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Sentenza

Ineleggibilità.- Elezioni siciliane del 25 settembre 2022....
Ineleggibilità.- Elezioni siciliane del 25 settembre 2022.
Corte di Cassazione Sezione Civile Ord. Sez. 1 Num. 30209 Anno 2024
Presidente: TRICOMI LAURA
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6473/2024 R.G. proposto da:
C. N., elettivamente domiciliato in Roma, via Vittoria
Colonna n. 32, presso lo studio dell’Avvocato Fabio Cintioli
(CNTFBA62M23F158G), che lo rappresenta e difende, unitamente
agli Avvocati G. Impiduglia (MPDGPP81T10A089A) e
Girolamo Rubino (RBNGLM58P02A089G) giusta procura speciale in
calce al ricorso
- ricorrente –
contro
B. G., elettivamente domiciliato in Roma, via Silvestro
Gherardi n. 110, presso lo studio dell’Avvocato Annalisa Messina
(MSSNLS69D49G273I), rappresentato e difeso dall'Avvocato
Alessandro Finazzo (FNZLSN69E22A176R) giusta procura speciale in
calce al controricorso
- controricorrente –
e nei confronti
UFFICIO ELETTORALE CENTRALE CIRCOSCRIZIONALE presso il
TRIBUNALE di TRAPANI, UFFICIO ELETTORALE CENTRALE per la
ELEZIONE del PRESIDENTE della REGIONE e dei DEPUTATI
dell’ASSEMBLEA REGIONALE SICILIANA presso la CORTE D’APPELLOCorte di Cassazione - copia non ufficialeCivile Ord. Sez. 1 Num. 30209 Anno 2024
Presidente: TRICOMI LAURA
Relatore: PAZZI ALBERTO
Data pubblicazione: 22/11/2024
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di PALERMO, ASSEMBLEA REGIONALE SICILIANA e PRESIDENZA
REGIONE SICILIANA
- intimati –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 265/2024
depositata il 20/2/2024;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/10/2024 dal
Consigliere Alberto Pazzi.
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Palermo, con ordinanza in data 15 giugno 2023,
accoglieva il ricorso proposto ex art. 22 d. lgs. 150/2011 da Giuseppe
Bica quale cittadino elettore, dichiarava Nicolò Catania ineleggibile
alla carica di deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana in relazione
alle elezioni svoltesi il 25 settembre 2022 e, per l’effetto, lo
dichiarava decaduto, disponendone la sostituzione con il primo dei
non eletti della stessa lista.
Riteneva, in particolare, che sussistesse la causa di ineleggibilità
prevista dall’art. 10, lett. f), della legge della Regione Sicilia n.
29/1951, in ragione della carica rivestita dal Catania, nel periodo
della competizione elettorale, di presidente del consiglio di
amministrazione della Società per la Regolamentazione del Servizio
Rifiuti (di seguito, per brevità, S.R.R.) - Trapani Provincia Sud società
consortile per azioni, considerandola assoggettata al potere di
vigilanza della Regione.
2. La Corte d’appello di Palermo, a seguito dell’impugnazione del
Catania, reputava – fra l’altro e per quanto qui di interesse - che
l’art. 10-bis l.r. 29/1951, nel richiedere che il candidato, onde
superare la causa di ineleggibilità, abbia effettivamente dismesso le
funzioni di ostacolo alla partecipazione alla competizione elettorale,
consideri sia l’aspetto formale, ovvero il venir meno della carica, sia
l’aspetto fattuale, ovvero l’astensione dall’esercizio delle funzioni

Escludeva, pertanto, che la mera astensione dall’esercizio delle
funzioni costituisse un’alternativa a quelle formalità (dimissioni,
trasferimento, revoca dell’incarico o del comando, collocamento in
aspettativa) che il legislatore regionale aveva individuato quali atti
necessariamente prodromici all’effettiva, e anch’essa necessaria,
astensione da ogni atto inerente all’ufficio rivestito.
Rilevava che l’art. 22, comma 1, lett. c), d. lgs. 33/2013 dava una
definizione non degli enti vigilati, ma degli enti di diritto privato in
controllo pubblico, né affermava che un ente poteva dirsi “vigilato”
solo quando l’amministrazione sovraordinata aveva il potere di
nomina dei suoi vertici e dei componenti.
Riteneva che l’assoggettamento delle S.R.R. al potere di controllo e
di vigilanza regionale non potesse escludersi per il fatto che le stesse
non fossero annoverate nell’elenco degli enti vigilati nella sezione
amministrazione trasparente del portale istituzionale della Regione
Siciliana, dato che tale elenco non aveva valore esaustivo e la
sottoposizione di un ente al controllo e/o alla vigilanza di una
Pubblica Amministrazione doveva essere accertata sulla base del
dato normativo e statutario.
