Il silvicoltore non è un coltivatore diretto.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 aprile – 18 giugno 2014, n. 13906
Presidente Checcherini – Relatore Lamorgese
Svolgimento del processo
Il sig. F.R. , con citazione notificata il 19 maggio 1994, convenne in giudizio la Provincia di Torino e ne chiese la condanna al pagamento dell'indennizzo previsto dall'art. 60 della legge reg. Piemonte 17 ottobre 1979 n. 60 per i danni arrecati dalla fauna selvatica alla propria azienda agricola inserita nel Parco Regionale della Mandria, nelle annate agrarie dal 1987/1988 al 1992/1993.
Il Tribunale adito, con sentenza non definitiva del 24 ottobre 2002, accolse la domanda limitatamente ai danni prodotti sino all'annata agraria 1988/1989 e rimise la causa in istruttoria per la determinazione degli stessi, avvenuta con sentenza definitiva del 19 maggio 2004.
Il gravame proposto dal F. è stato rigettato dalla Corte di appello di Torino, con sentenza 26 maggio 2006. La corte ha condiviso la valutazione del primo giudice nel senso che l'indennizzo era dovuto fino all'annata agraria 1988/1989, poiché successivamente l'art. 35, comma 2, della legge reg. Piemonte 22 marzo 1990 n. 12, innovando il quadro normativo fino ad allora vigente (v. leggi reg. n. 60 del 1979 cit. e n. 36 dell'8 giugno 1989), aveva espressamente escluso l'indennizzo per i danni alle foreste e ai boschi.
Il F. ricorre per cassazione sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, cui resiste la Provincia di Torino.
Motivi della decisione
I motivi proposti dal ricorrente, reciprocamente connessi e da esaminare congiuntamente, sono infondati.
Nel primo è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 35 della legge reg. n. 12/1990 e 10 della legge reg. n. 36/1989, avendo la corte erroneamente ritenuto prevalente sulla normativa anteriore il comma 2 dell'art. 35 citato, che si riferirebbe invece alle sole aree boscate naturali e non a quelle coltivate, non sussistendo, a suo avviso, un'ipotesi di incompatibilità tra la nuova legge e quelle precedenti né di abrogazione espressa di queste ultime.
Nel secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione per non avere la corte considerato che l'attività di silvicoltura da lui esercitata era assimilabile alle "coltivazioni industriali da legno" che l'art. 29 della legge n. 12/1990 qualifica "a tutti gli effetti colture agrarie" e che il bosco di cui era proprietario non era confondibile con le foreste; non avrebbe spiegato perché la tutela indennitaria sarebbe riconosciuta per le attività agricole previste dal citato art. 29 e non per quella di silvicoltura.
Nel terzo motivo è dedotto vizio di motivazione per un'asserita disparità di trattamento tra l'attività di silvicoltura, esclusa dall'indennizzo per i danni arrecati dalla fauna selvatica, e le altre coltivazioni agrarie, pur essendo identica la causa genetica del danno e non potendo gli agricoltori comunque abbattere la fauna selvatica in qualunque posto essa si trovi.
In sostanza la tesi del ricorrente è che la tutela indennitaria per i danni arrecati dalla fauna selvatica "alle coltivazioni agricole ed ai pascoli" (art. 35, comma 1, legge reg. n. 12/1990) sarebbe riferibile anche ai boschi coltivati (c.d. coltivazioni boschive), alla luce di una interpretazione evolutiva che valorizzi la tendenziale equiparazione dell'attività del coltivatore diretto a quella di silvicoltura intesa come coltivazione e cura del bosco ai fini della produzione di prodotti naturali (equiparazione condivisa da Cass., sez. un. civ., n. 8486/2011 seppur al diverso fine di riconoscere il diritto di prelazione e riscatto agrario al silvicoltore).
Questa tesi non è condivisibile.
La sentenza impugnata ha correttamente valorizzato il chiaro disposto normativo del secondo comma del citato art. 35: "sono esclusi i risarcimenti dei danni alle foreste e comunque alle aree boscate" (analoga esclusione è contenuta nelle successive leggi reg. Piemonte del 29 giugno 2009 n. 19, art. 36 comma 2, e del 3 agosto 2011 n. 16, art. 22). Si tratta evidentemente di una testuale e non equivoca eccezione alla regola della risarcibilità dei "danni arrecati dalla fauna selvatica alle coltivazioni agricole e ai pascoli" prevista dall'art. 35 cit., comma 1, nonché dalla legislazione regionale previgente (v. gli artt. 10, comma 1, della legge reg. n. 36/1989 e 60 della legge reg. n. 60/1979).
È quindi infruttuoso il tentativo del ricorrente di valorizzare la peculiarità del bosco di cui egli è proprietario, in quanto oggetto di un'attività di cura e coltivazione avente natura agricola, sulla base dell'art. 29 della medesima legge reg. n. 12/1990 che qualifica "la coltura del pioppo e delle altre coltivazioni industriali da legno a rapido accrescimento [...] a tutti gli effetti come colture agrarie". Infatti ragione ostativa alla risarcibilità dei danni lamentati non è il disconoscimento in astratto dell'esistenza di un'attività di coltivazione o di cura del bosco né della sua natura agricola, ma la espressa esclusione normativa della indennizzabilità dei danni "comunque alle aree boscate", scelta questa ritenuta ragionevole dalla corte del merito, tenuto conto che la presenza dalla fauna selvatica costituisce una naturale caratteristica di tali aree.
Quella sollecitata dal ricorrente è una diretta e inammissibile manipolazione del dato normativo che avrebbe come effetto di riconoscere l'indennizzo per una particolare tipologia di boschi, nonostante l'espressa esclusione prevista per qualunque "area boscata", sintagma questo la cui ampia sfera semantica trova conferma in numerosi indici normativi presenti nell'ordinamento: "per aree boscate si intendono i terreni sui quali si sono costituiti, per via naturale o artificiale, popolamenti di specie legnose forestali a portamento arboreo costituenti un soprassuolo continuo" (art. 33, comma 2, della legge reg. Valle d'Aosta 6 aprile 1998 n. 11, poi sostituito dall'art. 3 della legge reg. 17 giugno 2009 n. 18); i terreni coperti da bosco naturale o artificiale, da vegetazione di alto fusto o di bosco rado (v,, ai fini della tutela del paesaggio, Cass., sez. Ili pen., n. 26601/2002, n. 17060/2006) e le "aree cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all'interno delle predette aree" (art. 2 della legge 21 novembre 2000 n. 353 sulla nozione di incendio boschivo).
È infine insussistente la dedotta violazione del giudicato costituito da una precedente sentenza della medesima Corte di appello di Torino (n. 60 del 21 gennaio 1993) che, valorizzando la differenza tra le zone boschive in senso lato e quelle sedi di coltivazioni boschive, avrebbe ammesso la risarcibilità dei danni arrecati all'attività di silvicoltura del ricorrente. Tale decisione infatti non fece applicazione della disposizione di cui all'art. 35, comma 2, della legge reg. n. 12/1990, che rileva nella fattispecie in esame, ma del previgente art. 60 della legge reg. n. 60/1979.
Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6200,00, di cui Euro 6000,00 per compensi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.
20-06-2014 14:50
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