EFFETTI DELLA CRISI ECONOMICA SULLA PROFESSIONE. XXX Congresso Nazionale Forense. Genova
Coordinatore : Gaetano VICICONTE
COMPONENTI:
Palma BALSAMO
Pasquale BARILE
Alessandro BONZO
Sandro CALLEGARO
Rolando DALLA RIVA
Antonio DE GIORGI
Mario DIEGO
Giovanni D'INNELLA
Luisella FANNI
Annamaria INTROINI
Agostino MAIONE
Francesco MARULLO DI CORDOJANNI
Enrico MERLI
Emilia OLIVIERI
Vando SCHEGGIA
Antonio SPINZO
Francesco STORACE
Valeriano VASARRI
Pierluigi VULCANO
I. Il tema della crisi economica e della professione forense rischia di rimanere attuale ancora per un periodo rilevante, in quanto lo scenario economico continua a presentare notevoli profili di criticità, in considerazione del persistere di problemi strutturali che continuano ad affliggere il nostro sistema.
Il Centro Studi di Confindustria in una recentissima pubblicazione del 13 settembre 2010 sul tema del rafforzamento della crescita ha individuato quattro rilevanti ostacoli alla ripresa di un ciclo espansivo dell'economia. Vale a dire:
I) l'aggiustamento dei conti della finanze e delle banche, in particolare, manterrà selettivo il credito, la cui concessione è stata resa più prudente anche dal deteriorarsi dei bilanci delle famiglie e delle imprese;
II) i prezzi del mercato immobiliare sono molto elevati in relazione al reddito disponibile;
III) l'elevata disoccupazione e la generale difficoltà occupazionale non fanno ripartire la spesa per i consumi;
IV) la forte pressione del debito pubblico impone un risanamento con manovre di rientro molto restrittive.
In linea generale, l'Italia patisce dei gravi problemi di competitività, mentre dal punto di vista della crescita il PIL pro capite è ritornato al livello di quello prodotto nel 1998, avendo la recessione eroso i guadagni degli anni successivi.
In questo contesto, si può certamente ritenere che nell'ambito dei problemi strutturali del nostro sistema si colloca il funzionamento della giustizia.
II. Banca Mondiale ha pubblicato l'annuale rapporto Doing Business 2010.
Il rapporto analizza per oltre 180 Paesi gli indicatori relativi ai costi per "fare impresa" derivanti dalle specifiche norme che favoriscono o ostacolano gli investimenti, la produttività e la crescita.
Doing Business 2010 aggiorna gli indicatori presentati nei precedenti rapporti: avviare un' impresa, assumere e licenziare lavoratori, ottenere credito, proteggere degli investitori, costringere al rispetto dei contratti, cessare un'attività.
L'Italia è al 78° posto della classifica (183 economie), perdendo 4 posizioni dallo scorso anno.
Tra le ragioni che penalizzano il nostro sistema ci sono l'inefficacia del sistema giudiziario civile, la difficoltà nel pagamento delle imposte e dell'accesso al credito, la rigidità del mercato del lavoro.
Al primo posto Singapore (da quattro anni consecutivi in testa alla classifica) seguito da Nuova Zelanda, Hong Kong, Stati Uniti, Regno Unito e Danimarca.
I Paesi che hanno determinano una forte crescita nel processo di riforme e hanno conquistato più posizioni rispetto al 2009 sono stati: il Ruanda, il Kirgizistan e la Macedonia.
III. D'altra parte, le comunicazioni in Parlamento del Ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, nelle sedute del 20 e del 21 gennaio 2010, evidenziano come lo stato della giustizia in Italia si presenti davvero allarmante.
Questi i dati di riferimento:
1. 5.625.057 i procedimenti civili pendenti, con un aumento del 3% rispetto al 2008;
2. 3.270.979 quelli penali, con una riduzione modesta rispetto all'anno precedente;
3. 65.067 detenuti - di cui 24.152 stranieri - nelle 204 strutture penitenziarie;
4. 20.959 minorenni segnalati dall'Autorità Giudiziaria Minorile agli Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni, con una crescente incidenza dei fenomeni di devianza minorile straniera.
Tale enorme mole di lavoro – che non ha eguali negli altri paesi dell'U.E. - viene gestita da 9080 magistrati togati (6402 giudici e 2090 pubblici ministeri); 3513 giudici onorari; 40456 unità di personale giudiziario; 1399 addetti al settore minorile; 46662 dipendenti dell'amministrazione penitenziaria.
