Processo civile a tre riti: la relazione sulla riforma Schema di Dlgs, relazione 09.06.2011
Schema di D.lgs - Disposizioni al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione - Relazione.
Schema di decreto legislativo recante: "Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69” - Relazione illustrativa.
Articolato
Il presente decreto legislativo è emanato in attuazione della delega al Governo “per la riduzione e semplificazione dei procedimenti civili”, prevista dall'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69.
In particolare, il testo legislativo elaborato dal Governo realizza, conformemente ai criteri di delega dettati dal legislatore, la riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell'ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale, riconducendoli ai tre modelli previsti dal codice di procedura civile, individuati, rispettivamente, nel rito che disciplina le controversie in materia di rapporti di lavoro, nel rito sommario di cognizione (introdotto dalla medesima legge n. 69 del 2009) e nel rito ordinario di cognizione.
L'evoluzione normativa degli ultimi decenni si caratterizza per la estrema proliferazione dei modelli processuali, avvenuta spesso in assenza di un disegno organico, avvenuta all'insegna della ricerca di formule procedimentali che potessero assicurare una maggiore celerità dei giudizi.
Il fenomeno si è rivelato, nel tempo, come un fattore di disorganizzazione del lavoro giudiziario, che viene unanimemente individuato come una delle cause delle lungaggini dei giudizi civili, oltre ad aver determinato rilevanti difficoltà interpretative per tutti gli operatori del diritto.
Nell'esercizio della delega si è inteso realizzare una chiara inversione di tendenza rispetto al passato e si è voluto altresì razionalizzare e semplificare la normativa processuale presente nella legislazione speciale, raccogliendo in un unico testo normativo tutte le disposizioni speciali che disciplinano i procedimenti giudiziari previsti dalle leggi speciali, così dando luogo ad un testo che si pone in rapporto di complementarità rispetto al codice di procedura civile, in sostanziale prosecuzione del libro IV del medesimo codice.
Alla tecnica della novella legislativa si è, dunque, preferita, la compilazione in un unico testo legislativo di tutta la normativa processuale, sostituendo le norme previste dalle singole leggi speciali con dei richiami al nuovo testo legislativo.
Tale scelta mira a realizzare gli obiettivi di semplificazione e razionalizzazione posti dalla delega, consentendo agli interpreti di rinvenire agevolmente in un unico testo tutte le norme che disciplinano ciascun procedimento speciale, con una formulazione ideata appositamente per fugare i dubbi interpretativi conseguenti all'adattamento dei modelli processuali.
Per altro verso, poi, tale scelta intende segnare un radicale cambio di passo rispetto alla tendenza evidenziata dalla legislazione precedente, manifestando in modo chiaro al legislatore, anche per il periodo futuro, l'esigenza di far confluire in un unico testo tutte le norme processuali speciali che si dovessero rendere necessarie, in modo tale da garantire la coerenza del sistema processuale e ridurre le diseconomie che l'eccessiva parcellizzazione dei modelli processuali ha fino ad oggi dimostrato di provocare.
L'odierno intervento legislativo non può ritenersi esaustivo delle esigenze di semplificazione e di razionalizzazione del sistema processuale civile, in conseguenza delle rilevanti delimitazioni contemplate dalla legge di delega, che ha escluso la possibilità di intervenire sulle disposizioni processuali in materia di procedure concorsuali, di famiglia e minori, nonché su quelle contenute nel regio decreto 14 dicembre 1933, n. 1669, nel regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, nella legge 20 maggio 1970, n. 300, nel codice della proprietà industriale di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e nel codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.
Ciò nondimeno va riconosciuta l'importanza dell'inversione di tendenza che si intende realizzare con il presente decreto, e che dovrà necessariamente essere seguita da ulteriori concreti interventi normativi volti ad incrementare l'efficienza e la razionalità delle norme processuali, anche nell'ottica di un recupero di garanzie reso necessario dalla riforma dell'articolo 111 della Costituzione.
In tal senso deve ritenersi particolarmente significativa la linea guida tracciata dalla legge delega, si ritiene anche con riferimento a possibili futuri interventi normativi, circa l'opportunità della riconduzione al rito sommario di cognizione delle numerose fattispecie presenti nella legislazione speciale regolamentate mediante l'adozione delle forme del procedimento in camera di consiglio stabilite dagli articoli 737 e ss. cod. proc. civ.
Il presente decreto legislativo da, inoltre, piena attuazione ai criteri posti dalla legge delega, mantenendo i preesistenti criteri di competenza, nonché i criteri di composizione dell'organo giudicante, ed operando una riconduzione di ciascun procedimento civile ad uno dei cennati modelli di rito contemplati dal codice di procedura civile.
La riconduzione è avvenuta privilegiando il modello processuale del rito del lavoro per i procedimenti in cui si rivelavano prevalenti i caratteri della concentrazione delle attività processuali, ovvero nei quali venivano previsti ampi poteri di istruzione d'ufficio.
Sono stati ricondotti, invece, al modello del procedimento sommario di cognizione, inteso come giudizio a cognizione piena sia pure in forme semplificate ed elastiche rispetto ai due residui irriducibili snodi del rito ordinario offerti dagli articoli 183 e 189 del codice di procedura civile, i procedimenti speciali caratterizzati da una accentuata semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa, rivelata, spesso nella maggior parte dei casi, dal richiamo della procedura camerale prevista e disciplinata dagli articoli 737 e seguenti del medesimo codice.
Per i procedimenti nei quali, viceversa, non è stato dato rinvenire alcuno dei predetti caratteri si è operata una riconduzione, come criterio di semplificazione residuale, al rito ordinario di cognizione, disciplinato dal libro secondo, titolo IV, capo I, del codice di procedura civile.
In ogni caso, nell'operare la riconduzione ai predetti riti, conformemente ai criteri di delega, sono state mantenute in vigore le disposizioni previste dalla legislazione speciale che attribuiscono al giudice poteri officiosi, nonché quelle finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi applicando le norme contenute nel codice di procedura civile.
Nella elaborazione del testo normativo è stato, inoltre, tenuto conto delle modifiche conseguenti alle pronunzie della Corte costituzionale intervenute sulle leggi speciali oggetto dell'intervento, delle abrogazioni implicite, nonché delle chiavi di lettura dei singoli procedimenti elaborate dalla giurisprudenza, sia costituzionale che ordinaria.
Per una migliore comprensione del testo, il decreto legislativo è stato suddiviso in cinque capi.
Il primo capo contiene disposizioni di carattere generale, con le quali vengono specificate le disposizioni di ciascun rito applicabili ai procedimenti contenziosi oggetto delle modifiche legislative, e vengono, altresì, dettate le disposizioni necessarie per garantire l'applicazione a ciascun procedimento del rito effettivamente stabilito dalla legge, attraverso il recepimento e la rimodulazione della normativa in materia di mutamento del rito già contemplata dal codice di procedura civile.