Negava che la certificazione a firma del dirigente generale del
dipartimento dell’acqua e dei rifiuti dell’Assessorato regionale
dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità potesse avere valore
probatorio del fatto che le società di regolamentazione dei rifiuti del
territorio siciliano non fossero sottoposte a vigilanza da parte di tale
dipartimento, dato che una simile attestazione era frutto del mero
convincimento di chi aveva predisposto l’attestazione.
Osservava che l’art. 26 l.r. Sicilia n. 9/2023, di interpretazione
autentica della l.r. 9/2010, riguardava, rispetto all’art. 14 di
quest’ultima legge, esclusivamente il potere di commissariamento
riconosciuto dal comma 4 all'Assessorato Regionale per le Autonomie
Locali e la Funzione Pubblica e non il potere sostitutivo e di
commissariamento che il comma 1 riconosceva all’Assessorato
Regionale dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità.
Giudicava, una volta precisato che la vigilanza sussisteva ogni
qualvolta la Regione si limitasse a un controllo e a una sorveglianza
in ragione dei fini cui l’attività di interesse pubblico dell’ente era
rivolta, che il potere di controllo sostitutivo sulle S.R.R. conferito
dall’art. 14, comma 1, l.r. 9/2010 all’Assessorato Regionale
dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità (che si estrinsecava
allorché l’organo superiore controllante sostituiva quello controllato
nell’ipotesi di sua inerzia, ritardo o inettitudine, adottando esso
stesso l’atto o il comportamento omesso ovvero nominando un
commissario a ciò demandato) rientrasse nei controlli amministrativi
in cui si esplicava il potere di vigilanza.
Sottolineava che l’obbligo di costituzione delle S.R.R. imposto ai
Comuni dalla l.r. Sicilia n. 9/2010, la predisposizione da parte
dell’Assessorato Regionale dell’Energia e dei Servizi di Pubblica
Utilità dello schema-tipo dell’atto costitutivo e dello statuto delle
S.R.R., la previsione ex lege dell’utilizzo da parte delle società dei
fondi regionali degli enti consorziati relativi al servizio di gestione
integrata dei rifiuti, la necessaria approvazione con decreto
dell’Assessorato Regionale dell’Energia e dei Servizi di Pubblica
Utilità della dotazione organica delle S.R.R. e la previsione che, con
tale decreto, l’Assessorato disciplinava anche le modalità attraverso
cui le S.R.R. provvedevano al fabbisogno del personale occorrente
alle loro funzioni, ricorrendo in via prioritaria alle procedure di
mobilità interna e successivamente alle procedure di mobilità
esterna, costituivano ulteriori elementi rivelatori del fatto che la
società per la S.R.R. - Trapani Provincia Sud fosse un ente vigilato
dalla Regione Sicilia.
Interpretava il disposto dell’art. 10, lett. f), l.r. Sicilia 29/1951 come
riferito, da un canto, agli enti dipendenti dalla Regione, dall’altro a
quelli soggetti a sua tutela o vigilanza, negando che la congiunzione
“ovvero” contenuta nella norma avesse natura esplicativa del
rapporto di dipendenza previsto nella prima parte della norma.
Aggiungeva che non portava a diverso convincimento il fatto che il
successivo art. 10-quater prevedesse quale causa di incompatibilità
l’esercizio della funzione di amministratore, presidente, liquidatore,
sindaco o revisore, direttore generale o centrale, consulente legale
o amministrativo in enti, istituti, agenzie o aziende sottoposti a tutela
o vigilanza della Regione, dato che la medesima posizione poteva
valere, per volontà espressa dal legislatore, sia come causa di
ineleggibilità, ove fosse precedente alla competizione elettorale, sia
come causa di incompatibilità, se sopravvenuta all’elezione.
Riteneva, infine, che la questione di illegittimità costituzionale
dell’art. 10, lett. f), l. 29/1951 per violazione degli artt. 51 e 97 Cost.
fosse manifestamente infondata, perché il legislatore siciliano, la cui
attività trovava limite nella Costituzione e nei principi stabiliti dalla l.
165/2004, aveva valutato che la carica ricoperta dal candidato, quale
amministratore di una società soggetta alla vigilanza della Regione,
potesse turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di
voto degli elettori ovvero potesse violare la parità di accesso alle
cariche elettive rispetto agli altri candidati.
3. Nicolò C. ha proposto ricorso per la cassazione della
sentenza di rigetto del suo appello, pubblicata in data 20 febbraio
2024, prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito
con controricorso G. B..
Gli intimati Ufficio Elettorale Centrale Circoscrizionale presso il
Tribunale di Trapani, Ufficio Elettorale Centrale per la Elezione del
Presidente della Regione e dei Deputati dell’Assemblea Regionale
Siciliana presso la Corte di Appello di Palermo, Assemblea Regionale
Siciliana e Presidenza Regione Siciliana non hanno svolto difese.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-
bis.1 cod. proc. civ..Corte di Cassazione - copia non ufficiale
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RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 8 e 10-bis l.r. Sicilia n. 29/1951, in quanto il
testo di quest’ultima norma (a cui occorre avere esclusivo riguardo,
giacché il precedente art. 8 riguarda la differente ipotesi di elezioni
successive alla normale conclusione della legislatura), a differenza di
quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, fa riferimento non
all’effettiva cessazione “dalla carica” e ad adempimenti formali
propedeutici a tale cessazione, ma soltanto, alla cessazione, per
qualunque causa, “dalla funzione” precedentemente esercitata ossia
al suo mancato esercizio.
