Lite tra la societa' Hoover Ltd e la Candy. Guerra di aspirapolveri. La cassazione non ha il compito di valutare la portata diffamatoria delle espressioni usate.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 luglio - 11 settembre 2014, n. 19177
Presidente Amatucci – Relatore Spirito
Svolgimento del processo
La Candy Elettrodomestici s.r.l. propose domanda di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da diffamazione contro la Dyson Ltd. E D.J. . Lamentò d'aver subito pregiudizio a seguito di condotte denigratorie dei convenuti che, nell'anno 2000, avevano preso di mira, mediante campagne di stampa, radiofoniche e televisive, sia la società Hoover Ltd. (controllata dall'attrice stessa), sia la capogruppo Candy. In particolare, quest'ultima sosteneva: che sui mezzi d'informazione erano state diffuse dichiarazioni distorte riguardanti una vertenza giudiziaria promossa da D. innanzi all'Alta Corte di Giustizia inglese per una presunta violazione, da parte della Hoover, di un brevetto per aspirapolvere; che la Dyson aveva creato sul proprio sito internet un apposito link dedicato a quella vicenda, nel quale erano riportati ampi stralci delle interviste di contenuto denigratorio rilasciate dal D. e da altri esponenti della società convenuta, nelle quali era stata più volte menzionata in modo ingiustificato la Candy, con affermazioni ingiuriose, calunniose e lesive del buon nome dell'attrice.
La domanda è stata respinta dal Tribunale di Milano con sentenza poi confermata in appello.
Avverso la sentenza d'appello propone ricorso per cassazione la Candy Hoover Group s.r.l. (già Candy Elettrodomestici s.r.l.) in sette motivi. Rispondono con controricorso gli intimati. La ricorrente ha depositato memorie per l'udienza.
Motivi della decisione
Il primo motivo lamenta il vizio della motivazione con riferimento all'accertamento del carattere diffamatorio e denigratorio di alcune dichiarazioni rese da D. personalmente e nella sua qualità di rappresentante della Dyson Ltd.
Il secondo motivo lamenta il vizio della motivazione con riferimento all'accertamento del carattere diffamatorio e denigratorio di alcune dichiarazioni rese da D. , personalmente e nella sua qualità, anche in considerazione delle dimensioni e dell'importanza imprenditoriale dello stesso D. .
Il terzo motivo lamenta la nullità della sentenza per essersi limitata a riproporre le motivazioni rese dal primo giudice.
Il quarto motivo lamenta il vizio della motivazione con riferimento all'errata o parziale valutazione della documentazione prodotta agli atti ed all'immotivato e/o infondato rigetto delle istanze istruttorie della Candy.
Il quinto motivo lamenta la violazione dei principi di diritto in materia di diffamazione e di concorrenza sleale.
Il sesto motivo lamenta il vizio della motivazione riguardo al punto in cui la sentenza afferma che nell'anno 2000 il D. era soggetto sconosciuto al grande pubblico italiano, sicché i collegamenti di utenti italiani interessati alle vicende della società convenuta ed in grado di comprendere la lingua inglese non potevano essere d'entità significativa.
Il settimo motivo lamenta il vizio della motivazione circa l'affermata insussistenza di qualsiasi danno per l'attuale ricorrente.
Occorre innanzitutto premettere che non è fondata l'accusa rivolta dalla ricorrente alla sentenza impugnata d'essersi limitata a ritenere acriticamente condivisibili le considerazioni del primo giudice circa l'assenza delle caratteristiche diffamatorie nella vicenda trattata. Piuttosto, il giudice d'appello ha attentamente vagliato le censure rivolte dalla parte alla decisione del Tribunale e, sulla base di proprie argomentazioni corroborative, ha finito per stabilirne la correttezza; ha, altresì, posto in evidenza come l'appellante Candy si fosse limitata ad accusare il giudice di primo grado d'avere interpretato a suo modo i bilanci ed i documenti in atti, senza alcuna specifica deduzione.
In secondo luogo, occorre ricordare che, anche in materia diffamatoria, la delibazione delle critiche, affidata alla Corte di cassazione, è ristretta al controllo del rispetto dei principi normativi che regolano la fattispecie astratta, nonché della logicità e congruità della motivazione resa dal giudice. È del tutto estraneo, invece, al giudizio di legittimità l'accertamento di merito relativo all'effettiva capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione. In questo senso, è consolidato il principio giurisprudenziale secondo cui, riguardo all'azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l'accertamento in concreto dell'attitudine offensiva delle espressioni usate, la valutazione dell'esistenza dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica (la quale ultima si deve esprimere nel rispetto del requisito della continenza e, perciò, in termini formalmente corretti e misurati ed in modo tale da non trascendere in attacchi ed aggressioni personali, diretti a colpire sul piano individuale la figura morale del soggetto criticato) costituiscono accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto (tra le varie, cfr. Cass. 10 gennaio 2012, n. 80; 18 ottobre 2005, n. 20137).
In quest'ordine d'idee, i motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
Sono inammissibili laddove, nonostante la formale intitolazione, chiedono alla Corte di legittimità il nuovo accertamento dei fatti e la diversa valutazione del merito della vicenda. Tenuto, altresì, conto, che i motivi stessi appaiono, anche in questo grado di giudizio, privi della necessaria specificità, risolvendosi, più che in una concreta critica verso i punti della sentenza, in una generica doglianza attraverso reiterati argomenti accusatori. I motivi sono poi infondati, quanto alle censure di violazione di legge e di vizio della motivazione.
La sentenza ha valutato tutti gli elementi d'accusa dell'attrice ed, in particolare: a) le interviste di D. a Sky News ed a BBC Radio 5 (ambedue in data 13.10.200); b) la dichiarazione resa da un alto esponente della Hoover, tratta dal sito www.dyson.com; c) la dichiarazione tratta dal medesimo sito e riferita al D. . È pervenuta, poi, al verdetto assolutorio sotto tre diversi profili: a) la direzione delle espressioni incriminate verso la Hoover, non verso la Candy, e la menzione di questa (società controllante) con il mero scopo di identificare il soggetto economico multinazionale; b) l'insussistenza di una reale diffusione delle dichiarazioni nel territorio italiano; c) l'assenza di un danno risarcibile a carico della Candy, non emergendo dai suoi bilanci, per gli anni 2000/2001, né maggiori costi per investimenti pubblicitari (destinati a neutralizzare l'incidenza negativa delle presunte dichiarazioni denigratorie), né perdite di ricavi conseguenti ad una riduzione delle quote di mercato.
In particolare, quanto al secondo profilo, ha posto in rilievo, sulla base di dettagliate considerazioni (anche di ordine statistico e tecnico), come si siano verificati "fattori di riduzione progressiva del numero dei potenziali ascoltatori o lettori, fino ad una verosimile quantità infinitesimale che risulta per sua natura incompatibile con l'assunto di una diffusione idonea a recare un effettivo e apprezzabile pregiudizio".
Quella espressa dalla Corte milanese è, dunque, una puntuale motivazione (che qui non è necessario riportare in maniera più estesa), che non incorre né in violazione di legge, né in vizi logico-argomentativi e che, come tale, si sottrae al controllo di legittimità. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 20.200,00 (ventimiladuecento), di cui 20.000,00 (ventimila) per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.
15-09-2014 21:58
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