Il secondo capo del decreto legislativo disciplina, quindi, i procedimenti regolati dal rito del lavoro, previsto dalle norme della sezione II, capo I, titolo IV del secondo libro del codice di procedura civile. Il terzo capo contempla, quindi, i procedimenti regolati dal rito sommario di cognizione, previsto dal capo III bis del titolo I del quarto libro del codice di procedura civile, mentre il quarto capo disciplina i procedimenti regolati dal rito ordinario di cognizione,
Il quinto ed ultimo capo reca le abrogazioni e le modificazioni delle singole leggi speciali che prevedevano i riti oggetto della semplificazione, nonché la disciplina transitoria necessaria per prevenire incertezze interpretative in merito all'ambito temporale di applicazione delle nuove norme.
CAPO I - DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo 1 (Definizioni)
L'articolo 1 del decreto legislativo reca le definizioni dei riti cui sono stati ricondotti i vari procedimenti speciali, con la specifica indicazione delle norme del codice di procedura civile che prevedono e disciplinano ciascun rito.
Articolo 2 (Disposizioni comuni ai procedimenti disciplinati dal rito del lavoro)
L'articolo 2 contiene le disposizioni comuni ai procedimenti disciplinati dal rito del lavoro, necessarie per consentire un efficace adeguamento di tale rito alle controversie specificate nel capo II del decreto legislativo.
In particolare vengono ricondotti al rito del lavoro:
i procedimenti di opposizione a sanzione amministrativa e di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada;
i procedimenti in materia di opposizione ai provvedimenti di recupero di aiuti di Stato;
i procedimenti in materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali;
le controversie agrarie;
i procedimenti di impugnazione dei provvedimenti in materia di registro dei protesti.
L'adattamento del rito lavoro a tali fattispecie ha reso necessaria l'adozione di disposizioni di coordinamento, allo scopo di consentire l'adeguamento alle materie oggetto dei procedimenti suindicati di regole processuali specificamente introdotte per la decisione di controversie in materia di rapporti di lavoro.
Nell'emanazione di siffatte disposizioni di coordinamento e di adeguamento è stata, in particolar modo, sancita la inapplicabilità delle previsioni del rito del lavoro oggettivamente incompatibili con le materie diverse da quelle indicate dall'art. 409 cod. proc. civ., come nel caso della disciplina della competenza territoriale e della competenza del giudice di appello (artt. 413 e 433 cod. proc. civ.), delle specifiche regole per la difesa in giudizio delle pubbliche amministrazioni datrici di lavoro (art. 415, settimo comma, e 417-bis cod. proc. civ.), dell'accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi (art. 420-bis cod. proc. civ.), dell'esame dei testimoni sul luogo di lavoro (art. 421, terzo comma, cod. proc. civ.) , del potere di richiesta di informazioni e osservazioni alle associazioni sindacali (art. 425 cod. proc. civ.).
È stata, inoltre, espressamente esclusa l'applicazione delle previsioni del processo del lavoro che introducono significative differenziazioni dei poteri processuali.
Tali previsioni, infatti, si giustificano, in quel modello processuale, esclusivamente in virtù dell'esigenza di garantire un particolare favore nei confronti del lavoratore, anche in considerazione della peculiare connessione, nel rapporto di lavoro, dei diritti del lavoratore con i diritti della personalità, quale è il diritto ad una esistenza libera e dignitosa sancito dall'art. 36 Cost.
In virtù di ciò è stata esclusa l'applicazione delle disposizioni in materia di costituzione e difesa personale delle parti (art. 417 cod. proc. civ.), di condanna officiosa al pagamento degli interessi e della rivalutazione sui crediti di lavoro (art. 429, terzo comma, cod. proc. civ.), della disciplina differenziata dell'efficacia esecutiva della sentenza (art. 431, dal primo al quarto comma e sesto comma, cod. proc. civ.), è stato previsto che l'ordinanza anticipatoria prevista dall'articolo 423, secondo comma, cod. proc. civ. possa essere concessa su istanza di ciascuna parte ed è stata esclusa la possibilità di deroga ai limiti in materia di prova sanciti dal codice civile consentita nel processo del lavoro dall'articolo 421, secondo comma, cod. proc. civ., similmente a quanto già previsto dalla disciplina delle controversie in materia di locazione, comodato ed affitto.
L'articolo in commento prevede, inoltre, l'esclusione dell'applicazione della disciplina in materia di mutamento del rito dettata dagli articoli 426, 427 e 439 cod. proc. civ., relativa al provvedimento di mutamento del rito da ordinario di cognizione a lavoro e viceversa, in considerazione del fatto che tale fattispecie è oggetto di una specifica e più completa disciplina contenuta nell'articolo 4 del decreto legislativo.
L'ultimo comma dell'articolo introduce una disposizione ricognitiva che recepisce il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, circa i rapporti di specialità tra il rito del lavoro ed il rito ordinario di cognizione, e la conseguente applicabilità delle disposizioni del secondo rito per tutto quanto non espressamente disciplinato dal primo.
Articolo 3 (Disposizioni comuni ai procedimenti disciplinati dal rito sommario di cognizione)
L'articolo 3, similmente a quanto previsto dall'articolo 2, contiene le disposizioni comuni ai procedimenti disciplinati dal rito sommario di cognizione, necessarie per consentire un efficace adeguamento di tale rito alle controversie specificate nel capo III del decreto legislativo.
Vengono, in particolare, ricondotti a tale ultimo rito:
i procedimenti in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato;
le opposizioni ai decreti di pagamento delle spese di giustizia;
i procedimenti in materia di immigrazione, ivi compresi quelli in materia di diritto di soggiorno e di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari, di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell'Unione europea e di riconoscimento della protezione internazionale;
le opposizioni alla convalida del trattamento sanitario obbligatorio;
le azioni popolari e le controversie in materia di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali, regionali e per il Parlamento europeo, nonché le impugnazioni delle decisioni della Commissione elettorale circondariale in tema di elettorato attivo;
i procedimenti in materia di riparazione a seguito di illecita diffusione del contenuto di intercettazioni telefoniche;
le impugnazioni dei provvedimenti disciplinari a carico dei notai;
le impugnazione delle deliberazioni del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti;
i procedimenti in materia di discriminazione;
le opposizioni ai provvedimenti in materia di riabilitazione del debitore protestato;
le opposizioni al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari.
In conformità al criterio di delega previsto dall'articolo 54, comma 4, lett. b), n. 2), della legge 18 giugno 2009, n. 69 è stata esclusa, per tutti i procedimenti suindicati, la possibilità di conversione del rito sommario di cognizione nel rito ordinario.
Proprio con riferimento all'esclusione della possibilità di conversione al rito ordinario appare opportuno, in questa sede, operare una preliminare precisazione.
