Previdenza: personale di volo.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 – 30 ottobre 2014, n. 23066
Presidente De Renzis – Relatore Tria
Svolgimento del processo
1.— La sentenza attualmente impugnata respinge l'appello di da M.G. e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe, avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 21 gennaio 2006, che a sua volta aveva respinto le domande dei ricorrenti, volte a vedersi applicate la tabella contenuta nel d.m. 19 febbraio 1981 (M. e D.D. ) e la tabella allegata al d.m. 20 febbraio 2003 (S. , P. e F. ) ai fini della liquidazione della quota di capitalizzazione della propria pensione a carico del Fondo Volo, avente per tutti decorrenza anteriore al primo luglio 1997.
2.- La Corte d'appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:
a) preliminarmente deve essere confermata l'infondatezza delle eccezioni di decadenza proposte dall'INPS, sulla base del principio affermato da Cass. SU 29 maggio 2009, n. 12720, secondo cui: "La decadenza di cui all'art. 47 del d.P.R 30 aprile 1970, n. 639 - come interpretato dall'art. 6 del d.l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 1 giugno 1991, n. 166 - non può trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo l'adeguamento di detta prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei casi in cui l'Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria prescrizione decennale";
b) nel merito, la questione oggetto della presente controversia consiste nello stabilire quale sia il coefficiente da utilizzare per la capitalizzazione della quota della pensione de qua;
c) in particolare, si tratta di decidere se siano applicabili i coefficienti adottati dall'INPS, che sono quelli elaborati dall'Istituto per la compilazione del bilancio tecnico del Fondo Volo (prima nel 1967 e poi nel 1988), oppure se, come sostengono i pensionati, si sarebbero dovuti applicare i coefficienti previsti dai richiamati decreti ministeriali, elaborati per il calcolo della riserva matematica in caso di omissione contributiva ai sensi dell'art. 13, sesto comma, della legge n. 1338 del 1962;
d) l'applicazione di tali ultimi coefficienti consente di pervenire ad un importo maggiore della quota capitalizzata della pensione, che è quanto viene richiesto nel presente giudizio;
e) la questione controversa è stata affrontata e risolta da Cass. SU 20 ottobre 2009, n. 22154 e n. 22156, che hanno preso espressamente in considerazione le domande di pensione presentate prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 29 aprile 1997, n. 164 (1 luglio 1997), come quelle di cui si discute nel presente giudizio;
prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 29 aprile 1997, n. 164 (1 luglio 1997), come quelle di cui si discute nel presente giudizio;
f) l'indirizzo espresso dalle Sezioni unite si può riassumere nel senso che, nell'ipotesi considerata, ai fini della liquidazione in somma capitale di una quota della pensione, il rinvio ai "coefficienti in uso presso l'INPS", disposto dall'art. 34 della legge 13 luglio 1965, n. 859 per il calcolo della predetta quota deve intendersi nel senso che trovano applicazione i coefficienti di cui alla tabella allegata al r.d. n. 1403 del 1922 (che concernono il calcolo delle pensioni degli iscritti alle pensioni facoltative e consentono di risalire dalla quota di pensione alla capitalizzazione secondo i coefficienti della vita media, senza alcuna proiezione per il futuro), mentre è, per contro, da escludere l'applicabilità sia dell'art. 13, sesto comma, della legge n. 1338 del 1962, sia del d.m. 19 febbraio 1981, sia, infine, dell'art. 2, comma 503, della legge n. 244 del 2007 - che ha ritenuto applicabili i coefficienti di capitalizzazione determinati sui criteri attuariali specifici per il predetto Fondo ove regolarmente deliberati dal consiglio di amministrazione dell'INPS - non avendo tale norma natura interpretativa ed efficacia retroattiva;
g) il suddetto orientamento delle Sezioni unite, basato su una completa disamina della normativa di riferimento, deve essere seguito anche nel presente giudizio e questo porta al rigetto dell'appello.
3.- Il ricorso di M.G. , F.E. e P.M. domanda la cassazione della sentenza per un unico, articolato, motivo. Analogo contenuto ha il ricorso di S.E. proposto dopo quello degli altri assicurati.
