Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Civilista Trapani

Sentenza

Diffamazione a mezzo stampa:È sufficiente il dolo generico, desumibile dall’intr...
Diffamazione a mezzo stampa:È sufficiente il dolo generico, desumibile dall’intrinseca valenza diffamatoria; l’identificazione della persona può avvenire senza nominativa, se riconoscibile dal contesto.
Corte di appello di Napoli, sezione VI, 27 ottobre 2025 n. 5241
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE di APPELLO di NAPOLI ### civile composta dai
magistrati: 1) dr.ssa ### d'### - Presidente 2) dr.ssa ### -
### 3) dr.ssa ### - ### ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile in grado d'appello iscritta al N. 2667 R.G.A.C. per
l'anno 2020, riservata in decisione all'udienza cartolare del
3.7.2025, vertente TRA ### coop. a r.l. (###), in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
### alla via ### n. ###, presso lo studio degli avv.ti ### e
### (costituiti in sostituzione del precedente difensore, avv. ###
a sua volta già costituito in sostituzione degli avv.ti ### ### e
###, dai quali è rappresentata e difesa in giudizio per mandato in
atti; ### (###), ### (###) e ### (###), tutti rappresentati
e difesi in giudizio, per mandato in atti, dall'avv. ### presso il cui
studio in ###, via ### n. ###, sono elettivamente domiciliati;
Appellati E ### (###) e ### (###); Appellati contumaci ###
appello contro la sentenza del Tribunale di Napoli ###/2020,
pubblicata in data ###.
CONCLUSIONI: come da rispettive note scritte autorizzate per
l'udienza cartolare del 3.7.2025, da intendersi qui richiamate e
trascritte.
IN FATTO E ###
i Il giudizio di primo grado
Con atto di citazione notificato in data ###, ### e ### premesso
di essere state vittime del reato di diffamazione a mezzo stampa
a seguito della pubblicazione di un articolo sul quotidiano “### di
Napoli”, convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Napoli,
### giornalista/autore dell'articolo, ### direttore responsabile
della testata, e la ### Coop. a r.l., editrice del quotidiano, per
sentirli condannare, in solido, al risarcimento dei danni non
patrimoniali subiti, quantificati equitativamente in € 5.000,00 per
ciascuno degli istanti, nonché al pagamento della sanzione
pecuniaria di cui all'art. 12 L. n. 47/1948 quantificata in €
3.000,00, con vittoria delle spese.
A sostegno della pretesa azionata, esponevano che: - in data ###,
sul quotidiano “### di Napoli”, veniva pubblicato in prima pagina
il titolo di un articolo in cui si riportava la notizia di accertamenti
bancari e patrimoniali della D.D.A. di Napoli nei confronti di sedici
appartenenti al ### di P.S. di Secondigliano-Napoli, accusati di
aver favorito il clan camorristico ### Seguiva, in terza pagina,
l'articolo dal carattere altamente screditante la reputazione e
l'immagine dei poliziotti asseritamente indagati, tra i quali gli
istanti, che, per l'effetto, sporgevano denuncia per poi costituirsi,
in uno agli altri appartenenti al commissariato, parti civili nel
processo penale aperto a carico di ### e ### imputati del reato
di diffamazione, e della ### s.c. a r.l., quale responsabile civile;
- il Tribunale di Salerno, prima sezione penale, con sentenza
71/2010, premessa l'assoluta carenza del presupposto della verità
dei fatti narrati, accertava la responsabilità degli imputati per i
reati loro ascritti, statuendo condanna al pagamento di pene
pecuniarie e spese processuali, riconoscendo, altresì, la
sussistenza dei presupposti di legge per l'accoglimento della
domanda risarcitoria avanzata dalle parti civili, anche nei confronti
della ### s.c. a r.l., per la cui liquidazione rinviava al giudice
civile; - sul gravame proposto da ### e ### la Corte di appello
di Salerno, con sentenza n. 1594/2012, pur riconoscendo la
responsabilità penale degli imputati, dichiarava non doversi
procedere nei loro confronti per estinzione dei reati ad essi ascritti
per intervenuta prescrizione, confermando, tuttavia, le statuizioni
civili contenute nella sentenza impugnata; -- il successivo ricorso
per cassazione proposto da ### veniva dichiarato inammissibile
con ordinanza n. 15398, depositata in data 7.1.2014, con
conseguente giudicato sulle statuizioni civili contenute nella
sentenza penale.
