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Sentenza

ASSEGNO SOCIALE - Onere della prova in materia di indebito assistenziale, ripeti...
ASSEGNO SOCIALE - Onere della prova in materia di indebito assistenziale, ripetibilità delle somme e azione di recupero (Cc, articoli 2033 e 2697; articoli 3, 10-bis, 13, 21-octies della Legge 7 agosto 1990 n. 241; articolo 3, comma 6, Legge 8 agosto 1995 n. 335, assegno sociale; articolo 38 Costituzione
In tema di recupero di prestazioni assistenziali indebitamente erogate, il provvedimento amministrativo deve essere motivato in modo sufficiente a consentire al destinatario di comprendere le ragioni della pretesa restitutoria e di esercitare il diritto di difesa. Tuttavia, per i provvedimenti vincolati, come quelli relativi al recupero di somme indebitamente percepite, l’obbligo motivazionale è attenuato e non è causa di annullabilità la mera violazione di norme formali o procedurali che non incidano sul rapporto sostanziale. Nel giudizio promosso dal beneficiario per l’accertamento negativo dell’obbligo di restituzione di somme percepite, grava su di esso l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto alla prestazione contestata, ovvero l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto ricevuto. In materia di indebito assistenziale, la ripetizione delle somme non dovute è esclusa solo in presenza di una situazione idonea a generare affidamento nel percettore e in assenza di dolo. In caso di dichiarazioni non veritiere o condotte fraudolente, si applica la disciplina generale della ripetibilità dell’indebito ex articolo 2033 c.c. Le norme sulla decadenza dell’azione di recupero (articolo 13 L. 412/1991) si applicano esclusivamente alle prestazioni previdenziali e non sono estensibili per analogia alle prestazioni assistenziali come l’assegno sociale. (Nella fattispecie, l’INPS aveva proposto appello contro la sentenza del Tribunale di Napoli Nord che aveva accolto la domanda di una donna, annullando la richiesta di restituzione di € 50.308,93 per presunto indebito relativo all’assegno sociale percepito dal 2011 al 2019.La donna aveva sostenuto di essere separata consensualmente, senza redditi né patrimonio, e di non aver ricevuto contributi di mantenimento. L’INPS ha contestato la separazione effettiva, sostenendo che la beneficiaria risultava ancora coniugata e convivente con il marito, e che il reddito coniugale superava i limiti previsti per l’erogazione dell’assegno sociale. Il Tribunale aveva accolto la domanda di R.P. per carenza di motivazione nei provvedimenti INPS. La Corte d’Appello ha invece ritenuto sufficiente la motivazione dei provvedimenti INPS e ha accertato che la separazione era solo apparente, confermando la sussistenza dell’indebito e il diritto dell’INPS alla ripetizione delle somme. Le spese di lite sono state dichiarate irripetibili per la dichiarata condizione reddituale della beneficiaria).

    Corte d’Appello Napoli, Sez. lavoro, sentenza 16 ottobre 2025 n. 3437– Pres. Scarlatelli, Cons. Rel. Laureti
a titolo di indennità di accompagnamento, di non essere assegnataria di contributo di
mantenimento derivante dalla suddetta omologa consensuale, di non aver un patrimonio
immobiliare né alcun cespite reddituale per gli anni contestati, aveva esposto nel ricorso
introdtutivo di aver ricevuto n. 2 missive di indebito, entrambe del 15/10/2020, con la
seguente motivazione: "sono state riscosse rate di pensione non spettanti in quanto
l'ammontare dei redditi personali e/o del coniuge ha determinato il ricalcolo della stessa in
misura inferiore a quella già corrisposta. E' stata corrisposta la maggiorazione sociale o
l'aumento sociale della pensione non spettante a causa del possesso di redditi di importo
superiore ai limiti stabiliti dalla legge".
Aveva chiesto l'annullamento dei provvedimenti di indebito perché incerti, immotivati e
lesivi del diritto di difesa, per intervenuta decadenza e irripetibilità delle somme riscosse
senza dolo.