Alcuni dei procedimenti ricondotti al rito sommario di cognizione – come, per fare un esempio, quelli in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato – prevedono che la decisione di primo grado sia inappellabile, conservando quanto stabilito dall'attuale disciplina quale effetto processuale speciale, in ossequio alle previsioni della legge di delega (art. 54, comma 2, lettera c) della legge n. 69 del 2009).
Una parte, sia pure minoritaria, della dottrina, ritiene che il procedimento sommario di cognizione, in prime cure, non sia a cognizione piena in quanto carente della compiuta predeterminazione delle forme istruttorie.
L'art. 702-ter, quinto comma, cod. proc. civ., prevede infatti che «il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo ritenuto più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del provvedimento richiesto».
La dottrina anzidetta, desunta da questa dicitura la natura sommaria della cognizione, ha affermato che, al fine di garantire almeno un grado di cognizione di merito piena, dovrebbe essere assicurato un appello aperto a ogni nuova richiesta istruttoria, quale infatti si trova disciplinato nell'art. 702-quater cod. proc. civ.. Tale conclusione sarebbe costituzionalmente imposta dall'art. 111 della Costituzione, in cui si richiede che il processo, fonte di giudicato, dev'essere «regolato dalla legge», e dunque non rimesso alla discrezione giudiziale.
A fronte di tale posizione, la dottrina maggioritaria ha invece affermato la natura piena della cognizione prodotta dal procedimento di cui agli artt. 702-bis e seguenti cod. proc. civ., anche in prime cure.
Si osserva che la sommarietà della forme è concettualmente distinta da quella della delibazione: l'ipotesi di un procedimento a “cognizione sommaria” – qual era espressamente qualificato, ad esempio, il rito di cui all'art. 19 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 – è logicamente distinta da quella di un procedimento “sommario di cognizione”.
La qualità della valutazione in ordine alle inferenze probatorie, cioè, può essere massima, anche quando si proceda con forme semplificate.
Tale conclusione è confermata da una serie di indici positivi, ma in specie da due di essi.
In primo luogo, il quinto comma dell'art. 702-ter, sopra citato, stabilisce che il giudice procede a tutti gli atti di istruzione rilevanti e non solo a quelli indispensabili, a differenza di quanto, invece, previsto dall'art. 669-sexies, primo comma, cod. proc. civ. Tale ultima previsione, inserita nella disciplina del procedimento cautelare uniforme, è sintomatica della natura di procedimento a cognizione sommaria del cautelare, giustificata dall'urgenza e coerente con la mancata produzione di un giudicato.
In secondo luogo, l'art. 702-ter, quinto comma, cod. proc. civ., segnala che il giudice procede agli atti istruttori rilevanti “in relazione all'oggetto del provvedimento” richiesto, e non, come si legge nell'art 669-sexies, primo comma, cod. proc. civ., a quelli indispensabili “in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento” richiesto.
Da ciò si trae la evidente conclusione che la domanda svolta con il rito sommario è rivolta alla piena tutela del bene della vita che è ad essa sottesa e ne costituisce, appunto, l'oggetto.
La finalità della pretesa, cioè, non è la conformazione del provvedimento strumentale alla cautela del diritto, quanto piuttosto la protezione piena quest'ultimo.
Questa impostazione è quella fatta propria dalla legge di delega, laddove (art. 54, comma 2, lettera b), n. 2) prevede la riconduzione, al rito sommario in parola, dei procedimenti «in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa», operando un chiaro riferimento alla semplificazione delle forme e non alla sommarietà della cognizione.
Come osservato in dottrina, questa scelta dev'essere ritenuta pienamente legittima sul piano costituzionale, a prescindere dalla corrispondenza con un appello aperto a nuovo richieste istruttorie.
Ciò in quanto la previsione dell'art. 111 Cost. non può essere letta nel senso di richiedere, sempre e comunque, un processo “interamente” regolato dalla legge, ma nella più aderente accezione per cui la disciplina processuale non può che essere legislativa, vale a dire affidata a norme primarie.
Del resto, in applicazione del principio di proporzionalità dell'uso della risorsa giudiziaria, non illimitata, l'introduzione, in equilibrata misura, di forme processuali flessibili, è essenziale a garantire l'implementazione complessiva del principio – anch'esso costituzionale, e anch'esso sancito nello stesso art. 111 Cost. citato – di ragionevole durata dei processi.
Tale opzione interpretativa è stata, da decenni, adottata dalla Corte costituzionale, la quale ha sempre escluso l'illegittimità del ricorso, da parte del legislatore ordinario, alle forme camerali, ampiamente rimesse alla discrezionalità giudiziale, anche per la composizione di conflitti su diritti soggettivi e status.
La giurisprudenza costituzionale ha chiaramente affermato che tale scelta «non è di per sé suscettiva di frustrare il diritto di difesa, in quanto l'esercizio di quest'ultimo può essere modulato dalla legge in relazione alle peculiari esigenze dei vari procedimenti, purché ne vangano assicurati lo scopo e la funzione» (Corte cost., 23 aprile 1998, n. 141).
Ciò che risulta essenziale è il rispetto del contraddittorio, del diritto alla prova e all'assistenza tecnica, che del primo costituiscono la compiuta declinazione, oltre, naturalmente, al presupposto della terzietà del giudice (v., anche in motivazione, da Corte cost., 12 luglio 1965, n. 70 a Corte cost., 13 giugno 2008, n. 212 e, da ultimo, Corte cost., 29 maggio 2009, n. 170).
Appare, poi, pacifico, sia in dottrina che in giurisprudenza, che la Costituzione non richieda necessariamente un doppio grado di merito.
Ne deriva che nel procedimento di cui agli artt. 702-bis e seguenti cod. proc. civ., il fatto che il legislatore abbia previsto un appello, come sopra specificato, “aperto”, non implica la necessità costituzionale della scelta, bensì, piuttosto, la coerente traduzione dell'alternatività che connota in generale quel procedimento rispetto al rito cosiddetto ordinario.
In altre parole, il legislatore, ponendo il procedimento sommario di cognizione quale alternativa al rito “comune”, per le cause che richiedono un'attività istruttoria più semplice, ha previsto due correttivi al “dimensionamento” delle garanzie implicato dalla conseguente semplificazione delle forme: la possibilità, per il giudice, di fissare l'udienza di cui all'art. 183 cod. proc. civ., riconducendo la causa sui binari più “formali”, e, in difetto, un appello più aperto.
Ma questo non esclude la facoltà, per il legislatore ordinario, di ricorrere a forme semplificate serventi una cognizione piena in unico grado di merito, nelle ipotesi in cui la peculiarità della fattispecie lo giustifichi.