Tra questi dipendenti, ben 5183 (circa il 12 %) sono impegnati ad effettuare 28 milioni di notifiche manuali ogni anno - pari a 112.000 notifiche al giorno – di cui oltre la metà destinate agli avvocati. Circa il 12% dei soli processi penali viene rinviato per omessa o irregolare notifica (dati Eurispes 2008) e lo stesso processo penale brucia, in media, 80 mln di euro ogni anno per dichiarare prescritti 170.000 processi (465 al giorno, festivi compresi).
Oltre 30.000 cittadini hanno chiesto di essere indennizzati a causa dell'irragionevole durata del processo, ottenendo decine di milioni di euro di risarcimenti, con un trend di crescita delle richieste pari al 40% l'anno. La giustizia costa 8 miliardi di euro l'anno, cioè circa 30 milioni di euro per ogni giornata lavorativa.
IV.La crisi dell'economia può annoverare, quindi, tra i suoi fattori anche la crisi della giustizia. Certamente sia la crisi dell'economia sia la crisi della giustizia incidono sull'andamento della professione forense. I numeri della crisi che riguardano in generale il comparto delle professioni e, in particolare, anche quella forense, descrivono difficoltà nella conduzione degli studi e nelle aspettative di redditività della professione, causate anche dalla contrazione di incarichi o da ritardi nei pagamenti.
Quale ricetta di emergenza allo stato di crisi sono state proposte misure di sostegno e di incentivo per lo sviluppo delle libere professioni, nonché è stata auspicata l'estensione della disciplina del concordato preventivo e l'istituzione di una procedura di esdebitazione in favore dei professionisti. In particolare, occorre affrontare:
a) il problema dei ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, mediante l'introduzione della certificazione del credito allo scopo di facilitare l'accesso al credito bancario;
b) il tema dell'estensione degli istituti di regolazione della crisi di impresa di recente introdotti quali gli accordi di ristrutturazione, il concordato preventivo, l'esdebitazione;
c) la questione dei contratti di trasferimento degli studi tra professionisti;
d) l'introduzione di disposizioni di incentivo e di sostegno dell'attività professionale.
Esistono, d'altra parte, regioni come la Toscana e il Piemonte che hanno già introdotto con leggi regionali misure finanziarie a sostegno del comparto delle professioni.
Sempre più occorre riflettere sulla necessità di separare, nella prospettiva in esame, il tema dell'organizzazione degli studi professionali da quello della funzione svolta dal professionista.
V. In merito alle esigenze derivanti dalla gestione degli effetti della crisi economica non si può ritenere che esista una peculiarità della professione forense rispetto al restante comparto professionale.
L'analisi dei dati che riguardano la nostra categoria professionale è necessaria per descrivere il fenomeno.
Di grande interesse risultano i dati statistici riferiti all'avvocatura italiana, divulgati in occasione della Conferenza di Cassa Forense, tenutasi lo scorso aprile a Stresa.
Gli avvocati italiani iscritti agli albi forensi sono passati da un numero di 48.327 professionisti presenti nel 1985 a ben 208.000 nel 2009 con un incremento del 330%, mentre gli avvocati che, oltre ad essere iscritti agli Albi sono anche iscritti alla Cassa e quindi svolgono attività continuativa, sono passati da 37.495 presenti nel 1985 a 152.000 professionisti nel 2009 con un incremento del 300% circa.
Il rilevante aumento del numero degli avvocati negli ultimi decenni non dipende dalla naturale dinamica della popolazione italiana che, invece, ha mostrato nello stesso periodo una tendenziale contrazione della crescita. Se nel 1985 era presente circa un avvocato ogni mille abitanti (0,9), nel 2009 sono presenti ben 3,4 avvocati ogni mille abitanti.
Interessante è poi verificare come si distribuisce per regione il numero degli avvocati in rapporto al numero di abitanti, da cui risulta come in alcune regioni esista una forte concentrazione di professionisti, per esempio in Calabria con 5,9 avvocati ogni mille abitanti. Puglia e Campania intorno ai cinque avvocati per ogni mille abitanti. Ci sono regioni dove, invece, sembra scarseggiare la presenza di avvocati, quali per esempio la Valle d'Aosta con 1,3 avvocati ogni mille abitanti o il Trentino Alto Adige, il Friuli Venezia Giulia e il Piemonte con un numero di avvocati inferiore a 2 professionisti ogni mille abitanti.
La rilevante crescita del numero degli avvocati italiani è un fenomeno abbastanza recente e ha di fatto determinato un ringiovanimento della popolazione forense.
Tuttavia, dopo un rilevante aumento del numero dei laureati in giurisprudenza, osservato negli anni 2001-2004, con una media di circa 25.000 nuovi laureati all'anno, si osserva un forte calo negli ultimi anni che ha avuto già riflesso sull'andamento dei giovani che iniziano la pratica forense che sono passati da oltre 23.000 nel 2005 a circa 15.000 nel 2008.
