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Sentenza

La clausola inserita in un contratto di assicurazione contro i danni, la quale p...
La clausola inserita in un contratto di assicurazione contro i danni, la quale preveda una misura differenziata dell’indennizzo in funzione dalle scelte dell’assicurato circa il soggetto cui affidarsi per la riparazione del bene danneggiato, non è di per sé sola restrittiva della libertà negoziale con i terzi, né produttiva di un significativo squilibrio, per i fini di cui agli artt. 1341 c.c. o 33, lettera (t), D.Lgs. 206/05.
Corte di Cassazione, civ., sez. III, sentenza del 19 dicembre 2024, n. 33402
REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Illustrissimi Signori Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco - Presidente

Dott. GIANNITI Pasquale - Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere rel.

Dott. VALLE Cristiano - Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime - Consigliere

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso n. 3764/23 proposto da:

-) Vi.As. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato ex lege all'indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dagli avvocati Ma.Ha. e St.Ta.;

- ricorrente -

contro

-) Autocarrozzeria Ma. di Ma.Pa. e Ma.Fa. Snc, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato ex lege all'indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dagli avvocati Gr.Ma. e Pa.Zi.;

- controricorrente -

avverso la sentenza del Tribunale di Genova 27 giugno 2022 n. 1646;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre 2024 dal Consigliere relatore dott. Marco Rossetti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Mauro Vitiello, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

udito l'Avvocato An.Co., delegato dai difensori della società ricorrente;

udito l'avv. An.Ma., delegato dai difensori della società controricorrente.

FATTI DI CAUSA

1. Ra.Ci. e la Vi.As. Spa stipularono un contratto di assicurazione contro il rischio di danni al veicolo "Fiat Panda" di proprietà dell'assicurata, causati da atti vandalici.

Il contratto prevedeva che, nel caso di sinistro, l'indennizzo sarebbe stato integrale se l'assicurata avesse fatto riparare il mezzo da una delle officine indicate dall'assicuratore; altrimenti sarebbe stato applicato uno scoperto del 20% con un minimo di Euro 1.500.

2. Il 21.12.2016 il veicolo suddetto fu danneggiato da atti vandalici. La proprietaria lo fece riparare da un'officina gestita dalla Autocarrozzeria Ma. Snc di Ma.Pa. e Ma.Fa. Snc, non inclusa tra quelle indicate dalla società assicuratrice Vittoria.

Ra.Ci. cedette quindi alla Autocarrozzeria Ma. il credito indennitario vantato nei confronti dell'assicuratore.

3. Nel 2017 la Autocarrozzeria Ma. convenne dinanzi al Giudice di pace di Genova la Vittoria, esponendo che quest'ultima le aveva erogato un indennizzo decurtato dello scoperto suddetto (euro 1.500) e che tale riduzione dell'indennizzo era illegittima a causa della nullità della clausola la quale prevedeva lo scoperto, perché creatrice di un significativo squilibrio tra le parti.

Il Giudice di pace con sentenza 2.10.2019 n. 1428 rigettò la domanda.

La sentenza fu appellata dalla Autocarrozzeria Ma..

4. Con sentenza 27.6.2022 n. 1646 il Tribunale di Genova (indicato come "Corte d'Appello di Genova" a p. 15 del ricorso) accolse l'appello.

Il Tribunale ritenne che:

-) la società cessionaria era legittimata a far valere la nullità della clausola che prevedeva lo scoperto;

-) la clausola era nulla ex art. 33, lettera (t), D.Lgs. 206/05, sia perché restringeva la libertà contrattuale del consumatore, sia perché prevedeva una riduzione minima del premio (5% di 230 euro) a fronte di uno scoperto elevato (1.500 euro), senza che l'assicuratore avesse allegato circostanze idonee a giustificare questo "rilevante squilibrio".

5. La sentenza d'appello è stata impugnata dalla Vittoria con ricorso fondato su tre motivi.

La Autocarrozzeria Ma. ha resistito con controricorso.

6. Con ordinanza interlocutoria 1 febbraio 2024 n. 3036 la causa, già fissata per la trattazione in camera di consiglio, è stata rinviata a nuovo ruolo per essere discussa in pubblica udienza. Ciò sul presupposto della rilevata esistenza di un contrasto circa la procedibilità del ricorso per cassazione, quando il ricorrente avesse depositato telematicamente, per i fini di cui all'art. 369 c.p.c., una copia del provvedimento impugnato - anch'esso digitale nativo - priva della stampigliatura con i dati attestanti la data di pubblicazione ed il numero di raccolta.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Sulla questione pregiudiziale di rito che ha consigliato la rimessione della causa in pubblica udienza va rilevato che, nelle more, è sopravvenuta su essa una presa di posizione complessiva, ampiamente argomentata in relazione pure allo sviluppo delle modalità telematiche del giudizio di legittimità, di cui a Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12971 del 13/05/2024. All'ampia motivazione di questa - cui si può qui rinviare ex art. 118, primo comma, ultimo periodo, disp. att. c.p.c. - ritiene necessario il collegio aderire, in ossequio alla chiara vocazione nomofilattica di quella pronuncia.