5. Il motivo non è fondato.
L’art. 10-bis l.r. Sicilia n. 29/1951 prevede che “in caso di
conclusione anticipata della legislatura ai sensi degli articoli 8-bis e
10 dello Statuto ovvero in caso di scioglimento dell'Assemblea
regionale, ai sensi dell'articolo 8 dello Statuto, tutte le cause di
ineleggibilità alla carica di deputato regionale previste dalla vigente
legislazione non sono applicabili a coloro che, per dimissioni,
collocamento in aspettativa od altra causa, siano effettivamente
cessati dalle loro funzioni entro dieci giorni dalla data di
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Regione del decreto di
convocazione dei comizi elettorali”.
Questa Corte (v. Cass. 27832/2011, § 4.2) ha già avuto occasione
di occuparsi dell’interpretazione di questa norma, sottolineando che
«l'accento della disposizione cad[e] non tanto sul "titolo" della
cessazione dalle funzioni (dimissioni, collocamento in aspettativa o
altra causa), quanto soprattutto sulla "effettività" di tale cessazione,
da intendersi come l'effettiva astensione da ogni atto inerente
all'ufficio rivestito (art. 8, comma 3). Ne segue che la prova di detta
cessazione - il cui onere incombe certamente sul candidato alla
carica elettiva astrattamente ineleggibile - può emergere, secondo
le circostanze del caso concreto, non soltanto dagli elementi formali
attestanti la cessazione dalla carica che inibisce l'eleggibilità, ma
anche da altri elementi probatori che supportino e/o integrino un
titolo formale insufficiente od incerto (ad esempio, dimissioni dalla
carica non ancora accettate), dalla complessiva considerazione dei
quali risulti comunque che tale cessazione si è effettivamente
verificata. Ciò, in conformità alla stessa ratio delle cause di
ineleggibilità, le quali mirano - com'è noto - a prevenire effetti
distorsivi quanto alla parità di condizioni tra i vari candidati, in
ragione del fatto che il soggetto non eleggibile - avvalendosi della
particolare carica che ricopre - può influenzare a suo favore il corpo
elettorale».
Una simile interpretazione della disposizione in esame, «che
privilegia l'integrazione tra elementi probatori formali e sostanziali»,
non assume certo che gli elementi formali attestanti la cessazione
dalla carica che inibisce l'eleggibilità siano irrilevanti, ma spiega che
in presenza di un titolo formale insufficiente od incerto la prova che
la cessazione si sia effettivamente verificata può essere tratta anche
da altri elementi che integrino o supportino lo stesso.
In questa prospettiva interpretativa va allora osservato come la
norma in discorso escluda l’applicazione delle cause di ineleggibilità
a chi sia cessato dalle proprie funzioni non sic et simpliciter, ma “per
dimissioni, collocamento in aspettativa od altra causa”, ricollegando
così la cessazione richiesta a un atto formale di dismissione delle
funzioni; «la rimozione della condizione di ineleggibilità, è dunque,
collegata alle dimissioni o alle altre cause che, a loro volta, possano
comportare un'effettiva cessazione dalle funzioni. Fondamentale,
dunque, ai fini della prova dell'avvenuta cessazione dello stato di
ineleggibilità è, a sua volta, la prova delle avvenute dimissioni o
dell'esistenza di altra causa che comportò l'effettiva cessazione
dalle funzioni» (Cass. 7123/1998, § 2.3).
Non basta una semplice e spontanea astensione dall’esercizio delle
funzioni che determinano la causa di ineleggibilità, ma occorre una
definitività della dismissione delle stesse legata a un atto formale
che impedisca al candidato di riprendere, a sua discrezione, la sua
attività; e ciò per l’evidente ragione che solo tale definitività
persegue lo scopo della norma, in quanto il soggetto non eleggibile,
solo nel momento in cui si disfi definitivamente della particolare
carica che ricopre e non la possa più esercitare, fa venire meno la
sua eventuale influenza sul corpo elettorale.
Non si presta perciò a censure la decisione impugnata, laddove, in
conformità ai principi appena illustrati, dapprima ha ritenuto che
l’art. 10-bis l.r. Sicilia n. 29/1951, nel richiedere che il candidato,
onde superare la causa di ineleggibilità, abbia effettivamente
dismesso le funzioni di ostacolo alla partecipazione alla competizione
elettorale, consideri tanto l’aspetto formale, ovvero il venir meno
della carica, quanto l’aspetto fattuale, ovvero l’astensione
dall’esercizio delle funzioni, quindi ha reputato che il C. si
trovasse in una condizione di ineleggibilità, perché aveva mantenuto
la carica di presidente della S.R.R. sin dopo il termine della
competizione elettorale.