Radicata la lite, nella contumacia di ### e ### si costituiva
tempestivamente in giudizio la ### Coop. a r.l., eccependo, in via
preliminare, la nullità dell'atto di citazione per violazione dell'art.
164 c.p.c., contestando, nel merito, la fondatezza della domanda
risarcitoria in assenza di prova del danno effettivamente sofferto
dagli istanti. In subordine, nella denegata ipotesi di accoglimento
delle domande attoree, chiedeva di ridurre il risarcimento
richiesto, non avendo, peraltro, gli attori provveduto ad inoltrare
al giornale la richiesta di rettifica prevista dalla legge 47/48.
All'esito delle memorie depositate ex art. 183, sesto comma,
c.p.c., ritenuta la causa matura per la decisione, il tribunale di
Napoli definiva la lite con sentenza n. 4128/2020, pubblicata in
data ###, così statuendo: “a) accoglie parzialmente la domanda
e per l'effetto condanna la ### S.c.a.r.l., ### e ### in solido
tra di loro, al pagamento, in favore di ciascuno degli attori, della
somma di € 3.000,00 a titolo di risarcimento dei danni, ed il solo
### al pagamento dell'ulteriore somma di € 1.000,00 per
ciascuno degli attori a titolo di riparazione pecuniaria ex art. 12 L.
47/1948, oltre - su entrambe le somme - gli interessi legali dal
07.05.2016 al soddisfo; b) condanna, infine, tutti i convenuti in
solido al pagamento, in favore degli attori, delle spese processuali
che si liquidano in € 285,00 per spese ed € 6.285,50 per compensi
professionali, oltre il rimborso per spese generali al 15% sui
compensi, Iva e Cpa come per legge, con attribuzione all'avv.
### ###”. i Il giudizio di secondo grado ### tale sentenza, non
notificata, con atto di citazione notificato in data ###, interponeva
gravame la ### soc. coop. a r.l., lamentando: 1) “### della
motivazione”, per aver il tribunale ritenuto, da un lato, del tutto
correttamente, che il danno non sia “in re ipsa” e che quindi
abbisogni di un principio di prova, mentre, dall'altro, di poter
ritenere assolto l'onere probatorio incombente sugli attori
mediante la mera allegazione di generiche circostanze integranti
“presunzioni semplici”, affermando, quindi, di fatto, che la prova
della lesione risulta correlata alla semplice violazione del diritto
personale degli attori e, pertanto, “in re ipsa”; 2) “### pronuncia
su un punto decisivo della controversia”, per non essersi il primo
giudice pronunciato sulla circostanza, dedotta dalla ### fin dal
primo atto difensivo, che la Corte di appello penale territorialmente
competente aveva dichiarato estinto il reato per prescrizione; 3)
“### pronuncia su una questione prospettata”, per aver il
tribunale - pur sollecitato dall'odierna appellante - ritenuto di non
pronunciarsi, né di valutare il comportamento degli attori
successivo alla pubblicazione dell'articolo, non avendo gli stessi
mai chiesto neanche la pubblicazione di una rettifica.
Reiterate le richieste istruttorie articolate in primo grado (e non
accolte perché ritenute superflue), l'appellante concludeva
chiedendo alla Corte adita: “1) sulla scorta dei diversi motivi di
impugnazione di cui sopra, accertare l'insussistenza della avversa
pretesa risarcitoria e, per l'effetto, riformare integralmente la
gravata Sentenza, perché infondata in fatto ed in diritto; 2) in ogni
caso, condannare controparte alla refusione dei compensi dei due
gradi di giudizio, senza attribuzione”.
Instaurato il contraddittorio, si costituivano, con unica comparsa e
unica difesa, ### e ### concludendo per l'integrale rigetto
dell'appello, inammissibile per difetto di specificità, in violazione
dell'art. 342 cpc, e, comunque, destituito di ogni fondamento, con
vittoria delle spese del grado, da distrarre in favore del costituito
difensore antistatario.
Non si costituivano gli appellati ### e ### Acquisito il fascicolo
d'ufficio di primo grado, all'udienza del 3.7.2025, sulle conclusioni
rassegnate dalle parti nelle rispettive note scritte autorizzate, la
causa veniva riservata in decisione, previa concessione dei termini
di legge ex art. 190 cpc per il deposito delle comparse conclusionali
e di eventuali repliche.
