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Sentenza

Eredità giacente. Mancata integrazione del contraddittorio....
Eredità giacente. Mancata integrazione del contraddittorio.
Cassazione civile  sez. II   
Data:
    31/07/2013 ( ud. 11/06/2013 , dep.31/07/2013 ) 
Numero:
    18356

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                           SEZIONE SECONDA CIVILE                        
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. ODDO      Massimo                           -  Presidente   -  
    Dott. BURSESE   Gaetano Antonio                   -  Consigliere  -  
    Dott. MIGLIUCCI Emilio                            -  Consigliere  -  
    Dott. MATERA    Lina                         -  rel. Consigliere  -  
    Dott. SCALISI   Antonino                          -  Consigliere  -  
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso 9459/2008 proposto da: 
    FONDAZIONE ECCLESIASTICA ISTITUTO MARCHESI TERESA, GERINO E  LIPPO  - 
    GERINI  C.F. (OMISSIS), Ente Ecclesiastico iscritto nel  Registro 
    delle Persone giuridiche presso l'Ufficio Territoriale del Governo di 
    Roma  al  n. 441/87 in persona del Presidente e Legale Rappresentante 
    Don               D.P.O.,                       G.D.F.,       G. 
                 D.S.,                         G.D.N.,   elettivamente 
    domiciliati  in  ROMA, VIA TACITO 39, presso lo studio  dell'avvocato 
    FAVINO Giulio, che li rappresenta e difende; 
                                                           - ricorrenti - 
                                   contro 
                M.G. (OMISSIS), elettivamente  domiciliato  in 
    ROMA,  VIA S.M. PISTOIESE 73-75, presso lo studio dell'avvocato  BONI 
    Nadia, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato CAPEZZONE 
    TIZIANA; 
                                                     - controricorrente - 
    avverso  la  sentenza  n. 4724/2007 della CORTE  D'APPELLO  di  ROMA, 
    depositata il 14/11/2007; 
    udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 
    11/06/2013 dal Consigliere Dott. LINA MATERA; 
    udito  l'Avvocato  GIULIO  FAVINO difensore  dei  ricorrenti  che  ha 
    chiesto l'accoglimento del ricorso; 
    udito  l'Avvocato NADIA BONI difensore del resistente che ha  chiesto 
    il   rigetto  del  ricorso  e  si  riporta  alle  memorie  depositate 
    chiedendone l'accoglimento; 
    udito  il  P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. 
    CAPASSO Lucio, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. 
                     


    Fatto
    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Con atto di citazione notificato il 9-6-1987 M.G. assumeva che Ge.Al., "in proprio e per conto dei comproprietari F., N.e.Sveva @Gaetani ".s.e.

    o.a.v.p.d.a.t.s.i.u.

    s.p.a.n.d.c.p.a.

    d.".p.e.n.u.d.

    a.L.a.c.e.s.i.n.p.d.

    p.b.m.n.l.r.s.n.a.

    o.l.s.d.c.d.c.a.p.T. p.i.Massi c.i.g. G.A., anche nella addotta veste rappresentativa, chiedendo l'emissione di sentenza ex art. 2932 c.c., previo pagamento del residuo prezzo pattuito, del quale faceva offerta.

    Nel costituirsi, il convenuto contestava la fondatezza della domanda e ne chiedeva il rigetto.

    Il processo, interrotto a seguito del decesso di Ge.

    A., veniva riassunto dall'attore nei soli confronti della eredità giacente.

    Cessata la situazione di vacanza ereditaria ed acquisiti i diritti ereditari del G., interveniva in giudizio la Fondazione Ecclesiastica Istituto Marchesi Teresa, Gerino e Lippo Gerini, eccependo l'inammissibilità, improponibilità ed infondatezza della domanda attrice.

    Con sentenza in data 30-10-2002 il Tribunale di Roma, ravvisato il difetto di legittimazione passiva dei convenuti G.D. F., N. e S. e ritenuta l'infondatezza nel merito della pretesa attrice, rigettava la domanda, disponendo il rilascio dei beni consegnati e la restituzione del prezzo versato.

    Avverso la predetta decisione proponeva appello M.G..

    Si costituivano sia la Fondazione Ecclesiastica Istituto Marchesi Teresa, Gerino e Lippo Gerini che G.D.F., N.e.Sveva ,.c.i.r.d.g.

    C.s.i.d.1.l.C.d.A.d.R.i.

    a.d.p.s.d.

    d.l.n.d.s.i.e.r.l.c. a.p.g.a.s.d.3.c.s.l.m.

    p.a.g.d.p.g.(.c.d.i.

    n.d.c.i.n.d.c. p.a.d.r.d. G.A. solo in proprio e non anche nella dichiarata veste rappresentativa, e della mancata attivazione del giudice per la integrazione del contraddittorio anche nella fase seguita alla interruzione ed alla riassunzione del processo per l'intervenuto decesso di Ge.

    A.) di G.D.F., N. e S., litisconsorzi necessari.

    Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso la Fondazione Ecclesiastica Istituto Marchesi Teresa, Gerino e Lippo Gerini, nonchè G.D.F., N. e S., sulla base di un unico motivo.

    M.G. ha resistito con controricorso.

    In prossimità dell'udienza la controricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..

    MOTIVI DELLA DECISIONE Con l'unico motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'art. 354 c.p.c.. Deducono che la Corte di Appello ha errato nell'escludere che il vizio derivante dalla mancata integrazione del contraddittorio potesse ritenersi sanato per effetto dell'intervento dei G.D. in appello. Sostengono, infatti, che, nel caso in cui il litisconsorte necessario pretermesso intervenga volontariamente in appello ed accetti la causa nello stato in cui si trova, il giudice di appello non è tenuto a rimettere la causa al primo giudice, ai sensi dell'art. 354 c.p.c., ma deve trattenerla e deciderla sul gravame.

    Il motivo è fondato.

    La Corte di Appello, dato atto della mancata partecipazione al giudizio di primo grado dei litisconsorzi necessari G. D.F., N. e S., ha ritenuto di dover rimettere gli atti al giudice di prime cure, ai sensi dell'art. 354 c.p.c., senza la possibilità di ravvisare un effetto sanante dipendente dall'intervento in appello delle predette parti. A sostengo della sua decisione, il giudice del gravame ha richiamato un precedente giurisprudenziale, secondo cui l'intervento volontario del contraddittore necessario, non citato in giudizio, può sanare il difetto di integrità del contraddittorio soltanto se spiegato nel giudizio di primo grado e non anche se avvenuto in appello, dovendo in tale seconda ipotesi il giudice di appello, sempre ed in ogni caso, rimettere la causa al primo giudice, ex art. 354 c.p.c. (Cass. 16-11-1983 n. 6826).

    La pronuncia evocata dal giudice di appello, peraltro, risulta espressione di un indirizzo minoritario, da tempo abbandonato dalla giurisprudenza. Secondo l'orientamento ormai consolidato di questa Corte, infatti, nell'ipotesi in cui il litisconsorte necessario pretermesso intervenuto volontariamente in appello accetti la causa nello stato e nel grado in cui essa si trova, chiedendo che la stessa sia decisa come era stata decisa in prime cure senza il suo intervento, e nessuna delle altre parti, che si sia opposta alla prosecuzione del giudizio, risulti privata, a seguito ed in conseguenza di tale prosecuzione, di facoltà processuali non già altrimenti pregiudicate, il giudice di appello non deve rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 354 c.p.c., ma deve trattenere la stessa e deciderla (tra le tante v. Cass. 4-5-2011 n. 9752; Cass. 24-3-2009 n. 7068; Cass. 13-7-2006 n. 15955; Cass. 5/8/2005 n. 16504; Cass. 16-9-1995 n. 9781).

    Si tratta di un orientamento senz'altro condivisibile, dovendosi rilevare che il volontario intervento in appello del litisconsorte necessario che non ha partecipato al giudizio di primo grado, il quale accetti la causa nello stato in cui si trova, così eliminando con la propria manifestazione di volontà la relativa irregolarità processuale, porta ad escludere la configurabilità di qualsiasi pregiudizio in relazione al diritto di difesa di tale parte. In una simile situazione, pertanto, il rinvio della causa al giudice di primo grado, diretto a garantire al litisconsorte necessario pretermesso una tutela dal medesimo non invocata, si tradurrebbe in un vuoto formalismo, privo di ogni utile funzione e tale da comportare un ingiustificato prolungamento della lite.

    La validità dell'indirizzo innanzi richiamato va oltremodo ribadita alla luce dei precetti contenuti nell'art. 111 Cost., comma 2 e art. 6 Conv. Edu, secondo i quali il rispetto del diritto fondamentale ad una durata ragionevole del processo impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione della controversia, fra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo ed in particolare dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio (Cass. Sez. Un. 3-11-2008 n. 26373; Cass. Sez. Un. 9- 8-2010 n. 18480).

    Nella specie, dalla lettura della sentenza impugnata, del ricorso e del controricorso risulta che i litisconsorzi necessari G. D.F., N. e S., nel costituirsi in appello, non hanno sollevato alcuna questione riguardo alla regolarità del procedimento di primo grado svoltosi senza la loro partecipazione, ma hanno concluso per il rigetto, nel merito, dell'impugnazione ex adverso proposta, accettando la pronuncia di prime cure sulla domanda spiegata dagli attori.

    La Corte di Appello, pertanto, nel rilevare che nel giudizio di primo grado non era stato integrato il contraddittorio nei confronti delle predette parti, non avrebbe dovuto rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 354 c.p.c., ma avrebbe dovuto trattenerla e decidere sull'appello.

