Responsabilità e prova a due vie per la struttura sanitaria in caso di danni da infezioni contratte durante l’assistenza e il ricovero, a seconda che il danno riguardi direttamente il paziente (e i suoi eredi in casi di decesso) o i prossimi congiunti, in caso di danno parentale.
Tribunale Roma Sezione XIII Civile Sentenza 11 dicembre 2023 n. 18155
Data udienza 11 dicembre 2023
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
TREDICESIMA SEZIONE CIVILE
in persona del dott. Alberto Cisterna ha emesso la seguente
SENTENZA
nel giudizio di primo grado iscritto al n. 62199/2017 del RGAC.
TRA
(...) (C.F. (...)), in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sul minore (...); (...) (C.F. (...)) in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sul minore (...); (...) (C.F. (...)) in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sul minore (...) (C.F. (...)); (...) (C.F. (...); (...) (C.F. (...)); (...) (C.F. (...)) in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sul minore (...) (C.F. (...); (...) (C.F. (...) e (...) (C.F. (...)) tutti in proprio e nella qualità di eredi di (...) e deceduta a Roma il (...) rappresentati e difesi dagli avvocati (...)
ATTORI
E
AZIENDA OSPEDALIERA POLICLINICO UMBERTO I (C.F. e P. IVA (...)), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato RO.MA. e SC.MA..
CONVENUTA
oggetto: responsabilità professionale sanitaria.
FATTI DI CAUSA E MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con atto di citazione, regolarmente notificato, gli odierni attori esponevano quanto segue: a seguito della comparsa di una sintomatologia caratterizzato da un calo dell'udito, instabilità nella marcia e vertigini soggettive la sig.ra (...). Si era sottoposta a una risonanza magnetica dell'encefalo che aveva evidenziato la necessità di un intervento chirurgico presso la cattedra di neurochirurgia del Policlinico Umberto I di Roma; che detto intervento di asportazione di un neurinoma associato a meningioma era stato portato a compimento in data 02/08/2012; che in data 06/08/2012 era stata effettuata una consulenza infettivologica la quale aveva evidenziato in sede di Rx torace la presenza di un addensamento e di secrezioni; che in data 08/08/2012 un'ulteriore consulenza infettivologica aveva evidenziato la positività per Klebsiella; che in data 17/08/2012 il previsto intervento per la internalizzazione del drenaggio era stato rinviato a causa dello stato febbrile della paziente e del suo contestuale isolamento in forza dell'infezione in corso; che in data 20 agosto 2012 la consulenza infettivologica riscontrava, all'esame colturale del liquor, la presenza di una positività per gram negativi compatibili in prima ipotesi per Klebsiella; che in data 20/08/2012 la sig.ra (...) aveva subito un'ulteriore intervento chirurgico di sostituzione del drenaggio ventricolare; che la consulenza infettivologica del 21/08/2012 aveva confermato la positività per Klebsiella resistente a tutti gli antibiotici e una positività anche nel 'urinocoltura; che erano seguite ulteriori consulenze infettivologiche in data 23/08/2012 che 24/08/2012 con la constatazione che l'infezione aveva coinvolto anche il drenaggio ventricolare e si rendeva indispensabile la sostituzione dello stesso per evitare il peggioramento dell'infezione; che in data 25/08/2012 era eseguito l'intervento di sostituzione del drenaggio ventricolare per sepsi; che in data 28/08/2012 una consulenza infettivologica considerata la gravità del quadro determinato dall'infezione imponeva la prosecuzione della terapia in atto; che in data 04/09/2012 il lieve miglioramento della paziente era regredito, per cui era ripristinata la somministrazione di antibiotico; che in data 08/09/2012. Un'ulteriore consulenza infettivologica aveva riscontrato il fallimento dell'attuale terapia in atto e tra le eziologie della polmonite aveva preso in considerazione una seconda infezione da Klebsiella p. MDR; che il susseguirsi delle consulenze infettivologiche sino alla data del 20/09/2012 avevano riscontrato un venir meno dell'infezione in corso e sottolineavano l'elevato rischio relativo alla presenza della derivazione esterna per ridurre il rischio di ulteriori infezioni; che in data 21/09/2012 ed eseguito un intervento chirurgico di DVP-idrocefalo; che in data 27/09/2012 il riscontro infettivologico evidenziava un'ulteriore infezione per Candida albicans; che in data 28/09/2012 le eseguito un intervento chirurgico di posizionamento drenaggio ventricolare esterno; che in data 01/10/2012 la paziente evidenziava una possibile recidiva da KPC ho una reinfezione; che in data 02/10/2012 era sottoposta a ulteriore intervento chirurgico per il malfunzionamento della valvola ventriloco-peritoneale; che in data 03/10/2012 la consulenza infettivologica aveva evidenziato condizioni generali gravissime e il laboratorio di microbiologia aveva confermato la crescita di Klebsiella panresistente ossia non sensibile ad alcun antibiotico disponibile; che in data 04/10/2012 la paziente era deceduta.
2. Tanto premesso gli attori evidenziavano che dall'esame obiettivo riportato nella cartella clinica all'ingresso la sig.ra MimmH presentava condizioni generali buone, con l'ovvia esclusione della patologia neurologica riscontrata, con esami ematochimici nella norma; che si era in presenza di una tipica infezione nosocomiale correlata al ricovero sostenuta da Klebsiella MDR e da Candida abicans; quindi, richiamati i profili in diritto dalla vicenda, rassegnavano le conclusioni di cui in premessa.
3. Si costituiva in giudizio l'Azienda Universitaria Ospedaliera Policlinico Umberto I la quale deduceva, svolte alcune eccezioni preliminari in punto di difetto di legittimazione attiva per la rappresentanza genitoriale dei minori in assenza di autorizzazione del giudice tutelare e di nullità della procura alle liti allegata all'atto di citazione, nel merito che la grave batteremia che aveva afflitto la sig.ra (...) era da considerarsi un evento non prevedibile né evitabile; che difettasse la prova di un inadempimento di essa Azienda; che la lunga ospedalizzazione in terapia intensiva presentava evidenze statistiche particolarmente elevate (25%) di cui almeno l'1% letali;
che la presenza di altre patologie doveva dirsi causa prima del contagio, al pari dell'esposizione a tecniche assistenziali invasive e dell'antibiotico resistenza dei batteri contagianti; che la cartella clinica dimostrava un costante e proficuo monitoraggio della paziente sin dall'insorgere dell'infezione; che tutti i trattamenti erano stati prestati regolarmente fino alla completa negativizzazione della paziente; che la sig.ra (...) era deceduta a seguito di una reinfezione ovvero di una recidiva della Klebsiella, resistente a ogni trattamento farmacologico; che, in ogni caso, il quantum delle pretese risarcitorie era ingiustificato e sovrastimato.
4. Tanto premesso parte convenuta rassegnava le conclusioni di cui in premessa.
5. All'udienza del 12.2.2019 il giudice procedente disponeva procedersi a consulenza tecnica d'ufficio (dott. (...) e prof. (...)); in data 15.10.2019 i detti consulenti depositavano note esplicative con la quale rappresentavano che era "stata depositata una Relazione di CTU, sulla quale il GR ha chiesto chiarimenti, avendo i CCTU depositato 2 relazioni (la prima in data 4-4-2019 e la seconda in data 30-5- 2019) recanti conclusioni diverse per quanto attiene la presenza di profili di responsabilità della struttura sanitaria. In effetti, nella prima bozza inviata dai CCTU alle parti in cui veniva confermata l'origine nosocomiale delle infezioni che hanno colpito la P., i sottoscritti CCTU non avevano ritenuto sufficientemente provata l'incidenza di tali affezioni sul evento morte ed avevano rimesso al GR la decisione in merito. In data successiva sono pervenite ai sottoscritti CCTU le osservazioni del Prof. (...) CTPA)"; che in data 13.1.2022 era disposta la surroga del giudice titolare con il decidente; che, trattenuta la causa in decisione, con ordinanza del 18.7.2022 la stessa era rimessa sul ruolo istruttorio con declaratoria di nullità del secondo elaborato (...) e nomina dei consulenti prof. (...) e dott.ssa (...); quindi, all'udienza del 5.7.2023 la causa era nuovamente riservata in decisione con concessione dei termini ex art. 190 Cpc.