L'Inps si era costituito deducendo che: l'assegno sociale erogato alla P. era stato ricalcolato
sulla base del reddito coniugale, tenendo conto del reddito percepito dal coniuge C.G.,
titolare di pensione CAT. VO, pensione CA. (...) e pensione CAT. AS fino al 26.12.2019, giorno
del suo decesso; dalla consultazione degli archivi dello stato civile sia la ricorrente sia il C.
risultavano di stato civile coniugati e con la medesima residenza presso la casa coniugale;
al C. era stato erogato il trattamento di famiglia comprendendo nel suo nucleo familiare i
nipoti e P.R.; i redditi coniugali avevano rideterminato in modo significativo l'importo della
prestazione della istante per gli anni dal 2011 al 2019 generando l'indebito in esame; nessun
principio dell'affidamento poteva essere invocato per difetto di buona fede; l'art. 10 bis della
L. n. 241 del 1990 esclude espressamente dal campo di applicazione della legge medesima i
procedimenti in materia previdenziale ed assistenziale sorti ad istanza di parte; nella
specifica materia dell'indebito previdenziale, nel giudizio promosso per l'accertamento
dell'illegittimità della ripetizione dell'indebito pretesa dall'ente previdenziale a seguito della
avvenuta corresponsione di somme non dovute, spetta al ricorrente in base al principio
generale di cui all'art. 2697 cod. civ., l'onere di allegare e provare i fatti costitutivi del diritto
la cui sussistenza esclude l'indebito.
Con la sentenza gravata il Tribunale ha ritenuto che la motivazione dei provvedimenti
dell'Inps del 15.10.2020 fosse carente, inidonea a consentire alla ricorrente di comprender le
ragioni della pretesa restitutoria, impedendole così di esercitare una corretta e precisa
difesa. Ha quindi dichiarato irripetibili le somme oggetto della richiesta di restituzione
dell'Inps di cui alle note citate.
L'Istituto previdenziale ha impugnata detta decisione contestando l'accoglimento della
domanda in ragione dell'asserito difetto di motivazione del provvedimento di recupero. Ha
affermato che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, nell'atto
impugnato era sinteticamente riportata la ragione dell'azione di recupero, evidenziando che
l'obbligo di motivazione imposto dalla L. n. 241 del 1990 è attenuato nella materia in esame
per il carattere doveroso della azione di recupero di somme indebitamente erogate dalla
P.A. e la natura vincolata degli atti di indebito. Ha poi ribadito che, tenendo conto dei redditi
coniugali, mancavano i presupposti di legge per la erogazione della prestazione; che non
poteva essere invocato il principio dell'affidamento, atteso lo stato di separazione
consensuale smentito dalla documentazione in atti; che le circostanze riferite dall'Inps
dovevano ritenersi provate, in quanto non contestate.
Ha chiesto, quindi, in riforma della sentenza impugnata, di rigettare la domanda proposta
in primo grado dalla P. e per l'effetto accertare il diritto di INPS di ripetere quanto
indebitamente erogato nella misura di Euro 50.308,93 o in quella maggiore o minore ritenuta
di giustizia. Con vittoria di spese e competenze dei due gradi di giudizio.
Ricostituito il contraddittorio, la P. ha resistito al gravame e ne ha chiesto il rigetto. Ha
sostenuto di aver dimostrato documentalmente sia il lato reddituale e l'assenza di redditi
oltre soglia, sia il lato relativo allo stato civile e alla separazione consensuale; che non vi era
alcuna causa ostativa che certificasse quale fasullo il proprio stato di bisogno. Ha invocato
il principio della giurisprudenza di legittimità secondo cui il diritto alla corresponsione
dell'assegno sociale richiede unicamente lo stato di bisogno effettivo del titolare, desunto
dall'assenza di redditi o dall'insufficienza di quelli percepiti in misura inferiore al limite
massimo stabilito dalla legge, restando irrilevanti eventuali altri indici di autosufficienza
economica o redditi potenziali, quali quelli derivanti dall'assegno di mantenimento che il
titolare abbia omesso di richiedere al coniuge separato, e senza che tale mancata richiesta
possa essere equiparata all'assenza di uno stato di bisogno.