Sulla scorta di simili considerazioni la Consulta ha reiteratamente escluso l'incostituzionalità del procedimento di cui agli artt. 28 e seguenti della legge 13 giugno 1942, n. 794, che pure ne ha previsto, sinora, la gestione delle forme camerali, con inappellabilità (v., nel tempo, Corte cost., 1° marzo 1973, n. 22; Corte cost., 6 dicembre 1976, n. 238 e Corte cost., 11 aprile 2008, n. 96).
E il rito sommario di cognizione, pur senza riconduzione alle forme rigide di cui all'art. 183 e seguenti cod. proc. civ., escluso dalla legge delega (art. 54, comma 2, lettera b), n. 2), determina una strutturazione delle forme ben maggiore di quella propria del rito camerale.
L'oggetto del procedimento, cioè, è ritenuto in quei casi ex lege a bassa complessità istruttoria, e tale per cui forme semplificate e unico grado di merito sono sufficienti.
Alla luce delle considerazioni che precedono deve ritenersi, pertanto, ampiamente compatibile con il vigente quadro delle garanzie costituzionali la previsione della riconduzione al rito sommario di cognizione, senza facoltà di conversione al rito ordinario, anche di quelle controversie per le quali è previsto un unico grado di giudizio di merito.
Ciò posto va evidenziato che il secondo comma dell'articolo 3, in modo speculare rispetto all'ultimo comma dell'articolo che precede, introduce una disposizione ricognitiva che recepisce un principio già affermato dalla giurisprudenza di merito e dalla dottrina, circa i rapporti di specialità tra il rito sommario di cognizione ed il rito ordinario di cognizione, e la conseguente applicabilità delle disposizioni del secondo rito per tutto quanto non espressamente disciplinato dal primo.
Articolo 4 (Mutamento del rito)
Le previsioni contenute nell'articolo 4 regolamentano l'ipotesi in cui uno dei procedimenti previsti dal decreto legislativo venga erroneamente introdotto applicando un rito differente rispetto a quello previsto dalla legge.
Viene, in particolare, previsto che il giudice disponga il mutamento del rito con apposita ordinanza, da pronunziare, anche d'ufficio, non oltre la prima udienza di comparizione delle parti.
Nella specifica ipotesi in cui la controversia rientri tra quelle per le quali il decreto prevede l'applicazione del rito del lavoro, in considerazione del fatto che tale ultimo rito prevede che le preclusioni, sia assertive che probatorie, scattino in un momento anticipato rispetto agli altri riti, viene prescritto che con l'ordinanza di mutamento del rito venga fissata l'udienza di cui all'articolo 420 del codice di procedura civile e il termine perentorio entro il quale le parti dovranno provvedere all'eventuale integrazione degli atti introduttivi.
Al fine di dissipare gli eventuali dubbi interpretativi circa le forme della riassunzione del giudizio nell'ipotesi in cui venga dichiarata l'incompetenza del giudice adito il comma 4 dell'articolo in esame impone al giudice che dichiara la propria incompetenza di indicare con il medesimo provvedimento il rito corretto da applicare per la riassunzione dinanzi al giudice competente.
Il comma 5 dell'articolo 4, infine, prevede che gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producano secondo le norme del rito applicato prima del mutamento.
La disciplina del mutamento del rito sin qui brevemente tratteggiata si discosta in modo significativo dalle analoghe norme contenute nel codice di procedura civile le quali, per quanto attiene al mutamento del rito disciplinato dal rito del lavoro (artt. 426 e 427 cod. proc. civ.) stabilisce la possibilità di adottare anche in grado di appello il provvedimento di mutamento del rito (art. 439 cod. proc. civ.), in ossequio ad un particolare favor per il rito del lavoro, utilizzato, come si è avuto modo di precisare in precedenza, come strumento per la tutela di una parte processuale debole (il lavoratore), anche in considerazione della cennata connessione, nel rapporto di lavoro, dei diritti del lavoratore con i diritti della personalità.
A fronte di ciò, la fattispecie del mutamento del rito, da sommario di cognizione a ordinario, è, a sua volta, regolamentata dall'art. 702-ter cod. proc. civ. in modo differente, prevedendo la pronunzia di mutamento delle forme processuali in uno specifico momento del procedimento, ossia la prima udienza di comparizione delle parti, e non permettendola, sia pure implicitamente, in grado d'appello. Infatti, in quella differente fattispecie, in caso di mancato raccordo con le forme ordinarie in prime cure, vi sarà semplicemente un appello più aperto a nuove richieste istruttorie (art. 702-quater cod. proc. civ.), ma non un mutamento del rito in senso proprio, come prescritto, tipicamente, nell'art. 439 cod. proc. civ.
Nell'emanare una disciplina del mutamento del rito comune a tutte le fattispecie, giacché risultava priva di disciplina la fattispecie del mutamento del rito da sommario di cognizione a rito del lavoro, si è tenuto conto, per un verso, dell'assenza di ragioni tali da dar luogo ad un favor assoluto per uno specifico modello procedimentale, e, per altro verso, dell'esigenza di ridurre al minimo l'ambito temporale di incertezza sulle regole destinate a disciplinare il processo, al fine di scongiurare vizi procedurali che, riverberandosi a catena su tutta l'attività successiva, possano far regredire il processo, in contraddizione con i principi di economia processuale e di ragionevole durata sanciti dall'art. 111 della Costituzione.
La disciplina posta si caratterizza, pertanto, per la sussistenza di una rigida barriera temporale (la prima udienza di comparizione delle parti dinanzi al giudice) oltre la quale è precluso pronunziare il mutamento del rito, sia in via di eccezione di parte che come provvedimento officioso del giudicante, similmente alla disciplina della competenza territoriale.
Dalla circostanza della virtuale consolidabilità del rito erroneamente seguito dalle parti, sullo sfondo di differenze puramente di disciplina procedurale e non più di tecniche delle tutele, e dall'esigenza di circoscrivere al minimo l'incertezza interpretativa scaturisce, inoltre, la regola posta dal comma 5 dell'articolo in esame, che sancisce che gli effetti processuali e sostanziali della domanda giudiziale si producano secondo le norme del rito applicato prima del mutamento, al fine di escludere in modo univoco l'efficacia retroattiva del provvedimento che dispone il mutamento medesimo.
Tale disciplina afferisce unicamente agli effetti della domanda e non può naturalmente incidere sulla facoltà della parte convenuta di provocare il mutamento del rito, con apposita istanza tempestivamente proposta.
CAPO II - DEI PROCEDIMENTI REGOLATI DAL RITO DEL LAVORO
Articolo 5 (Del procedimento in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione)
L'articolo 5 interviene sul rito previsto per l'opposizione ad ordinanza-ingiunzione, attualmente disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito del lavoro, in virtù dei caratteri di concentrazione (arg. ex articolo 23) e di officiosità dell'istruzione (articolo 23, commi 2 e 6).