Le previsioni devono tener conto del calo dei laureati e dei praticanti, fenomeno che non potrà che avere come conseguenza il futuro calo del numero dei nuovi avvocati che svolgerà la professione con continuità.
Importante anche il dato che riguarda le donne avvocato. Nel 1980 esse rappresentavano meno del 7% di tutti gli iscritti agli albi forensi; attualmente risultano iscritte agli albi oltre 90.000 professioniste pari al 44% degli iscritti.
Per il periodo 1999-2008 se si confrontano il valore del reddito complessivamente prodotto dagli avvocati e il PIL prodotto a livello nazionale, si ricava che in media i tassi di crescita della ricchezza prodotta dagli avvocati è stata di gran lunga superiore a quelli riscontrati sulla crescita della ricchezza mediamente prodotta ciascun italiano, una media dell'8,3% contro una media nazionale del 3,8%. Ma quanto questa crescita è dovuta all'aumento del numero degli avvocati piuttosto che alla maggiore ricchezza prodotta da ciascun avvocato?.
Il dato che emerge non è entusiasmante. Invero, se, invece, di confrontare il monte dei redditi dell'avvocatura, valore che risente della numerosità dei professionisti coinvolti, si mette a confronto l'entità del reddito medio prodotto con il PIL medio nazionale, si evince che in media il primo è cresciuto molto meno del secondo; la ricchezza mediamente prodotta da un avvocato, nel periodo considerato, ha avuto una crescita media annua pari al 2,3% ed è cresciuta molto meno di quanto mediamente prodotto a livello nazionale, rispetto al quale, invece, si registra una crescita media annua pari al 3,2%.
VI. Peraltro, la situazione in cui versa oggi l'avvocatura viene ritenuta in modo opinabile quale concausa della crisi della giustizia.
La Banca d'Italia ha presentato nel 2009 uno studio sul tema: “La giustizia civile in Italia: i divari territoriali”
In tale studio si rileva come la giustizia civile in Italia si caratterizza rispetto ai principali paesi europei per l'elevata litigiosità. Secondo lo studio del CEPEJ (2008), il tasso di litigiosità (numero di nuove cause avviate ogni anno rispetto alla popolazione) in Italia è pari 3,5 volte quello della Germania e quasi 2 volte quello di Francia e Spagna.
All'interno del Paese, il fenomeno presenta una forte variabilità territoriale e risulta significativamente superiore nelle regioni meridionali rispetto alle altre aree. Nel 2006 il numero di nuovi procedimenti avviati di cognizione ordinaria e in materia di lavoro, previdenza e assistenza era pari a 2,2, per 100 abitanti al Sud, rispetto a 1,1, nel Centro Nord.
Considerando il numero degli avvocati come elemento diretto ad alterare l'intensità della concorrenza nel mercato dei servizi legali, da un punto di vista economico è possibile identificare due canali attraverso i quali tale variabile incide sulla litigiosità. In primo luogo, la maggiore concorrenza può portare a una riduzione del prezzo del servizio e, quindi, a parità di altri fattori, rendere più conveniente in termini relativi intraprendere un'azione legale. In secondo luogo, come evidenzia la letteratura sui servizi professionali, i professionisti potrebbero rispondere alla accresciuta pressione concorrenziale con l'adozione di comportamenti volti a stimolare la domanda per i propri servizi, sfruttando le asimmetrie informative nel rapporto con i clienti.
Sempre secondo lo studio in esame, gli incentivi a indurre la domanda sono più forti quando la struttura dei compensi dei professionisti non dipende dal risultato della prestazione, ma è determinata esclusivamente in base al carico di lavoro svolto (Polinsky e Rubinfeld).
Il risultato della ricerca della Banca d'Italia indica che livelli più elevati di sviluppo economico e di capitale sociale riducono la litigiosità, mentre una maggiore complessità sociale tende ad accrescere la domanda di giustizia. L'effetto del numero di avvocati in rapporto alla popolazione sulla variabile dipendente risulta positivo e statisticamente significativo.
In base all'evidenza empirica, le variabili che hanno maggior impatto sul tasso di litigiosità sono il valore aggiunto pro capite e il numero di avvocati.
Dal confronto internazionale sull'entità delle risorse umane e finanziarie destinate alla giustizia non emergono indicazioni univoche. Il numero di magistrati per abitante in Italia è confrontabile con quello della Spagna e della Francia, paesi che però si caratterizzano per una minore litigiosità, ed è di gran lunga inferiore a quello della Germania. La spesa pubblica per abitante destinata ai Tribunali è in Italia superiore del 18% a quella della Francia. Invero, secondo il rapporto CEPEJ del 2008, il numero dei magistrati per abitante è pari a 10 in Spagna, 11 in Italia, 11,9 in Francia e 24,5 in Germania.