Disposta la trattazione cartolare del procedimento, alla odierna udienza come sostituita ex
art. 127 ter c.p.c., acquisite le note scritte delle parti, il collegio ha trattenuto la causa in
decisione.
Il gravame è fondato e va accolto per le ragioni che si vanno ad esporre.
1.Il collegio non ritiene di condividere l'assunto del primo giudice che ha ritenuto carente la
motivazione del provvedimento di indebito, inidonea a consentire il pieno esercizio del
diritto di difesa. Secondo l'impostazione del Tribunale, la pensionata non era stata posta in
condizione di comprendere le ragioni alla base della azione di recupero, se si trattasse di un
trattamento attribuito sine titulo ovvero fosse conseguenza di un calcolo errato dell'Ente,
anche per la mancanza di dati e parametri contabili chiari ed equivoci.
In tema di motivazione dei provvedimenti amministrativi, l'art. 3 della L. n. 241 del 1990
prescrive "1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti
l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve
essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare
i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione
dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria".
La S.C. ha affermato che l'obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo
richiede la chiara esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda la pretesa della
amministrazione, "con un grado di determinatezza ed intellegibilità che permetta al
contribuente l'esercizio non difficoltoso del proprio diritto di difesa" e che l'atto di
accertamento amministrativo di un Istituto previdenziale "è un provvedimento
amministrativo a tutti gli effetti, che pertanto deve essere motivato -al pari di tutti gli atti
amministrativi esplicanti direttamente efficacia nei confronti dei terzi (ai sensi dell'art. 3
della L. n. 241 del 1990)- in modo adeguato a consentire al destinatario dell'atto di ricostruire
esattamente l'iter logico seguito dall'ente previdenziale al fine di garantirgli l'esercizio del
proprio diritto di difesa" (cfr. Cass. Sent. n. 22724 del 4.10.2013 e Cass. Ord. n. 11284 del
7.4.2022).
Va menzionato anche l'orientamento di legittimità secondo cui "La natura meramente
ricognitiva del procedimento amministrativo preordinato all'accertamento, alla
liquidazione e all'adempimento della prestazione pensionistica in favore dell'assicurato
comporta che l'inosservanza, da parte del competente Istituto previdenziale, delle regole
proprie del procedimento, nonché, più in generale, delle prescrizioni concernenti il giusto
procedimento, dettate dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, o dei precetti di buona fede e correttezza,
non dispiega incidenza sul correlato rapporto obbligatorio. Ne consegue che l'assicurato
non può, in difetto dei fatti costitutivi dell'obbligazione, fondare la pretesa giudiziale di
pagamento della prestazione previdenziale in ragione di disfunzioni procedimentali
addebitabili all'Istituto, salva, in tal caso, la possibilità di chiedere il risarcimento del danno"
(Cass. Sez. L. Sent. n. 2804 del 24.2.29003 e Cass. Sez. L. Sent. n. 20604 del 30.9.2014).
Invero, la S.C. ha osservato come l'impatto della normativa in materia di procedimento
amministrativo (L. n. 241 del 1990) "nei rapporti tra privati ed enti previdenziali è talvolta
limitata dagli speciali principi che regolano la materia: l'esempio più evidente è dato dalla
sostanziale svalutazione dell'obbligo di motivazione (Cass. n. 2804 del 24 febbraio 2003) e,
più in generale dalle regole relative ai requisiti di forma-contenuto degli atti, che discende
dalla concomitante operatività della disciplina del silenzio-rifiuto ex art. 7 L. n. 533 del 1973
e dal principio generale per cui le controversie giurisdizionali previdenziali hanno
direttamente ad oggetto i rapporti sostanziali, con conseguente sottrazione al sindacato
giudiziario delle questioni attinenti alla legittimità formale e procedurale dei
provvedimenti.
