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Sentenza

COMODATO - Comodato precario tra coniugi, usucapione e detenzione, e sospensione...
COMODATO - Comodato precario tra coniugi, usucapione e detenzione, e sospensione dei termini (Cc, articoli 781, 1158, 1159-bis, 1160 e 1161, 1165, 1808 e 2941)
Il comodato gratuito di immobile concesso tra coniugi, in assenza di determinazione del termine di durata, configura un comodato precario ai sensi dell’articolo 1810 del codice civile, revocabile ad nutum dal comodante. La destinazione dell’immobile a specifica attività (es. studio professionale) non implica la previsione di un termine implicito coincidente con la cessazione dell’attività stessa. In costanza di matrimonio, il decorso del termine utile per l’usucapione è sospeso ai sensi degli articoli 1165 e 2941 del codice civile; la mera detenzione derivante dal comodato non si trasforma in possesso utile ad usucapionem senza atti inequivoci di interversione del possesso. Il danno da mancato godimento dell’immobile non è risarcibile in re ipsa, ma deve essere allegato e provato con riferimento alla concreta perdita della possibilità di godimento. Il Tribunale di Bari ha ordinato la restituzione immediata dell’immobile da parte della moglie che lo utilizzava come studio dentistico, al marito, riconoscendo che il comodato era precario e revocabile senza termine. Ha rigettato sia la richiesta di risarcimento danni dell’uomo (per mancata prova del danno), sia la domanda di usucapione avanzata della moglie, poiché la detenzione derivava dal comodato e non si era trasformata in possesso utile. Le spese di lite sono state compensate al 50%, con condanna di C1 a rifondere la metà residua.

    Tribunale Bari, sezione III, sentenza 16 settembre 2025 n. 3201 – Giudice: Tarantino
Il Tribunale di Bari, terza sezione civile, nella persona del Giudice Unico dott. Gianluca Tarantino ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. …/2015
vertente tra
P1 , rappresentato e difeso dall'avv. …
Ricorrente in via principale - Resistente in via riconvenzionale
e
C1 rappresentata e difesa dall'avv. …
Resistente in via principale - Ricorrente in via riconvenzionale
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1 - Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c. depositato il 4.6.2015 e ritualmente notificato, unitamente al
decreto di fissazione udienza, in data 1.7.20l5, P1 ha domandato di: " - Ai sensi degli artt. 1803, 1809
e/o 1810 c.c. accertare la cessazione del contratto di comodato d'uso gratuito, a favore della dott.ssa
C1 , dell immobile sito in B. al (...) n. 25, di proprietà del sig. P1 ; - vista e accertata la detenzione
dell'immobile senza un giusto titolo da parte della dott.ssa C1 a far data dal 11.05.2011 e condannare
la stessa al rilascio dell'immobile, con contestuale risarcimento del danno per mancato godimento
del bene da parte del sig. P1 , da quantificarsi con riferimento al valore locatizio dell'immobile; - Con
rifusione di spese, diritti ed onorari di causa".
Con comparsa depositata il 13.5.2016, si è costituita in giudizio C1 chiedendo di "1) rigettare in toto,
perché infondate in fatto e in diritto, le domande proposte dal sig. P1 nei confronti della dott.ssa C1
2) In accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata da quest ultima: - in via principale
ritenere e dichiarare intervenuta acquisizione per usucapione da parte della dott.ssa C1 della piena
proprietà dell'appartamento posto in Bari al (...) n. 25 - piano 4 (ad identificarsi catastalmente nel
prosieguo del giudizio); - in via gradata e con salvezza di gravame, ritenere e dichiarare in favore
della C1 l'intervenuta usucapione del diritto di usufrutto vita sua natural durante sul medesimo
immobile; - in via ulteriormente gradata e sempre con salvezza di gravame, ritenere e dichiarare in
favore della concludente l'usucapione del diritto d'uso sul predetto immobile per l'intera durata
della sua vita. 3) Conseguentemente ordinare alla Agenzia del Territorio di Bari, in persona del suo
Direttore e con esonero da ogni responsabilità, di trascrivere l'emananda sentenza di trasferimento
di diritti reali immobiliari. 4) A ragione della palese temerarietà della domanda, dichiarare tenuto e
condannare il sig. P1 al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. nella misura che sarà ritenuta di
giustizia ed equità. 5) Con vittoria nelle spese e nei compensi del presente giudizio, a distrarsi in
favore del sottoscritto difensore che si dichiara anticipatario".