*******
i In rito
Va innanzitutto dichiarata la contumacia degli appellati ### e
### non costituiti in giudizio benché ritualmente citati (cfr. avvisi
di ricevimento in atti).
Sempre in rito, si osserva che l'impugnazione, tempestivamente
proposta, pur risultando essenzialmente fondata su rilievi già svolti
in prime cure, soddisfa il requisito formale prescritto dall'art. 342
c.p.c., nella formulazione ratione temporis applicabile, essendo
stati individuati i punti della motivazione della sentenza gravata
sottoposti a critica ed illustrata la diversa ricostruzione dei fatti
prospettata dall'appellante, che, in definitiva, ha rappresentato
alla corte un contenuto completo delle proprie censure sì da
permettere il raffronto immediato fra le motivazioni della
pronuncia impugnata e le motivazioni addotte nell'atto di appello,
nel contempo consentendo alla parte avversaria di predisporre
un'adeguata difesa. i Nel merito Nel merito, l'appello è infondato
e va rigettato per le considerazioni che ci si accinge a precisare,
senza alcuna necessità di disporre l'approfondimento istruttorio
invocato dall'appellante, già correttamente (ed opportunamente)
disatteso dal primo giudice.
§. Con il primo motivo di doglianza, la ### nel riproporre
essenzialmente i medesimi argomenti svolti in prime cure (cfr.
pagg. 4-6 della relativa comparsa di costituzione), denuncia la
contraddittorietà della motivazione resa dal tribunale, che, dopo
aver correttamente riconosciuto che la condanna generica al
risarcimento dei danni disposta dal giudice penale vincola il giudice
civile esclusivamente in relazione all'accertamento della
responsabilità, con onere, quindi, dello stesso giudice civile di
accertare e quantificare il pregiudizio in concreto subito, avrebbe
poi erroneamente ritenuto che gli attori avessero assolto, nel caso
di specie, all'onere probatorio su di essi gravante, mediante
l'allegazione di precise circostanze da cui desumere il pregiudizio
tramite il ricorso a presunzioni semplici.
Circostanze riassunte dal primo giudice nella notevole portata
diffamatoria dell'articolo, nell'indicazione della notizia anche nel
titolo in prima pagina e nella diffusione e risonanza negativa
dell'articolo.
Assume, al riguardo, che tali elementi, individuati dal Tribunale,
erano già presenti nel giudizio penale e, ciò nondimeno, il relativo
giudice aveva statuito che “… non essendo possibile la
determinazione dell'entità dei danni subiti dalle parti civili, sulla
scorta degli elementi acquisiti si impone una pronuncia di
condanna generica … con liquidazione del quantum da effettuarsi
da giudice civile competente”, e che, del resto, sempre il giudice
penale aveva accertato e dichiarato la mancanza di qualsiasi
elemento idoneo a determinare “… anche parzialmente il danno,
sulla base degli elementi acquisiti”, rigettando, su tale
assunto,“…la richiesta di riconoscimento di una provvisionale”.
Di talché, in definitiva, a dire dell'appellante, il tribunale civile,
dando rilievo ai soli elementi già esistenti nel giudizio penale e
nondimeno ritenuti in quella sede insufficienti per la liquidazione
del danno, avrebbe omesso di svolgere l'indagine di propria
competenza sull'effettiva esistenza di profili di danno risarcibili,
focalizzando, del tutto erroneamente, la propria attività
ermeneutica sul presupposto del diritto al risarcimento, già
acclarato in sede penale, limitandosi ad una "sterile conferma"
delle statuizioni penali.
La censura è infondata.
Giova premettere che: “La condanna generica al risarcimento dei
danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il
giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte
civile, non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla
concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto
l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e
dell'esistenza - desumibile anche presuntivamente, con criterio di
semplice probabilità - di un nesso di causalità tra questo ed il
pregiudizio lamentato, mentre resta impregiudicato
l'accertamento, riservato al giudice civile, in ordine all'"an" - in
concreto - ed al "quantum" del danno da risarcire. Entro tali limiti,
detta condanna, una volta divenuta definitiva, ha effetti di
giudicato sulla azione civile e portata onnicomprensiva, riferendosi
ad ogni profilo di pregiudizio scaturito dal reato, ancorché non
espressamente individuato nell'atto di costituzione di parte civile o
non fatto oggetto di pronunce provvisionali, che il giudice non
abbia formalmente dichiarato di escludere nel proprio "dictum"”
(Cass. 4318/2019).