7.2. Tuttavia non si dubita che le regole di cui alla L. n. 241 del 1990, con le successive
modifiche, rimangano pur sempre un punto di riferimento fondamentale per l'azione
amministrativa, anche in materia previdenziale. Le deroghe espressamente previste per
quest'ultima si trovano nell'art. 10 bis del testo novellato della L. n. 241 del 1990, il quale
espressamente esclude dall'obbligo di motivazione sul rigetto delle istanze "i procedimenti
in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti
previdenziali"…" (così S.C. n. 25670 del 7.12.2007).
Anche il nuovo art. 21-octies della L. n. 241 del 1990 (sulla "Annullabilità del
provvedimento") prevede al comma 2 che "Non è annullabile il provvedimento adottato in
violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto adottato…". Qualsiasi provvedimento amministrativo
di natura vincolata (e non discrezionale) - e certamente lo sono i provvedimenti della p.a.
per il recupero di prestazioni indebitamente erogate - non è annullabile per mero vizio
formale o procedimentale che non incida sul rapporto giuridico sostanziale ovvero sulla
spettanza o no del diritto.
Ciò premesso in punto di diritto, nella specie il provvedimento Inps di recupero del
15.10.2020 (all. 1 fasc. P. di primo grado) è così motivato: "Oggetto: Accertamento somme
indebitamente percepite su pensione della Signora R.P. cat.AS n.(...) A seguito di verifiche è
emerso che lei ha ricevuto, per il periodo dal 01/08/2011 al 31/12/2019 , un pagamento non
dovuto sulla pensione cat.AS n.(...) per un importo complessivo di Euro 50.308,93 per i
seguenti motivi: Sono state riscosse rate di pensione non spettanti in quanto l'ammontare
dei redditi personali e/o del coniuge ha determinato il ricalcolo della stessa in misura
inferiore a quella già corrisposta. E' stata corrisposta la maggiorazione sociale o l'aumento
sociale della pensione non spettante a causa del possesso di redditi di importo superiore ai
limiti stabiliti dalla legge".
Con comunicazione di riliquidazione datata 15.10.2020 (all. 2 fasc. P. di primo grado) inoltre
l'Inps ha nuovamente informato la pensionata del ricalcolo dell'assegno sociale a decorrere
dal 1.8.2011, illustrando nel dettaglio i conguagli/debiti che ne sono derivati distinti per anno
di competenza.
Negli atti citati è quindi indicata la prestazione indebitamente erogata (assegno sociale e
maggiorazione sociale), il periodo durante la quale è stata erogata (2011-2019), le
motivazioni dell'indebita attribuzione (redditi personali e/o del coniuge sopra soglia), i
conguagli derivanti dal ricalcolo.
Il provvedimento amministrativo già recava tutte le indicazioni necessarie per
l'identificazione della pretesa restitutoria, sufficienti per consentire al destinatario il pieno
esercizio del diritto di difesa, confermato dallo stesso atto introduttivo del giudizio ove la
ricorrente ha sviluppato argomentazioni congrue ed appropriate alla tutela dei suoi diritti.
Si ritiene pertanto inesistente il lamentato vizio di motivazione del provvedimento di
indebito, anche in considerazione del contenuto necessariamente vincolato dell'atto, della
conseguente attenuazione dell'obbligo motivazionale e del sindacato del GL in materia
previdenziale esteso al rapporto e alla spettanza del diritto.
2.Passando al merito della pretesa restitutoria, come osservato dal primo giudice, in materia
di indebito "nel giudizio instaurato, in qualità d'attore, dal pensionato che miri ad ottenere
l'accertamento negativo del suo obbligo di restituire quanto l'ente previdenziale abbia
ritenuto indebitamente percepito, l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire
la prestazione contestata, ovvero l'esistenza di un titolo che consenta di qualificare come
adempimento quanto corrisposto, è a suo esclusivo carico. (Nella fattispecie le S.U. hanno
ritenuto che spettasse al pensionato-attore l'onere di provare il mancato superamento della
soglia del reddito per l'attribuzione della quota d'integrazione al minimo, contestata
dall'Ente previdenziale in sede di richiesta stragiudiziale di ripetizione della maggior
somma erogata)" (Cass. Sez. U. n. 18046 del 4.8.2010; in senso conforme, Cass. Sez. L. n. 2739
del 11.2.2016).