La causa, istruita mediante produzione documentale, interrogatorio formale delle parti e prova per
testi, è stata decisa nei modi di legge all'odierna udienza dallo scrivente, frattanto subentrato al
precedente giudice.
2 - La domanda principale è parzialmente fondata e, periamo, può trovare accoglimento nei limiti
che saranno di seguito precisati.
La domanda riconvenzionale, al contrario, è destituita di fondamento e va rigettata.
2.1 - P1, a sostegno della domanda in questa sede spiegata, ha dedotto di aver concesso, nel 1990,
l'immobile di sua proprietà -sito in B. al (...) n. 25, identificato in catasto foglio, part. sub - cat. (...)- in
comodato d'uso gratuito e senza determinazione del termine di durata a C1, con la quale era,
all'epoca, coniugato in regime di separazione dei beni dal 27.6.1985, "in ragione del rapporto di
coniugio e dello spirito di solidarietà familiare".
All'esito del procedimento di separazione giudiziale (iscritto al n. R.G. 852/2010 - Tribunale di Bari),
instaurato da C1 e nel corso del quale è stata emessa sentenza non definitiva di separazione parziale
(n. 3665/2013), in data (...) 2011, l'odierno ricorrente ha avviato il procedimento di conciliazione al
fine di ottenere la restituzione dell'Immobile in precedenza concesso in comodato d'uso gratuito al
coniuge separato e da quest'ultima (tuttora) occupato.
C1 dal canto suo, ha dedotto: - di essere stata immessa nel possesso dell'immobile per cui è causa fin
dal 1989; - di aver esercitato, da quel momento, "la detenzione" "esclusiva, ininterrotta e
indisturbata", "uti domina, senza alcuna interferenza e richiesta del P1 ", avendo, nel corso degli
anni, (i) eseguito "notevoli modifiche strutturali ... mutandone completamente la destinazione da
uso abitativo a studio professionale dentistico", (ii) partecipato "con pienezza di poteri alle assemblee
condominiali", (iii) sostenuto gli oneri condominiali, "anche di natura straordinaria" e le "spese di
manutenzione e riparazione dell'immobile nel lungo periodo", (iv) "effettuato a sua cura e spese
ulteriori notevoli interventi straordinari di ristrutturazione, addizione e miglioria".
Donde l'inferenza dell'intervenuta usucapione della piena proprietà e/o dell'usufrutto e/o dell'uso.
2.2 - All'esito dell'istruttoria, è emerso che P1 è divenuto proprietario dell'immobile per cui è causa
in forza di donazione da parte dei propri genitori in data 19.1.1983.
A seguito del matrimonio con C1 , contratto in data (...) 1985, in regime di separazione dei beni. P1
ha concesso alla moglie l'immobile de quo in comodato d'uso gratuito e senza determinazione del
termine di restituzione (circostanza, quest'ultima, non contestata dalla resistente nell'ambito del
presente giudizio e dalla stessa ammessa in sede di interrogatorio formale).
Intervenuta la separazione giudiziale dei coniugi, P1 , con istanza depositata 11 1.5.2011, ha avviato
procedimento di conciliazione al fine di ottenere la restituzione dell'immobile; il procedimento,
tuttavia, ha avuto esito negativo.
2.3 - L'inquadramento giuridico della fattispecie concreta nell'ambito del contratto di comodato
disciplinato dall'art. 1810 c.c., operato dal ricorrente-resistente in riconvenzionale, è corretto e,
dunque, condivisibile.
Come già anticipato, non è revocabile in dubbio che l'accordo in base al quale P1 , in ragione del
rapporto di coniugio e dei vincoli di solidarietà familiare, ha concesso in uso a C1 l'immobile di sua
proprietà affinché quest'ultima se ne servisse per lo svolgimento dell'attività professionale di
odontoiatra, per un periodo di tempo non determinato, sia da qualificare alla stregua di comodato
d'uso gratuito "precario".
