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Sentenza

Il ricorso in Cassazione è un rimedio impugnatorio a critica vincolata e a cogni...
Il ricorso in Cassazione è un rimedio impugnatorio a critica vincolata e a cognizione determinata
Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 15957/20; depositata il 24 luglio2020
 Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 1° luglio – 24 luglio 2020, n. 15957
Presidente/Relatore Genovese

Rilevato

che la Corte d'Appello di Bari, con sentenza 1843/2014 del 19.11.2014, ha respinto il gravame proposto dal signor D.P.R. avverso la decisione di primo grado nella parte in cui questa aveva rigettato la domanda risarcitoria dal medesimo proposta nei confronti del Comune di San Ferdinando di Puglia e, nella qualità di responsabile dell'Ufficio Anagrafe, di T.N. , ai quali il D.P. addebitava di aver proceduto alla sua "schedatura" mediante l'annotazione, in un pro-memoria tenuto dal T. ed allegato al fascicolo degli atti penali relativi al procedimento aperto a carico di questi su denuncia del D.P. , degli accessi presso l'ufficio del denunciante, delle richieste formulate e delle risposte che gli erano state rese;
che il Tribunale, prima, e la Corte d'Appello, poi, avevano assolto gli intimati dall'addebito ravvisando nella specie, nella condotta specificatamente imputata al T. , l'esimente di cui al D.Lgs. 30 giugno 2006, n. 196, art. 5, comma 3, posto che alla raccolta dei dati in questione il T. si era indotto alla luce delle numerose denunce penale sporte nei suoi confronti dal D.P. , onde il trattamento dei dati, non essendo destinato a sfociare in diffusione degli stessi, doveva intendersi praticato a fini esclusivamente personali;
che reagisce ora il D.P. per la cassazione dell'impugnata pronuncia sulla base di un solo motivo, cui replica il solo T. con controricorso, non avendo svolto attività processuale il Comune di San Ferdinando di Puglia.

Considerato

che con l'unico motivo di ricorso - alla cui disamina non si oppone la prima pregiudiziale sollevata dal controricorrente perché l'art. 348-ter c.p.c., comma 5, non si applica ratione temporis alla specie in esame - il D.P. lamenta per gli effetti dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 che il giudice d'appello, scriminando la condotta del T. sul rilievo che dei dati raccolti non vi sarebbe stata diffusione, "ha solo verificato tale aspetto del "trattamento-diffusione", ritenuto mancante, senza invece intendere in modo più approfondito che la diffusione presuppone la raccolta e che questa va tutelata per ogni soggetto", circostanza, quest'ultima, pacificamente accertata in ogni stato e grado del giudizio e come tale idonea a giustificare la reclamata pronuncia di condanna;
che il motivo è affetto da pregiudiziale inammissibilità per evidente difetto di specificità;
che rettamente il controricorrente sollevando la seconda pregiudiziale ha ricordato che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata o, più compiutamente, come si ripete da questa Corte che "il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti" (Cass., Sez. U, 29/03/2013, n. 7931); che ne consegue che, dovendo il ricorso essere veicolato tassativamente attraverso uno dei motivi previsti dall'art. 360 c.p.c., occorre che nell'esposizione dei motivi di esso trovino espressione le ragioni del dissenso che la parte intende marcare nei riguardi della decisione impugnata, formulate in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità a quanto pronunciato proprie del mezzo azionato e, insieme, da costituire una critica precisa e puntuale e, dunque, pertinente delle ragioni che ne hanno indotto l'adozione;
che ora, nella specie, la predetta condizione è manifestamente manchevole poiché, sebbene la decisione impugnata sia stata motivata richiamando il dettato del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 5, comma 3, il ricorrente si è astenuto dall'interloquire riguardo a questo passaggio motivazionale, ma si è limitato a dedurre l'illegittimità della pronuncia perché la condotta del T. sarebbe ex se lesiva delle ragioni di riservatezza che sovrintendono al trattamento dei dati personali, in tal modo prendendo posizione solo sulla premessa del ragionamento decisorio contestato e non cogliendo viceversa l'ulteriore snodo argomentativo che mette capo alla declaratoria di assoluzione configurandosi nell'occasione l'uso a fini esclusivamente personali dei dati raccolti dal T. ; che, dunque, quel vizio che egli addebita alla sentenza impugnata per non aver inteso in modo più approfondito le ragioni a tutela della riservatezza dei dati personali è proprio della sua stessa prospettazione non avendo egli esattamente inteso, come pure osservato dal giudice d'appello, la ratio ispiratrice che ha indotto il medesimo e prima di lui il giudice di primo grado ad escludere il carattere illecito della condotta oggetto di denuncia;
che il ricorso va dunque dichiarato inammissibile con conseguente carico delle spese (liquidate come in dispositivo) a danno del ricorrente ma solo in favore della parte che ha svolto difese in questa sede (T. ) e non anche dell'ente intimato (Comune).
Doppio contributo, ove dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, in favore del controricorrente T. , che liquida in complessivi Euro 3.700,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre accessori di legge. Doppio contributo, ove dovuto.
Avv. Antonino Sugamele

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