La P. sostiene che all'epoca della erogazione dell'assegno sociale (2011-2019) era separata
consensualmente, non aveva un patrimonio immobiliare, né percepiva alcun reddito.
A riprova, ha prodotto l'atto di separazione consensuale omologato con decreto del
Tribunale di Napoli del 7.6.2011, ove è specificato che "I coniugi vivranno separati con
reciproco rispetto; la casa coniugale sarò assegnata alla sig.ra R.P.; I coniugi provvederanno
autonomamente al proprio mantenimento; I coniugi dichiarano di aver già provveduto alla
ripartizione dei beni coniugali", nonché certificazione reddituale del 3.3.2021 ove la Agenzia
delle Entrate attesta l'assenza di redditi ulteriori all'assegno sociale negli anni dal 2011 al
2019 (all. 4 e 7 fasc. P. di primo grado).
In contrario l'appellante afferma che la pensionata, diversamente da quanto dichiarato nella
domanda di assegno sociale, non era effettivamente separata e priva di redditi, risultando
nel periodo in contestazione (2011-2019) ancora coniugata, residente insieme al marito C.G.
nella casa coniugale e componente del suo nucleo familiare.
L'Inps ha depositato per dimostrare i propri assunti: estratto degli archivi dello stato civile
(archivio della Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente; all. 2 e 3 fasc. Inps) da cui
risulta che la P. e il C. erano coniugati, e non separati; estratto del cassetto previdenziale
relativo alla P. e al C. ove è indicata per entrambi la residenza in G. in C. (N.) alla via R. n.
223 (all. 4 e 5 fasc. Inps); estratto del cassetto previdenziale del C. con l'elenco dei
componenti del suo nucleo familiare ai fini della corresponsione del trattamento di famiglia,
che comprende sia i nipoti sia l'istante P.R. (all. 7 fasc. Inps).
Ritenuta l'inefficacia della intercorsa separazione, l'ente appellante ha rideterminato
l'assegno sociale della P. sulla base del reddito coniugale e da detto ricalcolo è derivato
l'indebito in esame.
A fronte delle specifiche allegazioni e della documentazione descritta, la pensionata nulla
ha contestato. Si è limitata a ribadire l'assenza di redditi personali e lo stato di separazione
consensuale nel periodo in esame. Nulla ha specificamente dedotto per smentire gli assunti
dell'Inps sulla separazione personale meramente apparente e la residenza comune con il
coniuge, né sulle conseguenze in ordine al reddito coniugale sopra soglia.
Alla luce delle osservazioni esposte, si ritiene che l'istante non abbia adempiuto all'onere a
suo carico di provare il diritto alla prestazione (assegno sociale) ovvero l'esistenza di un
titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto ricevuto dall'Inps. L'Inps a sua
volta ha dimostrato il superamento dei limiti reddituali previsti dalla legge per la
erogazione della prestazione, tenuto conto della inefficacia della separazione e del reddito
coniugale.
3. Inconsistente è il principio giurisprudenziale invocato dalla istante relativo alla
sussistenza dello stato di bisogno anche in caso di rinuncia al mantenimento e agli alimenti
da parte del coniuge.
La S.C. ha affermato che "Il diritto alla corresponsione dell'assegno sociale ex art. 3, comma
6, della L. n. 335 del 1995, prevede come unico requisito lo stato di bisogno effettivo del
titolare, desunto dall'assenza di redditi o dall'insufficienza di quelli percepiti in misura
inferiore al limite massimo stabilito dalla legge, restando irrilevanti eventuali altri indici di
autosufficienza economica o redditi potenziali, quali quelli derivanti dall'assegno di
mantenimento che il titolare abbia omesso di richiedere al coniuge separato, e senza che tale
mancata richiesta possa essere equiparata all'assenza di uno stato di bisogno" (Cass. Ord.