Con riferimento a tale tipologia contrattuale, va osservato, in linea generale, che: i) è pacificamente
ammissibile la forma orale; ii) la causa del comodato è, di regola, anche se non necessariamente,
"benevolentiae ve! urbanitatis", nel senso che il contratto è. normalmente, concluso per scopi di
solidarietà sociale o familiare: iii) ha natura essenzialmente gratuita (in caso di previsione di
corrispettivo, si tratterebbe di locazione), sicché dal contratto deriva un sacrifìcio economico per una
sola parte, il comodante, laddove invece sul comodatario gravano gli oneri economici connessi
all'utilizzazione e alla custodia della cosa; iv) infatti, in capo al comodatario sorge l'obbligo di
custodire e conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1804 c.c.), con
conseguente assunzione a proprio carico delle spese per fuso e di quelle straordinarie (fatto salvo il
caso di spese necessarie e urgenti), senza diritto al rimborso (art. 1808 c.c.); v) quando, come nel caso
di specie, non è stato convenuto il termine di durata e questo non risulta dall'uso cui la cosa è stata
destinata, il comodatario ha l'obbligo di restituire il bene non appena il comodante lo richieda (c.d.
restituzione ad nutum).
Orbene, con riguardo al caso di specie si è già sottolineato che il contratto in parola è stato concluso
tra P1 e C1 per scopi di solidarietà familiare, in ragione del rapporto di coniugio che, all'epoca,
intercorreva tra le parti del presente giudizio.
In particolare, P1 ha concesso in comodato l'immobile all'allora coniuge, su "esplicita richiesta" di
quest'ultima, "sia per ragioni di economia familiare sia per maggior comodità della stessa" al line di
consentirle di conciliare le esigenze lavorative con quelle familiari, a giovamento del nucleo
familiare: "era per lei conveniente trasferire la sua attività professionale in uno studio sito a pochi
metri dalla sua casa coniugale, senza peraltro sostenere alcun canone locativo".
Tanto costituisce circostanza pacifica e incontestata.
Parimenti incontestato è che l'immobile sia stato, poi, in concreto adibito da C1 a studio
odontoiatrico.
Dunque, nel caso che qui occupa, il comodato venuto in essere ha natura precaria ai sensi dell'art.
1810 c.c., poiché il termine non è stato espressamente determinato dalle parti e non è ricavabile
dall'uso cui la cosa era destinata.
Il solo fatto che l'immobile sia stato, in concreto, adibito a studio professionale non è sufficiente per
ritenere il relativo contratto soggetto a un termine implicito, corrispondente, come sostenuto dalla
resistente-ricorrente in riconvenzionale, alla cessazione dell'attività professionale per
pensionamento.
Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, "la circostanza che un
immobile concesso in comodato sia destinato a una specifica attività non è sufficiente per ritenere il
relativo contratto soggetto a un termine implicito, sicché il comodante può domandare la
restituzione del bene prima della cessazione di tale attività (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 24468 del
18/11/2014, Rv. 633360 - 01); in particolare, l'apposizione al comodato d'un termine derivante dall'uso
cui la cosa è destinata non può ravvisarsi nel solo fatto che nell'immobile si svolga una determinata
attività (commerciale o di altro tipo), per la semplice ragione che tale attività potrebbe non avere
alcun termine prevedibile, nel qual caso il comodato sarebbe di fatto sine die; conclusione,
quest'ultima, che snaturerebbe la causa del contratto (espropriando di fatto il comodante),
prospettandosi in termini insostenibili sul piano logico, poiché condurrebbe all'irragionevole
conclusione che un comodato di immobili destinato ad attività che vi si svolgono sine die, sarebbe
pur esso sine die; peraltro, poiché la destinazione d'uso di un immobile dipende dalla volontà del
comodatario (e poiché non può concepirsi che un immobile non abbia una destinazione d'uso, sia
pure solo di svago), (...) la durata di ogni comodato finirebbe per essere rimessa alla volontà mera
del comodatario" (Cass., ordinanza n. 22309/2020).
Le conclusioni che precedono sono state costantemente affermate dalla Corte di Cassazione:
"pacifico. in particolare, è il principio secondo cui il termine del comodato può risultare dall'uso cui
la cosa deve essere destinata solo "se tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel
tempo"; in mancanza, invece, di particolari prescrizioni di durata, ovvero di elementi certi ed
oggettivi che consentano ab origine di prestabilirla, l'uso corrispondente aita generica destinazione
dell'immobile configura un comodato a tempo indeterminato e, perciò, a titolo precario, e, dunque,
revocabile ad nutum da parte del comodante, a norma dell'art. 1810 c.c. (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 15877
del 25/06/2013, Rv. 626917- 01; Sez. U, Sentenza n. 3168 del 09/02/2011, Rv. 616064 - 01)" (sempre,
Cass., ordinanza n. 22309/2020).