Ciò vale anche quando vengono in rilievo i cc.dd. reati di danno,
per i quali “la decisione di condanna generica al risarcimento
emessa dal giudice penale contiene implicitamente l'accertamento
del danno evento e del nesso di causalità materiale tra questo e il
fatto-reato, ma non anche quello del danno conseguenza, per il
quale si rende necessaria un'ulteriore indagine, in sede civile, sul
nesso di causalità giuridica fra l'evento di danno e le sue
conseguenze pregiudizievoli” (Cass. 23960/2022; nello stesso
senso, Cass. 8477/2020).
Fermi tali principi, è evidente l'inconsistenza del motivo di
gravame, dovendo il tribunale procedere in piena autonomia
(come ha fatto) all'accertamento del danno da risarcire, attraverso
la verifica, in concreto, anche con il ricorso a presunzioni semplici,
dell'esistenza e dell'entità del pregiudizio specificamente invocato
dagli attori/odierni appellati, assunto quale conseguenza del fatto
costituente reato, già ritenuto potenzialmente lesivo -
indistintamente, per tutte le 42 parti civili costituite nel processo
penale - dal giudice penale, che, difatti, evidenziava: “### poi, i
presupposti di legge va senz'altro accolta la domanda di
risarcimento ai danni avanzata dalle parti civili: la lesione della
reputazione delle persone offese costituisce certamente
conseguenza dannosa direttamente riconducibile alle frasi
diffamatorie contenute nell'articolo in questione. Risulta, infatti,
lesa la reputazione degli appartenenti al ### di ### che si sono
costituiti parte civile, per l'affermazione che sedici poliziotti erano
indagati per collusione con il clan ### ed erano stati disposti
accertamenti sui conti correnti.
Non essendo possibile la determinazione dell'entità dei danni
subita dalle parti civili, sulla scorta degli elementi acquisiti si
impone una pronuncia di condanna generica, in solido, del ###
del ### e del responsabile civile “### SCARL” con liquidazione
del quantum da effettuarsi dal giudice civile competente” (cfr. pag.
21 della sentenza n. 71/2010 del tribunale penale di ###.
Né minimamente rileva, ai fini in discorso, la circostanza, già
esplicitata in prime cure e ribadita in tal sede dall'appellante - che
da essa vorrebbe trarre elementi a conferma della
contraddittorietà ed insufficienza della motivazione della sentenza
gravata -, che il giudice penale (peraltro subito dopo aver accolto
la richiesta di condanna generica) abbia ritenuto di non poter
accogliere la richiesta di riconoscimento di una provvisionale, non
essendo possibile determinare neanche parzialmente il danno,
sulla base degli elementi acquisiti, trattandosi di rilievo affatto
vincolante per il giudice civile, che, lo si ribadisce, doveva (come
ha fatto) vagliare autonomamente ed in concreto l'esistenza e
l'entità del danno lamentato dagli attori, sulla base delle
circostanze dagli stessi specificamente allegate e dell'incidenza
della vicenda sulla loro sfera personale e professionale.
Al riguardo, si è chiarito che: “La facoltà del giudice penale di
pronunciare una condanna generica al risarcimento del danno ed
alla provvisionale, prevista dall'art. 539 c.p.p., non incontra
restrizioni di sorta in ipotesi di incompiutezza della prova sul
quantum, bensì trova implicita conferma nei limiti dell'efficacia
della sentenza penale di condanna nel giudizio civile per la
restituzione e il risarcimento del danno fissati dall'art. 651 c.p.p.
quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua
illiceità ed all'affermazione che l'imputato l'ha commesso, con la
conseguenza che deve escludersi che il giudicato penale si estenda
alle conseguenze economiche del fatto illecito commesso
dall'imputato (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso
che fosse coperta dal giudicato l'affermazione del giudice penale in
ordine alla insufficienza degli elementi probatori atti a quantificare
il danno lamentato dalla parte civile)” ( ###/2023).
In alcuna contraddizione è dunque incorso il tribunale, che
accoglieva la domanda attorea con diffuse, motivate e condivise
argomentazioni, rilevando in particolare: <>.