In ossequio al criterio di delega previsto dall'art. 54, comma 2, lettera a) della l. n. 69 del 009 sono state mantenute ferme le speciali disposizioni in materia di competenza attualmente contenute nell'articolo 22-bis della legge n. 689 del 1981.
Nel rispetto dell'ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le ulteriori peculiarità del rito disciplinato da questa legge, tenendo conto del mutato quadro normativo costituzionale e degli interventi della Corte costituzionale che si sono succeduti in questa materia.
In particolare:
a) alla luce di quanto stabilito da Corte cost. 98/2004, è prevista la possibilità di presentare il ricorso introduttivo del giudizio anche a mezzo del servizio postale;
b) le disposizioni in materia di comunicazioni e notificazioni al ricorrente sono state adeguate alla nuova disciplina contenuta negli articoli 133 e 136 cod. proc. civ. e tengono conto di quanto stabilito da Corte cost. 395/2010;
c) la disciplina della sospensione dell'efficacia esecutiva dell'ordinanza-ingiunzione opposta è stata resa omogenea – per ragioni di coordinamento - con quella della sospensione dell'efficacia esecutiva del verbale di accertamento di violazione del codice della strada.
A tal fine si prevede che la sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento opposto possa essere concessa dal giudice - con ordinanza non impugnabile – nei soli casi in cui la sospensione sia stata espressamente chiesta dall'opponente, e solo quando ricorrano gravi e circostanziate ragioni, di cui il giudice deve dare esplicitamente conto nella motivazione del provvedimento di sospensione.
Si è voluto in tal modo sottoporre il potere del giudice di sospendere l'efficacia esecutiva dell'ordinanza-ingiunzione ad un rigoroso accertamento della sussistenza dei presupposti per la sospensione (ragionevole fondatezza dei motivi su cui si fonda l'opposizione; pericolo di un grave pregiudizio derivante dal tempo occorrente per la decisione dell'opposizione), di cui il giudice dovrà dare conto in modo chiaro ed esauriente nel provvedimento con cui sospende l'efficacia esecutiva dell'ordinanza-ingiunzione.
Al fine di dare piena attuazione al principio del contraddittorio, l'ordinanza che sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato non potrà essere emessa prima dell'udienza fissata per la comparizione delle parti. Nondimeno, se durante il tempo occorrente per l'instaurazione del contraddittorio le ragioni dell'opponente rischiano di subire un pregiudizio irreparabile, il giudice potrà disporre la sospensione inaudita altera parte, con decreto pronunciato fuori udienza (in ossequio al principio della domanda, si deve ritenere che anche il decreto di sospensione potrà essere emanato solo se l'opponente ne abbia fatto espressa richiesta). In tal caso, il provvedimento di sospensione dovrà essere confermato alla prima udienza successiva, e, in ogni caso, entro il termine di sessanta giorni – pena la sua inefficacia – con ordinanza non impugnabile, in cui il giudice deve dare conto esplicitamente delle gravi e circostanziate ragioni che giustificano la sospensione dell'efficacia esecutiva dell'ordinanza-ingiunzione. La previsione del termine di sessanta giorni è stata introdotta al fine di imporre l'instaurazione del contraddittorio tra le parti entro un termine ragionevole, ma tale da consentire la trattazione delle istanze cautelari unitamente a quelle di merito del procedimento.
d) il giudice dovrà esaminare il ricorso nel merito – anche quando l'opponente o il suo difensore non si presentano alla prima udienza senza addurre alcun legittimo impedimento – tutte le volte in cui l'illegittimità del provvedimento impugnato risulti dalla documentazione allegata dall'opponente (in questo senso v. già Corte cost. 534/1990), ovvero l'autorità che ha emesso il provvedimento abbia omesso il deposito di copia del rapporto e degli atti connessi (in questo senso v. già Corte cost. 507/1995). In questi casi il giudice non potrà convalidare il provvedimento con ordinanza, ma dovrà decidere l'opposizione nel merito, con sentenza soggetta ai normali mezzi di impugnazione delle sentenze;
e) il giudice non potrà più dichiarare inammissibile il ricorso proposto tardivamente con ordinanza non appellabile resa inaudita altera parte (come attualmente previsto dall'articolo 23, comma 1, della legge n. 689 del 1981). Poiché la declaratoria di inammissibilità dell'opposizione incide sul diritto di azione del ricorrente, si deve ritenere coerente con i principi costituzionali sul giusto processo (articolo 111 Cost.) prevedere che anche in questi casi la decisione sia resa dopo che è stato instaurato il contraddittorio tra le parti (e cioè alla prima udienza), con sentenza soggetta ai normali mezzi di impugnazione delle sentenze;
f) benché manchi una norma specifica sull'appello, la sentenza che definisce (in rito o nel merito) il giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione sarà assoggettata ai normali mezzi di impugnazione delle sentenze. Poiché tra le norme del rito del lavoro applicabili ai procedimenti disciplinati dal Capo II del presente decreto legislativo non rientra l'articolo 433 cod. proc. civ., il giudice di appello sarà individuato secondo i criteri generali contenuti nell'articolo 341 cod. proc. civ. (l'appello contro le sentenze del giudice di pace e quello contro le sentenze del tribunale si propongono, rispettivamente, al tribunale e alla corte d'appello nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunciato la sentenza).
Il procedimento regolato dal presente articolo si applica anche ai giudizi di opposizione all'ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria previsti dall'articolo 205 del codice della strada (così l'articolo 205 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, come modificato dall'articolo 32, comma 6, lett. b) del presente decreto legislativo).
Articolo 6 (Del procedimento in materia di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada)
L'articolo 6 disciplina il procedimento in materia di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada - attualmente disciplinato dall'articolo 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito del lavoro, in virtù dei caratteri di concentrazione, poiché presenta caratteri di concentrazione processuale e di officiosità dell'istruzione (arg. ex articolo 204-bis, comma 2, del decreto legislativo n. 285 del 1992, che rinvia al procedimento in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione regolato dagli articoli 22 e seguenti della l. 24 novembre 1981, n. 689).
L'articolo in commento contiene una disciplina compiuta del procedimento in materia di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada. Si è deciso, infatti, di evitare il rinvio per relationem alla disciplina del procedimento in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione (come invece previsto dall'articolo 204-bis, comma 2, del decreto legislativo n. 285 del 1992), al fine di evitare incertezze interpretative legate alla verifica di compatibilità dei due riti.
Oltre alla norma che devolve al giudice di pace la competenza in questa materia (articolo 204-bis, comma 1, del decreto legislativo n. 285 del 1992), sono state mantenute le ulteriori peculiarità del rito attualmente in vigore, fatta eccezione per i casi in cui si è reso necessario rendere omogenea la disciplina di questo rito con quella del procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione (con cui il procedimento in esame presenta evidenti analogie, quanti ai presupposti e alla struttura).