14513 del 9.7.2020; Cass. Sent. n. 24954 del 15.9.2021).
La Corte così argomentata le proprie statuizioni: "… la Corte ha escluso che sussistesse un
obbligo, gravante sull'assistito, di preventiva e infruttuosa sollecitazione giudiziale
dell'eventuale coniuge obbligato al mantenimento. Nel dare continuità al principio di diritto
espresso da Cass. nr. 6570 cit., infatti, Cass. nr. 14513 del 2020 ha negato che, ai fini del
riconoscimento della provvidenza di cui trattasi, possa assumere rilievo ostativo "l'astratta
possibilità di chiedere l'assegno di mantenimento a carico del proprio coniuge in sede di
separazione", atteso che, interpretando in tal modo la disposizione in esame, si finirebbe con
l'introdurre a carico dell'assistito un onere che dalla legge non è in alcun modo previsto (v.
anche Cass. nr. 24954 del 2021);
13. si è, quindi, osservato che né nella lettera né nella ratio della L. n. 335 del 1995, art. 3,
comma 6, è rinvenibile alcuna indicazione circa il fatto che lo stato di bisogno, per essere
normativamente rilevante, debba essere anche incolpevole (Cass. nr. 24955 del 2021 cit). Al
contrario, la condizione legittimante per l'accesso alla prestazione assistenziale rileva nella
sua mera oggettività. La previsione secondo cui il reddito rilevante ai fini del diritto
all'assegno "è costituito dall'ammontare dei redditi ... conseguibili nell'anno solare di
riferimento" dev'essere infatti interpretata in stretta connessione con quella
immediatamente successiva, secondo cui, l'assegno "è erogato con carattere di provvisorietà
sulla base della dichiarazione rilasciata dal richiedente ed è conguagliato ... sulla base della
dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti": vale a dire che all'assistito è richiesto
soltanto di formulare una prognosi riguardante i redditi percepibili in relazione allo stato
di fatto e di diritto esistente al momento della domanda, fermo restando che la
corresponsione effettiva dell'assegno dovrà essere parametrata a ciò che di tali redditi risulti
"effettivamente percepito";
14. per la Corte "tale conclusione s'impone in ragione del fatto che il sistema di sicurezza
sociale delineato dalla Costituzione non consente di ritenere in via generale che l'intervento
pubblico a favore dei bisognosi abbia carattere sussidiario, ossia che possa aver luogo solo
nel caso in cui manchino obbligati al mantenimento e/o agli alimenti in grado di
provvedervi" (v. in motivazione, Cass. nr.24955 cit.);
15. resta salvo, evidentemente, l'accertamento in concreto di condotte fraudolente che,
simulando artificiosamente situazioni di bisogno, siano volte a profittare della pubblica
assistenza; tuttavia, in difetto di prove (anche presuntive) in tal senso, non si può negare la
corresponsione dell'assegno sociale a chi, pur avendo astrattamente diritto ad un reddito
derivante da un altrui obbligo di mantenimento e/o di alimenti, non l'abbia in concreto e per
qualsivoglia motivo percepito. Ciò "per ragioni di stretto diritto positivo, correlate alle scelte
discrezionalmente operate dal legislatore nel formularne la disciplina" (Cass. nr. 24955 cit.,
in motivazione)" (Cass. Ord. n. 21573 del 20.7.2023).