6. Come detto, la struttura convenuta ha, in via preliminare e pregiudiziale, eccepito l'inammissibilità e/o improcedibilità dell'atto di citazione per mancanza di prova da parte degli attori della legittimazione ad agire in giudizio in qualità di eredi. Ovviamente tale eccezione è circoscritta - per le ragioni di merito di seguito chiarite - alla sola domanda proposta iure hereditatis, il ché invero evidenzia di per sé l'infondatezza dell'eccezione avendo gli eredi della sig.ra agito in giudizio con l'accettazione tacita dell'eredità che "può desumersi dall'esplicazione di un'attività personale del chiamato incompatibile con la volontà di rinunciarvi, ovvero da un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l'eredità secondo una valutazione obiettiva condotta alla stregua del comune modo di agire di una persona normale, essa è implicita nell'esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie, che - perché intese alla rivendica o alla difesa della proprietà o al risarcimento dei danni per la mancata disponibilità di beni ereditari - non rientrino negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall'art. 460 c.c., sicché, trattandosi di azioni che travalicano il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente al momento dell'apertura della successione, il chiamato non avrebbe diritto di proporle e, proponendole, dimostra di avere accettato la qualità di erede" (Cass. n. 14499 del 06/06/2018). A questo si aggiungono le produzioni documentali operate dagli attori (v. memoria ex art. 183 n. 2 Cpc) le quali devono considerarsi, in uno con la detta accettazione tacita, sufficienti a provare la derivazione della loro qualità di eredi dal rapporto di coniugio (...) o di filiazione (...) con la de cuius ("Nel caso di azione proposta da un soggetto che si qualifichi erede del "de cuius" in virtù di un determinato rapporto parentale o di coniugio, la produzione del certificato dello stato di famiglia è idonea a dimostrare l'allegata relazione familiare e, dunque, la qualità di soggetto che deve ritenersi chiamato all'eredità, ma non anche la qualità di erede, posto che essa deriva dall'accettazione espressa o tacita, non evi nei bile dal certificato; tuttavia, tale produzione, unitamente alla allegazione della qualità di erede, costituisce una presunzione "iuris tantum" dell'intervenuta accettazione tacita dell'eredità, atteso che l'esercizio dell'azione giudiziale da parte di un soggetto che si deve considerare chiamato all'eredità, e che si proclami erede, va considerato come atto espressivo di siffatta accettazione e, quindi, idoneo a considerare dimostrata la qualità di erede" (Cass. 26 giugno 2018 n. 16814; Cass. 11 agosto 2021 n. 22730).
7. Parimenti infondata è l'eccezione relativa alla mancata autorizzazione da parte del giudice tutelare ex art. 374 n. 5 Ce nei confronti dei sig.ri (...) ad agire in giudizio nome e per conto minori (...) posto che è del tutto consolidato il principio di cui deve farsi applicazione nel caso in esame secondo cui "La proposizione dell'azione diretta ad ottenere il risarcimento del danno subito da un minore, mirando alla reintegrazione del patrimonio del minore leso dall'atto dannoso, rientra tra gli Atti di ordinaria amministrazione e, pertanto, può essere effettuata dal genitore esercente la patria potestà senza autorizzazione del giudice tutelare, la quale non è necessaria neppure affinché il suddetto genitore possa transigere la relativa lite (v. 6542/87, mass n 454795; (v 592/69, mass n 338798; (conf 3977/83, mass n 428911; (conf 294/81, mass n 410724; (conf 1079/74, mass n 369035; (conf 1008/68, mass n 33242)% (Cass. n. 59 del 11/01/1989; Cass. n. 2489 del 28/02/1992; n. 10930 del05/04/2022); principio, poi, emendato dalla Corte di legittimità solo in relazione all'atto di transazione, ma in ogni caso la questione resta interamente assorbita dal rigetto della domanda proposta nell'interesse dei citati minori (nipoti della sig.ra (...) per il risarcimento del danno parentale.
8. E', da ultimo, infondata l'eccezione di "nullità della procura degli attori" in forza del rilascio della procura alle liti su foglio separato allegato all'atto di citazione. Rileva il decidente, in proposito, che all'udienza dell'8.2.2018 il giudice procedente aveva sollecito il procuratore di parte attrice, a fronte dell'eccezione in parola, a dar corso agli opportuni rimedi "ove ritenuto" e che il foglio recante le sottoscrizioni degli attori reca in alto la cancellazione con liquido coprente di alcune righe comunque riferentesi al procuratore avvocato (...) in ogni caso il profilo dedotto è superato dall'orientamento univoco della Corte di legittimità che ha ritenuto ammissibile la mera allegazione della procura rilasciata su foglio separato (fin da Cass. n. 8649 del 29/08/1998 e, da ultimo, Cass. sez. un. n. 36057 del 09/12/2022).
9. Nel merito, la domanda è fondata nei limiti di cui alla presente motivazione e solo in relazione ad alcune delle parti attrici, essendo nel resto da rigettare.
10. Le questioni in diritto e, quindi, in fatto da prendere in considerazione impongono - per il primo profilo - la perimetrazione degli obblighi della struttura sanitaria in materia di infezioni nosocomiali ovvero correlate all'assistenza (ICA) e -sotto il secondo - la disamina del corredo probatorio che, quanto al danno iure hereditatis, è stato allegato dalla convenuta per dimostrare l'imprevedibilità e l'inevitabilità dell'infezione e, quanto al danno iure proprio, è stato prodotto da parte attrice in forza del noto criterio per cui si è in presenza, nelle due declinazioni della responsabilità, di un illecito contrattuale e di un illecito extracontrattuale.
11. Con riferimento al primo punto viene necessariamente in rilievo l'art.1, comma 1, della Legge 24 del 2017 secondo cui "La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell'interesse dell'individuo e della collettività" (v. anche art. 3), enunciazione dalla quale discendono precisi obblighi a carico della struttura sanitaria tenuta a comprimere ogni minaccia alla salute del paziente che possa derivare dall'ambiente di ricovero (per il profilo concernente questa vicenda) ed a fornire la conseguente prova del corretto adempimento di questa prestazione "accessoria" rispetto al trattamento sanitario in vista del quale il paziente accede al plesso ospedaliero.
12. Annota persuasivamente, al riguardo, la Corte regolatrice: "tale principio si sostanzia nel riconoscimento del valore fondamentale e indefettibile della rigorosa adozione, da parte dei responsabili della struttura sanitaria, di ogni possibile iniziativa volta a salvaguardare l'incolumità dei pazienti ospitati presso i locali della struttura, in considerazione del carattere integrale e totalizzante del coinvolgimento della persona (ivi ricoverata per un tempo più o meno breve) nel contesto "localizzato" (e fisicamente "concentrato") di una specifica comunità umana della cui preservazione psico-fisica i responsabili della casa di cura (o dell'ente preposto) assumono il delicato e gravoso compito di assicurare la protezione e la garanzia; sul piano giuridico, il principio della sicurezza delle cure risulta tradotto dal valore cogente di documenti di natura sovranazionale (v. la Raccomandazione del Consiglio d'Europa del 9.6.2009, ribadita dal Consiglio sulla sicurezza dei pazienti del 6.12.2014, nella Direttiva 2011/24/UE sull'assistenza transfrontaliera di cui al d.lgs. n. 38/2014, e nella giurisprudenza della Corte EDU, che riconduce all'art. 2 Cedu l'obbligo degli Stati di predisporre le necessarie misure atte ad assicurare la protezione della salute e a ridurre il rischio di eventi dannosi: cfr. la Guida all'art. 2 Cedu diffusa come (...) sul sito Internet della Corte Edu (...)), ma anche dalle più recenti iniziative legislative introdotte nel nostro paese, come risulta dall'art. 1 della legge n. 24/2017, là dove si dispone che "la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell'interesse dell'individuo e della collettività", realizzandosi mediante "l'insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all'erogazione di prestazioni sanitarie e l'utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative", nel quadro di quelle "attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private", cui "è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale"" (in motivazione Cass. 22 febbraio 2023 n. 5490).
13. Si potrebbe fare questione circa il dato di esperienza scientifica condivisa (art. 115-116 Cpc) secondo cui sussiste un coefficiente di rischio di infezione incomprimibile e, quindi, inevitabile malgrado la prevedibilità dimostrata dal costante approntamento di piani di risk management diretti, appunto, a evitare il pericolo di infezioni nosocomiali.
14. A prescindere dalla circostanza che notoriamente il SSN e l'ISS registrano un numero di casi avversi in questa materia nettamente superiore alla media europea - a dimostrazione di un'evidente carenza nelle pratiche di effettiva implementazione di misure, spesso, solo individuate, enunciate e protocollate, ma non effettivamente osservate, monitorate e, se del caso, sanzionate - affinché la tesi dell'inevitabilità dell'ICA possa avere efficacia scriminante nel comportamento della struttura occorrerebbe, per un verso, fornire la dimostrazione del numero di casi registrati nel reparto di ricovero del paziente che ha contratto l'infezione in un range temporale adeguato per fornire la prova di un contenimento e/o di una episodicità del contagio, per altro, dimostrare che abbia concorso all'esito letale dell'infezione e al successivo decesso un'antibiotico-resistenza del paziente stesso dimostrata dall'inefficacia delle somministrazioni ospedaliere o una sua congenita immunodeficienza (Cass. 23 febbraio 2023 n. 5631).