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 10, comma 1, lett. f), l.r. Sicilia 29/1951, 22,
comma 1, lett. c), d. lgs. 33/2013 e 26 l.r. Sicilia 9/2923, in quanto
la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto che la S.S.R., presso
la quale il C. aveva svolto le funzioni di amministratore, fosse
una società vigilata dalla Regione siciliana.
I giudici distrettuali hanno sostenuto l’irrilevanza dell’atto pubblico
di certificazione rilasciato dall’Assessorato dell’Energia e dei Servizi
di Pubblica Utilità, dipartimento acqua e rifiuti di Palermo, asserendo
che a questo documento poteva attribuirsi valore probatorio
limitatamente ai fatti che il dirigente aveva attestato come compiuti
o meno dal dipartimento, ma non in ordine alle valutazioni riportate
nell’ultimo capoverso (ove si sosteneva che le S.R.R. «non sono
sottoposte a vigilanza»), che costituivano una mera espressione del
convincimento del funzionario pubblico; al contrario, tale atto
pubblico, oltre a far piena prova fino a querela di falso, era
certamente rilevante e dirimente, avendo ad oggetto un fatto
oggettivo (ossia il mancato esercizio di un potere di vigilanza sulle
S.R.R. da parte dell’Assessorato Regionale dell’Energia e dei Servizi
di Pubblica Utilità, dipartimento dell’acqua e dei rifiuti, organo
individuato dalla L.R. Sicilia n. 9/2010 quale unico ad avere
competenza in materia di rifiuti) e non già una semplice valutazione
o un convincimento.
La Corte distrettuale, inoltre, ha erroneamente escluso – a dire del
ricorrente - che la mancata inclusione delle S.R.R. nell’elenco degli
enti vigilati nella sezione amministrazione trasparente del portale
istituzionale della Regione Siciliana determini la non assoggettabilità
dell’ente alla vigilanza regionale, in quanto l’elenco di cui all’art. art.
22, comma 1, lett. c), d. lgs. 33/2013 è stato istituito al fine di
indicare tutti i soggetti sottoposti alla vigilanza della Regione ed ha
valore esaustivo.
La decisione impugnata, infine, ha erroneamente ritenuto –
aggiunge il ricorrente - che l’esistenza di un potere sostitutivo (recte
di commissariamento) in capo all’Assessorato Energia della Regione
Siciliana integri un potere di vigilanza.
Questo potere di commissariamento, oltre a essere esercitato nei
confronti dei Comuni soci e non della S.R.R., non integra un potere
di vigilanza, giacché la Regione non esercita alcun controllo idoneo
ad incidere sul processo formativo della volontà delle S.R.R..
L’assenza in capo alla Regione di qualsivoglia potere di vigilanza o
controllo trova conferma nel disposto dell’art. 26 della l.r. Sicilia
9/2023, secondo cui alla Regione competono esclusivamente
“funzioni di programmazione, indirizzo e coordinamento del servizio
di gestione dei rifiuti urbani e assimilati”, restando “le funzioni di
gestione, controllo, vigilanza e verifica in capo agli enti locali”.
Nessun rilievo assume, poi, il fatto che l’Assessorato all’Energia e
l’Assessorato all’Autonomie Locali e della Funzione Pubblica
mantengano il potere di nominare commissari, in quanto la norma
di interpretazione autentica non ha sottratto alla Regione poteri
precedentemente previsti, quale il potere di commissariamento, ma
ha solo chiarito che gli stessi non integrano un’ipotesi di vigilanza.
Neppure gli interventi elencati dalla Corte distrettuale a conforto
delle proprie valutazioni varrebbero ad attribuire alla Regione una
forma di vigilanza o controllo sulla S.R.R., perché gli stessi, a mente
dell’art. 26 l.r. Sicilia 9/2023, sono espressione delle “funzioni di
programmazione, indirizzo e coordinamento del servizio di gestione
dei rifiuti urbani e assimilati”, restando “le funzioni di gestione,
controllo, vigilanza e verifica in capo agli enti locali”, e non sono
idonei ad incidere sul processo formativo della volontà della S.R.R..
7. Il motivo, nel suo complesso, non merita accoglimento.
7.1 L’art. 10, comma 1, l.r. Sicilia 29/1951 stabilisce che “non sono
eleggibili inoltre: f) gli amministratori ed i dipendenti con funzioni di
rappresentanza o con poteri di organizzazione o coordinamento del
personale, di istituti, consorzi, aziende, agenzie ed enti dipendenti
dalla Regione ovvero soggetti alla sua tutela o vigilanza”.