Motivazione inclusiva di ogni aspetto utile alla valutazione dei
profili di danno risarcibili e concretamente subiti, integralmente
condivisa dalla corte e che va qui confermata, vieppiù perché
minimamente scalfita dalle generiche e fumose obiezioni
dell'appellante, dovendosi piuttosto evidenziare come il tribunale,
lungi dal considerare - ai fini dell'apprezzamento del danno morale
- le sole argomentazioni del giudice penale, sia andato ben oltre,
analizzando una serie di elementi in fatto che legittimamente lo
inducevano a ritenere configurabile un'apprezzabile sofferenza
interiore degli istanti causalmente riconducibile alle concrete
modalità di pubblicazione della falsa notizia, oggettivamente
idonea a creare discredito sociale (data la delicatezza e rilevanza
dell'argomento) e tanto più lesiva perché con evidenti ripercussioni
negative nell'ambiente lavorativo.
E ciò in aderenza al consolidato insegnamento giurisprudenziale
per cui, in tema di risarcimento del danno causato da diffamazione
a mezzo stampa, la prova del danno non patrimoniale può essere
fornita, anche attraverso il ricorso al notorio e tramite presunzioni,
assumendo come idonei parametri di riferimento, la diffusione
dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della
vittima ( 21723/2022 e Cass. 13153/2017), tenuto conto del suo
inserimento in un determinato contesto sociale e professionale.
###, com'è noto, la diffamazione postula una liquidazione del
danno non patrimoniale necessariamente operata con criteri
equitativi, il ricorso ai quali è insito nella natura stessa del danno
e nella funzione del risarcimento, realizzato mediante la dazione di
una somma di denaro compensativa di un pregiudizio di tipo non
economico (Cass. 8397/2016).
Liquidazione, nella specie, congruamente operata dal tribunale,
attraverso un equo bilanciamento di tutte le circostanze
caratterizzanti il caso concreto, tenendo anche conto della
diffusione limitata del quotidiano, sebbene relativa all'ambito
territoriale in cui gli attori, agenti del locale ### svolgevano la
propria attività lavorativa.
Rilevava, infatti, il primo giudice: <>.
In definiva, dunque, alcuna omissione e/o incompletezza di
indagine può essere rimproverata al giudice di prime cure, che
prendeva specifica posizione anche sulle richieste istruttorie
formulate dalle parti, evidenziando: <>.
Decisione fondata sull'attento e condiviso esame del quadro
probatorio acquisito, che rende all'evidenza superflua la richiesta,
reiterata in appello, di ammissione dell'interrogatorio formale
deferito in prime cure dalla ### s.c.a.r.l. agli attori/odierni
appellati (cfr. memoria depositata nel secondo termine ex art. 183,
comma VI, cpc), dalla cui resa nulla di rilevante potrebbe
ulteriormente emergere ai fini decisori.
§. Con il secondo motivo di gravame, l'appellante lamenta
l'omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia,
assumendo che il tribunale non si sarebbe pronunciato sulla
circostanza, pure sottoposta alla sua attenzione, che la Corte
d'Appello penale territorialmente competente aveva dichiarato
estinto il reato per prescrizione.
Richiama, al fine, Cass., Sez. Unite, 1768/2011, che, in tale
ipotesi, afferma che il giudice civile "pur tenendo conto degli
elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente ed
autonomamente rivalutare il fatto in contestazione anche
procedendo ad un riparto delle responsabilità diverso da quello
stabilito dal giudice penale", di poi nuovamente ribadendo che,
nella specie, il giudice penale, in entrambi i gradi, aveva accertato
la mancanza di elementi di prova per determinare l'entità del
pregiudizio, la cui sussistenza era stata accertata solo in via
generica.
La censura, all'evidenza generica, oltre che ripetitiva delle ###
obiezioni sottese al primo motivo di gravame, è in ogni caso
infondata.
