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Sentenza

Il cane muore dopo l’anestesia: è responsabile il veterinario?...
Il cane muore dopo l’anestesia: è responsabile il veterinario?
Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza n. 30008/18; depositata il 21 novembre
ORDINANZA 
sul ricorso 19925-2017 proposto da: 
G.C.  elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIO 
FAA' DI BRUNO 52, presso lo studio dell'avvocato GIANFRANCO 
ZACCO, rappresentato e difeso dall'avvocato LUCA LICITRA; 
- ricorrente - contro 
E.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI 
GRACCHI 9, presso lo studio dell'avvocato LUIGI CANALE, 
rappresentato e difeso dall'avvocato GIUSEPPE BISCARI; 
- controricorrente - 
avverso la sentenza n. 661/2017 del TRIBUNALE di RAGUSA, 
depositata il 29/05/2017; 
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non 
partecipata del 5/07/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA 
SCRIMA. 
FATTI DI CAUSA 
Il Giudice di Pace di Modica, con sentenza del 17 luglio 2015, 
rigettò la domanda, proposta da C.G. nei confronti del 
veterinario G-E-, di risarcimento dei danni subiti a causa 
del decesso del cane boxer tigrato dell'attore, avvenuto il 4 settembre 
2012, subito dopo l'anestesia praticatagli dal professionista convenuto 
nel proprio studio di Modica, al fine di estrarre un corpo estraneo 
dalle narici dell'animale, e compensò interamente tra le parti le spese 
di lite. 
Il predetto giudice motivò la sua decisione facendo proprie le 
conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico d'ufficio, il quale 
aveva «escluso qualunque forma di negligenza da parte del dr. 
E., il cui protocollo adoperato è corretto e documentato in 
ambito scientifico». 
Avverso la sentenza di primo grado C.G.  propose 
impugnazione, cui resistette il veterinario. 
Il Tribunale di Ragusa, con sentenza pubblicata il 29 maggio 
2017, per quanto ancora rileva in questa sede, ritenne che il c.t.u. 
non avesse "debordato" dal mandato ricevuto, atteso che, in sede di 
riconvocazione per chiarimenti, aveva affermato: «  
la causa del decesso del cane è da imputarsi alla massa poliploidi preesistente allo 
89%». 
Il Tribunale ritenne, inoltre, che la preesistente patologia da 
cui era affetto l'animale (scoperta a seguito dell'autopsia effettuata su 
concorde richiesta delle parti), dovesse giudicarsi come fattore 
causale autonomo (non conosciuto e non conoscibile dal dr. E. 
all'atto dell'intervento) di gran lunga preponderante nella sede 
causale cui andava attribuita decisiva valenza nella produzione 
dell'evento letale, con conseguente esclusione di un rilevante apporto 
eziologico da parte del sanitario, almeno in termini probabilistici. 
Pertanto il Tribunale, data la quasi certezza della derivazione 
dell'exitus da cause genetiche preesistenti e la scarsa probabilità, per 
converso, che un diverso intervento del veterinario (anestesia tramite 
intubazione dell'animale) gli avrebbe salvato la vita, ritenne di dover 
escludere la ricorrenza del nesso causale in questione ed affermò che, 
se è pur vero che nei casi di prestazione medico-chirurgica di 
routine spetta al professionista provare che le complicanze non siano state 
determinate da sua responsabilità, tale prova era stata, nella specie, 
data, essendo stato dimostrato che la complicazione era stata 
prodotta da un evento del tutto imprevisto ed imprevedibile secondo 
la diligenza qualificata, in base alle conoscenze tecnico-scientifiche 
del momento. 
Avverso la sentenza del Tribunale di Ragusa il G. ha proposto 
ricorso per cassazione, basato su tre motivi e illustrato da memoria, 
cui ha resistito l'E. con controricorso. 
La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, 
unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di 
consiglio, ai sensi dell'art. 380 bis 
cod. proc. civ.. 
