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Sentenza

Presupposti del negotium mixtum cum donatione....
Presupposti del negotium mixtum cum donatione.
Assume rilevanza fondamentale l’indagine sull’esistenza dell’animus donandi, ovvero sulla consapevolezza, da parte dell’alienante, di cedere il bene ad un prezzo notevolmente inferiore al reale valore, nonché sulla volontà di arricchire l’acquirente, per puro spirito di liberalità, tramite tale riduzione del prezzo; non è quindi sufficiente il mero dato oggettivo della sproporzione tra valore e prezzo effettivo (sproporzione che, peraltro, deve essere di entità significativa o di notevole rilevanza).

Nel caso in esame, il prezzo di vendita dei beni dal padre al figlio era stato frutto di libera determinazione e contrattazione tra le parti. E’ stato peraltro escluso che il valore assegnato in sede di divisione fosse frutto di una volontaria svalutazione, con intento simulatorio o persino fraudolento, in danno della parte attrice: infatti, la quantificazione del valore di divisione è stata frutto di trattative tra i legali dei comproprietari ed è stata elaborata insieme ad un soggetto totalmente estraneo ai rapporti ed alle dinamiche familiari ed alle vicende successorie, che non aveva quindi alcun interesse ad una stima fittizia dei beni. Infine, il valore della divisione non è risultato essere distante da quello valutato dal CTU e, dunque, è risultato verosimile ed attendibile, tenendo conto della natura anche latamente transattiva della divisione conclusa.

Tribunale Roma, sezione VIII, sentenza 7 febbraio 2024 n. 2269 – Pres. Argan; Cons. Rel. 
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
SEZIONE OTTAVA CIVILE
In composizione collegiale, in persona dei Magistrati:
Dr. Luigi ARGAN - Presidente
Dr. Alfredo Matteo SACCO - Giudice
Dr. Mario CODERONI - Giudice Estensore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa di primo grado iscritta al n. …/2014 del R.G., pendente tra
G.M. (C.F. (...)), con l'Avv. …
PARTE ATTRICE
E
G.D. (C.F. (...)), con l'Avv…
PARTE CONVENUTA
OGGETTO: Cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Fatto.
La sig.ra G.M. è figlia (nata da relazione non coniugale) di G.O., deceduto il 30.09.2009; il convenuto,
sig. G.D., è altro figlio del de cuius, nato da precedente matrimonio.
L'attrice ha convenuto in giudizio il fratello, chiedendo, in via principale e preliminare,
l'accertamento della simulazione di un atto di compravendita stipulato tra il de cuius ed il figlio D.,
asseritamente dissimulante una donazione, con la conseguente riduzione di tale atto per lesione di
legittima, e la reintegrazione della propria quota di riserva.
Ha esposto che, nel luglio del 2009, il sig. G.O. concludeva un atto di divisione consensuale, in
relazione a beni da lui ereditati dalla madre F.R., con la comproprietaria I.A., divenuta tale in forza
di successione al coniuge S.T.U. (già marito in prime nozze della sig.ra F.R.); a seguito di tale atto,
diveniva proprietario pieno di un immobile sito in R., Via di M. n. 42 e proprietario, per la quota di
1/4, di un magazzino in Via C. di C., sempre in R.; con atto contestuale, rogato dal medesimo notaio,
il sig. O.G. cedeva la nuda proprietà di tali immobili al figlio D., al prezzo complessivo di Euro
100.000,00, con riserva di usufrutto vitalizio in suo favore.
L'attrice sostiene che si tratti di un atto simulato, costituente in realtà una donazione in favore del
figlio, volto a sottrarre gli unici beni ereditari a lei (sulla premessa che il fratello D. fosse
perfettamente a conoscenza della sua esistenza in vita e del rapporto di parentela); in subordine,
chiede che venga ravvisato un negotium mixtum cum donatione, attesa la rilevante differenza tra il
prezzo di acquisto ed il valore effettivo dei beni; in ulteriore subordine, chiede di accertare che la
somma versata sul c/c del de cuius e poi prelevata dal convenuto, debba considerarsi una donazione
indiretta fatta dal padre al figlio, e quindi computarsi per la determinazione dell'asse e della quota
disponibile e di riserva.