Al riguardo, giova ribadire che, nella specie, nel giudizio penale di
primo grado, veniva pronunciata condanna generica al
risarcimento dei danni derivanti da reato a favore delle parti civili,
ed il giudice di appello penale, dopo aver condiviso le
argomentazioni del tribunale in ordine alla responsabilità penale
degli imputati (cfr., in particolare, pagg. 3-4 della sentenza
1594/2012), pur dichiarando non doversi procedere nei confronti
dei predetti imputati in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti
perché estinti per intervenuta prescrizione, confermava le
statuizioni civili contenute nella sentenza impugnata, con
pronuncia ormai coperta da giudicato, essendo stato dichiarato
inammissibile, con ordinanza della Suprema Corte n. 15398/2013,
il ricorso per cassazione successivamente proposto. ###
premesso, rileva la corte che il primo giudice specificamente
motivava sul punto, rilevando: << 2. Vanno, anzitutto, chiariti gli
effetti che il giudicato penale sopra richiamato determina
nell'ambito del presente giudizio. Al riguardo, è opinione costante
in giurisprudenza che la sentenza del giudice penale che abbia
pronunciato condanna definitiva dell'imputato anche al
risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile,
demandandone la liquidazione ad un successivo e separato
giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine
all'affermata responsabilità dell'imputato il quale non può più
contestare la declaratoria iuris di generica condanna al
risarcimento ed alle restituzioni, ma soltanto l'esistenza e l'entità
in concreto di un pregiudizio risarcibile. Difatti, “La condanna
generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale
presuppone che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla
costituita parte civile, ma non esige e non comporta alcuna
indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile,
postulando soltanto l'accertamento della potenziale capacità lesiva
del fatto dannoso e dell'esistenza - desumibile anche
presuntivamente, con criterio di semplice probabilità - di un nesso
di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, mentre resta
impregiudicato l'accertamento, riservato al giudice civile, in ordine
all'"an" - in concreto - ed al "quantum" del danno da risarcire”
(Cass. civile 14/02/2019, n. 4318; 09/03/2018, n.5660).
Non può, quindi, essere messo in discussione in questa sede che
la condotta incriminata abbia carattere illecito ed abbia leso
l'onorabilità dei poliziotti appartenenti all'epoca dei fatti al ### di
###>.
Né rileva che la Corte di appello penale abbia dichiarato estinto il
reato per prescrizione, ove sol si consideri che, per consolidato
insegnamento della giurisprudenza di legittimità: “### il giudice
penale, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, pronunci
condanna generica dell'imputato al risarcimento del danno in
favore della parte civile, a tale statuizione deve riconoscersi
efficacia vincolante, in ordine all'affermata responsabilità
dell'imputato, nel successivo giudizio civile risarcitorio, che resta
deputato unicamente all'accertamento dell'esistenza ed entità in
concreto di un pregiudizio risarcibile ex art. 1223 c.c.” (Cass.
27055/2024; nello stesso senso, tra le altre, Cass. 11467/2020 e
Cass. 5660/2018, già richiamata nella sentenza gravata, che
afferma: “La sentenza del giudice penale che, accertando
l'esistenza del reato e la sua estinzione per intervenuta
prescrizione, abbia altresì pronunciato condanna definitiva
dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile,
demandandone la liquidazione ad un successivo e separato
giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine alla
"declaratoria iuris" di generica condanna al risarcimento ed alle
restituzioni, ferma restando la necessità dell'accertamento, in sede
civile, della esistenza e della entità delle conseguenze
pregiudizievoli derivate dal fatto individuato come
"potenzialmente" dannoso e del nesso di derivazione causale tra
questo e i pregiudizi lamentati dai danneggiati”).
Principi, peraltro, minimamente smentiti da Cass., Sez. Unite,
1768/2011, richiamata dall'appellante, involgente questione
all'evidenza diversa da quella in esame, relativa, come si evince
dalla relativa motivazione, alla efficacia vincolante della sentenza
penale nel giudizio di risarcimento del danno, nell'ipotesi in cui
l'imputato sia prosciolto per una causa estintiva del reato.
§. Con il terzo motivo di doglianza, si lamenta l'omessa pronuncia
e valutazione del tribunale - pure sollecitata dalla
convenuta/odierna appellante - sul comportamento degli attori
successivo alla pubblicazione dell'articolo, non avendo gli stessi
mai chiesto neanche la pubblicazione di una rettifica (laddove
effettivamente si fossero sentiti direttamente lesi, posto che nello
scritto giornalistico non venivano fatti i nomi degli indagati).
Assume l'appellante che, anche in presenza di un effettivo danno
(cosa comunque non sussistente nel caso che ci occupa), la
mancata richiesta di pubblicazione della rettifica avrebbe dovuto
essere valutata quale comportamento negligente del presunto
danneggiato.
Anche tale censura va disattesa.