L'INPS resiste ad entrambi i suddetti ricorsi, con due controricorsi di contenuto similare e, in ciascun controricorso, propone anche ricorso incidentale per un motivo.
4.- La trattazione della causa, originariamente fissata per l'udienza del 17 gennaio 2013, è stata, in detta udienza, rinviata a nuovo ruolo perché in quella stessa sede, con ordinanza interlocutoria n. 1847 del 28 gennaio 2013, è stata nuovamente - dopo la precedente ordinanza interlocutoria della n. 14072 del 11 giugno 2010 - sottoposta alle Sezioni unite la questione interpretativa della L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 503, negli medesimi termini in cui le Sezioni unite ne erano già state investite con l'ordinanza interlocutoria n. 14072 cit..
Sul merito di tale questione le Sezioni unite si sono pronunciate con la sentenza 28 maggio 2014, n. 11907.
Di qui la successiva fissazione per l'udienza odierna, per la quale le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ., ulteriori rispetto a quelle già depositate per la precedente udienza del 17 gennaio 2013.
Motivi della decisione
Innanzi tutto va disposta la riunione di tutti i ricorsi, perché proposti contro la medesima sentenza.
I - Profili preliminari.
1.- Preliminarmente deve essere anche dichiarata l'ammissibilità del ricorso di S.E. che risulta tempestivo, anche se è da qualificare come ricorso incidentale.
Infatti, è ius receptum che, per il principio dell'unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale. Tuttavia, quando tale ricorso abbia contenuto adesivo rispetto a quello principale, non trovano applicazione i termini e le forme del ricorso incidentale (tardivo) di cui al combinato disposto degli artt. 370 e 371 cod. proc. civ., dovendo invece osservarsi la disciplina dettata dall'art. 325 cod. proc. civ. per il ricorso autonomo, cui è altrettanto soggetto qualsiasi ricorso successivo al primo, che abbia valenza d'impugnazione incidentale (vedi, per tutte: Cass. 21 gennaio 2014, n. 1120 e Cass. 18 aprile 2002, n. 5635).
II — Richieste degli assicurati pensionati da esaminare preliminarmente.
2.- In ordine logico devono essere preliminarmente esaminate - adattando al caso di specie l'ordine di trattazione indicato dalla Corte costituzionale (vedi per tutte: Corte cost., sentenze n. n. 226 del 2014; n. 75 del 2012; n. 28 e n. 227 del 2010; n. 284 del 2007) - le richieste degli assicurati pensionati relative a:
A) la formulazione, da parte di questa Corte, di una istanza di un parere consultivo alla Corte Europea dei diritti dell'uomo in merito alla prospettata violazione degli artt. 6 della CEDU, 14 della CEDU unitamente con il Protocollo 12 della Convenzione stessa, nonché dell'art. 1 e ss. della CEDU insieme con l'art. 1 del Protocollo addizionale, derivante dall'interpretazione e dall'applicazione dell'art. 34 della legge n. 859 del 1965, risultante dall'art. 2, comma 503, della legge n. 244 del 2007, come inteso da Cass. SU 28 maggio 2014, n. 11907.
2.1.- Tale richiesta è inammissibile in quanto - a prescindere dalla facoltatività della richiesta stessa e dalla ricorrenza, o meno, nella specie del presupposto rappresentato da una "questione di principio" riguardante l'interpretazione o l'applicazione dei diritti e libertà definiti nella Convenzione o nei suoi Protocolli - allo stato, il Protocollo n. 16 non è ancora entrato in vigore, come risulta dal sito internet ufficiale del Consiglio di Europa (cui questa Corte può accedere, nei limiti in cui ciò risulta conforme ai principi del giusto processo, come accade nella specie, vedi, per tutte: Cass. 2 dicembre 2011, n. 25813; Cass. 19 agosto 2011, n. 17394; Cass. 29 dicembre 2009, n. 27630).