    Di conseguenza, l'impugnata sentenza deve essere cassata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, la quale, applicato il principio di diritto innanzi enunciato, tratterrà la causa e pronuncerà sul gravame. Il giudice del rinvio provvedere anche sulle spese del presente grado di giudizio.
    Diritto
    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Con l'unico motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'art. 354 c.p.c.. Deducono che la Corte di Appello ha errato nell'escludere che il vizio derivante dalla mancata integrazione del contraddittorio potesse ritenersi sanato per effetto dell'intervento dei G.D. in appello. Sostengono, infatti, che, nel caso in cui il litisconsorte necessario pretermesso intervenga volontariamente in appello ed accetti la causa nello stato in cui si trova, il giudice di appello non è tenuto a rimettere la causa al primo giudice, ai sensi dell'art. 354 c.p.c., ma deve trattenerla e deciderla sul gravame.

    Il motivo è fondato.

    La Corte di Appello, dato atto della mancata partecipazione al giudizio di primo grado dei litisconsorzi necessari G. D.F., N. e S., ha ritenuto di dover rimettere gli atti al giudice di prime cure, ai sensi dell'art. 354 c.p.c., senza la possibilità di ravvisare un effetto sanante dipendente dall'intervento in appello delle predette parti. A sostengo della sua decisione, il giudice del gravame ha richiamato un precedente giurisprudenziale, secondo cui l'intervento volontario del contraddittore necessario, non citato in giudizio, può sanare il difetto di integrità del contraddittorio soltanto se spiegato nel giudizio di primo grado e non anche se avvenuto in appello, dovendo in tale seconda ipotesi il giudice di appello, sempre ed in ogni caso, rimettere la causa al primo giudice, ex art. 354 c.p.c. (Cass. 16-11-1983 n. 6826).

    La pronuncia evocata dal giudice di appello, peraltro, risulta espressione di un indirizzo minoritario, da tempo abbandonato dalla giurisprudenza. Secondo l'orientamento ormai consolidato di questa Corte, infatti, nell'ipotesi in cui il litisconsorte necessario pretermesso intervenuto volontariamente in appello accetti la causa nello stato e nel grado in cui essa si trova, chiedendo che la stessa sia decisa come era stata decisa in prime cure senza il suo intervento, e nessuna delle altre parti, che si sia opposta alla prosecuzione del giudizio, risulti privata, a seguito ed in conseguenza di tale prosecuzione, di facoltà processuali non già altrimenti pregiudicate, il giudice di appello non deve rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 354 c.p.c., ma deve trattenere la stessa e deciderla (tra le tante v. Cass. 4-5-2011 n. 9752; Cass. 24-3-2009 n. 7068; Cass. 13-7-2006 n. 15955; Cass. 5/8/2005 n. 16504; Cass. 16-9-1995 n. 9781).

    Si tratta di un orientamento senz'altro condivisibile, dovendosi rilevare che il volontario intervento in appello del litisconsorte necessario che non ha partecipato al giudizio di primo grado, il quale accetti la causa nello stato in cui si trova, così eliminando con la propria manifestazione di volontà la relativa irregolarità processuale, porta ad escludere la configurabilità di qualsiasi pregiudizio in relazione al diritto di difesa di tale parte. In una simile situazione, pertanto, il rinvio della causa al giudice di primo grado, diretto a garantire al litisconsorte necessario pretermesso una tutela dal medesimo non invocata, si tradurrebbe in un vuoto formalismo, privo di ogni utile funzione e tale da comportare un ingiustificato prolungamento della lite.

    La validità dell'indirizzo innanzi richiamato va oltremodo ribadita alla luce dei precetti contenuti nell'art. 111 Cost., comma 2 e art. 6 Conv. Edu, secondo i quali il rispetto del diritto fondamentale ad una durata ragionevole del processo impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione della controversia, fra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo ed in particolare dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio (Cass. Sez. Un. 3-11-2008 n. 26373; Cass. Sez. Un. 9- 8-2010 n. 18480).

    Nella specie, dalla lettura della sentenza impugnata, del ricorso e del controricorso risulta che i litisconsorzi necessari G. D.F., N. e S., nel costituirsi in appello, non hanno sollevato alcuna questione riguardo alla regolarità del procedimento di primo grado svoltosi senza la loro partecipazione, ma hanno concluso per il rigetto, nel merito, dell'impugnazione ex adverso proposta, accettando la pronuncia di prime cure sulla domanda spiegata dagli attori.

    La Corte di Appello, pertanto, nel rilevare che nel giudizio di primo grado non era stato integrato il contraddittorio nei confronti delle predette parti, non avrebbe dovuto rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 354 c.p.c., ma avrebbe dovuto trattenerla e decidere sull'appello.

    Di conseguenza, l'impugnata sentenza deve essere cassata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, la quale, applicato il principio di diritto innanzi enunciato, tratterrà la causa e pronuncerà sul gravame. Il giudice del rinvio provvedere anche sulle spese del presente grado di giudizio.
    PQM
    P.Q.M.

    La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente grado ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.

    Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 giugno 2013.

    Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2013
Avv. Antonino Sugamele

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