In materia di responsabilità per la custodia di strade, occorre distinguere fra i casi in cui il danno sia conseguenza di un vizio intrinseco alla struttura della cosa, oppure sia da ascrivere all’intervento di agenti esterni, normalmente imputabili alla natura, al traffico, al pubblico degli utenti o ad un singolo soggetto terzo (un masso, un animale, una macchia d’olio, ecc.). In tale seconda evenienza la responsabilità non è imputabile oggettivamente all’ente pubblico, per il solo fatto della presenza dell’ostacolo, ma occorre che risulti che l’intrusione è stata agevolata dalla peculiare conformazione del bene; oppure dal difetto di manutenzione o di vigilanza sullo stesso (presenza di animali o di altri ostacoli, ecc.) ed, in questi ultimi casi, che vi è stato colpevole ritardo nell’accertare la sopraggiunta situazione di pericolo e/o nell’intervenire per rimuoverla.
Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2024.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele G.A. - Presidente
Dott. GIANNITI Pasquale - Consigliere-Rel.
Dott. DELL'UTRI Marco - Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna - Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime - Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12478/2023 R.G. proposto da:
Pa.Ma., rappresentato e difeso dagli avvocati LI.UM. e LU.AL., presso l'indirizzo di posta elettronica certificata dei quali è domiciliato per legge;
- ricorrente -
contro
ROMA CAPITALE, nella persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati SA.EM. e SA.NI., presso l'indirizzo di posta elettronica certificata dei quali è domiciliata per legge;
- controricorrente -
nonché contro
ES.ES. Srl, LE AS.DI. - MU.AS.;
- intimati -
avverso la SENTENZA della CORTE D'APPELLO di ROMA n. 7682/2022, depositata il 29/11/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere PASQUALE GIANNITI.
FATTI DI CAUSA
1.Pa.Ma. conveniva in giudizio Roma Capitale, Le AS.DI. - MU.AS., chiedendo che i convenuti fossero condannati in solido al risarcimento dei danni da lui subiti ad esito del sinistro occorsogli il 4.11.2011 alle ore 5,50 allorché, mentre alla guida del motociclo di sua proprietà tg (Omissis) percorreva Via (Omissis) in direzione centro, si era visto sbalzare dal motociclo a causa di un ostacolo che invadeva l'intera carreggiata cadendo violentemente a terra e perdendo i sensi. A fondamento della sua domanda deduceva che: a) il sinistro era stato cagionato dalla presenza di un grosso tronco d'albero che occupava l'intera carreggiata da lui percorsa, non visibile, non prevedibile né evitabile; b) dal sinistro erano a lui derivate gravi lesioni con postumi permanenti oltre ad un danno morale ed esistenziale ed un danno patrimoniale da spese mediche; c) il Comune di Roma era responsabile ai sensi dell'art. 2051 c.c. quale proprietario e custode della strada luogo del sinistro o in subordine ai sensi dell'art. 2043 c.c.
Roma Capitale si costituiva, contestando gli assunti attorei sia nell'an che nel quantum. In particolare, rilevava la carenza di prova in ordine alle modalità del sinistro ed alla sua riconducibilità all'asserito pericolo, nonché l'insussistenza dei presupposti per la configurabilità della responsabilità dell'Ente sia in relazione all'art. 2051 che all'art. 2043 c.c. Deduceva la responsabilità esclusiva o concorrente dello stesso Pa.Ma., il quale procedeva alla velocità di 110/kmh. Deduceva che in ogni caso all'epoca del sinistro responsabile della manutenzione e sorveglianza dell'area stradale in questione era l'appaltataria AT.Ca. Srl e che pertanto quest'ultima doveva ritenersi esclusivamente responsabile per i danni cagionati a terzi. Chiedeva, dunque, di essere autorizzata a chiamare in causa la suddetta società per essere da questa garantita e manlevata.
A seguito di chiamata in causa si costituiva la società Es. Srl, quale cessionaria della società Ca.Pr. Srl contestando sia la domanda attorea che quella di manleva svolta da Roma Capitale, delle quali chiedeva il rigetto.
Restava contumace Le AS.DI..