Come nel caso della disciplina delle opposizioni ad ordinanza-ingiunzione, si è tenuto altresì conto del mutato quadro normativo costituzionale e degli interventi della Corte costituzionale che si sono succeduti in questa materia.
In particolare:
a) la disciplina delle modalità di presentazione del ricorso (comma 3), le disposizioni sulle comunicazioni e notificazioni al ricorrente (comma 6), la disciplina della sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato (commi 7 e 8); la disciplina dei casi in cui il giudizio è definito mediante convalida del provvedimento opposto (comma 11, lett. b), e quella dell'inammissibilità del ricorso proposto tardivamente (comma 11, lett. a), riproducono sostanzialmente le corrispondenti disposizioni del giudizio in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione (v. supra, sub articolo 5);
b) per l'ipotesi in cui il ricorso venga rigettato, si è specificato (al fine di tenere conto del diritto vivente in materia: Cass., sez. un., 25304/2010) che il giudice deve determinare l'importo della sanzione in una misura compresa tra il minimo e il massimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata (comma 12).
Articolo 7 (Del procedimento di opposizione a sanzione amministrativa in materia di stupefacenti)
Il procedimento di opposizione a sanzione amministrativa in materia di stupefacenti - attualmente disciplinato dall'articolo 75, comma 9, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 - è stato inserito tra i procedimenti regolati dal rito del lavoro, perché presenta caratteri di concentrazione processuale e di officiosità dell'istruzione (arg. ex articolo 75, comma 12, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, che rinvia alle norme della sezione II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689).
La disciplina di questo procedimento è identica a quella del procedimento in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione regolato dall'articolo 5 del presente decreto legislativo (comma 1), fatta eccezione per la speciale disposizione in materia di competenza (comma 2).
Articolo 8 (Del procedimento in materia di opposizione ai provvedimenti di recupero di aiuti di Stato)
L'articolo 8 interviene sul procedimento in materia di opposizione ai provvedimenti di recupero degli aiuti di Stato - attualmente disciplinato dall'articolo 1 del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 6 giugno 2008, n. 101.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito del lavoro, in virtù dei caratteri di concentrazione processuale e di officiosità dell'istruzione (arg. ex articolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 59 del 2008, che rinvia alle disposizioni degli articoli 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689).
Il procedimento de quo è regolato, oltre che dal rito del lavoro, anche dalla disciplina del procedimento in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione contenuta nell'articolo 5 del presente decreto legislativo, con alcune eccezioni:
a) non si applicano le speciali disposizioni in materia di competenza contenute nei commi 3, 4 e 5 dell'articolo 5 del presente decreto legislativo (l'articolo 1 del decreto-legge n. 59 del 2008 non richiama, tra le disposizioni applicabili ai procedimenti in materia di aiuti di Stato, l'articolo 22-bis della legge n. 689 del 1981);
b) al fine di uniformarsi alla giurisprudenza comunitaria in materia di rapidità delle procedure nazionali di recupero degli aiuti di Stato, si è mantenuta la speciale disciplina del procedimento di sospensione dell'efficacia del titolo amministrativo o giudiziale di pagamento emesso a seguito di una decisione di recupero. Si è omesso tuttavia di riprodurre l'articolo 1, comma 3, terzo periodo del decreto-legge n. 59 del 2008, in quanto già dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui stabilisce la perdita di efficacia del provvedimento di sospensione (Corte cost. 281/2010);
c) sono stati mantenuti i termini acceleratori previsti per la definizione del giudizio nell'ipotesi in cui sia stata accolta l'istanza di sospensione del provvedimento impugnato;
d) non si applicano al procedimento de quo le disposizioni del procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione che consentono alle parti di stare in giudizio personalmente e quelle che regolano il regime fiscale degli atti del processo e della decisione.
Articolo 9 (Del procedimento in materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali)
L'articolo 9 modifica il rito previsto per le controversie aventi ad oggetto l'applicazione delle disposizioni del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante il Codice in materia di protezione dei dati personali, nonché per le controversie previste dall'articolo 10, comma 5, della legge 1° aprile 1981, n. 121, in materia di trattamento dei dati delle informazioni e dei dati di cui all'articolo 6, lettera a), e all'articolo 7 della medesima legge, ad opera del Centro elaborazione dati presso il Ministero degli Interni.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito del lavoro, in virtù dei caratteri di concentrazione e di officiosità dell'attività istruttoria previsti dalla normativa previgente, che prevedeva l'introduzione del giudizio con ricorso, termini processuali brevi per la fissazione dell'udienza di comparizione delle parti, la possibilità, per il giudice, di disporre anche d'ufficio i mezzi di prova necessari, e la pronunzia contestuale della sentenza con lettura del dispositivo.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 2, lettera a) della l. n. 69 del 2009) si è mantenuta ferma la competenza territoriale del tribunale del luogo in cui ha sede il titolare del trattamento dei dati, come definito dall'articolo 4 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. Non è stata ribadita la precisazione, presente nel testo previgente, della composizione monocratica dell'organo giudicante, dal momento che tale composizione deriva naturalmente dall'applicazione degli ordinari criteri dettati dagli articoli 50-bis e 50-ter del codice di procedura civile.
La riconduzione al rito del lavoro consente il mantenimento della medesima forma introduttiva del giudizio, la previsione di ampi poteri istruttori officiosi e la massima concentrazione delle attività processuali, con l'ammissione immediata dei mezzi di prova, il tendenziale compimento dell'attività istruttoria in occasione della medesima udienza e la decisione contestuale con la lettura della sentenza al termine dell'udienza o la lettura del solo dispositivo, con riserva di motivazione.
Nel rispetto dell'ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) il termine di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento impugnato o dal rigetto tacito per il ricorso avverso i provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali;
b) il potere del giudice di sospendere l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato con ordinanza non impugnabile, al ricorrere di gravi motivi e nel contraddittorio tra le parti, con la possibilità di adottare il provvedimento di sospensione inaudita altera parte e l'obbligo, a pena di inefficacia della sospensione, di confermare il provvedimento all'esito del contraddittorio tra le parti;
c) l'obbligo di cancellazione della causa dal ruolo e di contestuale pronunzia dell'estinzione del processo, con la pronunzia sulle spese, se il ricorrente non compare alla prima udienza senza addurre alcun legittimo impedimento;
d) l'inappellabilità della sentenza di primo grado, ferma restando la possibilità del ricorso per cassazione;
e) la possibilità per il giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, di prescrivere le misure necessarie alla pubblica amministrazione, anche in deroga al divieto di cui all'articolo 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E).
Tutti gli effetti processuali summenzionati, infatti, non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito del lavoro.