15. Invero il percorso dimostrativo indicato dal decidente nella formulazione dei quesiti ai Ctu muove, per l'appunto, dalle seguenti scansioni: adozione dei piani di prevenzione del rischio, attuazione degli stessi, tempestività nella diagnosi di identificazione del germe/batterio infettivo, adeguatezza del trattamento antibiotico. Un approccio che punta, quindi, a individuare - sulla scorta della documentazione prodotta dalle parti - quali siano stati gli adempimenti posti in essere dalla struttura per evitare in concreto e nel caso specifico il verificarsi dell'infezione e, quindi, per contrastarla. Il tutto in una cornice più generale ormai consolidata (a partire da Cass. 26 luglio 2017, n. 18392; v. altresì, Cass., 15 febbraio 2018, n. 3704, Cass., 23 ottobre 2018, n. 26700, Cass., 11 novembre 2019, n. 28991; Cass. 12 maggio 2021 n. 12055; Cass. 24 gennaio 2023 n. 2042) secondo cui in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l'onere di provare il nesso di causalità tra l'aggravamento della patologia (o l'insorgenza di una nuova malattia) e l'azione o l'omissione dei sanitari, secondo il criterio del "più probabile che non", mentre, solo ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza; con la conseguenza che, ove la causa del danno stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata; per cui, in definitiva, "se resta ignota anche mediante l'utilizzo di presunzioni la causa dell'evento di danno, le conseguenze sfavorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore della prestazione professionale" e "se invece resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale, ovvero resta indimostrata l'imprevedibilità ed inevitabilità di tale causa, le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore" (Cass. 24 gennaio 2023 n. 2042 cit.).
16. Il precipitato di questo principio al caso di specie si concretizza nell'onere per il paziente di provare la contrazione dell'infezione in ambiente ospedaliero secondo i consueti parametri del criterio temporale, topografico e clinico, mentre è onere della struttura dimostrare l'inevitabilità (la prevedibilità è data come scontata secondo una certa frequenza statistica) del contagio o la sua provenienza allogena per una precedente colonizzazione del paziente stesso. Laddove, invece, ad agire siano iure proprio - come nel caso di specie - i conviventi del paziente l'intero onere probatorio ex art. 2043 Ce si trasferisce sugli attori i quale devono allegare la prova della condotta colpevole, del nesso causale e della correlazione eventistica. Invero, stima il decidente, che la natura extracontrattuale della responsabilità in discussione in quest'ultimo caso non esclude che si possa fare applicazione dell'art. 2050 Ce e tanto in forza delle stesse argomentazioni di parte convenuta e delle indagini epidemiologiche inframurarie che dimostrano la "pericolosità" dell'ambiente ospedaliero quanto al rischio di contrazione delle ICA. Senza incorrere, infatti, in alcun divieto di "nova" (Cass. 22 maggio 2023 n. 13920), nulla osterebbe a interpretare la domanda risarcitoria dei conviventi della de cuius ai sensi dell'art. 2050 Ce, anziché dell'art. 2043 Ce e, quindi, a traslare in questa materia il principio secondo cui "la presunzione di responsabilità contemplata dall'art. 2050 c.c. per attività pericolose può essere vinta solo con una prova particolarmente rigorosa, e cioè con la dimostrazione di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno: pertanto non basta la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorre quella positiva di avere impiegato ogni cura o misura volta ad impedire l'evento dannoso, di guisa che anche il fatto del danneggiato o del terzo può produrre effetti liberatori solo se per la sua incidenza e rilevanza sia tale da escludere, in modo certo, il nesso causale tra attività pericolosa e l'evento e non già quando costituisce elemento concorrente nella produzione del danno, inserendosi in una situazione di pericolo che ne abbia reso possibile l'insorgenza a causa dell'inidoneità delle misure preventive adottate" (Cass. 19 maggio 2022 n. 16170).
17. Sennonché gli attori iure proprio sono estranei all'attività "pericolosa" di cui si discute, avendone patito le conseguenze per un profilo (il rapporto parentale) che non è stato coinvolto nella prestazione sanitaria e che subisce i soli riflessi negativi dell'attività resa dalla Struttura.
18. Anche tale qualificazione non consente, quindi, alcun disallineamento o ribaltamento degli oneri di prova, posto che assegna mero seguito e assicurare logica conseguenza all'assunto della stessa struttura (e di una condivisa, notoria posizione scientifica) che assume incomprimibile a zero il rischio di ICA in ambito ospedaliero. La circostanza che i temi probatori della responsabilità contrattuale (art.7, comma 1, Legge 24 del 2017) ed extracontrattuale (art. 2043 Ce) tendano in concreto a convergere non altera i connotati propri di quest'ultima (si pensi alla prescrizione quinquennale) e non esonera gli attori dalla dimostrazione della derivazione causale del danno da una condotta colpevole della Struttura (quantunque pericolosa) tenendo presente che la causalità va correlata non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (ed. probabilità quantitativa), ma anche all'ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (ed. probabilità logica) (Cass. 27 luglio 2021, n. 21530), ragione per cui finanche "la frequenza delle infezioni nosocomiali come criterio atto a temperare la valutazione equitativa del danno, è infondato" restando prevalente il criterio della causalità giuridica in toto (Cass. 27 febbraio 2023 n.5808).
19. Ne deriva che a) "incombeva sulla struttura sanitaria convenuta, al fine di esimersi da ogni responsabilità per il decesso della paziente, l'onere di fornire la prova della specifica causa imprevedibile e inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione, intesa, quest'ultima, non già, riduttivamente, quale mera astratta predisposizione di presidi sanitari potenzialmente idonei a scongiurare il rischio di infezioni nosocomiali a carico dei pazienti, bensì come impossibilità in concreto dell'esatta esecuzione della prestazione di protezione direttamente e immediatamente riferibile alla singola paziente interessata"; b) "l'accertamento in via presuntiva della non rimproverabilità di un determinato comportamento contrattuale (o, in termini alternativi, della non riconducibilità alla propria responsabilità dell'intervento di una causa tale da rendere impossibile l'esattezza di una prestazione contrattuale) postuli, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., la concreta attestazione del ricorso di più fatti - necessariamente gravi, precisi e concordanti - idonei, nel loro complesso, a dar conto dell'obiettiva riconoscibilità della ridetta non rapportabilità al debitore di quella specifica causa impossibilitante" (in motivazione Cass. 5490 cit.). Tanto sul versante della responsabilità contrattuale, dovendosi - sul versante di quella extracontrattuale ossia iure proprio - onerare gli attori della prova del comportamento negligente, imprudente o imperito della struttura e/o dei suoi sanitari. Dimostrazione che deve essere ricavata sulla scorta dell'intera documentazione acquisita al processo e dall'esame dell'allegazione iniziale degli attori (che, nel caso di specie, si sostanzia dell'intera cartella clinica e in 3 relazioni di parte).