Il Tribunale di Roma, istruita la causa, con sentenza n. 11560/2017, rigettava la domanda attorea condannando il Pa.Ma. alla rifusione delle spese processuali nei confronti di Roma Capitale e della terza chiamata in causa, mentre riteneva assorbita quella di manleva dalla convenuta principale nei confronti della cessionaria appaltatrice.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva impugnazione il Pa.Ma., deducendo la erroneità della sentenza nella parte in cui il Tribunale aveva escluso il nesso di causalità tra la sua caduta (e, quindi, le lesioni da lui riportate) e la presenza in loco di un ostacolo derivante dalla potatura di alberi collocati nel mezzo delle due carreggiate tra due guard rail e ai lati della strada come da documentazione fotografica, che allegava.
Si costituiva Roma Capitale chiedendo il rigetto dell'impugnazione avversaria.
Si costituiva altresì la Es. Es.Ge. Srl., nella suddetta qualità di cessionaria, la quale chiedeva: in via principale, il rigetto dell'appello; in via subordinata, la dichiarazione del proprio difetto di legittimazione passiva; in ogni caso, la vittoria delle spese.
Le AS.DI. - MU.AS. rimanevano contumaci.
La Corte d'Appello di Roma, con la sentenza n. 11560/2017, confermava il rigetto della domanda attorea, con assorbimento di quella di manleva, e con condanna dell'appellante alla rifusione delle spese processuali anche nei confronti della società Es..
2.Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso il Pa.Ma.
Ha resistito con controricorso Roma Capitale.
In data 29.02.2024 è stata depositata proposta di definizione del giudizio, che è stata comunicata via pec alle parti in data 12.03.2024.
In data 19 aprile 2024 il ricorrente ha chiesto la decisione collegiale.
Per l'odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.
I Difensori di entrambe le parti hanno depositato memorie, insistendo nell'accoglimento delle rispettive conclusioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Nella impugnata sentenza la corte territoriale - dopo una corretta ricostruzione del quadro normativo e dei relativi principi di diritto affermati in subiecta materia da questa Corte - ha ritenuto individuabile un rapporto di custodia in relazione alla strada dove si è verificato il sinistro (alla luce del rilievo che il tratto stradale interessato è posto all'interno del centro urbano ed è dotato di opere di urbanizzazione e di pubblici servizi), ma ha ritenuto che dall'espletata istruttoria (e in particolare dall'esame del verbale di Polizia intervenuta sul luogo del sinistro circa un paio di ore dopo la sua verificazione, nonché dall'esame dei testi escussi e dalle risultanze della espletata ctu) non è risultato provato il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno patito dal Pa.Ma. e, quindi, che il sinistro fosse stato causalmente determinato dalla presenza del tronco d'albero sulla carreggiata.
2. Il Pa.Ma. articola in ricorso cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia: "difetto di motivazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. ovvero ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione dell'art. 115 c.p.c. per omesso ovvero errato esame di documenti decisivi per il giudizio, che sono stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nella fotografia della Polizia Municipale del ramo spezzato con abrasioni da pneumatico e nel verbale della Polizia Municipale di Roma Capitale - nullità della sentenza per motivazione insufficiente" nella parte in cui la corte territoriale ha affermato:
"Quanto alla documentazione fotografica rappresentante lo stato dei luoghi, non emerge alcunché se non che il tratto di strada era stato interessato dalla potatura degli alberi presenti sia ai lati della strada che lungo la linea di mezzeria tra i due guard rail. Peraltro, non emerge che rami o tronchi di alberi invadessero l'asse stradale percorso dall'appellante".
Si duole che la corte di merito, tanto affermando, ha omesso colpevolmente di analizzare e valutare la fotografia, di provenienza della Polizia Municipale, che raffigura il tronco di ramo posto sotto sequestro dall'autorità giudiziaria, sul quale si legge: "sottoposto a sequestro", e il verbale dei vigili intervenuti sul luogo del sinistro, che in merito al suddetto ramo, avevano riferito che: "A circa mt 1 dall'estremità che risulta spezzata, si trova una traccia scura di abrasione che si potrebbe ricondurre ad uno degli pneumatici del mezzo coinvolto".