Costituitosi il convenuto, ha contestato integralmente tutte le domande e gli assunti di parte attrice,
negando di essere stato a conoscenza della esistenza della sorella, prima del 2012 (cioè tre anni dopo
la morte del de cuius), quando quest'ultima si mise in contatto con lui, per accertare la consistenza
del patrimonio ereditario; sostenendo che l'operazione posta in essere dal padre O. era giustificabile
con il fatto che egli, soltanto nel 2009 venne a sapere che il secondo marito della madre (morto nel
2007 e che lui non frequentava) si era risposato e, pertanto, vi era una coerede che vantava diritti su
parte del suo patrimonio e, dunque, vista anche la sua situazione di salute ed economica, accettò la
proposta della controparte di addivenire ad una divisione consensuale, contestualmente vendendo
al figlio gli immobili, tra cui vi era la ex casa coniugale, per evitare di doverla vendere a terzi, al fine
di ripianare i debiti, o rischiare che venisse sottoposta ad esecuzione forzata; affermando che i soldi
versati per l'acquisto dell'immobile dal convenuto, vennero prelevati dallo stesso de cuius, proprio
al fine di pagare i suoi debiti; negando, infine, la configurabilità di un negozio misto, perché il valore
dei beni, come indicato nell'atto di divisione consensuale, era di Euro 118.000 e, quindi, non vi era
alcuna rilevante sproporzione rispetto al prezzo di vendita; infine, il convenuto evidenziava che
faceva parte dell'asse ereditario anche un immobile in C., idoneo a soddisfare la quota di riserva
spettante all'attrice.
In corso di causa veniva assunta la testimonianza preventiva ex art. 692 c.p.c. della sig.ra S.M..
All'esito, rigettate tutte le altre prove, la causa veniva trattenuta una prima volta in decisione.
Il Collegio, con Ordinanza in data 26.07.2021, disponeva la rimessione della causa sul ruolo, al fine
di espletare una CTU per la stima dei beni immobili alla data dell'atto e del decesso, e di acquisire
documenti, su ordini di esibizione ex art. 210 c.p.c., sia dal convenuto che dagli istituti di credito,
nonché dal Notaio rogante l'atto.
Svolta la consulenza ed acquisita la documentazione oggetto di ordine di esibizione, la causa veniva
nuovamente trattenuta in decisione, previa concessione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c., per il
deposito delle comparse conclusionali e delle repliche.
Diritto.
Simulazione e domanda subordinata di donazione indiretta di somme.
Non può essere accolta la domanda principale di accertamento della simulazione relativa, nel senso
di ritenere che la compravendita oggetto di causa dissimulasse, in realtà, una donazione dell'intero
immobile, da parte del de cuius in favore del figlio.
L'attrice individua la sussistenza del negozio simulato sulla base dei seguenti elementi: l'atto è stato
posto in essere due mesi prima della morte del padre, ormai malato da tempo di un cancro; non c'era
alcuna valida ragione per tale trasferimento, visto che i beni sarebbero comunque entrati di lì a poco
nel patrimonio del figlio per successione, se non quella di estromettere l'altra figlia; all'atto erano
presenti due testimoni; il prezzo pagato di Euro 100.000,00 complessivi, è stato versato su conto
corrente intestato al de cuius, e, sei giorni dopo, interamente prelevato dallo stesso convenuto D.,
che, in tal modo, lo ha recuperato.
È evidente come quest'ultima circostanza, riguardando il pagamento effettivo del prezzo e, dunque,
uno degli elementi essenziali del negozio di compravendita con causa di trasferimento a titolo
oneroso, risulti assolutamente decisiva per sostenere la tesi di parte attrice, rispetto agli altri
elementi, che costituiscono, invece, meri indizi, ad colorandum, di per sé soli non univoci.
Ebbene, dall'istruttoria svolta non è emerso alcun riscontro dell'assunto che il prezzo - del cui
versamento vi è prova documentale - sia stato, di fatto, restituito all'acquirente, essendovi anzi
elementi in senso contrario.