Questa Corte, nell’occuparsi di individuare i rapporti di dipendenza,
controllo e vigilanza tra la Regione Sicilia e gli enti i cui organi e
amministratori non sono eleggibili in ragione di simili tipi di relazioni
con il soggetto pubblico, ha ritenuto che essi devono fondarsi non su
generici o astratti poteri di indirizzo politico o amministrativo della
Regione sugli enti operativi, «ma su una concreta potestà di
ingerenza della Regione stessa, che si manifesta in poteri di direzione
o controllo degli enti indicati e delle loro attività o atti» (Cass.
16877/2010, § 4.1, la quale ha sottolineato che «la ratio della
previsione normativa delle cause di ineleggibilità … è quella di evitare
l'esistenza di posizioni che possano ledere la par condicio dei
candidati in ragione di un'attività da loro svolta tale da determinareicazione: 22/11/2024
semplice fatto che le elezioni sono avvenute e si sono esaurite
quando quelle regole erano vigenti. La teoria dello status ha valore
ed efficacia quando è in discussione una determinata condizione
personale che impedisce l'esercizio di diritti e facoltà e che, una volta
rimossa, consente la libera espansione del diritto o della facoltà
stessi; essa non può, però, valere nei casi in cui quella condizione è
strettamente correlata a fatti o atti che hanno esplicato ed esaurito
la loro efficacia. Vale a dire che, nel caso che ci interessa, la
competizione elettorale è il necessario aggancio cui è legato la
condizione di ineleggibilità: esauritosi il primo, la seconda non può
essere più oggetto di discussione».
Questa particolare situazione ricorre anche nel caso in cui una legge
di interpretazione autentica, per sua natura retroattiva, intervenga
sulla causa di ineleggibilità a posteriori, modificando i presupposti di
fatto a cui la stessa è ricollegata: infatti, una volta che la
competizione elettorale sia avvenuta e si sia esaurita, la condizione
di ineleggibilità non può più essere modificata nei suoi presupposti
di fatto e rimane regolata dalla legge vigente nel momento in cui il
corpo elettorale ha espresso il proprio suffragio.
7.3 Il riferimento compiuto dalla Corte territoriale al disposto dei
primi due commi dell’art. 14 della legge citata (secondo cui, nel testo
vigente al momento delle elezioni, “1. Qualora gli enti di cui alla
presente legge non ottemperino alle funzioni e ai compiti assegnati,
l’Assessore regionale dell’energia e dei servizi di pubblica utilità,
dispone, previa diffida, la nomina di commissari straordinari, nei
seguenti casi: a) mancato espletamento degli adempimenti di cui al
comma 2 dell’articolo 7 o mancata elezione degli organi delle S.R.R.,
nei termini previsti dalla presente legge; b) mancata adozione del
piano d’ambito; c) mancata approvazione dei bilanci delle S.R.R. nei
termini previsti; d) mancato espletamento delle procedure per
l’affidamento del servizio e degli adempimenti di cui all’articolo 6,
comma 5. 2. Nei casi di cui al comma 1, lettere b), c), e d), laddove
i sindaci ed i presidenti della provincia non diano corso agli
adempimenti necessari, previa diffida non inferiore a novanta giorni,
si fa luogo alla nomina di un commissario straordinario che li
sostituisce nelle funzioni societarie. Il commissario straordinario
provvede, nell’esercizio dei relativi poteri, all’adozione della delibera
di decadenza dei rappresentanti degli enti locali negli organi della
società commissariata ed all’avvio delle consequenziali azioni di
responsabilità. Il commissario straordinario assume altresì le
funzioni rivestite dai sindaci e dal presidente della provincia nella
S.R.R. I commissari straordinari durano in carica sei mesi e possono
essere rinnovati, per una volta sola, per un corrispondente periodo
di tempo. Il rinnovo dell’incarico è disposto con decreto
dell'assessore regionale per l'energia e i servizi di pubblica utilità,
adottato almeno novanta giorni prima della scadenza del mandato
commissariale. Nei due mesi antecedenti alla conclusione
dell’incarico, il commissario straordinario provvede agli adempimenti
funzionali alla ricostituzione degli organi della S.R.R.”) permette di
ravvisare quella concreta potestà di ingerenza diretta della Regione
sul funzionamento dell’ente, consistente in poteri di direzione o
controllo idonei a incidere sul processo formativo dell’attività
dell’ente, che questa Corte (cfr. Cass. 16877/2010; in termini
analoghi Cass. 16990/2007, Cass. 22346/2006, Cass. 5216/2001)
ha ritenuto indicativa del potere in presenza del quale si verifica la
causa di ineleggibilità prevista dall’ art. 10, comma 1, l.r. Sicilia
29/1951.
La norma nel suo complesso presuppone che l’Assessore Regionale
dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità svolga una complessa
funzione di vigilanza e controllo nei confronti delle società per la
regolamentazione del servizio rifiuti, in particolare verificando che le
stesse avviino e diano continuità alla propria attività operativa
attraverso l’adozione dei necessari organi, strumenti e
provvedimenti, sollecitando (nei casi di cui al comma 1, lettere b, c
e d) i sindaci ed i presidenti della Provincia a dare corso agli
adempimenti necessari e fino ad allora omessi e procedendo, ove
necessario, alla nomina di un commissario straordinario, il quale
assume le funzioni rivestite da questi ultimi nella S.R.R sostituendoli
nelle funzioni societarie, provvede all’adozione della delibera di
decadenza dei rappresentanti degli enti locali negli organi della
società commissariata (e all’avvio delle consequenziali azioni di
responsabilità) e si fa carico degli adempimenti funzionali alla
ricostituzione degli organi della S.R.R..