Sostiene che la corte di merito, se avesse correttamente preso in considerazione la fotografia, non avrebbe potuto fare a meno di notare la profonda abrasione semicircolare compatibile con lo pneumatico di motociclo, con ciò rinvenendo la prova della causa del sinistro occorsogli; e che dall'omesso esame della fotografia sarebbe conseguita l'errata valutazione anche del verbale dei vigili intervenuti (che riporta integralmente).
In sintesi, secondo il ricorrente, la presenza del ramo spezzato, su cui insistono abrasioni di pneumatico, rappresenta l'elemento che avrebbe dovuto far ritenere che il sinistro, che lo aveva coinvolto, era stato causato dal suddetto ramo.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia: "grave travisamento della prova, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. in relazione all'art. 115 c.p.c. per errore oggettivo sul contenuto della prova ovvero, difetto di motivazione, ai sensi dell'art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c. per omesso esame della prova testimoniale" nella parte in cui la corte territoriale ha affermato:
"V'è, al contrario, che il contachilometri del motociclo segnalava una velocità mantenuta dal Pa.Ma. di Km. 110/H, velocità certamente non adeguata e superiore a quella consentita", per poi ritenere la "accertata non consona condotta di guida tenuta dal Pa.Ma.";
- "lo stato della strada era ottimale, trattandosi di un rettilineo che l'appellante percorreva in un momento nel quale anche le condizioni generali erano altrettanto ottime, tale circostanza essendo del tutto pacifica tra le parti".
Sotto il primo profilo, sottolinea che la corte di merito è incorsa in un evidente travisamento del verbale di intervento della Polizia Municipale, nel quale non vi è alcun accertamento circa la velocità da lui tenuta al momento del sinistro, tanto più che i testi escussi hanno concordemente riferito che il contachilometri fosse rotto già in precedenza.
Quanto poi alle condizioni in cui si è verificato il sinistro, deduce che lo stesso si è verificato quando era ancora buio, su un tratto stradale scarsamente illuminato, ragion per cui era praticamente impossibile individuare la presenza di un albero.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia: "violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare dell'art. 116 c.p.c., dell'art. art. 2727 c.c. e dell'art. 2051 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c." nella parte in cui la corte territoriale ha affermato:
"A fronte, pertanto, della accertata non consona condotta di guida tenuta dal Pa.Ma., non v'è alcuna prova convincente che possa portare a ritenere, anche ai soli fini dell'eventuale concorso di colpa ex art. 1227 c.c., la sussistente responsabilità degli enti convenuti per omessa adeguata custodia della strada e, tanto meno, ai sensi dell'art. 2043 c.c.".
Sostiene che detta affermazione della corte di merito trae origine da tre chiari errori presenti nella sentenza impugnata: a) errata interpretazione del verbale della Polizia Municipale di Roma Capitale in ordine alla sua "condotta di guida"; b) omesso esame delle testimonianze che provano che il tachimetro era rotto da tempo e che le condizioni di visibilità erano tutt'altro che ottimali, c) omesso esame della documentazione fotografica e del verbale dei vigili intervenuti, che provano che lui era effettivamente caduto a causa di un ramo d'albero presente sul manto stradale.
Deduce che - allorché non ci siano testimoni idonei a provare processualmente il nesso causale tra il fatto e l'evento, come per l'appunto nel caso di specie - è, comunque, possibile desumere la causalità e, quindi, assolvere all'onere probatorio in via presuntiva ex art. 2727 c.c., in considerazione del contesto in cui si è verificato l'evento; e che, nella prova per presunzioni, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità.
Si duole che nella specie la corte di merito ha ignorato la sussistenza di elementi tali da far ritenere provata, se non altro per presunzioni, ed in applicazione del principio del "più probabile che non", la causa del sinistro.
2.4. Con il quarto motivo parte ricorrente denuncia: "violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., nonché degli artt. 115, 116, 177, 188 e 244 c.p.c. per omessa ammissione di mezzi di prova, in particolare delle testimonianze degli agenti di Polizia Municipale intervenuti sul luogo del sinistro, in riferimento all'art. 360, n. 3 c.p.c.".
Sottolinea che lui, sia in primo grado che in appello, ha chiesto di poter sentire quali testimoni gli agenti della Polizia Municipale intervenuti sul luogo del sinistro sui capitoli che riporta; ma inspiegabilmente ed immotivatamente i giudici di merito non hanno ammesso le sue richieste istruttorie.