Invero, il versamento del prezzo da parte del sig. G.D. al padre G.O. è dimostrato, oltre che dalla
quietanza rilasciata dal venditore, dai tre assegni circolari (di 20 mila, 50 mila e 30 mila Euro), tratti
su conto corrente intestato all'acquirente e, infine, dall'estratto conto del de cuius, da cui risulta
l'incasso dei titoli, in data 11.08.2009 (doc. 16 di parte convenuta, quanto agli assegni ed alla
quietanza; doc. 6 di parte attrice, quanto all'estratto conto).
Dal medesimo estratto conto, poi, risulta anche che, nei giorni 17, 18 e 19 agosto 2009 (ovvero circa
una settimana dopo l'incasso dei titoli), sono stati effettuati tre prelievi, rispettivamente, di Euro
30.650,00, 35.000,00 e 35.160,00, per un totale di Euro 100.810,00, quindi pari ed anzi leggermente
superiore rispetto al prezzo incassato per la vendita. Tuttavia, non vi è alcuna prova che tali prelievi
siano stati effettuati dal convenuto G.D., o che tali soldi siano in qualche modo stati restituiti a lui,
od utilizzati in suo favore.
L'esito delle esibizioni documentali disposte, infatti, non ha consentito di rinvenire alcuna traccia
del versamento o del transito di tali somme sui conti correnti intestati al convenuto: in particolare
negli estratti conto della B.C. e della B.P.S., ove G.D. aveva dei conti correnti accesi, non vi è nessuna
traccia di incassi di somme rilevanti per il periodo in questione.
Inoltre, è stata anche esibita, dal Notaio rogante l'atto di compravendita, dr.ssa M.L.C., la fattura per
le spese notarili e le imposte sull'atto, per la somma complessiva di Euro 17.000,00, intestata a G.D.,
con l'indicazione degli estremi del pagamento tramite bonifico effettuato da quest'ultimo (nota di
deposito telematico del 5.10.2021).
Tali riscontri, documentali ed oggettivi, dimostrano, quindi, che il prezzo di acquisto dei beni sia
stato effettivamente pagato e che l'acquirente si è anche fatto carico delle spese notarili e delle
imposte sull'atto (addirittura, trattandosi di due atti contestuali, uno di divisione ed uno di acquisto,
pagando anche i compensi e le tasse sull'atto di divisione, di cui egli non era formalmente parte,
come si dirà meglio più avanti), il che costituisce elemento essenziale e dirimente per negare
l'esistenza di una simulazione relativa oggettiva di un atto di donazione.
A fronte di tali elementi univoci ed oggettivi, infatti, non possono assumere rilievo in senso contrario
gli altri elementi presuntivi allegati dall'attrice, i quali, peraltro, non sono stati pienamente
dimostrati, o sono inidonei a smentire gli altri riscontri.
Quanto alla volontà delle parti di sottrarre, con l'atto in questione, il bene dalla successione del de
cuius e, dunque, di estrometterne, di fatto, l'odierna attrice, è ovvio che tale volontà presupporrebbe
la conoscenza, da parte di entrambi i contraenti e, dunque, anche del convenuto, del rapporto di
filiazione e di parentela esistente tra il de cuius e la sig.ra G.M., al momento della compravendita.