Nella fattispecie l'Inps ha dimostrato la condotta mendace della pensionata che ha simulato
l'esistenza dello stato di bisogno allegando la condizione di separazione con il coniuge (in
realtà meramente apparente) e la mancanza di redditi personali sin dalla domanda
amministrativa del luglio 2011. Né l'Inps ha negato la prestazione deducendo
genericamente l'inesistenza dello stato di bisogno effettivo, desumibile dalla rinuncia al
mantenimento. Invero l'indebito trae origine dal ricalcolo della prestazione che, appurata
l'effettiva convivenza dei coniugi, è stata rideterminata dall'Ente sulla base del reddito
coniugale, e non più del solo reddito personale dell'istante. Ne è derivato il superamento
delle soglie di reddito previste dalla legge e il difetto del requisito reddituale per fruire della
prestazione, che ha poi giustificato l'azione di recupero in contestazione.
4. Parimenti, a fronte delle dichiarazioni non veritiere della istante (circa lo stato di
separazione consensuale e l'assenza di rediti), non rileva il principio dell'affidamento del
cittadino e di irripetibilità delle prestazioni indebite, che presuppone la corresponsione di
somme non dovute per errore dell'Ente erogatore, la buona fede e l'assenza di dolo
dell'accipiens.
Premesso che l'assegno sociale integra una prestazione assistenziale (e non
previdenziale/pensionistica) la S.C. ha affermato che "In tema di indebito assistenziale trova
applicazione, in armonia con l'art. 38 Cost., la disciplina peculiare, diversa sia da quella
generale dettata dall'art. 2033 c.c. che da quella prevista con riferimento alle pensioni o ad
altri trattamenti previdenziali, appositamente dettata in materia, come tratteggiata da
plurime decisioni di questa Corte (cfr., tra le più recenti, Cass. nr. 13915 del 2021; Cass. nr.
13223 del 2020; Cass. nn. 10642 e 31372 del 2019); in particolare, si è delineato il principio in
base al quale, nella materia in oggetto, trova applicazione la regola propria del sottosistema
assistenziale, che esclude la ripetizione in presenza di situazioni di fatto variamente
articolate, ma comunque aventi generalmente come minimo comune denominatore la non
addebitabilità all'accipiens della erogazione non dovuta ed una situazione idonea a generare
affidamento" (Cass. Ord. n. 24180 del 04.08.2022).
Detto principio è stato confermato in numerose pronunce successive dei giudice di
legittimità (vd. ex multis Cass. Sez. L. Sent. n. 24617 del 10.8.2022 secondo cui "In tema di
indebito assistenziale, la regola propria di tale sottosistema che, in armonia con l'art. 38
Cost., esclude la ripetizione delle erogazioni indebite viene meno, con conseguente
applicazione della disciplina generale della ripetibilità dell'indebito civile, di cui all'art. 2033
c.c., in presenza di un comportamento intenzionale del percipiente e dell'assenza di una
condizione di affidamento"; di recente, Cass. Sez. L. Ord. n. 17396 del 28.5.2025 ove si
afferma "La ripetizione dell'indebito assistenziale è esclusa in presenza di una situazione
idonea a generare l'affidamento del percettore, sempre che l'erogazione in questione non gli
sia addebitabile").
Con riguardo all'assegno sociale la Cassazione (Ord. n. 13223/2020) ha ribadito che l'indebito
assistenziale per carenza dei requisiti reddituali "abilita alla restituzione solo a far tempo
dal provvedimento di accertamento del venir meno dei presupposti, salvo che il percipiente
non versi in dolo…". Nella motivazione la S.C. ha precisato che in materia di indebito
assistenziale non si applica la disciplina dell'art.13 L. n. 412 del 1991, che si riferisce
all'indebito previdenziale, e che "non è men vero, tuttavia, che nel settore non si applichi
nemmeno il principio generale di ripetizione dell'indebito stabilito dall'art. 2033 c.c. ed
invocato dall'Istituto. Vanno bensì applicati i principi di settore, propri dell'indebito
assistenziale, per come ricostruiti dalla giurisprudenza di questa Corte…".