20. In ogni caso il plesso delle più recenti pronunce della Corte di legittimità si è orientato nel senso che a) "la considerazione relativa alla inevitabilità del verificarsi di infezioni nosocomiali, sebbene in percentuale ridotta a seguito dell'adozione delle cautele di legge, è considerabile come fatto storico non adeguatamente considerato nella motivazione, perché non è un fatto, ma una semplice considerazione svolta dal c.t.u. e recepita dal collegio" (Cass. 27 febbraio 2023 cit.) ove difettino precise allegazioni di conferma nel caso concreto, specificamente sotto esame; b) "in tema di infezioni nosocomiali, questa Corte ha recentemente affermato (Cass. sez. III, 23/02/2021, n.4864) che, in applicazione dei principi sul riparto dell'onere probatorio in materia di responsabilità sanitaria, secondo cui spetta al paziente provare il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre alla struttura sanitaria compete la prova di aver adempiuto esattamente la prestazione o la prova della causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione, con riferimento specifico alle infezioni nosocomiali, spetterà alla struttura provare: 1) di aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l'insorgenza di patologie infettive; 2) di dimostrare di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso specifico; di tal che la relativa fattispecie non integra un'ipotesi di responsabilità oggettiva (Cass. sez. III, 15/06/2020, n.11599), mentre, ai fini dell'affermazione della responsabilità della struttura sanitaria, rilevano, tra l'altro, il criterio temporale - e cioè il numero di giorni trascorsi dopo le dimissioni dall'ospedale - il criterio topografico - i.e. l'insorgenza dell'infezione nel sito chirurgico interessato dall'intervento in assenza di patologie preesistenti e di cause sopravvenute eziologicamente rilevanti, da valutarsi secondo il criterio della c.d. "probabilità prevalente" - e il criterio clinico - volta che, in ragione della specificità dell'infezione, sarà possibile verificare quali, tra le necessarie misure di prevenzione (sulle quali, infra, 6.1.) era necessario adottare. 6.1. A fronte della prova presuntiva della relativa contrazione in ambito ospedaliero (nella specie, non contestata in causa), ed ai fini della dimostrazione di aver adottato, sul piano della prevenzione generale, tutte le misure utili alla prevenzione delle IO - ed anche al fine di fornire al CTU la documentazione necessaria - gli oneri probatori gravanti sulla struttura sanitaria devono ritenersi, in linea generale (e con il limite poc'anzi indicato, sub 6., in fine)" (in motivazione Cass. 3 marzo 2023 n.6386); c) infine, non si può prescindere dalla circostanza che "la struttura sanitaria ha bensì provato di aver predisposto protocolli per la prevenzione di infezioni correlate all'assistenza (I.C.A.) volti a evitare, per quanto possibile, tal sorta d'eventi, ma non anche di averli specificamente applicati nel caso concreto ... La copiosa messe di documenti depositati dall'Azienda Sanitaria depon{e), indubbiamente, per un risalente, costante e meritorio interessamento da parte di quell'amministrazione al problema delle c.d. Infezioni Correlate all'Assistenza (ICA), e quindi di avere predisposto tutto quanto necessario per istruire il personale, dotarlo di quanto necessario e organizzare a tal fine la struttura. Nessun documento e nessuna prova riguardano però specificamente il ricovero della C. e quello conseguente del neonato, per cui nulla risulta provato in relazione all'applicazione pratica dei protocolli citati al caso specifico. Al di là delle cartelle cliniche di madre e neonato, che riguardano ovviamente il tipo di trattamenti sanitari applicati e non le precauzioni adottate dagli operatori che dovrebbero essere attestate altrimenti, non vi è nulla che dimostri in concreto le procedure adottate nel caso specifico per il trattamento del minore, dei pazienti a lui vicini e degli apparati" (in motivazione Cass. 13.6.2023 n. 16900).
21. Per giunta le medesime pronunce enumerano dettagliatamente quali siano le circostanze che debbano essere provate dalla struttura e a opera di quali soggetti apicali spetti assicurarne l'implementazione effettiva (v. i 13 punti delle sentenze n. 6386 e 16300 del 2023). D'altronde, quanto al danno iure proprio, è vero che la prova della condotta colpevole competa agli attori, ma - come detto - non può discutersi del fatto che essa emerga (in negativo: ossia nel senso della mancata annotazione nella documentazione richiesta dagli attori alla convenuta dell'assolvimento degli obblighi di sanificazione) dalla documentazione medica acquisita, tra l'altro, dalla relazione di parte del prof. (...) e, infine, dagli stessi atti allegati dalla convenuta alla memoria ex art. 183 n. 2 Cpc e alle note del 13.1.2022 che constano di meri protocolli, pubblicazioni e prescrizioni privi della dimostrazione dell'effettivo adempimento delle prestazioni securitarie (se non marginalmente con riferimento alla sola profilassi antibiotica perioperatoria PAP allegato 7).
22. In questo contesto si devono prendere in esame le conclusioni rassegnate dai Ctu (...) e (...) nella prima relazione peritale (la seconda è stata dichiarata nulla con ordinanza del 18.7.2022) e dai Ctu (...) e (...) nell'elaborato richiesto dal decidente. Non senza trascurare di evidenziare che nella generale, ingiustificata confusione che ha connotato l'attività dei citati Ctu (...) e (...) si deve riscontrare la presenza in atti di un terzo "elaborato" cartaceo privo di sottoscrizione e data apparentemente proveniente dai medesimi Ctu.
23. A questo riguardo occorre, nell'immediato, escludere dal perimetro della rilevanza causale la circostanza che "l'esame autoptico non ha mostrato, oltre alla polmonite, né i segni di una sepsi, né quelli di una meningite ancora in atto" (pag. 61 (...), poiché non è in discussione - come erroneamente inteso dal primo collegio - il comportamento dei sanitari della struttura che hanno probabilmente contrastato al meglio il decorso delle plurime infezioni contratte dalla sig.ra (...), ma la circostanza relativa alla sanificazione degli ambienti ospedalieri in cui la paziente era ricoverata e l'osservanza da parte del personale dei protocolli di prevenzione (esattamente in termini Cass. 5490 citata). Come esplicitato nell'ordinanza del 18.7.2022 il punto in discussione non attiene alla causa prossima del decesso della paziente, ma al primum movens ossia all'innescarsi della sequenza causale che ha determinato il processo flogistico da cui, per le defedate condizioni, è derivata la morte della sig.ra (...) - come riconosce la stesse Azienda - per una reinfezione o per una recidiva determinata dalla multiresistenza farmacologia della Klebsiella MDR originariamente contrattata (v. paragrafo successivo); il tutto in linea con il corretto assunto del Ctp di parte attrice prof. (...) secondo cui "la paziente è deceduta, dopo 2 mesi dall'intervento, per una causa non identificabile con assoluta certezza (insufficienza respiratoria per broncopolmonite, infezione cerebrale che ha determinato edema cerebrale, sanguinamento intraventricolare ed ischemia cerebrale) ma è certo che la P. ha presentato plurime infezioni nosocomiali".
24. Annota La Ctu (...) in termini del tutto condivisibili e scevri da criticità apprezzabili alla stregua dei criteri sopra esposti, che "Nel periodo postoperatorio la signora (...) ebbe una serie di gravi infezioni che, nonostante i trattamenti e le terapie, opportunamente e adeguatamente somministrate, provocarono severe complicanze per le quali, il 06.10.2012, venne a morte. La paziente decedette per: "Broncopolmonite causata con elevata probabilità da K. pneumoniare multiresistente esitata in ARDS, postumi di Meningoencefalite da K. pneumoniae multiresistente, Candidosi sistemica; malattie insorte dopo l'intervento neurochirurgico di asportazione di un Meningioma meningoteliale e di Schwannoma dell'VIII NC di grado I complicato da idrocefalo che necessitò di DV decompressiva e da successivo emoventricolo". Si trattò di contagio nosocomiale di un'infezione microbica correlata alla assistenza (ICA), dovuto un germe molto aggressivo ed invasivo quale la Klebsiella spp. XDR, batterio Gram negativo. Tale batterio è capace di metastatizzare facilmente nei tessuti dell'ospite, laddove si moltiplica con rapidità, ad onta della terapia, poiché dotato di enzimi in grado di metabolizzare le testate antibiotiche somministrate, travolgendo le difese dell'ospite fragile, come avvenne in questo caso. A Klebsiella spp. si associò la sepsi da Candida spp, infezione generalizzata, che a sua volta complicò ulteriormente la gestione terapeutica, dovendosi associare farmaci antimicotici che richiesero un delicato monitoraggio del metabolismo epato - renale, essendo principali organi bersaglio degli effetti collaterali di questi farmaci. A tale proposito il parere infettivologico conclusivo formulato dalla CTU intervenuta in Collegio alla specifica stesura specialistica della relazione è il seguente: "... Che le infezioni contratte durante la degenza presso la Struttura Ospedaliera del Policlinico Umberto/dalla pz. (...) fossero relative all'assistenza sanitaria ovvero di pertinenza nosocomiale. Secondo la nota definizione data dall'european Centre for Disease Prevention and Control le infezioni i cui i primi sintomi e segni clinici si siano manifestati dopo il terzo giorno dall'ingresso al ricovero, sono da correlarsi all'assistenza sanitaria. Nel caso in esame le infezioni riscontrate sono tutte susseguenti all'ingresso nel reparto di degenza (27-07-2012) ben oltre le 48 ore (circa 16 gg dopo) e successive al secondo intervento del 03-08-2012, al quale era stata sottoposta la sig.ra (...). Nello specifico l'infezione da Klebsiella Pneumoniae multiresistente, che ha segnato pesantemente tutto l'iter clinico della paziente, inizialmente rilevata da tampone rettale a distanza di 10 gg. (13-08-2012) dal secondo intervento, rientra tra i batteri patogeni Gram-negativi che più frequentemente inducono LO. (infezioni Ospedaliere) con una percentuale di circa il 