Tale conoscenza non è stata dimostrata, atteso che l'unico elemento acquisito sul punto è la
testimonianza preventiva ex art. 692 c.p.c. della sig.ra S.M. (assunta all'udienza del 24.06.2015, del
subprocedimento incidentale di istruzione preventiva); la testimone ha, da un lato, confermato i
capitoli 1, 3, 4, 5, 5bis, secondo cui la sig.ra M.G. frequentava assiduamente la casa dei nonni paterni,
presso la quale erano anche presenti diverse foto di lei insieme al padre, ma, dall'altro lato, ha
risposto negativamente al capitolo 2, sulla frequentazione della casa del nonno paterno da parte di
G.D., affermando "non è vero, non veniva mai", il che rende irrilevanti le risposte agli altri capitoli,
poiché comunque il convenuto non avrebbe potuto vedere le succitate fotografie; ambigua e generica
è, poi, la risposta al cap. 6, relativo alla conoscenza di M. da parte di D., sul quale la teste ha
dichiarato: "non lo so se era consapevole, ma sapeva che faceva parte della famiglia; sapevano tutti
che M. era figlia di O.G.". Pertanto, risulta quanto meno incerto il fatto che il sig. G.D., all'epoca della
stipula dell'atto di compravendita con il padre, fosse a conoscenza dell'esistenza della sorella M. e,
meno che mai, che abbia avuto l'intenzione, unitamente al padre, di porre in essere una simulazione,
al solo fine di impedirle di partecipare alla successione anche sugli immobili trasferiti.
Infine, con riferimento alla presenza dei due testimoni, si rileva e ribadisce come l'atto notarile di
compravendita per cui è causa è stato stipulato contestualmente a quello di scioglimento
consensuale, avente anche natura transattiva, della comunione creatasi tra G.O. e I.A. su alcuni
immobili, sicché l'assistenza dei testimoni voluta dal Notaio rogante, può essere giustificata in
relazione a tale atto prodromico alla vendita
Ovviamente, una volta escluso che la somma di Euro 100.000,00, pagata quale prezzo di acquisto
dell'immobile, sia rientrata nella disponibilità del convenuto D.G. o da questi sia stata in qualunque
modo riacquisita, viene meno anche il fondamento della domanda proposta in via subordinata, di
accertamento della donazione indiretta di tale somma da parte del de cuius.
Domanda subordinata di accertamento di negotium mixtum cum donatione.
Resta, quindi, da esaminare la domanda di accertamento della sussistenza di un c.d. negotium
mixtum cum donatione, ravvisato da parte attrice nel fatto che il prezzo pagato dal convenuto al
padre per l'acquisto degli immobili sarebbe stato notevolmente inferiore a quello effettivo di
mercato.
Il negotium mixtum cum donatione è tradizionalmente ricondotto, sia dalla dottrina maggioritaria,
sia dalla giurisprudenza, nell'ambito della donazione indiretta, che in tal caso si realizza ponendo in
essere un trasferimento a titolo oneroso (al contrario di quanto avviene nella simulazione assoluta),
ma ad un prezzo notevolmente inferiore (o superiore, ove la liberalità sia in favore del venditore)
rispetto al valore effettivo del bene, realizzandosi così un arricchimento del contraente che riceve la
prestazione di maggior valore (ex multis Cass., sez. 1, n. 1685 del 22/06/1963; sez. 2, n. 3661 del
29/10/1975, n. 1214 del 10/02/1997, n. 19601 del 29/09/2004, n. 23297 del 03/11/2009 e n. 13684 del
16/06/2014).
La giurisprudenza ha, in particolare, chiarito che nel negozio misto con donazione" la causa del
contratto ha natura onerosa ma il negozio commutativo stipulato tra i contraenti ha lo scopo di
raggiungere per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una
finalità diversa e ulteriore rispetto a quella dello scambio, consistente nell'arricchimento, per puro
spirito di liberalità, di quello tra i contraenti che riceve la prestazione di maggior valore realizzandosi
così una donazione indiretta" (così Cass. sez. 2, n. 23297 del 3/11/2009; conformi, tra le tante, Cass. n.
1955 del 30/01/2007, n. 1214 del 10/02/1997, n. 1931 del 23/02/1991 e n. 10614 del 23/05/2016).