VII. Crisi economica e crisi della professione forense appaiono fenomeni in stretta concatenazione tra di loro, ma si può ragionevolmente temere che la soluzione della crisi economica non determinerà in modo correlato la risoluzione della crisi in cui attualmente versa la professione forense.
La discussione politica negli ultimi anni sulla questione professionale si è concentrata su aspetti di tipo ideologico, tra i sostenitori delle liberalizzazioni e i difensori del sistema ordinistico. Tuttavia, come ha correttamente scritto Dario DiVico (Piccoli. La pancia del Paese, Marsilio, 2010), mentre le istanze di liberalizzazione e di apertura dovevano servire a far crescere il mercato e ad aumentare i soggetti in campo, la recessione ha determinato un eccesso di capacità produttiva, vale a dire un'offerta sovrabbondante e non competitiva.
Questa grave situazione si inserisce nelle gravi criticità di sistema che il rapporto Monti del maggio 2010 ha evidenziato, sottolinenando tre fenomeni concorrenti:
- la stanchezza da integrazione europea;
- la stanchezza da mercato;
- la stanchezza da riforme.
In primo luogo, la stanchezza da integrazione europea si era manifestata anche prima della recente crisi economica. Da una parte gli ambienti economici e politici hanno cominciato ad opporsi al fatto che la logica del mercato unico mettesse radici profonde nel cuore del potere economico a livello nazionale. Dall'altra parte, in diverse fasce sociali sono emersi timori relativi ad elementi ancora più fondamentali del mercato unico, quali per esempio la libera circolazione delle persone e dei servizi.
Dopo la crisi economica ha cominciato a serpeggiare una certa stanchezza da mercato. La diffusione e la consistenza della fiducia nell'economia di mercato sono scese ai livelli più bassi dagli anni ottanta. I limiti del mercato sono diventati più visibili. Oggi molti considerano il mercato ingiusto, fonte di disuguaglianze inaccettabili ed inefficiente, avendo attirato enormi risorse verso attività finanziarie il cui contributo all'economia è oggetto di perplessità.
Infine, la stanchezza da riforme è un fenomeno generalmente sentito al livello europeo, ma particolarmente avvertito in Italia. Il sistema italiano è affetto da una massa crescente e sconfinata di regole. Solo nel 2009 la Gazzetta Ufficiale italiana ha pubblicato ben 15.932 pagine di provvedimenti. Gli strumenti dell'abrogazione, della semplificazione, della delegificazione, in varie fasi utilizzati per poter sfrondare il quadro normativo hanno mostrato risultati del tutto insoddisfacenti, giacché per ogni legge delegificata rinasceva un regolamento, per ogni norma di semplificazione rinascevano norme ancor più difficili da integrare nel sistema.
Conseguentemente, l'Italia è stata esclusa dal novero dei primi 30 posti della classifica dei paesi dove è più conveniente investire.
VIII. In Italia, la professione forense sta attraversando una crisi identitaria che ha pochi precedenti, i cui segnali si manifestano anche con tentativi di fughe in avanti verso una selvaggia imprenditorializzazione dell'attività professionale.
Occorre, pertanto, da un lato, riqualificare l'attività professionale, mediante la creazione di una nuova cultura comune intergenerazionale dell'Avvocatura per condividere esigenze e modalità comuni di svolgimento della professione attraverso il radicamento dei sistemi di formazione, di specializzazione, delle norme condivise di deontologia. Dall'altro lato, sul versante delle politiche economiche l'Avvocatura, quale soggetto politico, deve partecipare e favorire un processo di creazione di nuove occasioni di lavoro e di crescita, come ad esempio quella segnalata da Prandstaller, di trasferire ruoli e competenze dalla pubblica amministrazione alle professioni, in un periodo in cui l'apparato pubblico deve necessariamente sottoporsi ad una rigida cura dimagrante per effetto della minore disponibilità economica.
In ogni caso, qualsiasi proposta di uscita dalla crisi da parte dell'Avvocatura non potrà che ripartire dalla corretta valutazione dei dati riportati, nella consapevolezza che l'illusione di una crescita all'infinito dei numeri degli iscritti agli albi professionali è pari alla corrispondente illusione che l'economia e il mercato possano regolarsi autonomamente, in mancanza di una seria politica di programmazione e di analisi dei fabbisogni.
19-11-2010 00:00
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