60,5%, di cui unitamente all'Escherichia Coli, allo Pseudomonas Aeruginosa e all'Enterobacter spp., rappresenta la predominanza degli isolati nel 32 % dei casi. Detto battere, pur essendo normalmente un colonizzatore della mucosa respiratoria e intestinale, può divenire un patogeno opportunistico, causando infezioni anche gravi in altri distretti anatomici. Nel caso in esame però non è escludibile anche la possibile provenienza esogena, avendo da subito mostrato tutta la sua potenzialità invasiva per essere multiresistente agli antibiotici, comunemente competenti, estesa ai carbapenemi di più recente acquisizione, tipicamente di riscontro in ambito ospedaliero. Si ricorda all'uopo che l'infezione esogena viene contratta per trasmissione esterna da persone (altri ricoverati, personale sanitario , ecc.) e/o dall'ambiente (sala operatoria, reparto di degenza, ambulatorio, ecc.) con riguardo anche ai serbatoi e /o alle fonti d'infezioni, e che si trasmette attraverso veicoli (mani, oggetti, presidi, strumenti e materiali presenti in loco o portati da fuori, ecc.). Ma nel caso della sig. (...) significativo impatto patogeno ha avuto anche l'infezione da Candida albicans, fino a divenire con l'iniziale positività all'emocoltura (del 07-09-2012) un rischio ponderato di candidosi invasiva (come riportato nella consulenza successiva dell'11-09-2012). Va detto che la candida è di provenienza endogena o autogena, originando dalla flora microbica commensale che normalmente colonizza il paziente. Nondimeno può divenire un patogeno estremamente aggressivo quando si abbiano condizioni permittenti, quali uno stato di immunocompromissione dell'organismo specie per l'azione sinergica di altri agenti patogeni, come nel caso in esame. Ricordando che le infezioni endogene sono quelle provocate da un microrganismo già presente nell'ospite come non patogeno. Ciò, tra l'altro, quando i microrganismi presenti nella flora normale causano infezione per trasmissione in siti estranei al loro habitat naturale. Che l'infezione da Candida Albicans possa considerarsi, nel caso in esame, di pertinenza nosocomiale proprio per le modalità sovraesposte, che hanno portato alla virulentazione d'un saprofita, tale da divenire patogeno aggressivo invadendo il circolo ematico, ove normalmente non è e non può essere presente... Visto che le infezioni ospedaliere secondo i dati emergenti dimostrano che le infezioni LO: sono potenzialmente prevenibili in misura del 30% di quelle insorte (di cui causa diretta di decesso nell'1% dei casi) e che è possibile poterle evitare con stime che si attestano intorno al 60% circa dei casi, laddove ci si attenesse alle indicazioni delle Linee Guida di prevenzione. Si pone al centro del problema della infezione ospedaliera l'importanza fondamentale delle Norme Preventive, senza le quali un paziente che contragga infezione possa correre un rischio maggiore di morte da 2 a 11 volte e che oltre il 70% di questi decessi siano attribuibili direttamente alla 55/ (Surgical Site Infection) da "DJ. Anderson, Strategies to Prevention Surgical Site Infections in Acute Care Hospitals: "OU... " A tal fine il Policlinico Umberto / non ha esibito documenti di efficienza ed efficacia riguardanti la propria attività di prevenzione, controllo e verifica delle infezioni ospedaliere correlate alla assistenza. Sono stati infatti allegati solo protocolli teorici di Linee Guida e Raccomandazioni in minima parte raffrontabili con la prassi esecutiva effettiva, che pertanto non permettono alcuna valida giustificazione positiva della reale attività di stewardship antimicrobica dell'Ospedale. Risulta mancante la documentazione di monitoraggio e controllo igienico sanitario ambientale effettivamente eseguita nei reparti e nelle sale operatorie ove transitò la de cuius, i riferimenti ai verbali CIO e la rilevazione epidemiologica ospedaliera sul tipo di colonizzazione microbica eventualmente presente. Manca inoltre la dimostrazione della attività riguardante la acquisizione da parte del personale sanitario delle norme e delle stesse linee guida, per le quali non è certamente sufficiente la sola passiva trasmissione tra i vari servizi. Pertanto i documenti elencati nelle considerazioni medico legali peritali, gli stessi anche riportati nella lettera dell'avvocato di parte convenuta, rappresentano disposizioni teoriche, seppure idealmente corrette, norme, studi e ricerche, di cui la Azienda Ospedaliera deve senza dubbio tener conto in sede di loro attuazione pratica, che tuttavia la Struttura Sanitaria convenuta non ha unito a documentazione probante della effettiva attività svolta sul campo. Oltre ai documenti dimostrativi dei controlli igienico sanitari svolti dalla Azienda sanitaria negli ambienti di ricovero, diagnosi e cura ove transitò la de cuius non è stata reperita la documentazione delle consegne e delle rese del materiale sanitario adoperato durante gli interventi neurochirurgici sulla sig.ra (...) con relativa etichettatura di provenienza dal Servizio di sterilizzazione, autoclavaggio e rientro. E' infatti ben noto che le infezioni ospedaliere, in assoluto non eradica bili da questo particolare ambiente di lavoro, sono meglio prevenute e gestite nell'ambito di una corretta attività di stewardship antimicrobica" (pag. 44).
25. E' agevole constatare come la consulenza abbia assicurato compiuta, convincente ed esauriente risposta a ciascuno degli snodi che hanno connotato la drammatica vicenda della paziente, individuando con precisione l'intersecarsi dei fenomeni infettivi e la loro progressiva, inarrestabile incidenza sulle condizioni sempre più scadute della stessa sino all'inevitabile exitus, malgrado l'età e un quadro complessivo ottimale all'atto del ricovero in data 27.7.2012 e del successivo intervento del 2.8.2012. La corretta azione di contrasto dell'infezione e la stretta sorveglianza infettivologica segnano probabilmente l'azione dei sanitari dell'Azienda, ma non intaccano la questione della natura di ICA dell'infezione che ha condotto alla morte una donna di giovane età, pur affetta da una grave neoplasia celebrale; né l'enumerazione delle concause (pag. 13 ss. comparsa) che hanno determinato l'exitus finale, vale a elidere la circostanza che l'infezione nosocomiale abbia provocato il decesso della sig.ra (...) anzi proprio l'esatta consapevolezza dei fattori di rischio della paziente avrebbe imposto una maggiore soglia d'allarme e una più accurata sanificazione di tutte le scansioni del suo ricovero a cagione, a esempio, dell'applicazione di device particolarmente contaminanti o dell'allocazione nel reparto di terapia intensiva per lungo tempo.
26. La notoria alta incidenza statistica delle infezioni nosocomiali in Italia, rispetto agli standard europei (v. (...)) smentisce la tesi della imprevedibilità, poiché mostra un'insufficiente e, quindi, colpevole azione di contrasto all'interno del SSN.
27. Orbene una tale conclusione non può essere revocata in dubbio dall'osservazione critica dei Ctp di parte convenuta secondo cui ".../CC.TT.UU., più che richiedere la dimostrazione della effettuazione pratica delle misure di controllo e prevenzione (affidata alla responsabilità dei dirigenti sanitari) dovevano focalizzare la loro attenzione sulle procedure ritenute le possibili cause della infezione ed eventualmente contestare la mancata attuazione..." poiché era inevitabile la risposta del Collegio peritale secondo cui "Orbene la Struttura sanitaria convenuta non ha fornito la documentazione di avere effettivamente e concretamente attuato le disposizioni teoriche di prevenzione e monitoraggio, delle infezioni ospedaliere. Infatti, è onere della Struttura Convenuta di ricovero provare di avere adottato e praticato le misure idonee al fine di evitare il contagio dei pazienti. Dunque, in questo caso sarebbe stato a carico del Policlinico Umberto, fornire valide prove di aver fatto tutto quanto era possibile alla data degli eventi per evitare o ridurre efficacemente il rischio di contagio. La qualità di questo tentativo è un elemento significativo per la dimostrazione dell'impegno da parte della Struttura nella lotta contro le ICA. Questa attività, che non può certo prevedere la obbligazione del risultato di assoluta sterilità ambientale raggiunta nell'Ospedale ovunque e comunque, avrebbe tuttavia permesso al Collegio di valutare le caratteristiche dell'impegno di Struttura nella complessiva realizzazione delle attività di sanificazione, dei programmi e delle strategie di lotta e di contrasto alle infezioni ospedaliere e i percorsi di formazione del personale. Ciò che è quindi esigibile non è la registrazione pedissequa e ossessiva delle azioni di tutto il personale sanitario, ma la documentazione pragmatica delle attività svolte sul campo e i risultati di auspicata implementazione ottenuti. La struttura sanitaria, in rapporto alla gestione dei pazienti e del loro ambiente, ha pertanto l'obbligo di attuare la prevenzione e il controllo delle infezioni nosocomiali, adeguandosi alle più moderne regole di igiene del tempo, cioè: 1. verificare l'applicazione delle linee guida attraverso operatori seriamente formati, 2. applicare equilibrati sistemi di controllo dei risultati, 3. attuare un intervento attivo e tempestivo di stewardship antimicrobica delle ICA. Le procedure ed i Protocolli hanno lo scopo di fissare precise regole e individuare le responsabilità organizzative. In questo caso l'Azienda Sanitaria Policlinico Umberto / non solo non ha allegato nessuno dei principali risultati al tempo ottenuti nell'ambito della gestione e del controllo delle ICA, ma attraverso i propri CCTTP ha proposto la ardita e non documentata tesi riguardante il fatto che la colonizzazione cutanea della de cuius da Klebsiella spp. multiresistente, sarebbe un: "... evento inevitabile, che si verifica dopo 48 ore di ricovero e nei cui confronti nessuna misura dì prevenzione può evitarla...", senza allegare alcun dato ambientale utile al proprio ragionamento dimostrativo: - della qualità della colonizzazione ambientale, - della epidemiologia locale delle ICA, - del tipo di atti effettuati per ridurre le ICA" (pag. 48).