Assume dunque rilevanza fondamentale l'indagine sull'esistenza dell'animus donandi, ovvero sulla
consapevolezza, da parte dell'alienante, di cedere il bene ad un prezzo notevolmente inferiore al
reale valore, nonché sulla volontà di arricchire l'acquirente, per puro spirito di liberalità, tramite tale
riduzione del prezzo; non è quindi sufficiente il mero dato oggettivo della sproporzione tra valore e
prezzo effettivo (sproporzione che, peraltro, deve essere di entità significativa o di notevole
rilevanza); è stato infatti correttamente affermato che "tale indagine, invero, è indispensabile perché,
nella ipotesi in cui nel contratto di compravendita sia stato pattuito un prezzo minore del valore
della cosa venduta, non può escludersi, a priori, che causa di ciò sia stato, ad esempio, lo stato di
necessità in cui il venditore si sia venuto a trovare di liquidare la cosa oggetto del contratto, oppure
l'errore dello stesso venditore nella valutazione della cosa medesima, e che, pertanto, non vi sia stato
alcun intento, da parte di quest'ultimo, di porre in essere un atto di liberalità" (così Cass. sez. 1, n.
1276 del 23/04/1969; in senso conforme, sulla indispensabilità del requisito soggettivo e della causa
donandi, sez. 2, n. 1266 del 27/02/1986, n. 1931 del 23/02/1991, n. 19601 del 29/09/2004, n. 10614 del
23/05/2016, n. 7681 del 19/03/2019 e, da ultimo, n. 32804 del 9/11/2021, in motivazione).
Alla luce dei criteri sin qui esposti, nel caso di specie non è configurabile un negozio misto con
donazione, nella compravendita per cui è causa.
Innanzi tutto, da un punto di vista oggettivo, lo scarto tra prezzo pagato e valore dei beni è risultato
notevolmente inferiore a quello prospettato dalla parte attrice: la CTU espletata dall'Arch. …- con
valutazione sorretta da elementi oggettivi, frutto di indagini accurate e complete e priva di vizi logici
e tecnici - ha stimato il valore della nuda proprietà degli immobili, all'epoca dell'atto (luglio 2009),
in complessivi Euro 146.437,51, di cui Euro 140.250,00 per l'appartamento ed Euro 6.187,50 per la
quota di 1/4 del locale commerciale; rispetto al prezzo di vendita di complessivi Euro 100.000,00 (di
cui Euro 95.649,00 per l'appartamento ed Euro 4.351,00 per il locale), per una differenza che, per il
locale commerciale, è inferiore ad un terzo, e per l'abitazione è di poco superiore al 40% circa.
Quindi, sebbene esista una sproporzione, la stessa non è eccessiva, ed anzi, quanto al locale
commerciale è quasi irrilevante; deve poi sempre tenersi conto, in questo ambito, dell'inevitabile
margine di discrezionalità e di incertezza che esiste nelle valutazioni di mercato, che possono essere
influenzate da diversi elementi, anche non conoscibili (come, ad esempio, nel caso di specie, la non
conoscenza delle condizioni effettive dell'immobile all'epoca del fatto, che la CTU non ha
ovviamente potuto accertare), il che potrebbe determinare una differenza anche minore.
Ma, soprattutto, nella fattispecie in esame deve sottolinearsi l'importanza dirimente del fatto che -
come già evidenziato - la compravendita degli immobili in questione venne operata contestualmente
e come conseguenza di un atto di divisione consensuale, nell'ambito del quale i comproprietari
avevano necessariamente dovuto quantificare il valore dei singoli beni facenti parte del compendio
da dividere; tale quantificazione non aveva valore meramente simbolico o formale, né era fatta a fini
esclusivamente fiscali, dal momento che, in sede di divisione in natura, la stima dei beni costituisce
elemento essenziale, per individuare quali beni debbano essere assegnati ai singoli condividenti, in
proporzione alle rispettive quote di comproprietà, e determina anche se siano dovuti o meno
conguagli; in altre parole, il valore assegnato ai beni in sede di divisione consensuale, ne costituisce,
sostanzialmente, il prezzo al quale i comproprietari assegnatari li acquisiscono.