Sostiene che la testimonianza dei vigili intervenuti avrebbe di certo fornito chiarimenti e delucidazioni sullo stato dei luoghi e sulle cause del sinistro.
2.5.Con il quinto motivo il ricorrente denuncia: "violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 112 c.p.c. per omessa/errata pronuncia circa la condanna alle spese dell'attore in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4" nella parte in cui la corte territoriale, oltre a rigettare la sua domanda, lo ha condannato al pagamento delle spese processuali non soltanto nei confronti della convenuta Roma Capitale ma anche della società Es. Es., che (non da lui, ma) da Roma Capitale era stata chiamata in causa.
Sottolinea che lui, con l'atto di citazione in appello, ha chiesto, in via subordinata, la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui lo aveva condannato al pagamento delle spese di lite nei confronti di Roma Capitale, al fine di ottenere una pronuncia di compensazione delle spese di lite tra le parti, nonché nei confronti di ES. ES.GR. Srl, in quanto questa aveva eccepito la propria carenza di legittimazione passiva ed il giudice di prime cure, prima di condannarlo al pagamento delle relative spese di lite, avrebbe dovuto comunque pronunciarsi sulla predetta eccezione di carattere processuale (perché in caso di accertamento dell'effettiva assenza di legittimazione passiva, le spese di lite avrebbero dovute essere poste a carico non suo, ma di Roma Capitale per aver avventatamente chiamato in causa un soggetto ad essa estraneo).
3. Preliminarmente occorre dar atto che la proposta di definizione anticipata non ha esaminato il quarto ed il quinto motivo di ricorso; e tanto basta per escludere che il giudizio possa definirsi in conformità ad essa.
4. Ciò posto, il ricorso non è fondato.
4.1. I primi tre motivi sono meritevoli della valutazione espressa nella suddetta proposta.
4.1.1. Invero, il primo motivo denuncia erroneamente vizio ai sensi del n. 5 del 360 c.p.c.: sia perché la pronuncia di appello ha confermato quella di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, poste a base della decisione impugnata; sia perché il ricorrente non si duole della omessa considerazione di fatti, cioè di ciò che rappresenta la fotografia, ma della sua valutazione.
L'evocazione dell'art. 360 n. 4, se sottintendesse un vizio ai sensi del n. 4 dell'art. 132 c.p.c., pur non evocato, lo farebbe erroneamente, dato che il preteso vizio sarebbe fondato su elementi aliunde rispetto alla motivazione.
In definitiva, il ricorrente, pur denunciando formalmente il vizio di cui all'art. 360 n. 4 e n. 5 c.p.c. (senza peraltro spiegare la ragione del duplice riferimento), in realtà sollecita inammissibilmente questa Corte a rivalutare il materiale probatorio.
4.1.2. Anche il secondo motivo ed il terzo motivo meritano la stessa valutazione.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente precisato (cfr. sent. n. 5792/2024) che: "Il travisamento del contenuto oggettivo della prova - che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell'informazione probatoria al fatto probatorio - trova il suo istituzionale rimedio nell'impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall'art. 395, n. 4, c.p.c., mentre - se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti - il vizio va fatto valere ai sensi dell'art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale.".
Orbene, nei motivi in esame, il Pa.Ma. ricorre ai sensi dell'art. 360 n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c., ma tanto fa inammissibilmente, in quanto deduce la violazione degli artt. 115 e 116 senza rispettare i criteri indicati a suo tempo da Cass. n. 11892 del 2016 (condivisi anche dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 20867 del 2020) e deduce la violazione dell'art. 2727 c.c. senza rispettare i criteri indicati dalle Sezioni Unite - nell'ampia motivazione di cui ai paragrafi 4 e ss., cui si rinvia - con sentenza n. 1785 del 2018.
Infine, occorre rilevare che il Pa.Ma. si duole che la corte territoriale abbia dato rilievo alla circostanza che il contachilometri della sua moto indicasse la velocità di 110 km/h, ma inammissibilmente non considera che detta circostanza non ha inciso sul ragionamento logico giuridico che ha condotto la corte territoriale a respingere l'appello: essa è stata ritenuta irrilevante da entrambi i giudici di merito ai fini dell'omessa prova del nesso di causalità.