Le illustrate coordinate ermeneutiche ben si attagliano alla fattispecie in rassegna.
Talché, facendo applicazione della disciplina codicistica in tema di comodato e dei principi
giurisprudenziali poc'anzi richiamati, alla luce della verifica dell'intenzione delle parti, della natura
dei loro rapporti (passati e presenti) e degli interessi perseguiti (a fortiori se si considera che,
all'epoca in cui l'appartamento fu concesso in comodato, la coppia aveva due figli minori, nati nel
1987 e nel 1990, ormai ultratrentenni, e che, come pure sottolineato, il contratto verbale venne
concluso proprio al fine di consentire a C1 di coniugare esigenze familiari e professionali), deve
concludersi nel senso che, non essendo stato stabilito dalle parti un termine finale di godimento del
bene e non essendo tale termine neppure desumibile dall'attività al cui svolgimento l'immobile è
stato adibito (in quanto ad essa non "connaturato" e in assenza di clementi certi e oggettivi che
consentissero ab origine di prestabilirla), deve ritenersi sussistente il diritto del concedente di
chiederne "ad nutum" la restituzione, con l'obbligo conseguente del comodatario di restituirlo a
richiesta del comodante (cosa che, come visto, C1 non ha fatto).
La comodataria, infatti, era tenuta a restituire l'immobile non appena ricevuta la richiesta del
comodante, avendo, quindi, assunto, la posizione di detentrice senza titolo, ossia abusiva (Cass., sez.
III, n.22001/2007).
In conclusione, va accolta la domanda spiegata da P1 avente ad oggetto la restituzione immediata
da parte di C1 dell'immobile sito in B. al (...) n. 25, come in atti identificato.
2.4 - Non può, invece, trovare accoglimento la domanda di condanna al risarcimento del danno da
mancato godimento dell'immobile occupato sine titillo da C1, da quantificarsi, secondo gli assunti
attorei, in base al canone locatizio mensile di mercato, a far data dall'11.5.2011.
Sul punto giova richiamare i principi di diritto di recente enunciati dalle Sezioni Unite della Corte
di Cassazione con sentenza n. 33645/2022, che, nel definire il danno risarcibile in presenza di
violazione del contenuto del diritto di proprietà, hanno affermato che esso "riguarda non la cosa ma
il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa sicché il danno risarcibile è
rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa quale
conseguenza immediata e diretta della violazione. Il nesso di causalità giuridica si stabilisce così fra
la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l'evento di danno condizionante il requisito
dell'ingiustizia, e la concreta possibilità di godimento che è stata persa a causa della violazione del
diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire. Nel caso in cui la prova sia fornita
attraverso presunzioni, l'attore ha l'onere di allegare il pregiudizio subito, anche mediante le nozioni
di fatto che rientrano nella comune esperienza".
In altri termini, il danno da mancato godimento di un immobile non può ritenersi sussistente "in re
ipsa"; diversamente, si perverrebbe a identificare il danno con l'evento dannoso e a configurare un
vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con l'insegnamento delle Sezioni
Unite della S.C. (sent. n. 26972 del 2008) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-
conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l'ulteriore e più recente intervento
nomofilattico (sent. n. 16601 del 2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con
l'ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell'art. 23 Cost.,
di modo che è onere del proprietario provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio
patrimonio per non aver potuto locare l'immobile ovvero per aver perso l'occasione di venderlo a
prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, di contenuto patrimoniale,
anche avvalendosi di presunzioni, ma offrendo comunque al giudice quanto meno alcuni elementi
indiziari, diversi dalla mera mancata disponibilità o o dal mero mancato godimento del bene (Cass.
4.12.2018 n. 31233).
È richiesta, dunque, l'allegazione della concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento che
è andata persa.
Ciò significa che il non uso, che è pure una caratteristica del contenuto del diritto, non è suscettibile
di risarcimento. Se è vero che a fondamento dell'imprescrittibilità del diritto di proprietà vi è la
circostanza che fra le facoltà riconosciute al proprietario vi è anche quella del non uso, è altresi vero
che l'inerzia resta una manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, mentre il danno
conseguenza riguarda il pregiudizio al bene della vita che, mediante la violazione del diritto, si sia
verificato. Alla reintegrazione formale del diritto violato, anche nella sua esplicazione di non uso,
provvede la tutela reale e non quella risarcitoria.
Nel caso in esame, parte ricorrente ha del tutto omesso di adempiere all'onere di allegazione e prova
su di essa gravante, nei termini innanzi precisati.
P1 , infatti, dopo aver affermato di essere proprietario di altre unità immobiliari, ha dedotto in modo
estremamente generico di aver subito un "decremento economico" delle proprie entrate, senza
specificare alcunché in ordine all'entità e alla consistenza di tale asserito decremento, essendosi
limitato in ricorso a prospettare: (i) che all'epoca in cui concesse l'Immobile in comodato gratuito a
C1 (quindi, oltre trent'anni fa) "era intenzionato ad affittarlo"; (ii) la "facilità" di "affittare ad uso
abitativo o professionale" l'immobile in questione; (iii) l'occupazione sine titulo di C1 a far data
dall'11.5.2011.
Null'altro è stato allegato e, men che meno, provato, atteso altresi che non sono stati, al riguardo,
articolati mezzi istruttori.
In altri termini, l'istante non ha fornito alcun elemento, neppure di natura indiziaria, utile a
comprovare la sussistenza di qualsivoglia pregiudizio.
Non è stato neanche allegato -in maniera chiara- che il proprietario, se fosse rientrato nella
disponibilità del bene allorché ne fece richiesta formale per la prima volta (come visto, nel maggio
del 2011), lo avrebbe già allora concesso in locazione o avrebbe cercato di alienarlo e, in generale, ne
avrebbe fatto un uso fruttifero.
A riprova di ciò, deve evidenziarsi che non è stata falla neanche menzione, ad esempio, di occasioni
perse di vendita o di mancate locazioni.
In definitiva, non è stata offerta la prova, neppure per presunzioni, della perdita della concreta
possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del
godimento ad altri dietro corrispettivo.
Donde la reiezione, in parte qua, della domanda attorea.
3 - La domanda riconvenzionale proposta da C1 avente a oggetto l'accertamento dell'intervenuta
usucapione della proprietà e/o dell'usufrutto e/o dell'uso dell'immobile per cui è causa, dev'essere
integralmente rigettata poiché del tutto infondata.
Come noto, condizione imprescindibile dell'usucapione è, innanzitutto, il possesso del bene da parte
di chi non è titolare del diritto corrispondente.
Non qualunque possesso consente l'acquisto per usucapione né, tantomeno, vi dà titolo la mera
detenzione.
Gli artt. 1158, 1159-BIS, 1160 e 1161 C.C. FANNO RIFERIMENTO AL POSSESSO CONTINUATO.
Appare evidente che, nel caso in rassegna, non ricorrono i presupposti affinché possano operare gli
effetti propri dell'istituto in commento e, quindi, necessari a dichiarare intervenuta l'usucapione in
favore di C1 ; tanto sia per l'insussistenza del possesso mi domino sia per il mancato decorso dei
termini utili ad esercitare tale azione, discendente dal combinato disposto degli ant. 1165 e 2941 c.c.
Come già osservato, la detenzione dell'immobile in questione da parte di C1 trae origine dal
comodato a titolo gratuito e precario del bene, concessole dal marito per le ragioni suesposte, così
come dalla stessa confermato in sede di interrogatorio formale.
Ai tini dell'usucapione, C1 avrebbe dovuto provare la ricorrenza di atti idonei a mutare la mera
detenzione in possesso "ad usucapionem", ossia atti di c.d. "interversio possessionis", esteriori e
inequivoci specificamente rivolti verso il possessore e contro il proprietario concedente (Cass. n.
21690/2014 e n. 7088/2017).
Va a tal proposito rammentato che "il godimento di un immobile in comodato, per ragioni di
servizio, non implica alcun possesso utile ad usucapionem, ma integra una mera relazione di
detenzione; né vale a mutare tale detenzione in possesso la mancata restituzione della res al
proprietario alla cessazione del titolo legittimante la detenzione (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5551
del 15/03/2005, Rv. 581134 e Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 14593 del 04/07/2011, Rv. 618437)" (Cass. n.
29939/2024).
Pertanto, non implicano la sussistenza di un possesso utile "ad usucapionem" né il fatto che C1 abbia
-sic et simpliciter- goduto dell'appartamento in forza del contratto verbale di comodato né il fatto
che ella non lo abbia restituito al momento in cui (oltre quattordici anni orsono) il coniuge separato
gliene fece richiesta e abbia, per converso, continuato a occuparlo.
Il comodatario, infatti, quale detentorc della cosa comodata, non può acquistare il possesso ad
usucapionem senza prima avere mutato, mediante una "interversio possessionis", la sua detenzione
in possesso, per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il
possessore (Cass., Sez. VI - 2, 17 maggio 2018, n. 12080; Cass., Sez. III. 11 maggio 2010, n. 11374; Cass.,
Sez. III, 17 novembre 2009, n. 24222; Cass., Sez. II, 30 marzo 1995, n. 3811).
La mera mancata riconsegna del bene al comodante, nonostante le reiterate richieste di questi, a
seguito di estinzione del comodato è inidonea a determinare l'interversione della detenzione in
possesso, traducendosi nel l'inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era
stata costituita, suscettibile, in sé, di integrare un'ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale
all'obbligo restitutorio gravante per legge sul comodatario (v. Cass., Sez. Il, 22 aprile 2016, n. 8213).
Né può essere data rilevanza a quegli atti, di per sé non incompatibili con la detenzione, quali quelli
pure dedotti dalla ricorrente in riconvenzionale a fondamento delle proprie pretese, consistiti
nell'aver corrisposto gli oneri condominiali, sostenuto spese di manutenzione e riparazione
dell'immobile c commissionato l'esecuzione di lavori di ristrutturazione.
Ciò poiché si tratta di spese atte a garantirsi l'uso della cosa e, comunque, non esigibili dal
comodante.
D'altronde, ai sensi dell'art. 1808 c.c., il comodatario non ha diritto al rimborso delle spese sostenute
per servirsi della cosa.
Sono spese necessarie all'uso della cosa quelle di custodia, di conservazione e di ordinaria
manutenzione.
Riguardo al differente profilo inerente al decorso del tempo utile a maturare l'usucapione, occorre
tenere conto del dato sistematico derivante dal combinato disposto degli artt. 1165 e 2941 c.c.
L'art. 1165 c.c. prevede che in materia di usucapione trovino applicazione, in quanto compatibili, le
"disposizioni generali sulla prescrizione, quelle relative alle cause di sospensione e d'interruzione e
al computo dei termini (...)".
L'art. 2941 c.c., in tema di sospensione della prescrizione, al 1), ESPRESSAMENTE PREVEDE CHE
tra i coniugi i termini della prescrizione sono sospesi.
Ebbene, ponendo in relazione il dettato normativo delle richiamate disposizioni, si desume che, in
costanza di matrimonio, i termini utili a usucapire l'immobile di proprietà di uno dei coniugi, da
parte dell'altro, devono considerarsi sospesi.
È quanto di recente affermato dalla Corte di cassazione (cfr. n. 8931/2024), la quale, a conferma dei
propri precedenti arresti, ha ribadito che "Il combinato disposto delle due norme artt. 1165 e 2941
c.c., ndr rende evidente che non è possibile la maturazione dei termini utili all’usucapione da parte
di un coniuge su un bene appartenente all'altro coniuge in costanza di matrimonio. (...) Si deve poi
escludere che la norma abbia perso la sua funzione e sia rimasta implicitamente abrogata a seguito
della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 781 cod. civ., concernente il divieto di
donazioni fra coniugi, ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 91 del 27 giugno 1973.
Prova ne è il fatto che l'art. 1. comma 18, L. n. 76 del 2016 ha introdotto un analogo divieto in materia
di regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze,
laddove prevede che "la prescrizione rimane sospesa tra le parti dell'unione civile". La
riproposizione della medesima regola dimostra come il legislatore ubbia ritenuto che il maturare dei
termini utili alla prescrizione - e all’usucapione, in virtù del rinvio operato dall'art. 1165 cod. civ. -
sia contrario allo spirito di armonia che caratterizza l'unione coniugale o civile".