Pertanto, deve infine reputarsi condivisibile la conclusione che il ricorso sia procedibile e che, in relazione all'evoluzione della disciplina del processo civile telematico applicata al giudizio di legittimità, non possa più sostenersi l'originario orientamento di questa Corte, che qualificava "privo di data" il documento informatico depositato telematicamente costituente un duplicato informatico della sentenza impugnata.

In superamento della pregressa disarmonia di orientamenti rilevata dall'ordinanza interlocutoria, si è, così, stabilito che l'onere del deposito di copia autentica del provvedimento impugnato è validamente assolto anche col deposito del suo duplicato informatico.

Il duplicato informatico, infatti, ha il medesimo valore giuridico dell'originale informatico e non può essere alterato. Inoltre, i dati relativi alla pubblicazione del provvedimento impugnato, necessari per stabilire se l'impugnazione sia stata tempestiva, se non desumibili dai sistemi informatici in uso alla Corte di cassazione vanno desunti dalla consultazione del fascicolo di merito, acquisito d'ufficio ex art. 137-bis disp. att. c.p.c. per i giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1 gennaio 2023, come nel presente caso.

Dunque, l'impugnazione è tempestiva ed il ricorso è procedibile.

2. Col primo motivo è denunciata - formalmente - la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.

L'illustrazione del motivo contiene una censura - di lettura alquanto ardua in alcuni passaggi - che questa Corte ritiene debba interpretarsi come segue:

-) il Tribunale ha ritenuto che il contratto di assicurazione prevedesse il diritto dell'assicurato ad esigere da parte dell'assicuratore, in caso di sinistro, non la riparazione del veicolo (e quindi un risarcimento in forma specifica), ma solo una riparazione per equivalente: riparazione integrale se effettuata in una officina convenzionata, ridotta in misura pari allo scoperto in caso contrario;

-) in questo modo - prosegue la ricorrente - il Tribunale avrebbe violato l'art. 115 c.p.c., dal momento che nessuna delle parti aveva messo in discussione che il contratto attribuisse all'assicurato, in caso di sinistro, una facoltà di scelta: o domandare la riparazione in forma specifica, oppure optare per un indennizzo in denaro, ma accettando in questo caso uno scoperto più elevato.

2.1. Il motivo è inammissibile per due ragioni.

In primo luogo, il motivo è inammissibile per difetto di decisività.

Il Tribunale ha ritenuto che fosse nulla la clausola di cui si discorre perché "limitativa della libertà contrattuale" dell'assicurato, ai sensi dell'art. 33, lettera (t), D.Lgs. 206/05.

Rispetto a questa ratio decidendi è vano discorrere se il contratto prevedesse, a carico dell'assicuratore, l'obbligo di indennizzare l'assicurato in forma specifica o per equivalente. Nell'uno, come nell'altro caso, la (ritenuta dal Tribunale) limitazione della libertà contrattuale non sarebbe venuta meno.

2.2. In secondo luogo, il motivo è inammissibile perché attribuisce alla sentenza impugnata un senso che essa non ha. Muove, dunque, da un'erronea interpretazione di essa.

La sentenza d'appello, dopo avere ritenuto nulla la clausola che prevedeva uno scoperto, in quanto ritenuta "restrittiva della libertà contrattuale" dell'assicurato, si fa carico di confutare gli argomenti spesi dall'assicuratore a sostegno della validità della clausola suddetta.

E poiché tra questi argomenti vi era l'invocazione di una sentenza di questa Corte (la sentenza n. 11757/18), il Tribunale per confutarlo osservò (p. 4) che la clausola esaminata da quella sentenza era diversa dalla clausola oggetto del contendere: lì, l'assicuratore si era obbligato a riparare direttamente il veicolo dell'assicurato in caso di danno; qui, invece, si era obbligato a corrispondergli un indennizzo in denaro decurtato dello scoperto.

2.3. La società ricorrente, trascurando questo argomentare, estrapola un breve passaggio da p. 5, penultimo capoverso, della sentenza impugnata ("al consumatore non è stata garantita, tramite il circuito dei carrozzieri convenzionati, una riparazione in forma specifica (come nel caso di Cassazione n. 11757/2018), ma solo una riparazione per equivalente"), per trarne la conclusione che il Tribunale avrebbe travisato gli atti processuali, ravvisando nei patti contrattuali una previsione (il pagamento dell'indennizzo in denaro, e non in forma specifica) che non solo non vi era, ma che era pacifico tra le parti che non vi fosse.

2.4. Ma, per quanto detto, il passaggio della motivazione trascritto al precedente par. non è la ratio decidendi sottesa dalla sentenza d'appello.

È solo un obiter dictum speso dal Tribunale per rimarcare la diversità tra il caso sottoposto alla sua attenzione e quello deciso da questa Corte con la sentenza 11757/18, richiamata dalle parti nel dibattito processuale. La ratio decidendi, per quanto detto, fu la ravvisata nullità della clausola di scoperto, in quanto limitativa della libertà contrattuale dell'assicurato: e di tale ratio decidendi la censura proposta col primo motivo non si occupa.

3. Col secondo motivo la società Vittoria deduce che la motivazione della sentenza sarebbe insanabilmente contraddittoria.

La contraddittorietà denunciata dalla ricorrente consisterebbe in ciò: il Tribunale ha ritenuto nulla la clausola che prevedeva uno scoperto a carico dell'assicurato perché a quest'ultimo non fu garantita una riparazione in forma specifica, e tale affermazione contrasterebbe "con le risultanze fattuali emerse nel corso dei giudizi di merito e con le medesime considerazioni svolte dal giudice di Genova.

Ne deriva, dunque, con tutta evidenza, che tale premessa Ma.re - nel sillogismo para-logico del Tribunale di Genova - è destinata ad infirmare l'intelligibilità stessa della parte motiva della sentenza".

3.1. Frammista a questa censura, la ricorrente deduce anche, col medesimo secondo motivo di ricorso, che la clausola di cui si discorre non poteva essere ritenuta nulla, perché riproduttiva della previsione di cui all'art. 2058 c.c.

3.2. Il motivo è manifestamente infondato perché:

a) non vi è nessuna contraddizione nella motivazione: il Tribunale ha ritenuto che la clausola limitava la libertà del consumatore ed era perciò nulla;

b) in ogni caso l'unica contraddittorietà che può comportare la nullità della sentenza è quella emergente prima facie dalla motivazione, senza necessità di rinvio a elementi esterni;

c) infine, la clausola di scoperto non ha nulla a che vedere con l'art. 2058 c.c.: tale norma, infatti, non prevede affatto che chi sceglie il risarcimento per equivalente debba accettare una falcidia.

4. Col terzo motivo di ricorso è prospettata la violazione degli articoli 1341 del codice civile, nonché degli artt. 33 e 34 del codice del consumo.

Nell'illustrazione del motivo la società ricorrente sostiene che la clausola ritenuta nulla dal Tribunale in realtà delimitava l'oggetto del contratto, e non violava perciò l'art. 1341 c.c., né l'art. 33, lettera (t), del codice del consumo, né determinava un significativo squilibrio tra le parti.

4.1. Va premesso che nella presente sede è ormai coperta dal giudicato interno la questione se il cessionario del credito in origine vantato dal consumatore possa opporre al debitore la disciplina dettata a tutela del consumatore. La questione infatti, è stata decisa dal Tribunale (p. 3) con statuizione non impugnata.

Non mette conto, dunque, occuparsi del problema se possa estendersi all'eccezione di nullità il principio stabilito dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea in tema di competenza giurisdizionale, secondo cui le norme di derivazione comunitaria dettate a tutela di determinate categorie di persone non possono estendersi a chi da quelle persone abbia acquistato un credito per effetto di cessione, quando l'acquisto di crediti altrui sia esercitato professionalmente, come parrebbe nel caso di specie (Corte giust. 31.1.2018, in causa C-106/17, Hofsoe; nello stesso senso Corte giust. 20.5.2021, in causa C-913/19, CNP).

