorrente Comune di S... e della terza chiamata Azienda S.F.O.P., per
la giusta metà ciascuno, le già liquidate spese di Ctu, nonché le spese del Ctp della convenuta,
liquidate in Euro 1.464,00.
Conclusione
Così deciso in Pordenone, il 25 settembre 2025.
Depositata in Cancelleria il 25 settembre 2025.
Avv. Antonino Sugamele

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