Infatti, il Protocollo stesso, adottato dal Comitato dei Ministri del Consiglio di Europa nella seduta del 10 luglio 2013, è stato aperto alla firma il 2 ottobre 2013 e se ne è convenuta l'entrata in vigore tre mesi dopo la sua ratifica da parte di almeno dieci Stati membri del Consiglio d'Europa.
Alla data odierna (16 ottobre 2014) sono pervenute 15 firme, compresa quella dell'Italia, nessuna seguita dalla ratifica.
B) l'avvio, ai sensi dell'art. 234 (oggi: 267) del TFUE, di una procedura di rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione Europea sulla conformità dell'indicato art. 34, come interpretato dalle Sezioni unite, "alla normativa Europea in materia di trasparenza e correttezza dell'azione amministrativa, in particolare relativamente all'art. 1 della legge n. 241 del 1990, da considerare direttiva Europea" nonché alle suindicate disposizioni della CEDU e dei Protocolli n. 1 e n. 12 cit..
In particolare, i ricorrenti precisano che già sono stati presentati ricorsi alla Corte di Strasburgo al riguardo, in quanto la suddetta normativa nazionale: a) comportando una ingiusta decurtazione della pensione, viola l'art. 1 del Protocollo aggiuntivo della CEDU, considerato che la Corte EDU ritiene che la tutela della pensione sia compresa in quella del diritto di proprietà; b) è discriminatoria in danno delle donne, la cui vita ha una durata media maggiore di quella degli uomini; c) viola i principi di trasparenza e obiettività cui deve uniformarsi l'attività amministrativa, dal momento che prevede l'applicazione di coefficienti, di cui l'INPS non ha comunicato ai pensionati il sistema di elaborazione (elemento determinante nella scelta della richiesta di capitalizzazione).
Si aggiunge che, in uno di tali ricorsi, è stata prospettata la violazione: 1) del divieto di discriminazione di cui all'art. 14 e del Protocollo 12 della CEDU; 2) del diritto di proprietà, tutelato dall'art. 1 del Protocollo addizionale cit.; 3) del principio di "subordinazione del potere giudiziario a quello legislativo ed esecutivo", di cui all'art. 6, comma 1, CEDU.
Conseguentemente, i ricorrenti chiedono di considerare anche i suddetti principi CEDU per l'eventuale rinvio pregiudiziale alla CGUE, sulla base principalmente dell'art. 6 del Trattato di Lisbona - che ha previsto l'adesione della UÈ alla CEDU ed ha stabilito che i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione fanno parte del diritto dell'Unione come principi generali - nonché tenendo conto di alcune successive decisioni dei giudici amministrativi che hanno equiparato la efficacia della CEDU nell'ordinamento nazionale a quella del diritto comunitario.
2.2.- La richiesta non è da accogliere per la principale ragione che, diversamente da quel che sostengono i ricorrenti, manca nella specie il presupposto applicativo dell'art. 267 TFUE, rappresentato dal fatto che il presente giudice nazionale di ultima istanza sia "investito di una controversia concernente il diritto dell'Unione".
Infatti, non solo è, all'evidenza, da escludere che l'art. 1 della legge n. 241 del 1990 sia da considerare direttiva Europea, ma è anche da precisare che, diversamente da quello che sostengono i ricorrenti, la pretesa violazione di norme della CEDU e dei suoi Protocolli non comporta l'applicabilità del meccanismo del rinvio pregiudiziale alla CGUE, neppure per effetto dell'art. 6 TUE, come si desume da orientamenti consolidati sia della giurisprudenza della stessa CGUE (vedi, per tutte: sentenza 24 aprile 2012, c-571/10, Kamberaj), sia della Corte costituzionale (vedi, per tutte: sentenza n. 80 del 2011), sia di questa Corte (vedi, per tutte: Cass. 4 dicembre 2013, n. 27102; Cass. 19 febbraio 2013, n. 4049).
L'unico organo compente al riguardo è la Corte di Strasburgo, cui si può accedere solo dopo l'esaurimento dei rimedi giurisdizionali interni, come dimostrano di sapere gli attuali ricorrenti.