RAGIONI DELLA DECISIONE 
1. Con il primo motivo, lamentando violazione falsa applicazione 
degli artt. 40 e 41 cod. pen. in relazione all'art. 360, primo comma, 
n. 3 cod. proc civ., il ricorrente evidenzia che il Tribunale, sulla scorta 
di quanto indicato dal consulente tecnico d'ufficio e sopra riportato, 
non abbia potuto affermare che la preesistente formazione 
neopolipoide abbia avuto una rilevanza esclusiva nella causazione 
della morte del cane né abbia potuto affermare che il colposo 
comportamento del veterinario sia stato totalmente irrilevante nella 
causazione dell'evento letale, sicché la motivazione della sentenza 
impugnata avrebbe violato i principi in materia di nesso causale. Ad 
avviso del ricorrente, qualora le condizioni ambientali naturali non 
possano dar luogo, senza l'apporto umano, all'evento del danno, 
l'autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di 
tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità; in tal 
caso non può operarsi una riduzione proporzionale in ragione della 
minore gravità della sua colpa in quanto una comparazione del grado 
di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi 
soltanto tra un pluralità di comportamenti colpevoli ma non tra una 
causa umana imputabile e una concausa naturale non imputabile, 
1.1. Il motivo è infondato. 
1.2. La decisione impugnata risulta del tutto conforme ai principi 
di diritto affermati da questa Corte in tema di accertamento e prova 
della condotta colposa e del nesso causale nelle obbligazioni 
risarcitorie, che possono essere sintetizzati come segue: 
«sia nei giudizi di risarcimento 
del danno derivante da iwimentò nnritrattuale, sia in quelli di risarcimento del danno da 
fatto illecito, la condotta colposa del responsabile ed il nesso di causa 
tra questa ed il danno costituiscono l'oggetto di due accertamenti 
concettualmente distinti; la sussistenza della prima non dimostra, di 
per sé, anche la sussistenza del secondo, e viceversa; 
l'art. 1218 c.c. solleva il creditore della obbligazione che si 
afferma non adempiuta dall'onere di provare la colpa del debitore 
inadempiente, ma non dall'onere di provare il nesso di causa tra la 
condotta del debitore ed il danno di cui domanda il risarcimento; 
nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità sanitaria, è 
onere dell'attore, danneggiato, dimostrare l'esistenza del nesso 
causale tra la condotta del professionista e il danno di cui chiede il 
risarcimento; tale onere va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo 
di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del 
"più probabile che non", la causa del danno; se, al termine 
dell'istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, la 
domanda deve essere rigettata» 
(Cass. 26/07/2017, n. 18392; Cass. 
21/07/2011, n. 15991). 
1.3. Il Tribunale, sulla base di un accertamento in fatto, ha 
ritenuto che non è stato provato il nesso tra la condotta del sanitario 
e l'evento in base al criterio del "più probabile che non", reputando, in 
particolare, di escludere, nella specie, l'efficienza causale 
determinante della condotta del sanitario rispetto all'evento lesivo, 
«almeno in termini probabilistici», «data la quasi certezza sulla 
derivazione dell'exitus da cause genetiche preesistenti e la scarsa 
probabilità, per converso, che un diverso intervento del veterinario 
(anestesia tramite intubazione dell'animale) gli avrebbe salvato la 
vita». 
L'impugnata decisione si sottrae, dunque, alle censure mosse dal 
ricorrente. 
2. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell'art. 112 cod. 
proc. civ. per omessa pronuncia, da parte del Tribunale, sul motivo di 
appello con il quale il G. aveva dedotto la nullità della consulenza 
tecnica d'ufficio perché priva di motivazione, anche con riguardo ai 
chiarimenti resi all'udienza del 10 aprile 2015. 
Sostiene il ricorrente che il Tribunale non abbia deciso sul punto, 
limitandosi ad esaminare la censura di nullità della consulenza 
soltanto con riferimento al rilievo, pure sollevato, che il c.t.u. era 
andato oltre il mandato conferito, senza esaminare la censura relativa 
alla nullità della consulenza in parola per difetto di motivazione. 
Evidenzia il G. che il Tribunale ha fondato il rigetto della 
domanda sulla scorta delle conclusioni dell'ausiliare in tema di nesso 
causale, conclusioni, a suo avviso, 
«apodittiche, non motivate e 
quindi sostanzialmente nulle» 
e di cui non avrebbe dovuto tenersi 
conto mentre avrebbe dovuto disporsi la rinnovazione della 
consulenza, come peraltro richiesto. 
2.1. Il motivo è in parte infondato, stante l'implicito rigetto 
dell'eccezione (Cass., ord., 6/12/2017, n. 29191; Cass. 8/03/2007, n. 
5351), e in parte inammissibile, per difetto di specificità, con 
riferimento all'eccezione di nullità della c.t.u. ribadita in questa sede, 
non essendo stato riportato, nel motivo all'esame, il testo della c.t.u., 
con riferimento a quanto rileva ancora in questa sede (v. ricorso p. 11 
e 13), trascrivendone il contenuto o riassumendolo nei suoi esatti 
termini in relazione ai passaggi salienti, al fine di consentire al giudice 
di legittimità di valutare la fondatezza del motivo. 
3. 
Con il terzo motivo si lamenta 
l'«omesso esame circa un fatto 
decisivo per il giudizio che è stato di un oggetto di discussione tra le 
parti in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5) c.p.c.». 
Il ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe totalmente omesso 
di considerare che il cane era già stato sottoposto ad un intervento di 
estrazione di un corpo estraneo il 9 luglio 2012, cioè due mesi prima 
rispetto alla data dell'operazione di cui si discute in causa, senza 
riportare alcun danno, pur essendo l'animale già affetto dalla 
medesima patologia cui sarebbe stato ascritto il suo decesso. 
3.1. Il motivo è infondato, per difetto di decisività della 
circostanza cui lo stesso si riferisce, trattandosi di fatto non idoneo a 
determinare di per sé un esito diverso della controversia, con un 
giudizio di certezza e non di mera probabilità, sol che si consideri che 
le condizioni di salute del cane al momento del secondo intervento 
erano diverse da quelle in cui versava all'atto della prima operazione, 
come pure evidenziato dal controricorrente. 
4. 
Il ricorso va, pertanto, rigettato. 
5. 
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in 
dispositivo. 
6. 
Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il 
versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell'art. 13, comma 1- 
quater, 
d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, 
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore 
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il 
ricorso, a norma del comma 1-bis 
dello stesso art. 13. 
P.Q.M. 
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, 
in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di 
legittimità, che liquida in euro 1.200,00 per compensi, oltre alle spese 
forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 
ed agli accessori di legge; ai sensi dell'art. 13, comma 
1-quater, del 
d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 
17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza 
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, 
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello 
dovuto per il ricorso, a norma del comma 
1-bis dello stesso art. 13. 
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta 
Civile - 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 5 luglio 2018. 
Il Presidente
Avv. Antonino Sugamele

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