Tale circostanza esclude che il prezzo di vendita dei beni da G.O. al figlio D., sia stato frutto di libera
determinazione e contrattazione tra le parti e, quindi, che vi potesse essere una consapevole
riduzione del prezzo rispetto al valore effettivo, allo scopo di favorire ed arricchire l'acquirente. Così
come, a maggior ragione, deve escludersi che il valore assegnato in sede di divisione fosse frutto di
una volontaria svalutazione, con intento simulatorio o persino fraudolento, in danno dell'odierna
attrice; infatti, la quantificazione del valore di divisione, come risulta dalla documentazione in atti,
è stata frutto di trattative tra i legali dei comproprietari; essa è stata elaborata insieme ad un soggetto
totalmente estraneo ai rapporti ed alle dinamiche familiari ed alle vicende successorie, che non aveva
quindi alcun interesse ad una stima fittizia dei beni; del resto, il valore di divisione non è
particolarmente distante da quello valutato dal CTU e, dunque, risulta verosimile ed attendibile,
tenendo conto della natura anche latamente transattiva della divisione conclusa.
Pertanto, il valore base da prendere a parametro per verificare l'esistenza di un negozio misto con
donazione, non può essere nella specie quello effettivo di mercato, ma quello attribuito dalle parti
in sede di divisione dei beni poi rivenduti; rispetto ad esso, la differenza con il prezzo di vendita è
irrisoria, poiché nell'atto notarile di divisione, si attribuisce ai beni assegnati al sig. G. un valore
complessivo di Euro 118.000,00 (quanto alla nuda proprietà), di poco superiore ai 100.000 mila Euro
di prezzo versato dall'acquirente.
Infine, la differenza tra il valore assegnato ai beni in divisione ed il prezzo di loro rivendita, si
giustifica ulteriormente con il rapporto di parentela tra le parti e, ancora, con il fatto che, come visto
sopra, l'acquirente D.G. si è fatto carico delle spese notarili e delle imposte anche relative all'atto di
divisione, di cui lui non era parte, così accollandosi anche oneri che erano di spettanza del
padre/venditore.
Conclusivamente, devono escludersi tutti i presupposti, oggettivi e soggettivi, per la configurabilità
di un negotium mixtum cum donatione.
Riduzione.
Una volta esclusa l'esistenza di un atto di donazione, anche parziale o indiretta, cade ovviamente la
domanda di riduzione proposta dall'attrice, avente ad oggetto esclusivamente tale asserito atto di
liberalità simulato.
Per il resto, dal momento che si tratta di successione ab intestato, non può esservi alcuna lesione
della quota di riserva in relazione al relictum, cui partecipano in parti uguali entrambi i figli. Non è
stata, comunque, avanzata alcuna domanda di divisione dell'asse ereditario, sicché nessuna
pronuncia deve essere adottata sull'asse residuo.
Resta, quindi, irrilevante anche la questione dell'esistenza o meno di un altro immobile in C. caduto
in successione, come dedotto dal convenuto (anche se, sia detto per inciso, la circostanza è rimasta
assolutamente priva di riscontri probatori).
Spese di lite.
Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico di parte attrice, nella misura liquidata in base
ai parametri di cui al D.M. 13 agosto 2022, n. 147 - tenuto conto del valore della causa, della sua
natura, tipologia e durata, della complessità dell'attività svolta - in complessivi Euro 13.000,00 (di
cui Euro 2.500,00 per la fase di studio, Euro 1.500,00 per quella introduttiva, Euro 5.000,00 per la fase
istruttoria ed Euro 4.000,00 per la decisionale), oltre spese generali forfettarie al 15%, IVA e CPA
come per legge. Anche le spese di CTU - come già liquidate con decreto del GI, non impugnato e
quindi irrevocabile - devono essere poste definitivamente a carico della parte attrice, in base al
medesimo criterio della soccombenza.
P.Q.M.
il Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando nella causa n. 32692/2014, rigettata ogni diversa
domanda, eccezione e difesa, così provvede:
- rigetta tutte le domande proposte da G.M.;
- condanna la parte attrice G.M. alla refusione, in favore della parte convenuta G.D., delle spese di
lite, che liquida in complessivi Euro 13.000,00, oltre spese generali forfettarie al 15%, IVA e CPA come
per legge;
- pone le spese di CTU - come già liquidate con decreto del GI - definitivamente a carico della parte
attrice.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2024.
Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2024.
Avv. Antonino Sugamele

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