Con specifico riferimento alla disciplina relativa alla sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, in attuazione del criterio di delega previsto dall'articolo 54, comma 2 della l. n. 69 del 2009, che impone la realizzazione del coordinamento con le altre disposizioni vigenti, è stata uniformata la disciplina a quella prevista per l'opposizione a sanzione amministrativa, con la previsione dell'estensione della sospensione all'efficacia esecutiva e con l'introduzione della sanzione dell'inefficacia per i provvedimenti di sospensione dati inaudita altera parte e non confermati all'esito del contraddittorio tra le parti e, in ogni caso, entro il termine di sessanta giorni.
Va, altresì, evidenziato che, analogamente a quanto previsto in tema di opposizione a sanzione amministrativa, non è stata mantenuta la possibilità di dichiarare inammissibile il ricorso proposto tardivamente con ordinanza non appellabile resa inaudita altera parte. Poiché la declaratoria di inammissibilità dell'opposizione incide sul diritto di azione del ricorrente, si deve ritenere coerente con i principi costituzionali sul giusto processo (articolo 111 Cost.) prevedere che anche in questi casi la decisione sia resa dopo che è stato instaurato il contraddittorio tra le parti (e cioè alla prima udienza), con sentenza soggetta ai normali mezzi di impugnazione delle sentenze.
Articolo 10 (Delle controversie agrarie)
L'articolo 10 regolamenta le controversie in materia di contratti agrari o conseguenti alla conversione dei contratti associativi in affitto, già oggetto di una disciplina che si è stratificata nel tempo con una frammentazione di fonti che ha dato luogo a dubbi ermeneutici tra gli interpreti.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito del lavoro, già applicato a tali controversie in virtù del disposto dell'art. 9 della legge 14 febbraio 1990 n. 29.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 2, lettera a) della l. n. 69 del 2009) si è mantenuta ferma la competenza delle sezioni specializzate agrarie di cui alla legge 2 marzo 1963, n. 320 e successive modificazioni.
Nel rispetto dell'ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) l'obbligo del tentativo di conciliazione preventivo all'instaurazione del giudizio, da effettuarsi dinanzi all'ispettorato provinciale dell'agricoltura competente per territorio;
b) la possibilità di concedere il c.d. termine di grazia all'affittuario convenuto in giudizio per morosità, per il pagamento dei canoni scaduti;
c) la tipizzazione del presupposto per la concessione del provvedimento di sospensione dell'esecuzione della sentenza oggetto di gravame nei casi un cui tale esecuzione privi il concessionario di un fondo rustico del principale mezzo di sostentamento suo e della sua famiglia, o possa risultare fonte di serio pericolo per l'integrità economica dell'azienda o per l'allevamento di animali;
d) la previsione del termine connesso all'annata agraria per l'esecuzione dell'ordine di rilascio del fondo.
Tutti gli effetti processuali summenzionati, infatti, non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito del lavoro.
Articolo 11 (Del procedimento di impugnazione dei provvedimenti in materia di registro dei protesti)
L'articolo 11 regolamenta le controversie derivanti dall'impugnazione dei provvedimenti in materia di cancellazione dal registro dei protesti previsti dall'articolo 4 della legge 12 febbraio 1955 n. 77 adottati dal responsabile dell'ufficio protesti.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito del lavoro, già applicato a tali controversie in virtù del disposto dell'art. 4, comma 4, della citata legge 12 febbraio 1955 n. 77.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 2, lettera a) della l. n. 69 del 2009) si è mantenuta ferma la competenza del giudice di pace contemplata dalla predetta normativa previgente, nonché la specifica regola della competenza territoriale in funzione del luogo in cui risiede il debitore protestato.
CAPO III - DEI PROCEDIMENTI REGOLATI DAL RITO SOMMARIO DI COGNIZIONE
Articolo 12 (Del procedimento per la liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato)
L'articolo 12 detta la disciplina delle controversie riguardanti gli onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali, previste dall'articolo 28 della legge 13 giugno 1942 n. 794, nonché l'opposizione proposta a norma dell'art. 645 del codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento dei medesimi crediti.
Le controversie in questione sono state ricondotte al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell'istruzione della causa evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 2, lettera a) della l. n. 69 del 2009) si è mantenuta ferma la competenza funzionale dell'ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la propria opera, nonché la composizione collegiale dell'organo giudicante.
Di conseguenza, si è avuto modo di precisare che con il decreto di cui all'articolo 702-bis, terzo comma, del codice di procedura civile, il presidente del collegio designa il giudice istruttore.
Nel rispetto dell'ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», si è avuto cura di specificare che le parti possono stare in giudizio personalmente. Questo, com'è chiaro, potrà accadere nel giudizio di merito, e quindi non nella fase di eventuale impugnativa di legittimità, per cassazione.
Non si è invece riportata la disposizione sul tentativo giudiziale di conciliazione, in quanto assorbita dalla norma generale contenuta nell'art 185 cod. proc. civ.
Sempre al fine di mantenere l'effetto processuale speciale attualmente in essere, si stabilisce che l'ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile.
Sul punto valgono le precisazioni fatte in parte generale (sub art. 3).
Va solo precisato che, qui come altrove, si è scelta la definizione di “inappellabilità”, in luogo di quella “non impugnabilità”, anche considerato che l'effetto è il medesimo, una volta ricondotto il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. a tutte le ipotesi di cui all'art. 360 cod. proc. civ. (v. art. 360, quarto comma, cod. proc. civ.).
Articolo 13 (Del procedimento per l'opposizione a decreto di pagamento di spese di giustizia)
L'articolo 13 detta la disciplina delle controversie in materia di opposizione a decreto di pagamento delle spese di giustizia, di cui all'articolo 170 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115.
Le controversie in questione sono state ricondotte al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell'istruzione della causa evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 2, lettera a) della l. n. 69 del 2009) si è mantenuta ferma la competenza funzionale del capo dell'ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato. Al riguardo si è chiarita la portata della norma previgente in merito alla competenza, specificando che per i provvedimenti emessi da magistrati dell'ufficio del giudice di pace e del pubblico ministero presso il tribunale è competente il presidente del tribunale e che per i provvedimenti emessi da magistrati dell'ufficio del pubblico ministero presso la corte di appello è competente il presidente della corte di appello.
Dall'attribuzione della competenza funzionale all'organo apicale dell'ufficio giudicante deriva ex se il mantenimento della composizione monocratica dell'organo decidente.
In chiave di mantenimento delle specialità della disciplina, è stato previsto che:
a) nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente;
b) l'ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile: sul punto valgono le considerazioni effettuate riguardo all'art. 12;
c) quando ricorrono gravi motivi il presidente può, su istanza di parte, sospendere l'esecuzione provvisoria del decreto, con ordinanza non impugnabile;
d) il presidente può chiedere d'ufficio a chi ha provveduto alla liquidazione, o a chi li detiene, gli atti, i documenti e le informazioni necessari ai fini della decisione.