4.2. Il quarto motivo è infondato.
Invero, il ricorrente: a) in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., dimentica che, come statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte anche di recente (cfr. sent. n. 23794/2022), la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso in cassazione; b) indica sì nella rubrica altre norme di legge di cui intende lamentare la violazione (precisamente gli artt. 115, 116, 177, 188 e 244 c.p.c.), ma nel corpo del motivo non individua le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che sarebbero con esse contrastanti, e, in particolare, non spiega in alcun modo in che cosa sarebbe consistita le denunciata violazione; c) si duole della mancata ammissione della prova testimoniale ma - senza tener conto della giurisprudenza di questa Corte (cfr. ad es. Cass. n. 24377/2021) - non argomenta sulla rilevanza dei capitoli di prova.
4.3. Occorre infine rilevare che è jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 6826/2021 e n. 6651/2020) il principio per cui, in materia di responsabilità per la custodia di strade, occorre distinguere fra i casi in cui il danno sia conseguenza di un vizio intrinseco alla struttura della cosa, oppure sia da ascrivere all'intervento di agenti esterni, normalmente imputabili alla natura, al traffico, al pubblico degli utenti o ad un singolo soggetto terzo (un masso, un animale, una macchia d'olio, ecc.). In tale seconda evenienza - che secondo la prospettazione del Pa.Ma. ricorrerebbe anche nel caso di specie - la responsabilità non è imputabile oggettivamente all'ente pubblico, per il solo fatto della presenza dell'ostacolo, ma occorre che risulti che l'intrusione è stata agevolata dalla peculiare conformazione del bene; oppure dal difetto di manutenzione o di vigilanza sullo stesso (presenza di animali o di altri ostacoli, ecc.) ed, in questi ultimi casi, che vi è stato colpevole ritardo nell'accertare la sopraggiunta situazione di pericolo e/o nell'intervenire per rimuoverla.
In conformità al suddetto principio di diritto, al quale la Corte qui intende dare continuità, quand'anche fosse risultato provato che il sinistro era stato causato dalla presenza di un ramo d'albero sulla carreggiata, parte attorea, per ottenere l'accoglimento della sua domanda, avrebbe dovuto provare che detto ramo si trovava sulla strada da un certo lasso di tempo e che l'ente convenuto, nonostante avesse avuto notizia di tale circostanza, non si fosse tempestivamente attivato per il relativo intervento tecnico.
Circostanza quest'ultima che nel giudizio di merito non risulta essere rimasta accertata.
5. Il quinto motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.
È inammissibile quanto alla censura di mancata compensazione delle spese, in quanto ormai da circa venti anni le Sezioni Unite, con sentenza n. 14989/2005, hanno precisato che: "In tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l'eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione".
Ed è inammissibile ex art. 360-bis c.p.c. là dove vorrebbe argomenta sul fatto che la terza chiamata aveva contestato la sua legittimazione. Invero, il principio di causalità giustifica la condanna a favore del terzo, essendo stato precisato che (Cass. n. 1123/2022): "Allorché il convenuto chiami in causa un terzo ai fini di garanzia impropria - e tale iniziativa non si riveli palesemente arbitraria - legittimamente il giudice di appello, in caso di soccombenza dell'attore, pone a carico di quest'ultimo anche le spese giudiziali sostenute dal terzo, ancorché nel secondo grado del giudizio la domanda di garanzia non sia stata riproposta, in quanto, da un lato, la partecipazione del terzo al giudizio di appello si giustifica sotto il profilo del litisconsorzio processuale, e, dall'altro, l'onere della rivalsa delle spese discende non dalla soccombenza - mancando un diretto rapporto sostanziale e processuale tra l'attore ed il terzo - bensì dalla responsabilità del primo di avere dato luogo, con una infondata pretesa, al giudizio nel quale legittimamente è rimasto coinvolto il terzo".
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalle parti resistenti, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell'importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
P.Q.M.
La Corte:
- rigetta il ricorso;
- condanna il ricorrente Pa.Ma. al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida, in favore della resistente Roma Capitale, in Euro 4.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente al competente ufficio di merito, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2024, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile.
Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2024.
22-01-2025 22:06
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