28. Senza considerare, per giunta, che proprio la prevedibilità dell'evento avverso - costituito secondo parte convenuta dalla "colonizzazione cutanea della de cuius da Klebsiella spp. multiresistente" da stimarsi quale "... evento inevitabile, che si verifica dopo 48 ore di ricovero e nei cui confronti nessuna misura di prevenzione può evitarla" - focalizza la responsabilità della struttura ben al di fuori del perimetro di una responsabilità oggettiva sia sul versante contrattuale che extracontrattuale, imponendo la prova dell'osservanza delle precauzioni imposte dai protocolli.
29. Ciò posto, si deve procedere all'individuazione delle poste risarcitone spettanti ai soggetti che possano dirsi titolari del diritto al risarcimento del danno sia iure hereditatis che iure proprio.
30. Parte attrice si è limitata in proposito a) all'allegazione della documentazione attestante i vincoli di coniugio e parentela che legavano la sig.ra (...) ai singoli istanti al fine di superare l'eccezione di difetto di legittimazione attiva proveniente da parte convenuta (v. allegati citazione e, soprattutto, allegati alla memoria ex art. 183 n. 2 Cpc); b) alla mera enunciazione di una serie di voci di danno non patrimoniale rispetto alla quale sono necessarie alcune delimitazioni, visto che non è stata articolata alcuna richiesta di prova al fine di dimostrare la sussistenza effettiva di un vincolo parentale che legittimi la richiesta risarcitoria.
31. Sul primo punto, si deve considerare che nessuno delle Ctu in atti ha proceduto a una valutazione del danno biologico temporaneo riportato dalla paziente, ragione per cui deve procedersi a una stima dello stesso prendendo a riferimento la data di insorgenza dell'ICA e il momento del decesso per come ricostruibili attraverso la cartella clinica della paziente e gli elaborati peritali nella ricostruzione del ricovero. Al riguardo, si deve premettere che appare superfluo qualificare in questa sede i suddetti pregiudizi come morali o biologici, attesa la loro definitiva trasmigrazione - non come autonome categorie di danno, ma come entità descrittive della conformazione che l'unitaria figura del danno non patrimoniale di volta in volta assume in concreto - nell'area normativa dell'art. 2059 Ce. Il principio della unicità del risarcimento è destinato a coniugarsi, peraltro, con lo speculare principio della sua integralità dovendo esso estendersi a tutti i danni conseguenti alla lesione di diritti costituzionalmente tutelati, anche diversi dalla salute. Costituiscono invero massime ormai consolidate nella giurisprudenza di legittimità: a) che in caso di lesione dell'integrità fisica con esito letale, un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, trasmissibile agli eredi, è configurabile solo se la morte sia intervenuta dopo un apprezzabile lasso di tempo, sì da potersi concretamente configurare un'effettiva compromissione dell'integrità psicofisica del soggetto leso, non già quando la morte sia sopraggiunta immediatamente o comunque a breve distanza dall'evento, giacché essa non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma lesione di un bene giuridico diverso, e cioè del bene della vita (si veda Cass. SU n. 15350 del 22/07/2015 che ha definitivamente chiarito che "in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità "iure hereditatis" di tale pregiudizio, in ragione - nel primo caso -dell'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero - nel secondo - della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo"); b) che parimenti il danno cosiddetto catastrofale - e cioè la sofferenza patita dalla vittima durante l'agonia - è risarcibile e può essere fatto valere iure hereditatis unicamente allorché essa sia stata in condizione di percepire il proprio stato, abbia cioè avuto l'angosciosa consapevolezza della fine imminente, mentre va esclusa quando all'evento lesivo sia conseguito immediatamente il coma e il danneggiato non sia rimasto lucido nella fase che precede il decesso (Cass., n. 13537 del 13/06/2014; Cass., 24 marzo 2011, n. 6754); c) che non è risarcibile il danno tanatologico, da perdita del diritto alla vita, fatto valere iure successionis dagli eredi del de cuius, per l'impossibilità tecnica di configurare l'acquisizione di un diritto risarcitorio derivante dalla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del titolare, e da questo fruibile solo in natura (vedi sempre Cass. SU 15350/2015 e Cass., 24 marzo 2011, n. 6754; Cass., 16 maggio 2003, n. 7632). La Corte di cassazione (sez. Ili civile, sentenza n. 2118/2019) ha ribadito come la persona che, ferita, sopravviva quodam tempore, e poi muoia a causa delle lesioni sofferte, può patire un danno non patrimoniale. Questo danno può teoricamente manifestarsi in due modi. "Il primo è il pregiudizio derivante dalla lesione della salute; il secondo è costituito dal turbamento dell'animo e dalla sofferenza derivanti dalla consapevolezza della morte imminente. Ambedue questi pregiudizi hanno natura non patrimoniale, come non patrimoniali sono tutti i pregiudizi che investono la persona in sé e non il suo patrimonio. Quel che li differenzia non è la natura giuridica, ma la consistenza reale: infatti il primo (lesione della salute) - ha fondamento medico legale; - consiste nella forzosa rinuncia alle attività quotidiane durante il periodo della invalidità; - sussiste anche quando la vittima sia stata incosciente. Il secondo, invece: - non ha fondamento medico legale; - consiste in un moto dell'animo; - sussiste solo quando la vittima sia stata cosciente e consapevole. In definitiva, il c.d. danno terminale ricomprende, al suo interno, sia gli aspetti biologici (c.d. danno biologico terminale) che di sofferenza connessi alla percezione della morte imminente (c.d. danno morale terminale o danno da lucida agonia o catastrofale: v. Cassazione 16 febbraio 2023 n. 4998: "In tema di danno non patrimoniale risarcibile, iure haereditatis, in caso di morte causata da un illecito, la tassonomia invalsa che distingue tra varie voci di danno (danno biologico terminale, danno morale terminale, danno catastrofale o catastrofico, danno da lucida agonia) risponde ad una esigenza meramente descrittiva e non viene a configurare delle categorie giuridiche. A tal fine, infatti, ciò che rileva è la reale fenomenologia del pregiudizio ed è sotto tale profilo che, pur nell'unitarietà della liquidazione del danno non patrimoniale, si diversificano le conseguenze dannose risarcibili, le quali, dunque, se effettivamente sussistenti, sono tutte da riconoscere, senza che si verifichi una duplicazione risarcitoria ingiustamente locupletativa. In siffatta prospettiva, la giurisprudenza di questa Corte (tra le molte: Cass. n. 26727/2018; Cass. n. 18056/2019; Cass. n. 21837/2019), assumendo a fondamento la reale fenomenologia dei pregiudizi alla persona, ha comunque tradotto l'anzidetta esigenza meramente descrittiva nei seguenti termini: a) il "danno biologico terminale" è un pregiudizio alla salute, da invalidità temporanea sebbene massimo nella sua entità ed intensità, da accertarsi con criteri medico-legali e da liquidarsi comunque, avuto riguardo alla specificità del caso concreto, se tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo; b) il "danno catastrofale" (o anche detto: "danno morale terminale", "danno da lucida agonia"), consiste nel pregiudizio subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l'ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall'apprezzabilità dell'intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando, ai fini della liquidazione in via equitativa in base alle specificità del caso concreto, soltanto l'intensità della sofferenza medesima".