Ritiene, infatti, la corte che, ai fini in discorso, resti assolutamente
ininfluente la mancata istanza di rettifica della notizia, che
costituisce mera facoltà dell'interessato (Cass. 9038/2010) e non
determina l'automatica riduzione del risarcimento, vieppiù che
nella specie, dalla stessa motivazione della sentenza penale di
primo grado, emerge che, dato il grande clamore provocato
dall'articolo diffamatorio nell'ambito lavorativo degli attori, era
intervenuto il ### di Napoli chiedendo una rettifica al direttore del
giornale, che tuttavia non aveva seguito.
Va, altresì, rilevato che, nel caso in esame, il danno si realizzava
all'atto stesso della pubblicazione dell'articolo sul quotidiano
locale, né emergono elementi idonei a far seriamente ritenere che
a seguito della rettifica il danno avrebbe potuto essere
effettivamente attenuato.
Al riguardo, si è chiarito che: “In tema di risarcimento dei danni da
diffamazione a mezzo della stampa, l'istanza di rettifica costituisce
una facoltà attribuita all'interessato dall'art. 8 della legge 8
febbraio 1948, n. 47, avente la finalità di evitare che la
pubblicazione offensiva dell'altrui prestigio e reputazione possa
continuare a produrre effetti lesivi, ma non elimina i danni già
realizzati; conseguentemente, il mancato esercizio di tale facoltà,
mentre incide, ai sensi dell'art. 1227, primo comma cod. civ., sulla
quantificazione del danno, ove si accerti che lo stesso avrebbe
potuto essere attenuato con la rettifica, non rileva ai fini del
secondo comma dello stesso art. 1227, atteso che la pubblicazione
della rettifica non può escludere il carattere diffamatorio della
dichiarazione, qualora l'"eventus damni" si sia già realizzato con la
pubblicazione delle dichiarazioni offensive” ( civ. n. 9038/2010;
nello stesso senso, cfr., anche in motivazione, civ. n. 1152/2022
che afferma: “In tema di risarcimento del danno da diffamazione
a mezzo stampa, la pubblicazione di una rettifica ai sensi dell'art.
8 della l. n. 47 del 1948 non determina, quale conseguenza
automatica, la riduzione del danno, dovendosi procedere a una
valutazione in concreto della relativa incidenza sullo specifico
pregiudizio già verificatosi quale conseguenza delle dichiarazioni
offensive”).
§. Conclusivamente, dunque, sulla scorta di quanto precede,
l'appello va rigettato con conseguente conferma della pronuncia
impugnata. i Spese Le spese del grado seguono la soccombenza
dell'appellante e si liquidano, nei rapporti con gli appellati ### e
### nella misura indicata in dispositivo, in applicazione dei
parametri di cui al D.M. n. 55/2014 e successive modifiche,
riconoscendo i valori medi dello scaglione di riferimento, tenuto
conto della natura della causa, delle questioni trattate e
dell'attività concretamente espletata, con l'aumento del 30% ex
art. 4, comma 2, del citato decreto (cfr., in tema, Cass.
10367/2024), e con distrazione in favore dell'avv. ###
dichiaratosi antistatario.
Nulla sulle spese del grado nei rapporti con gli appellati ### e
### rimasti contumaci.
Ricorrono i presupposti per il versamento a carico dell'appellante
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13,
comma 1 quater, T.U. n. 115/02, come modificato dall'art. 1,
comma 17, L. 228/12.
P.Q.M.
La Corte di appello di Napoli, VI sezione civile, definitivamente
pronunciando nella causa civile in grado d'appello iscritta al N.
2667 R.G.A.C. per l'anno 2020, tra le parti indicate in epigrafe,
contro la sentenza del tribunale di Napoli n. 4128/2020, pubblicata
in data ###, ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa,
così provvede: 1. dichiara la contumacia di ### e ### 2. rigetta
l'appello e, per l'effetto, conferma la pronuncia impugnata; 3.
condanna la ### Coop. a r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore, al pagamento, in favore degli appellati ### e ###
delle spese del grado, che si liquidano in € 7.551,70 per compenso
professionale, oltre rimborso forfettario per spese generali nella
misura del 15% dei compensi, IVA e CPA come per legge, con
distrazione in favore dell'avv. ### dichiaratosi antistatario; 4.
nulla sulle spese del grado nei rapporti con gli appellati contumaci;
5. da atto della sussistenza dei presupposti di legge per il
versamento a carico dell'appellante dell'ulteriore importo a titolo
di contributo unificato.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza