Procedimento di concordato preventivo - Il PM non può impugnare i provvedimenti di liquidazione degli ausiliari Corte di Cassazione Sez. Prima Civ. - Sent. del 22.07.2011, n. 16136
Procedimento di concordato preventivo - Il PM non può impugnare i provvedimenti di liquidazione degli ausiliari
Corte di Cassazione Sez. Prima Civ. - Sent. del 22.07.2011, n. 16136
Svolgimento del processo
In seguito al reclamo proposto dal Pubblico Ministro presso il Tribunale di Roma avverso il decreto con il quale il giudice delegato alla procedura di concordato preventivo relativo alla T. s.r.l. aveva liquidato il compenso del Dott. M. C., nominato CT U per la verifica delle -scritture contabili e della documentazione posta a base della domanda di concordato, il Tribunale ha liquidato, diminuendolo, l'importo dovuto all'ausiliario del giudice.
Ricorre per cassazione il medesimo affidandosi a due motivi con i quali si contesta la ritenuta legittimazione del pubblico ministero ad impugnare i provvedimenti di liquidazione dei compensi degli ausiliari nell'ambito del procedimento di concordato preventivo.
Gli intimati non hanno proposto difese.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Premesso che il provvedimento con il quale il Tribunale fallimentare provvede in sede di reclamo ex art. 26 legge_fallimentare, sul decreto del giudice delegato di liquidazione dei compensi spettanti al curatore, agli altri ausiliari della procedura o ai professionisti esterni incaricati da essa, ha carattere decisorio (incidendo direttamente su diritti soggettivi) e definitivo (non essendo soggetto a ulteriore impugnazione), e come tale è ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Sent. n. 10143 del 9 maggio 2011), i due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, con i quali si censura l'impugnata decisione per avere ritenuto ammissibile il reclamo proposto dal pubblico ministero sono fondati.
Non ignora il Collegio che sul punto si è già pronunciata la Corte che con sentenza n. 16396/07 ha enunciato il principio secondo cui “In tema di opposizione al provvedimento di liquidazione dei compensi in favore del consulente tecnico, nominato dal giudice istruttore nel procedimento per l'ammissione al concordato preventivo, l'art. 11, comma 6, I. 8 luglio 1980 n. 319 attribuisce al p.m. la facoltà di proporre ricorso, poiché, nonostante egli non sia parte del successivo giudizio di omologazione, la sua presenza nel processo quale intervento necessario lo legittima all'esercizio di tale impugnazione; sussiste altresì l'interesse ad agire del Pubblico ufficio interventore, derivante dal suo ruolo di controllo della regolarità del procedimento, teso ad impedire che il beneficio del concordato sia indebitamente concesso o che la liberazione dell'impresa dalle più gravi conseguenze del fallimento penalizzi la massa concorsuale. (Cassazione civile, sez. I, 24/07/2007, n. 16396). Tale decisione, giova innanzitutto precisare, non costituisce uno specifico precedente essendo stata emessa in relazione ad un concordato disciplinato dal R.D. n. 267/1942 nella formulazione anteriore alle recenti modifiche che, con riferimento al concordato preventivo e come aveva ritenuto la prevalente giurisprudenza, configurava come obbligatorio l'intervento del pubblico ministero nel corso di tutta la procedura.
Al concordato in questione, invece, si applica ratione temporis la disciplina dettata del d.l. 14 marzo 2005 n. 35 convertito, con modificazioni, in legge_80_2005 che ha intrapreso la radicale modifica dell'istituto del concordato preventivo la cui complessiva formulazione ha posto anche in dubbio la stessa permanenza dell'art. 162 l. fall. sol che si consideri la totale incongruità del primo comma che continuava a far riferimento, ai fini dell'ammissibilità, a condizioni (oggettive e soggettive) dell'artt. 160 che nella rinnovata formulazione di condizioni non reca traccia e che un'implicita abrogazione di tale norma sia intervenuta pare essere anche il convincimento del legislatore che in sede di conversione in legge e con riferimento al mancato deposito delle spese di giustizia nel rinnovato art. 163 ha richiamato non più il secondo comma dell'art. 162 ma l'art. 173 ai fini di confermare la derivazione del fallimento d'ufficio dall'omissione del deposito.
Ne conseguirebbe dunque, anche prima del definitivo chiarimento operato dal d.lgs. n. 169/2007 che ha previsto la sola comunicazione della domanda di concordato e quindi l'intervento facoltativo, l'abrogazione della previsione relativa al necessario intervento del PM in sede di giudizio di ammissione da cui la giurisprudenza aveva fatto derivare la tesi della necessaria partecipazione di tale ufficio all'intero procedimento e che nella richiamata decisione è posta fondamento del principio enunciato.
In ogni caso dalla partecipazione del pubblico ministero, sia essa necessaria o meramente eventuale come pacificamente è nel regime vigente, non deriva necessariamente ad avviso del Collegio la sua legittimazione ad impugnare i provvedimenti di liquidazione dei compensi in quanto, come ha ritenuto la Corte, enunciando un principio cui si intende dare continuità “E' invece errata l'enucleazione di tale forma di intervento dal contesto sistematico del codice di rito, che il ricorrente propugna in ragione della peculiarità dell'interesse che lo sottende, dal momento che le disposizioni processuali ordinarie prevedono attribuzioni e funzioni che il PM può esercitare nel processo e non può dubitarsi che la procedura fallimentare rappresenti un processo esecutivo.
L ‘intervento di cui si discute rientra, perciò, quanto alla sua natura nel paradigma dell'art. 70 c.p. c., comma 1, che prevede al n. 5 tra i casi tassativi d'intervento necessario del PM, quelli previsti dalla legge, e in materia d'impugnazione, nel disposto dell'art. 72 c.p.c., commi 1 e 3, che non legittima il predicato automatismo, fonte d'indiscriminata legittimazione del detto organo all'impugnazione, ma circoscrive l'esercizio di tale potere, per quel che rileva, entro il limite della materia in cui può esercitarsi il diritto d'azione del PM, sicuramente insussistente nel concordato preventivo. La L. Fall., art. 160, nella sua originaria così come nell'attuale formulazione non attribuisce al P. M. il potere d'attivare la procedura, in un sistema, quale quello previgente, in cui era previsto il fallimento d'ufficio nei casi di infausto esito della procedura, l'eventuale segnalazione da parte del PM, al tribunale fallimentare, seppur fosse stata ritenuta ammissibile, avrebbe potuto qualificarsi atto d'impulso espressione di un potere d'azione.
La disposizione contenuta nella L. FaIl, art. 26, espressamente richiamata dalla L. Fall. art. 164, nell'ambito della procedura di concordato preventivo, che legittima al reclamo “chiunque vi abbia interesse ‘, deve pertanto essere letta in coerenza con il sistema ordinario, alla cui regola non può derogare. La legittimazione dell'organo pubblico non può dunque trarre titolo dalla predicata sussistenza di un interesse generale immanente alla procedura. Questo interesse è un “quid pluris” rispetto a quello della massa che ha invece titolo a reclamare se ritiene che il provvedimento del giudice delegato arrechi pregiudizio ai suoi interessi (Cassazione civile, sez. I, 31/03/2010, n. 7953).
Né vale il rilievo che tale pronuncia abbia avuto ad oggetto la liquidazione del compenso al difensore, lasciando impregiudicata la questione della legittimazione del PM in caso di liquidazione dei compensi agli ausiliari del giudice in considerazione del dettato dell'art. 11 comma 5 della legge n. 319 del 1980 (e ora del DPR_115_2002). A parte infatti la considerazione che, in linea generale, la Corte, occupandosi proprio della citata normativa, ha già ritenuto non predicabile la legittimazione del PM in tema di procedimenti civili, precisando che “Diversa è la disciplina in materia civile, nella quale non c'è motivo di discostarsi dall'ordinaria regola per la quale solo nelle cause che egli avrebbe potuto iniziare, il PMi, ha anche potere d'impugnativa (art 72, 1 comma, c.p. c.) e ciò non accade mai nella procedura di liquidazione dei compensi al c. t.u. in cui parti interessate” sono solo quelle che devono pagare il compenso, anticipandolo o potendolo corrispondere in sede di rimborso delle spese di causa riferibili ai sensi degli artt 91 e 92 c.p. c.” (Cassazione civile, sez. I, 8/08/2002, n. 11975), ciò che convince dell'inapplicabilità di tale normativa ed esclude un possibile richiamo ad una specifica norma legittimante l'impugnazione delle liquidazioni è la considerazione secondo cui la legge fallimentare detta una disciplina certamente speciale e nella medesima esiste una disposizione inconciliabile con il procedimento comune in relazione al quale è stata prevista la legittimazione del PM (da ritenersi eccezionale alla luce della condivisibile interpretazione dell'art. 72 c.p.c. sopra richiamata) che è costituita dall'art. 26 il quale è applicabile in linea generale all'impugnazione di tutti i provvedimenti del giudice delegato nella procedura concordataria (art. 164) e che non contiene alcuna deroga al regime ordinario per quanto attiene alla legittimazione. E non è certo un caso e conferma la specialità del rito concorsuale che l'art. 111-bis richiami detta norma anche in tema di fallimento per le contestazioni sui provvedimenti di liquidazione emessi dal giudice delegato per i compensi di coloro che, a vario titolo, sono chiamati a prestare la loro attività a supporto di quella degli organi della procedura.
Il ricorso deve dunque essere accolto e il decreto impugnato cassato senza rinvio in quanto il procedimento non poteva essere iniziato per carenza di legittimazione del reclamante.
La complessità e la novità della materia inducono alla compensazione delle spese.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso e cassa senza rinvio il decreto impugnato perché il procedimento non poteva essere iniziato. Compensa le spese.
Depositata in Cancelleria il 22.07.2011
26-07-2011 00:00
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