Siffatti rilievi assumono carattere dirimente ai fini del rigetto della domanda riconvenzionale
spiegata da C1.
Pertanto, contrariamente alla tesi sostenuta dalla ricorrente in riconvenzionale, il tempo trascorso
dall'inizio della detenzione dell'immobile fino alla cessazione del rapporto di coniugio (circostanza,
quest'ultima, di cui le parti, peraltro, non hanno dato né atto non rinvenendosi alcuna deduzione sul
punto né prova nell'ambito del presente giudizio, atteso che nessuna di loro ha depositato copia
dell'eventuale sentenza dichiarativa dell'intervenuta cessazione degli effetti civili del matrimonio o
di scioglimento del vincolo), non può essere validamente computato ai lini del decorso del termine
utile a esercitare l'usucapione della proprietà o di altro diritto relativo all'immobile di cui è causa.
Ad abundantiam, va dato atto che la sospensione della prescrizione a nonna degli artt. 1165 e 2941,
n. 1), c.c. è annoverabile tra le eccezioni in senso lato ed è, pertanto, rilevabile anche d'ufficio dal
giudice nonché svincolata dalla specifica e tempestiva allegazione della parte, purché i fatti dedotti
risultino documentati ex actis.
D'altronde, il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito
dalla giustizia della decisione, che resterebbe sviato ove anche le questioni rilevabili d'ufficio fossero
subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (in tal
senso Cass. SS.UU. n. 10531/2013; Cass. 3270 e 21929 del 2009, nonché SS.UU. 15661/2005 quanto
all'interruzione della prescrizione).
Nella fattispecie in esame non v'è dubbio, poiché documentalmente provato, che l'immobile sito in
B. al (...) n. 25 sia di proprietà esclusiva di P1 , come non è in dubbio, in quanto affermato da entrambe
le parti, che la detenzione dell'immobile de quo da parte di C1 sia iniziata in costanza di matrimonio
al fine di consentirle di meglio conciliare le esigenze familiari e lavorative.
Ne consegue l'integrale reiezione della domanda riconvenzionale.
3 - Considerato, da un lato, che la domanda riconvenzionale spiegata da C1 è stata integralmente
rigettata e, dall'altro, che delle domande proposte in via principale da P1 è stata accolta soltanto
quella finalizzata a ottenere la condanna della controparte al rilascio dell'immobile concesso in
comodato (e non anche quella di condanna al risarcimento del danno).
venendo a configurarsi una situazione di soccombenza reciproca tra le pani, sussistono giustificati
motivi per disporre la compensazione delle spese di lite nella misura del 50%, ponendo -di
conseguenza- la residua metà a carico di C1.
Per le medesime ragioni, proprio perché una delle pretese azionate da P1 si è rivelata sfornita di
qualsivoglia supporto probatorio e destituita di fondamento, non si ravvisano i presupposti per
disporre la condanna di C1 ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.
Esse sono liquidate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 (per come novellato dal D.M. n. 147 del 2022),
facendo applicazione degli onorari previsti per le cause scaglione di valore indeterminabile (da Euro
26.000,01 ad Euro 52.000,00).
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando sulle domande principali spiegate da P1 e sulla domanda
riconvenzionale spiegata da C1 , ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, cosi dispone:
- accoglie parzialmente, nei limiti e per le ragioni di cui in motivazione, la domanda proposta da P1
nei confronti di C1 e, per l'effetto, condanna quest'ultima all'immediata restituzione in favore del
ricorrente dell'immobile sito in B. al (...) n. 25, come identificato in atti;
- rigetta nel resto la domanda di parte ricorrente;
- rigetta integralmente la domanda proposta in via riconvenzionale da C1 nei confronti di P1 ;
- rigetta la domanda proposta ex art. 96, comma 3, c.p.c.;
- compensa, nella misura del 50%, le spese di lite e condanna C1 alla refusione in favore di P1 della
residua metà, che si liquida in complessivi Euro 557,82 per esborsi ed Euro 3.808,00, oltre oneri
accessori, per compenso professionale.
Conclusione
Così deciso in Bari, il 16 settembre 2025.
Depositata in Cancelleria il 16 settembre 2025.
Avv. Antonino Sugamele

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