C) la remissione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale di dell'art. 34, primo comma, della legge n. 859 del 1965 cit., quale risulta dal comma 503 dell'art. 2 cit. e come interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte, prima nelle sentenze n. 22154-22157 del 2009 e poi nella sentenza n. 11907, per asserito contrasto con gli artt. 3. 24, 36, 38 e 117, primo comma, Cost.
2.3.- Va premesso che, in base alla giurisprudenza costituzionale consolidata, il richiamo all'art. 24 Cost. è da considerare non pertinente, perché l'intervento legislativo de quo opera sul piano sostanziale e, pertanto, non incide sul diritto alla tutela giurisdizionale, a presidio del quale e posta la suindicata norma costituzionale (vedi, fra le tante, Corte cost., sentenze n. 15 del 2012 e n. 29 del 2002).
Con riguardo agli altri parameri evocati la suddetta richiesta non è da accogliere, apparendo la prospettata questione manifestamente infondata, alla luce della costante giurisprudenza costituzionale relativa alle norme retroattive, in genere, e, in particolare, a quelle in materia previdenziale.
2.3.1.- Da tale giurisprudenza risulta che il Giudice delle leggi, con indirizzo consolidato, ha affermato che il divieto di retroattività della legge, previsto dall'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata soltanto nell'ambito dell'art. 25 Cost. (sentenze n. 103 del 2013; n. 78 e n. 15 del 2012; n. 236 del 2011; n. 393 del 2006), tuttavia, in linea generale, qualsiasi intervento legislativo destinato a regolare situazioni pregresse - a prescindere dalla sua qualificazione o autoqualificazione in termini di norma interpretativa, innovativa, di sanatoria etc. — deve essere conforme ai principi costituzionali della ragionevolezza e della tutela del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche (sentenze n. 24 del 2009; n. 74 del 2008 e n. 376 del 1995) nonché al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010), anche se finalizzato alla necessità di riduzione del contenzioso o di contenimento della spesa pubblica (sentenza n. 374 del 2002) o a far fronte ad evenienze eccezionali (sentenza n. 419 del 2000).
Con specifico riferimento alle norme di interpretazione autentica, si è anche puntualizzato che un intervento legislativo di tale tipo non può dirsi costituzionalmente illegittimo "qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario" (ex plurimis: sentenze n. 156 del 2014; n. 271 e n. 257 del 2011; n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009). In questo caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire “situazioni di oggetti va incertezza del dato normativo”, in ragione di “un dibattito giurisprudenziale irrisolto” (sentenza n. 311 del 2009), o di “ristabilire un'interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore” (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioè di "principi di preminente interesse costituzionale".
2.3.2.- Il Giudice delle leggi ha, altresì, sottolineato come, in ordine al sindacato sulle leggi retroattive, "può ritenersi sussistere una piena corrispondenza" tra principi costituzionali interni in materia di parità delle parti in giudizio (di cui all'art. 111 Cost.) e principi convenzionali in punto di equo processo (di cui all'art. 117, primo comma, Cost. in relazione all'art. 6 della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo), "i quali, secondo un consolidato orientamento, devono essere fatti valere congiuntamente per consentire a questa Corte di effettuare una valutazione sistemica e non frazionata dei diritti coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, in modo da assicurare la massima espansione delle garanzie di tutti i diritti e i principi rilevanti, costituzionali e sovranazionali, complessivamente considerati, che sempre si trovano in rapporto di integrazione e reciproco bilanciamento" (sentenze n. 191 del 2014; n. 170 e n. 85 del 2013 e n. 264 del 2012).
Del resto, se, da un lato, per la giurisprudenza costituzionale, pur nei suddetti limiti, il legislatore può emanare norme retroattive (anche di interpretazione autentica), purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale”, ai sensi della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).