32. Orbene, nel caso in esame, sulla base dei predetti principi, può essere innanzitutto riconosciuto il c.d. danno biologico terminale per tutto il periodo della degenza della sig.ra (...) presso la struttura convenuta dal 13.8.2012 data a partire dalla quale si può ritenere che il ricovero per l'intervento neurochirurgico si sia prolungato in ragione dell'insorgenza infettiva al 7.10.2012 data del decesso: quindi ricovero che se l'infezione non fosse stata contratta, non si sarebbe reso necessario, per un totale complessivo di gg. 55. Tale danno può essere liquidato tenuto conto del criterio stabilito (nelle Tabelle in uso presso questo Tribunale) per l'inabilità temporanea assoluta (pari ad Euro 128,07 55 giorni), per un totale di Euro 7.043,85 somma questa da decuplicarsi, in via equitativa, a Euro 70.438,50, perché tale danno, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, ed è relativo agli ultimi giorni di vita della sig.ra che ha subito un susseguirsi drammatico di trattamenti, interventi (v. da ultimo il 28.9 e il 2.10), terapie sino alla morte. Quanto al danno morale terminale (o da lucida agonia o catastrofale o catastrofico), occorre ribadire - come sopra meglio precisato - che, affinché tale danno sia risarcibile, è necessaria la prova della percezione della morte imminente da parte del soggetto leso. Orbene, nel caso di specie, dall'esame della documentazione medica in atti e della consulenza tecnica d'ufficio, può ritenersi raggiunta la prova della percezione della morte imminente da parte del soggetto leso a partire dal 20.9.2012 in cui si registra un peggioramento irreversibile delle sue condizioni di salute definite "estremamente critiche" (pag.101 cartella), dopo il lieve miglioramento registrato nei giorni precedenti con una paziente in condizioni cliniche scadute, ma vigile e collaborante tanto da essere sottoposta a intervento chirurgico il successivo 21.9.2012 (pag. 32, pag. 264) e tale deve essere rimasta fino al giorno 1.10.2012 quando la paziente risulta sedata e intubata (pag.270) e le sue condizioni sono definite "gravissime" il 3.10.2012 (pag. 103) Nell'indicato intervallo temporale di 9 giorni (dal 22.9.2012 al 30.9.2012) le condizioni generali della sig.ra (...) si sono, infatti, velocemente e gravemente degenerate, ma era rimasta vigile, come si evince dalle cartelle cliniche in atti, potendo percepire la morte imminente. In merito alla determinazione del quantum debeaturs deve evidenziare che le Tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale adottate dal Tribunale di Roma nel 2023 hanno proposto di ricorrere, anche per la liquidazione del danno terminale, ad un meccanismo tabellare fondato sia su una analisi delle liquidazioni precedentemente effettuate nel distretto, sia sul dato di esperienza medico legale secondo il quale, sovente, la sofferenza si manifesta con maggiore intensità al momento del suo insorgere, per poi attenuarsi progressivamente fino a cessare. Per tale ragione è stato dunque previsto per i primi cinque giorni possa essere liquidato equitativamente un importo sino a Euro 11.580,00 per ogni giorno di sopravvivenza dopo La acquisizione della consapevolezza della concreta probabilità del decesso fino a 5 e un ulteriore importo di Euro 5.790,00 giornalieri per i successivi 10. Tale danno può essere liquidato tenuto conto del criterio stabilito (nelle Tabelle in uso presso questo Tribunale) riconoscendo un importo pari a Euro 81.060,00 ossia Euro 57.900 per i primi 5 giorni ed Euro 23.160 per i successivi 4.
33. Il complessivo danno non patrimoniale che si trasmette agli eredi della sig.ra (...) è, quindi, pari a Euro 70.438,50 + 81.060,00 ossia Euro 151.498,50.
34. Sull'originario importo totale dovuto a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale devalutato all'agosto 2012 per Euro 126.248,75 mediante l'applicazione del noto deflattore ISTAT per l'anno 2012 (mese di agosto) sono dovuti gli interessi a titolo di danno da lucro cessante ex art. 2056 c.c., secondo il più accreditato orientamento giurisprudenziale (sent. del 17.2.1995 n. 1712), per il mancato godimento della somma equivalente al danno subito. Tale danno può essere calcolato applicando il tasso di rendimento medio dei titoli di Stato nel periodo di riferimento (1.29%), non già alla somma rivalutata al 2023, bensì, in sintonia con il principio enunciato dalle SS.UU. della Corte di cassazione (sent. del 17.2.1995 n. 1712), sulla "semisomma" tra la somma devalutata e la somma rivalutata (Euro 138.873,62) alla data del fatto (13.8.2012) e con applicazione del tasso di rendimento sino alla data della presente pronuncia (11.12.2023); si ottiene, così, l'importo di Euro 160.591,58.
35. Quanto alla domanda per responsabilità extracontrattuale (Cass. 9 luglio 2020, n.14615) proveniente da tutti gli attori secondo i dedotti rapporti di parentale e il vincolo di coniugio, la stessa deve essere rigettata.
36. Il decidente ritiene, sul punto, di doversi allineare ai precedenti della Sezione (art. 118 disp. att. Cpc) che, dall'indiscussa applicazione del regime probatorio di cui all'art. 2043 Ce, fanno discendere l'onere per i danneggiati di dar prova della condotta colpevole della Struttura secondo il seguente percorso argomentativo: "Per quanto, invece, attiene alla domanda proposta ... iure proprio si deve evidenziare che, benché, come già visto, sia risultata provata la sussistenza di un nesso di causa tra il decesso del paziente e l'infezione ... e tra detta infezione e l'intervento subito da ...deve ricordarsi che, in materia extracontrattuale, trovano applicazione i principi generali di cui all'art. 2697 c.c., con la conseguenza che chi agisce in giudizio è tenuto a provare non solo la condotta del danneggiante e il nesso di causa tra quest'ultima e il danno, bensì anche l'elemento soggettivo (dolo o colpa). La ricorrente avrebbe, quindi, dovuto provare - e non soltanto allegare - anche la colpa della struttura sanitaria. Tale prova non può, tuttavia, dirsi raggiunta nel caso di specie. Ed infatti, la (...) non ha né allegato né provato specifiche negligenze della struttura sanitaria. Né i CTU sono stati in grado di accertare la sussistenza di specifici profili di colpa della struttura sanitaria, in considerazione della carenza di materiale probatorio sul punto... In applicazione dei principi di cui all'art. 2697 c.c., in mancanza di una prova circa la violazione di regole di diligenza, prudenza e/o perizia in materia di prevenzione delle I.C.A. da parte della struttura sanitaria gestita da (...) s.r.l. la domanda proposta dalla N. iure proprio non può, pertanto, trovare accoglimento" (v. Trib. Roma ordinanza del 21.9.2021 R.G. n. 41729/2020 allegata alla comparsa conclusionale di parte convenuta). In senso analogo: "In definitiva, in presenza di un'infezione nosocomiale, la responsabilità della struttura sanitaria non può essere ritenuta oggettiva e nemmeno presunta. Con specifico riferimento all'onere della prova, deve rilevarsi poi che la domanda risarcitoria degli attori, quale prossimi congiunti del paziente, ha natura aquiliana ed extracontrattuale"-, invero, la Corte di cassazione, con ripetute pronunce (cfr. n. 19188/2020, n. 14615/2020 e n. 14258/2020) ha affermato espressamente che il diritto al risarcimento del danno per una paziente deceduta è vantato a titolo di responsabilità extracontrattuale e non già contrattuale e l'inadempimento della obbligazione assunta dalla struttura ha leso due beni diversi: la salute, per l'appunto, della donna (o la vita, più precisamente), ed il rapporto parentale invece quanto ai prossimi congiunti e al marito. Dunque, nel caso di specie, quanto all'azione extracontrattuale promossa dai congiunti della vittima (volta ad ottenere il risarcimento del danno per la perdita parentale), "si deve sottolineare che, in base ai principi generali in tema di responsabilità aquiliana, l'onere della prova incombeva agli attori, i quali erano quindi tenuti a dimostrare (anche in vìa presuntiva) l'esistenza di una qualche omissione e/o negligenza posta in essere dalla Struttura sanitaria nell'adozione ed attuazione delle misure di prevenzione volte a ridurre al minimo il rischio infettivo. Come sopra chiarito, infatti, i prossimi congiunti hanno la possibilità "di agire per il risarcimento dei danni che abbiano subito in conseguenza dell'inadempimento della struttura o del sanitario nei confronti di un loro congiunto, ma in tal caso la condotta inadempiente non potrà rilevare come tale, bensì unicamente come illecito extracontrattuale, da far valere e da accertare ai sensi dell'art. 2043 c.c." (cfr. Cass. civ. sez. III, del 09/07/2020, n. 14615). Nello specifico, nel caso in esame, gli attori non hanno prodotto alcun documento, non hanno articolato alcun mezzo di prova (interrogatorio formale e/o prova per testi, ad esempio, sulle condizioni igieniche dei locali; sull'uso da parte dei sanitari dei dispositivi di protezione individuale, quali guanti e mascherine; sull'igiene delle mani del personale sanitario; sulle modalità attuate per il controllo e la limitazione dell'accesso ai visitatori, etc..), non si sono attivati chiedendo alla struttura convenuta l'esibizione e/o la produzione dei rapporti di sanificazione della sala operatoria, dei certificati di sterilizzazione degli strumenti chirurgici, etc.; neppure i CTU, sul punto, sono stati in grado di accertare la sussistenza di possibili profili di colpa della convenuta..." (v. Trib. Roma sentenza n. 2063/2023).