Risultano così più che evidenti gli elementi normativi che
attribuiscono al governo regionale poteri di ingerenza immediata
sulle S.R.R., dato che i compiti di vigilanza e controllo previsti
dall’art. 14 citato presuppongono una continuativa attività di
informazione e verifica delle modalità operative delle S.R.R.,
implicano un intervento di stimolo al compimento degli atti
indispensabili al loro funzionamento e si spingono fino all’adozione
di provvedimenti sostitutivi sì dei sindaci e dei presidenti della
Provincia (destinatari della sostituzione), ma nelle “funzioni
societarie” e “nella S.R.R.” (ambito in cui l’ingerenza viene
esercitata), incidendo così direttamente sul processo formativo della
volontà della società consortile nel chiaro intento di assicurare
un’efficiente e virtuosa gestione del servizio rifiuti, in ragione
dell’importanza che lo stesso riveste per la comunità regionale.
Non è così revocabile in dubbio che a causa di simile complessa
attività di vigilanza e controllo svolta dalla Regione l'amministratore
di una S.R.R. non sia eleggibile, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett.
f), l. 29/1951
7.4 Queste conclusioni non possono certo essere superate dal
contenuto della certificazione rilasciata dal dirigente dell’Assessorato
preposto all’attività di vigilanza appena descritta, in quanto la
verifica del ricorrere dei presupposti per l’applicazione di una
determinata norma non rimane affidata alla Pubblica
Amministrazione e a convincimenti, giudizi o interpretazioni espressi
dai suoi funzionari, ma rientra nei compiti istituzionalmente
demandati all’autorità giudiziaria al fine di definire le liti portate alla
sua cognizione.
Infine, non assume valore ostativo all’approdo interpretativo appena
illustrato il fatto che la S.R.R. non fosse inserita nell’
sindaci e presidenti di
provincia che impedisca la regolare attività della S.R.R., ma anche
perché tale elenco è volto ad assicurare una finalità di trasparenza
esterna dell’attività regionale, nel senso previsto dall’art. 1 del
medesimo decreto, e l’obbligo “
” non condiziona in alcun modo
l’esistenza e l’esercizio di un’attività di vigilanza e controllo da parte
della Regione, ma “
”, nel
senso previsto dal successivo art. 5, comma 1 (oltre alle
responsabilità e alle sanzioni stabilite dagli artt. 46 e 47).
8. Il terzo motivo di ricorso prospetta la violazione degli artt. 10,
comma 1, lett. f), 10-quater e 10-quinquies l.r. Sicilia 29/1951: la
Corte distrettuale ha ritenuto sussistente, nel caso di specie, la causa
di ineleggibilità prevista dall’art. 10, lett. f), citato, anziché la causa
di incompatibilità di cui al successivo art. 10-quater, malgrado il
tenore della norma, laddove si riferisce ad “aziende, agenzie ed enti
dipendenti dalla Regione ovvero soggetti alla sua tutela o vigilanza”,
debba essere inteso – in tesi di parte ricorrente - attribuendo al
termine “ovvero” una finalità esplicativa dell’unica categoria di
ineleggibilità prevista, costituita dal rapporto di dipendenza dalla
Regione, e considerando il riferimento alla “tutela” o alla “vigilanza”
come finalizzato solo a indicare in modo esemplificativo e
chiarificatore talune delle modalità in cui si esplica il controllo della
Regione sulle società dipendenti.
L’interpretazione fornita dai giudici distrettuali determina – sostiene
il ricorrente - un’evidente antinomia tra tale disposizione e il
successivo art. 10-quater, che prevede una situazione di
incompatibilità per la medesima categoria di soggetti (ossia
l’amministratore di società vigilate o controllate); questa antinomia,
quand’anche sussistente, andrebbe comunque risolta ritenendo
prevalente l’art. 10-quater, ai sensi del quale gli amministratori delle
società vigilate o controllate dalla Regione sono incompatibili con la
carica di deputato regionale, alla stregua di un’interpretazione
costituzionalmente orientata che incida nella misura minore possibile
sul diritto di elettorato passivo.
9. Il motivo non è fondato.
9.1 Il ricorrente interpreta il disposto dell’art. 10, lett. f), l.r. Sicilia
29/1951 (a mente del quale, lo si ripete, “non sono eleggibili inoltre:
f) gli amministratori ed i dipendenti con funzioni di rappresentanza
o con poteri di organizzazione o coordinamento del personale, di
istituti, consorzi, aziende, agenzie ed enti dipendenti dalla Regione
ovvero soggetti alla sua tutela o vigilanza”) attribuendo alla
congiunzione “ovvero” una funzione dichiarativa piuttosto che
disgiuntiva, con il risultato di ridurre da due (enti dipendenti dalla
Regione ed enti soggetti a tutela e vigilanza della Regione) a una
(enti dipendenti dalla Regione) le categorie che determinano la causa
di ineleggibilità in questione.