4.2. Nel merito il motivo è fondato.

Il Tribunale di Genova ha accertato in punto di fatto che il contratto prevedeva i seguenti patti (contenuti, secondo quanto riferisce la sentenza impugnata, "a p. 5.14 del "Fascicolo informativo"):

a) in caso di sinistro, se l'assicurato avesse scelto di fare riparare il bene danneggiato in una officina convenzionata con l'assicuratore, avrebbe avuto diritto:

a') per i veicoli immatricolati da meno di dieci anni, al pagamento dell'indennizzo integrale, senza franchigia, senza scoperto e senza detrazione del degrado d'uso;

a'') per i veicoli immatricolati da più di dieci anni, al pagamento dell'indennizzo integrale, senza franchigia, senza scoperto ma con detrazione del degrado d'uso;

a''') in ogni caso al rimborso del 5% del premio annuo pagato per la copertura r.c.a. (ovvero una garanzia diversa da quella oggetto del contendere);

b) se l'assicurato, invece, avesse scelto di fare riparare il bene danneggiato in una officina non convenzionata con l'assicuratore, avrebbe avuto diritto ad un indennizzo decurtato d'uno scoperto 20% (con un minimo di Euro 1.500) e ridotto per tenere conto del degrado d'uso, quale che fosse la vetustà del veicolo danneggiato.

Questo patto è stato ritenuto dal Tribunale violativo dell'art. 33, lettera (t), D.Lgs. 206/05, in quanto "pone a carico del consumatore una restrizione alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi, non risulta bilanciata da alcun serio vantaggio e non è stata oggetto di alcuna trattativa individuale".

Questa conclusione non è conforme a diritto sia nella parte in cui ha ravvisato nella clausola sopra riassunta una "restrizione alla libertà contrattuale"; sia nella parte in cui ha ritenuto la suddetta clausola "non bilanciata da alcun serio vantaggio" e, dunque, foriera di un significativo squilibrio.

4.3. In primo luogo va escluso che la clausola di cui si discorre costituisca una restrizione alla libertà contrattuale con i terzi.

Una clausola "restrittiva della libertà contrattuale" è quella che impone all'aderente di contrattare solo con il predisponente (ad es., una clausola di esclusiva: cfr. da ultimo, Sez. 2, Sentenza n. 673 del 09/01/2024, in motivazione); oppure quella che preveda uno svantaggio economico nel caso in cui l'aderente si rivolga a terzi per avere la stessa prestazione offerta dal predisponente (Sez. 3, Sentenza n. 373 del 15/01/1997, con riferimento alla clausola inserita in un contratto di assicurazione contro gli infortuni non mortali, la quale prevedeva una riduzione dell'indennizzo se l'assicurato avesse stipulato altre polizze con altri assicuratore a copertura del medesimo rischio).

Non è, invece, una clausola restrittiva della libertà contrattuale con i terzi quella in virtù della quale l'aderente si obbliga verso il predisponente a concludere affari solo con Tizio o Caio: questo, infatti, è un patto interno al rapporto concluso fra le parti e non comporta alcuna restrizione della libertà contrattuale verso i terzi (così già Sez. 3, Sentenza n. 1317 del 09/02/1998).

4.4. Oltre che sul piano del diritto, la statuizione di nullità della clausola di cui si discorre è insostenibile sul piano della logica.

Il contratto accordava all'assicurato una facoltà: rivolgersi per le riparazioni ad un'officina convenzionata o ad una officina non convenzionata. Nel primo caso avrebbe evitato lo scoperto e ottenuto uno sconto sul premio; nel secondo caso no.

Il Tribunale ha ritenuto questa clausola "limitativa della libertà contrattuale", evidentemente sul presupposto (implicito, ma evidente) che la riduzione dell'indennizzo avrebbe l'effetto di dissuadere l'assicurato dal rivolgersi all'autoriparatore di sua fiducia.

Ma per giungere a questa conclusione occorrerebbe postulare che il pagamento integrale dell'indennizzo costituisca sempre il minimo indefettibile di ogni contratto di assicurazione; che, pertanto, qualsiasi patto di sottoassicurazione, franchigia o scoperto sia per ciò solo "squilibrato" perché costituisce un minus rispetto all'assicurazione a valore pieno; che di conseguenza la previsione d'uno scoperto dipendente da scelte dell'assicurato sia, per quest'ultimo, una coazione indiretta a non contrattare con i terzi e dunque una restrizione della libertà contrattuale.

Simili postulati sono logicamente insostenibili.

Un'assicurazione contro i danni potrebbe essere indifferentemente stipulata a valore pieno o in sottoassicurazione (art. 1907 c.c.); e la seconda eventualità non sarebbe certo uno "squilibrio" del contratto, ma una libera pattuizione delle parti espressamente prevista e consentita dalla legge.

Da questo principio istituzionale discende che il prevedere uno scoperto nel caso di riparazione "non convenzionata", più che un disincentivo a rivolgersi ad autoriparatori di fiducia dell'assicurato, dovrebbe ritenersi un incentivo a rivolgersi ad autoriparatori di fiducia dell'assicuratore.

Una clausola siffatta solo illusoriamente (e scorrettamente) può apparire una "restrizione della libertà contrattuale nei rapporti con i terzi", e solo per chi muova dall'assunto che un indennizzo "normale" debba coprire l'intero danno.