Nella fattispecie, come correttamente osservato dall'Inps, la dichiarata situazione
patrimoniale all'atto della presentazione della domanda è risultata nei fatti smentita dalla
condotta dei coniugi che hanno continuato a risiedere entrambi nella casa coniugale ed a
godere dei benefici, anche patrimoniali, legati alla sussistenza del vincolo di coniugio. Le
dichiarazioni non veritiere rese dalla pensionata escludono che l'erogazione indebita sia
addebitabile a mero errore dell'Inps, con buona fede dell'accipiens. Non risulta integrata
quella situazione idonea a generare affidamento che giustifica, secondo i giudici di
legittimità, in materia di prestazioni assistenziali la deroga al principio generale di
ripetizione dell'indebito ex art. 2033 c.c.
5. In primo grado la P. aveva anche contestato la intervenuta decadenza dell'azione di
recupero, osservando che l'INPS deve procedere annualmente alla verifica delle situazioni
reddituali incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni previdenziali. Qualora, in
conseguenza di detta verifica venga accertato un indebito pensionistico, l'istituto deve
procedere al recupero delle somme indebitamente erogate entro l'anno successivo a quello
nel corso del quale è stata resa la dichiarazione da parte del pensionato. Ove la notifica
dell'indebito non sia effettuata entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello nel quale
è stata resa la dichiarazione reddituale le somme erogate indebitamente non sono ripetibili,
ferma restando la rideterminazione del trattamento pensionistico in virtù della nuova
situazione reddituale.
Come emerge dalle stesse deduzioni della istante, i principi descritti riguardano
esclusivamente le prestazioni pensionistiche ed evocano l'art. 13 della L. n. 412 del 1991 che,
per giurisprudenza consolidata, è norma eccezionale insuscettibile di applicazione
analogica alle erogazioni di natura assistenziale, quali l'assegno sociale (Cass. Ord. n.
13223/2020 cit.; cfr. anche Cass. n. 13915 del 20.5.2021 e Cass. 26845 del 25.11.2020 ove si
afferma che "l'indebito trova una disciplina autonoma nel sistema normativo della
ripetizione in materia assistenziale e che, in ogni caso, le norme sulla decadenza sono di
stretta interpretazione e insuscettibili di applicazione analogica").
Per i motivi descritti, va accertato il diritto dell'Inps alla ripetizione di quanto indebitamente
erogato alla pensionata a titolo di assegno sociale nel periodo da agosto 2011 a dicembre
2019 nella misura di Euro 50.308,93.
L'appello va accolto e in riforma della sentenza gravata va respinta la domanda proposta in
primo grado dalla P..
Le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio sono irripetibili, attesa la dichiarazione della
ricorrente di possedere redditi al di sotto della soglia di cui all'art. 152 disp. att. c.p.c. (cfr.
dichiarazione reddituale all. B fasc. P. di primo grado).
Al riguardo si ritiene che, conformemente a quanto statuito di recente dalla S.C. (Sez. L.,
Ord. n. 21846 del 29.7.2025) in materia di indebito previdenziale o assistenziale, in tema di
spese processuali, quando la parte dichiara fin dal giudizio di merito di trovarsi nelle
condizioni per beneficiare dell'esonero dalle spese ai sensi dell'articolo 152 delle disp. att.
c.p.c., la condanna al pagamento delle spese del doppio grado deve essere esclusa. Anche
l'ipotesi di indebito, ossia di prestazione inizialmente erogata dall'istituto e poi riconosciuta
non dovuta, può dare avvio a "giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o
assistenziali", come richiesto dall'art. 152 disp. att. c.p.c. cit., atteso che si tratta comunque di
azione diretta ad accertare la spettanza del diritto alla prestazione
previdenziale/assistenziale, sia pur attivata non a seguito di provvedimento di diniego bensì
di provvedimento di recupero della prestazione erroneamente liquidata.
P.Q.M.
La Corte così provvede:
-accoglie l'appello per quanto di ragione e per l'effetto, in riforma dell'impugnata sentenza,
respinge la domanda proposta in primo grado da R.P.;
-spese di entrambi i gradi irripetibili.
Conclusione
Così deciso in Napoli, il 13 ottobre 2025.
Depositata in Cancelleria il 16 ottobre 2025
Avv. Antonino Sugamele

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