Una simile operazione semantica non può che trovare suffragio nella
verifica delle proposizioni che la congiunzione pone in correlazione,
analizzando se la proposizione congiunta intervenga nel periodo in
termini coerenti ed esplicativi della prima proposizione.
In altre parole, in tanto può essere predicata una funzione
dichiarativa in quanto le due proposizioni contengano affermazioni
armoniche di cui l’una sia chiarificatrice e esplicativa dell’altra.
Questa Corte ha già chiarito che un conto è la “direzione” da parte
della Regione dell’attività svolta dall’ente («quando essa possa
sostituirsi nell'esprimere la volontà del soggetto controllato, che si
qualifica “strumentale” per la realizzazione di servizi di interesse
pubblico per conto dell'amministrazione regionale cui gli stessi
competono», per usare le parole di Cass. 16877/2010, § 4.1),
attraverso l’esercizio di un penetrante e significativo potere di
ingerenza che la ponga in condizioni di dirigere quell'ente,
utilizzandolo come strumento delle proprie determinazioni
deliberative ed operative (Cass. 16889/2006), un altro è il caso in
cui la Regione si avvalga di un soggetto che collabori nel
perseguimento di interessi e obiettivi pubblici propri (nel caso di
specie quelli affidati alla competenza regionale dall’art. 196 d. lgs.
152/2006) mantenendo una sua autonomia e sia sottoposto a
controllo e vigilanza funzionale della Regione al fine di verificare il
suo regolare andamento e il conseguimento delle finalità pubbliche
così perseguite.
In presenza di categorie nient’affatto coincidenti ed anzi antitetiche
fra loro non è possibile ipotizzare che la seconda sia esplicativa della
prima, dovendosi per contro ritenere che la norma preveda
un’ineleggibilità per gli amministratori non solo di enti dipendenti
dalla Regione, e dunque diretti dalla stessa, ma pure di enti anche
solo soggetti a tutela o vigilanza della stessa, attraverso un controllo
meno invasivo.
9.2 L’art. 10-quinquies l.r. 29/1951 stabilisce che “non può ricoprire
la carica di deputato regionale colui che, nel corso del mandato,
viene a trovarsi in una condizione di ineleggibilità prevista agli articoli
8, lettere k) e l), 9 e 10”.
Questa disposizione, nel fare richiamo anche al disposto dell’art. 10,
lett. f), prevede che la medesima situazione che prima delle elezioni
determina l’ineleggibilità comporti, ove intervenga nel corso del
mandato, una condizione di incompatibilità.
Le due norme non fanno altro che stabilire, pur nella diversità
ontologica esistente tra cause di ineleggibilità e cause di
incompatibilità («le prime tradizionalmente intese a limitare lo ius ad
officium, onde evitare lo strumentale insorgere di fenomeni di
captatio benevolentiae e di metus publicae potestatis; le altre
incidenti sullo ius in officio, per scongiurare l'insorgere di conflitti di
interessi»; Corte cost. 5 giugno 2013, n. 120; 17 luglio 2007, n. 288;
3 marzo 1988, n. 235»; cfr. Cass. 11580/2016), che la medesima
situazione assuma rilievo al fine tanto di limitare il diritto di accesso
delle cariche elettive, ove esistente prima delle elezioni, quanto di
mantenere le stesse, nel caso in cui venga ad esistenza nel corso del
mandato.
9.3 Va infine escluso che questa interpretazione renda l’art. 10-
quater l.r. 29/1959 (secondo cui “Fuori dei casi previsti nell’articolo
10 ter, comma 2, i deputati regionali non possono ricoprire cariche,
né esercitare funzioni di amministratore, presidente, liquidatore,
sindaco o revisore, direttore generale o centrale, consulente legale
o amministrativo con contratto di carattere continuativo: .. b) in enti,
istituti, agenzie o aziende sottoposti a tutela o vigilanza della
Regione”) una norma inutile e priva di reali effetti, in quanto la
stessa, pur replicando, a fini di chiarezza e completezza,
l’incompatibilità già prevista dal combinato disposto degli artt. 10-
quinquies e 10, lett. f), nella sola parte concernente gli
amministratori in enti, istituti, agenzie o aziende sottoposti a tutela
o vigilanza della Regione, estende l’incompatibilità a situazioni
(quali, ad esempio, l’incarico di revisione o consulenza) non
ricomprese nell’ambito regolato dalle norme appena richiamate,
assumendo così un precipuo carattere di specialità.