Se invece si muovesse dal corretto assunto che la misura dell'indennizzo è rimessa alle parti; che non esiste una gerarchia di validità tra l'assicurazione a valore pieno e la sottoassicurazione o l'assicurazione con scoperto obbligatorio; che queste ultime non sono un sottotipo dell'assicurazione a valore pieno, la clausola di cui si discorre acquisterebbe il suo effettivo significato d'un incentivo premiante, alla stregua ad es. d'uno sconto sul premio o d'una clausola di incontestabilità delle eccezioni fondate sul rischio.

E la prova del nove di quanto affermato è la seguente: se, nel caso di specie, il contratto avesse previsto uno scoperto per qualsiasi sinistro e senza distinzioni di sorta, quale che fosse stato l'autoriparatore prescelto dall'assicurato, una simile clausola avrebbe delimitato l'oggetto del contratto, e nessuno avrebbe potuto sospettarne la nullità.

È dunque logicamente insostenibile che un patto contrattuale, valido se riguardato in sé, possa diventare invalido sol perché affiancato da altro patto che, lungi dal ridurre i diritti dell'assicurato, al contrario li amplia.

4.5. Del pari giuridicamente non condivisibile è la statuizione con cui il Tribunale ha ritenuto la clausola in esame foriera di un "significativo squilibrio".

Questa Corte, decidendo una fattispecie pressoché identica, ha già escluso che possa ritenersi produttiva di un "significativo squilibrio" la clausola che prevede la riduzione della franchigia nel caso in cui l'assicurato contro i danni si rivolga, per le riparazioni, a soggetto indicato dall'assicuratore, in quanto una simile clausola delimita l'oggetto del contratto (Sez. 3, Ordinanza n. 25743 del 04/09/2023; nello stesso senso Sez. 3, Ordinanza n. 23415 del 27/07/2022).

In ogni caso anche la statuizione di nullità della clausola suddetta per "significativo squilibrio" è frutto dell'illusione ottica illustrata al par. che precede: lo scoperto e la franchigia sono patti contrattuali che delimitano l'oggetto del contratto, e per potere ritenere che essi provochino - in una situazione come quella oggetto del presente giudizio - un "significativo squilibrio" occorrerebbe postulare che l'assicurazione a valore pieno e senza scoperto sia il "minimo sindacale" indefettibilmente dovuto dall'assicuratore.

Così non è, per quanto detto, sicché l'argomento del Tribunale si rivela privo di decisività perché ribaltabile nel suo contrario: se, infatti, si ammette che l'indennizzo standard previsto dal contratto sia quello ridotto per effetto dello scoperto, la clausola di cui a p. 5.14 del contratto finisce per diventare una misura premiante, invece che penalizzante.

Pertanto, di tale clausola - beninteso, di per sé sola considerata - non può predicarsi la nullità.

4.5. Completezza impone di aggiungere che la decisione pronunciata da questa Corte con l'ordinanza 17.11.2021 n. 34950, richiamata dal Tribunale a fondamento della propria motivazione e indicata come un "precedente", non è tale.

Quell'ordinanza infatti dichiarò il ricorso inammissibile per estraneità alla ratio decidendi. In quel caso il giudice di merito aveva ritenuto nulla una clausola analoga a quella oggi in discussione perché creatrice di un "significativo squilibrio" tra le parti; e il ricorrente aveva impugnato tale sentenza contestando che la clausola costituisse una "limitazione di responsabilità".

Sicché, pronunciando l'inammissibilità del ricorso per mancanza di correlazione tra ratio decidendi e ratio oppugnandi, l'ordinanza 34950/21 non si è affatto occupata - al contrario di quanto ritenuto dal Tribunale di Genova con la sentenza qui impugnata - della questione della validità della clausola oggi in discussione.

4.6. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio al Tribunale di Genova, il quale, nel giudicare ex novo l'impugnazione, applicherà il seguente principio di diritto:

"La clausola inserita in un contratto di assicurazione contro i danni, la quale preveda una misura differenziata dell'indennizzo in funzione dalle scelte dell'assicurato circa il soggetto cui affidarsi per la riparazione del bene danneggiato, non è di per sé sola restrittiva della libertà negoziale con i terzi, né produttiva di un significativo squilibrio, per i fini di cui agli artt. 1341 c.c. o 33, lettera (t), D.Lgs. 206/05".

5. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il primo ed il secondo motivo di ricorso;

(-) accoglie il terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Genova, in persona di diverso magistrato, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 22 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2024.
Avv. Antonino Sugamele

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