37. Orbene a orientare La decisione verso il rigetto della domanda sono proprio le medesime conclusioni che i Ctu hanno rassegnato laddove si sono prese in considerazione le osservazioni critiche dei Ctp di parte attrice (v. sopra). Il ragionamento (conforme a quello della citata ordinanza del 21.9.2021) è semplice: la circostanza che la Struttura non abbia prodotto la prova del corretto adempimento delle proprie obbligazioni di sicurezza sanitaria non equivale a ritenere, nel versante della responsabilità extracontrattuale, che sia stata allegata e prodotta la prova della condotta colpevole della medesima Struttura con riferimento al periodo di insorgenza dell'ICA.
38. Annotano, al riguardo, i Ctu "Orbene la Struttura sanitaria convenuta non ha fornito la documentazione di avere effettivamente e concretamente attuato le disposizioni teoriche di prevenzione e monitoraggio, delle infezioni ospedaliere. Infatti, è onere della Struttura Convenuta di ricovero provare di avere adottato e praticato le misure idonee al fine di evitare il contagio dei pazienti". E tanto è indubitabile quanto alla responsabilità contrattuale segnata, come visto, dalla soccombenza di parte convenuta. Poi la relazione prosegue: "Dunque, in questo caso sarebbe stato a carico del Policlinico Umberto / fornire valide prove di aver fatto tutto quanto era possibile alla data degli eventi per evitare o ridurre efficacemente il rischio di contagio. La qualità di questo tentativo è un elemento significativo per la dimostrazione dell'impegno da parte della Struttura nella lotta contro le ICA. Questa attività, che non può certo prevedere la obbligazione del risultato di assoluta sterilità ambientale raggiunta nell'Ospedale ovunque e comunque, avrebbe tuttavia permesso al Collegio di valutare le caratteristiche dell'impegno di Struttura nella complessiva realizzazione delle attività di sanificazione, dei programmi e delle strategie di lotta e di contrasto alle infezioni ospedaliere e i percorsi di formazione del personale. Ciò che è quindi esigibile non è la registrazione pedissequa e ossessiva delle azioni di tutto il personale sanitario, ma la documentazione pragmatica delle attività svolte sul campo e i risultati di auspicata implementazione ottenuti. La struttura sanitaria, in rapporto alla gestione dei pazienti e del loro ambiente, ha pertanto l'obbligo di attuare la prevenzione e il controllo delle infezioni nosocomiali, adeguandosi alle più moderne regole di igiene del tempo, cioè: 1. verificare l'applicazione delle linee guida attraverso operatori seriamente formati, 2. applicare equilibrati sistemi di controllo dei risultati, 3. attuare un intervento attivo e tempestivo di stewardship antimicrobica delle ICA. Le procedure ed i Protocolli hanno lo scopo di fissare precise regole e individuare le responsabilità organizzative". Tuttavia, in modo assolutamente aderente al compendio probatorio, il Collegio ha aggiunto: "In questo caso l'Azienda Sanitaria Policlinico Umberto/non solo non ha allegato nessuno dei principali risultati al tempo ottenuti nell'ambito della gestione e del controllo delle ICA, ma attraverso i propri CCTTP ha proposto la ardita e non documentata tesi riguardante il fatto che la colonizzazione cutanea della de cuius da Klebsiella spp. multiresistente, sarebbe un: "... evento inevitabile, che si verifica dopo 48 ore di ricovero e nei cui confronti nessuna misura di prevenzione può evitarla...", senza allegare alcun dato ambientale utile al proprio ragionamento dimostrativo: - della qualità della colonizzazione ambientale, - della epidemiologia locale delle ICA, - del tipo di atti effettuati per ridurre le ICA" (pag. 48).
39. Era onere degli attori iure proprio allegare e dimostrare le circostanze di cui si discute attivandosi per l'ammissione di mezzi di prova (finanche ex art. 210 Cpc in direzione dei casi di infezione nel medesimo reparto, della dimostrazione delle attività di sanificazione ect.) che potessero dar prova, persino presuntiva, del mancato rispetto degli obblighi di cui si discute. Il fallimento della prova liberatoria, sul versante dell'inadempimento contrattuale, non equivale a ritenere soddisfatto l'onere probatorio su quello extracontrattuale. Potrebbe in astratto assumersi che la Struttura, per resistere alla domanda di responsabilità contrattuale, abbia prodotto il massimo sforzo di allegazione probatoria, ma il punto è che i Ctu hanno espressamente affermato di non essere in condizione di poter constatare il rispetto o meno dei protocolli per la mancanza di atti in tal senso.
40. E' un giudizio tecnico-scientifico che rappresenta il presupposto per l'affermazione della responsabilità contrattuale da parte del decidente; nulla che attinga direttamente al merito delle attività di sanificazione, alla loro idoneità e via seguitando.
41. Il ché colloca la prova della responsabilità extracontrattuale della Struttura in un cono d'ombra non illuminato da acquisizioni adeguate su richiesta degli attori cui incombeva dimostrare che, in concreto ossia in relazione al ricovero della sig.ra (...) non erano state adottate le prescritte precauzioni. Finanche l'interrogatorio formale del legale rappresentante della Struttura o del responsabile dell'U.O. (secondo le indicazioni di Cassazione 6386 e 16900 del 2023) avrebbe potuto colmare questo gap acquisendo al procedimento la prova positiva delle colpevoli carenze "- della qualità della colonizzazione ambientale, - della epidemiologia locale delle ICA, - del tipo di atti effettuati per ridurre le ICA".
42. Inoltre, mette conto considerare che si devono aggiungere all'ammontare del risarcimento spettante agli attori vittoriosi anche le spese extragiudiziali sostenute in epoca antecedente la presentazione della citazione in quanto si tratta a tutta prima di competenze erogate a consulenti tecnici di parte che hanno correttamente e adeguatamente indirizzato l'attività difensiva degli stessi in relazione ai profili medico legali della vicenda in esame (si vedano i principi espressi da Cassazione sez. III, n. 11154 del 29/05/2015, m. 635465 - 01; Sez. III, n. 3266 del 19/02/2016, m. 638791); con conseguente riconoscimento degli esborsi per Euro 510,00 e per Euro 1.220,00 (allegati 7 e 8) per complessivi Euro 1.730,00 da rivalutare equitativamente (tenuto conto del tempo degli esborsi) in Euro 1.800,00.
43. Importo del risarcimento definitivo pari a Euro 160.591,58 + 1.800,00 = Euro 162.391,58 oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo.
44. Le spese di lite seguono la soccombenza e tenuto conto dell'accoglimento parziale della domanda proposta da alcuni degli attori e dei criteri di cui all'art.4 D.M. 55/2014 s.m. possono essere liquidate come da dispositivo attestandosi sul quadrante per scaglione dei valori massimi per la fase decisionale e dei valori medi per le altre fasi avuto riguardo alla complessa definizione della controversia che ha comportato la ripetizione della fase decisoria e la duplicazione delle indagini peritali e alle circostanze che hanno determinato l'insorgere della lite orientatasi negativamente per la sola parte relativa alla responsabilità extracontrattuale.
45. Quanto agli altri attori si impone la compensazione delle spese di lite ex art. 92 Cpc tenuto conto delle ragioni della soccombenza che attengono al consolidarsi dopo il 2018 di un orientamento di legittimità in punto di responsabilità extracontrattuale e, quindi, successivo all'instaurazione della controversia nel 2017.
P.T.M.
Il tribunale di Roma definitivamente decidendo sulla domanda prposta da (...) nei confronti di AZIENDA OSPEDALIERA POLICLINICO UMBERTO I così provvede:
a) accoglie parzialmente la domanda e, per l'effetto, condanna la parte convenuta al pagamento in favore di (...) in proprio e nella qualità di esercente la potestà su (...) - ciascuno per le quote di competenza ai sensi dell'art. 581 Cc - della somma complessiva di Euro 162.391,58 oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo.
b) pone le spese per i compensi corrisposti ai consulenti tecnici d'ufficio definitivamente a carico di parte convenuta e condanna la medesima parte convenuta al pagamento delle spese di lite che liquida in favore degli attori di cui al capo precedente in Euro 16.267,00 oltre Iva, Cpa, contributo spese generali al 15% e rimborso contributo unificato con distrazione in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari;
c) rigetta nel resto;
d) compensa le spese di lite quanto al capo precedente.
Così deciso in Roma l'11 dicembre 2023.
Depositata in Cancelleria l'11 dicembre 2023.
Sommario
Tribunale|Roma|Sezione XIII|Civile|Sentenza|11 dicembre 2023| n. 18155
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