10. Il quarto motivo di ricorso denuncia l’erroneità della decisione
impugnata laddove la stessa ha ritenuto manifestamente infondata
la questione di illegittimità costituzionale relativa all’art. 10, lett. f),
l.r. Sicilia 29/51, per violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 51
e 97 della Costituzione, sollevata dall’appellante; non sussiste,
infatti, a giudizio del ricorrente, né è stata indicata dalla Corte
d’appello, nessuna peculiare situazione della Regione Sicilia idonea
a giustificare la causa di ineleggibilità prevista per l’amministratore
di enti soggetti alla tutela o vigilanza della Regione, il quale, di per
sé, non può esercitare alcuna particolare captatio benevolentiae né
ricopre – in ragione della vigilanza esercitata dalla Regione
medesima - una posizione più rilevante rispetto a quella
dell’amministratore di un’azienda non vigilata, avente uguali
dimensioni.
11. Il motivo non merita accoglimento, giacché la questione di
legittimità costituzionale proposta risulta manifestamente infondata.
11.1 La Corte costituzionale (cfr. ord. 162/2019), nell’esaminare una
questione di legittimità costituzionale sollevata rispetto alla
medesima norma regionale, ha ricordato che: i) secondo l'attuale
disposto dell’art. 122 Cost. i casi di ineleggibilità e incompatibilità dei
consiglieri regionali costituiscono materia di legislazione ripartita tra
lo Stato e le Regioni ordinarie, le quali possono esercitare la propria
competenza nel rispetto dei principi fondamentali dettati dalla
legislazione statale; ii) in attuazione di questa legge costituzionale è
stata adottata la legge 2 luglio 2004, n. 165, la quale ha fissato i
princìpi fondamentali che le Regioni a statuto ordinario devono
osservare; iii) l'art. 2, comma 1, lett. a), l. 165/2004 stabilisce che
le Regioni a statuto ordinario possono prevedere i casi di
ineleggibilità «qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato,
anche in relazione a peculiari situazioni delle Regioni, possano 
turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto
degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche
elettive rispetto agli altri candidati»; iv) «il nuovo assetto delle
attribuzioni legislative in materia e l'ampio spazio lasciato alla
legislazione regionale dall'intervenuta disciplina statale di cornice
relativamente alle cause di ineleggibilità e incompatibilità hanno
consentito nuove e diverse possibilità di intervento legislativo delle
regioni ordinarie» (sentenza n. 134/2018); v) la Regione Siciliana,
«non può incontrare, nell'esercizio della propria potestà legislativa
primaria, limiti eguali a quelli che, ai sensi dell'art. 122 Cost., si
impongono alle Regioni a statuto ordinario, ciò di cui si ha conferma
nell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al Titolo V della Parte II della Costituzione)» (sentenza n.
143/2010); vi) l’ordinanza di rimessione di una questione di
legittimità in questa materia deve considerare l'evoluzione legislativa
seguita alla riforma dell'art. 122 Cost. e i riflessi della legge n.
165/2004 sull'autonomia legislativa regionale in materia elettorale,
al fine di individuare nella disciplina statale l'espressione di
un'esigenza di uniformità tale da limitare anche la competenza
primaria statutariamente attribuita alla Regione Siciliana.
11.2 Il mezzo in esame sottolinea come secondo l’art. 2, lett. a), l.
165/2004 sussistano cause di ineleggibilità nel caso in cui le attività
o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari
situazioni delle Regioni, possano turbare o condizionare in modo
diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare
la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati e
non per evitare una situazione di conflitto di interessi.
La circostanza che un candidato ricopra la carica di amministratore
di una azienda vigilata non sarebbe – in tesi di parte ricorrente – di
per sè idonea a falsare il regolare svolgimento della competizione
elettorale e ad alterare la libera espressione del voto e la par condicioCorte di Cassazione - copia non ufficiale
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tra i candidati, perché l’amministratore di un’azienda vigilata non
può esercitare alcuna particolare captatio benevolentiae.
Una simile tesi dimentica la caratteristica precipua dell’attività di
vigilanza e controllo svolta dalla Regione Sicilia, che viene espletata
non rispetto a una qualsiasi attività, ma solo rispetto a quelle, di
regola previste anche in via normativa, esercitate da enti privati i cui
compiti siano inerenti a quelli istituzionali della Regione (cfr. Cass.
16877/2010, pag. 20).
Ne consegue che la possibilità di influenzare il corpo elettorale deve
essere valutata tenendo conto che l’amministratore, nell’esercitare il
proprio compito, interviene in un ambito di specifico interesse
pubblico, dove può avvalersi della propria particolare carica per
influire sul pubblico degli utenti e condizionare così la libera decisione
di voto.
12. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Trattandosi di procedimento esente da ogni tassa o imposta (cfr. art.
22, comma 15, d. lgs. 150/2011), non è dovuto il raddoppio del
contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso
delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 8.200, di cui
€ 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese
generali nella misura del 15%.
Così deciso in Roma in data 25 ottobre 2024.
Avv. Antonino Sugamele

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