Per assicurare il coordinamento normativo di sistema, come imposto dall'art. 54, comma 2, della legge delega n. 69 del 2009, si è previsto che la sospensione del decreto, accordabile per gravi motivi dal presidente, abbia ad oggetto l'efficacia esecutiva del titolo opposto, in linea con il dato sistematico emergente dalla pur differente fattispecie di cui all'art. 615, primo comma, cod. proc. civ., come novellato dalla legge 14 maggio 2005 n. 80. Non sarà così irragionevolmente imposto di attendere il primo atto esecutivo per poter avanzare la relativa istanza.
Articolo 14 (Delle controversie in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini dell'Unione europea)
L'articolo 14 regolamenta le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti di rifiuto e revoca del diritto di soggiorno in favore di cittadini dell'Unione europea.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell'istruzione della causa evidenziati dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio prevista dagli artt. 737 e ss. del codice di procedura civile.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l'individuazione e la composizione dell'organo giudicante (il tribunale in composizione monocratica) e la competenza territoriale, correlata al luogo ove dimora il ricorrente.
Articolo 15 (Delle controversie in materia di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari)
L'articolo 15 regolamenta le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione del provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari per motivi imperativi di pubblica sicurezza e per gli altri motivi di pubblica sicurezza di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, nonché per i motivi di cui all'articolo 21 del medesimo decreto legislativo.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell'istruzione della causa, evidenziati dalla forma dell'atto introduttivo del giudizio (il ricorso) e dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio prevista dagli artt. 737 e ss. del codice di procedura civile.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l'individuazione e la composizione dell'organo giudicante (tribunale in composizione monocratica) e la competenza territoriale, correlata alla sede dell'autorità che ha pronunziato il provvedimento oggetto di impugnazione.
Nel rispetto dell'ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) il termine di venti giorni dalla notifica del provvedimento impugnato per la proposizione del ricorso, a pena di decadenza;
b) la facoltà per la parte di ricorrente di stare in giudizio senza ministero di difensore;
c) la possibilità di presentazione del ricorso per via consolare;
d) la disciplina della istanza di sospensione dell'esecutorietà del provvedimento di allontanamento con automatica sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato salvo che nei casi di allontanamento disposto su base di una precedente decisione giudiziale ovvero su motivi di sicurezza dello Stato o su motivi imperativi di pubblica sicurezza
e) la correlazione dei termini per la pronunzia sull'istanza di sospensione con il termine stabilito per l'allontanamento dello straniero.
Tutti gli effetti processuali summenzionati, infatti, non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito sommario di cognizione.
Con specifico riferimento alla disciplina relativa alla presentazione del ricorso per via consolare, in attuazione del criterio di delega previsto dall'articolo 54, comma 2 della l. n. 69 del 2009, che impone la realizzazione del coordinamento con le altre disposizioni vigenti, è stata disciplinata la possibilità della presentazione del ricorso a mezzo del servizio postale, in applicazione dei principi stabiliti dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 278 del 16 luglio 2008, dettata con riferimento alla analoga fattispecie delle controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell'Unione europea.
Articolo 16 (Delle controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell'Unione europea)
L'articolo 16 regolamenta le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione del decreto di espulsione di cittadini di Stati che non sono membri dell'Unione europea, pronunciato ai sensi dell'articolo 13, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell'istruzione della causa, evidenziati dalla forma dell'atto introduttivo del giudizio (il ricorso) e dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio prevista dagli artt. 737 e ss. del codice di procedura civile.
In ossequio alla delega (art. 54, comma 4, lettera a) della l. n. 69 del 2009) sono state mantenute ferme l'individuazione e la composizione dell'organo giudicante (il giudice di pace) e la competenza territoriale, correlata alla sede dell'autorità che ha pronunziato il provvedimento oggetto di impugnazione.
Nel rispetto dell'ulteriore principio di delega (art. 54, cit., lettera c) ultimo periodo) che prevede il mantenimento delle disposizioni «finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile», sono state mantenute le seguenti previsioni:
a) il termine di sessanta giorni dalla notifica del provvedimento impugnato per la proposizione del ricorso, a pena di decadenza;
b) la possibilità di presentazione del ricorso per via consolare od a mezzo del servizio postale;
c) la notifica a cura della cancelleria del decreto di fissazione dell'udienza;
d) l'ammissione ope legis del ricorrente al beneficio del gratuito patrocinio a spese dello Stato e la nomina del difensore d'ufficio, ove ne sia privo;
e) la possibilità, per l'autorità amministrativa convenuta, di stare in giudizio personalmente o avvalersi di funzionari appositamente delegati;
f) termini brevi per la definizione del giudizio;
g) l'esenzione da ogni tassa ed imposta degli atti processuali, già contemplata dall'articolo 13-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;
h) l'inappellabilità della sentenza di primo grado, ferma restando la possibilità del ricorso per cassazione.
Tutti gli effetti processuali summenzionati non appaiono ugualmente raggiungibili ricorrendo alle disposizioni del codice di procedura civile che disciplinano il rito sommario di cognizione.
Con specifico riferimento alla disciplina relativa alla presentazione del ricorso per via consolare, in attuazione del criterio di delega previsto dall'articolo 54, comma 2, della l. n. 69 del 2009, che impone la realizzazione del coordinamento con le altre disposizioni vigenti, è stata disciplinata la possibilità della presentazione del ricorso a mezzo del servizio postale, in applicazione dei principi stabiliti dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 278 del 16 luglio 2008, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 nella parte in cui non consentiva l'utilizzo del servizio postale per la proposizione diretta, da parte dello straniero, del ricorso avverso il decreto prefettizio di espulsione, quando fosse stata accertata l'identità del ricorrente in applicazione della normativa vigente.
In attuazione del medesimo criterio di delega, inoltre, sono stati disciplinati i termini per la notifica del ricorso introduttivo e per la costituzione dell'amministrazione convenuta in modo tale da renderli compatibili con la brevità del termine per la definizione del giudizio, già fissato dalla normativa previgente in 20 giorni. È stato, pertanto, previsto che il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, debba essere notificato a cura della cancelleria all'autorità che ha emesso il provvedimento entro cinque giorni prima dell'udienza e che l'autorità possa costituirsi in giudizio anche direttamente alla medesima udienza.
Articolo 17 (Delle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale)
L'articolo 17 regolamenta le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti previsti in materia di riconoscimento della protezione internazionale dall'articolo 35 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 (status di rifugiato o concessione della protezione sussidiaria).
Il procedimento in questione è stato ricondotto al rito sommario di cognizione, in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell'istruzione della causa, evidenziati dalla forma dell'atto introduttivo del giudizio (il ricorso) e dal rinvio, ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio prevista dagli artt. 737 e ss. del codice di procedura c
02-10-2011 00:00
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