D'altra parte, anche la Corte di Strasburgo non ha mai enunciato un divieto assoluto d'ingerenza del legislatore per effetto di norme retroattive, tanto che, in varie occasioni, ha ritenuto non contraria all'art. 6 CEDU l'emanazione di norme retroattive volta a porre rimedio ad una imperfezione tecnica della legge interpretata, ristabilendo un'interpretazione più aderente all'originaria volontà legislativa (vedi, per tutte: sentenza National & Provincial Building Society, Leeds Permanerti Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito 23 ottobre 1997 e sentenza del 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas e altri c. Francia). In quest'ultima pronuncia, in particolare, è stato affermato che - diversamente da quanto verificatosi nel caso Zielinski e altri c. Francia, del 28 ottobre 1999 - l'intervento del legislatore, avente effetti retroattivi, non aveva inteso sostenere la posizione assunta dall'Amministrazione dinanzi ai giudici, ma porre rimedio ad un errore tecnico di diritto, al fine di garantire la conformità all'intenzione originaria del legislatore, nel rispetto di un principio di perequazione. Pertanto, la Corte ha aggiunto che gli interessati non avrebbero potuto validamente invocare un "diritto" tecnicamente errato o carente, e dolersi quindi dell'intervento del legislatore teso a chiarire i requisiti ed i limiti che la legge interpretata contemplava.
2.3.3.- Ne consegue che, sulla base dei richiamati orientamenti della giurisprudenza costituzionale, sembra da escludere che la norma di cui si tratta nel presente giudizio travalichi i limiti individuati dalla stessa giurisprudenza costituzionale e dalla corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo al fine della legittima emanazione di norme retroattive, anche in materia previdenziale.
Al riguardo va anche sottolineato che - come precisato da Cass. SU n. 11907 del 2014, che ha espressamente "rettificato" le precedenti Cass. SU 20 ottobre 2009, n. 22154, n. 22155, n. 22156 e n. 22157 - nella specie, ci si trova in presenza di un intervento del legislatore che ha disciplinato soltanto "la determinazione di una modalità di erogazione della pensione determinata per legge nell'an e nel quantum a carico del Fondo volo; modalità questa che è alternativa a quella ordinaria (ossia pagamento di una somma capitale una tantum unitamente ad un minor rateo periodico di pensione in alternativa al pagamento dell'ordinario integrale rateo periodico di pensione) e che è su base volontaria (nel senso che è il pensionato che valuta la convenienza, o meno, di chiedere che una parte della pensione spettante gli sia versata in quota capitale)".
Infatti, "con l'art. 2, comma 503, della legge finanziaria del 2008 il legislatore è intervenuto in un contesto nel quale, in un primo momento (legge 31 ottobre 1988 n. 480), il beneficio di cui all'art. 34 cit. era stato "bloccato" escludendo i nuovi iscritti al Fondo dalla fruibilità dello stesso, e, successivamente, a partire dal 1 gennaio 2005, il beneficio era venuto meno (il d.l. 5 ottobre 2004, n. 249, art. 1-quater, comma 3, disposizione aggiunta in sede della conversione in L. 3 dicembre 2004, n. 291, aveva infatti sancito l'abrogazione, a decorrere dal 1 gennaio 2005, della L. 13 luglio 1965, n. 859, art. 34)".
In particolare, con l'anzidetta norma retroattiva, si sono volute regolamentare, ora per allora, le modalità di attribuzione di un beneficio - che, al momento dell'emanazione della norma stessa, era stato da tempo eliminato - in tutte le ipotesi in cui lo stesso era stato richiesto dagli aventi diritto, titolari di "vecchi" trattamenti pensionistici, fino al 31 dicembre 2004.
In tal modo, il legislatore - sia pure con una norma dalla "formulazione testuale imperfetta" - è intervenuto proprio per dare una base legale alla autodeterminazione dei coefficienti di capitalizzazione dell'INPS e del Fondo Volo da esso gestito, stabilendo anche che per tali devono intendersi quelli "determinati sulla base dei criteri attuariali specifici per il predetto Fondo".
Se con ciò si è legittimato lo stesso Fondo Volo a valutare, sulla base del proprio bilancio, quali coefficienti di capitalizzazione di quote di pensione fossero compatibili con l'equilibrio i finanziario del Fondo stesso - sulla premessa che esso dovesse assicurare innanzi tutto l'erogazione delle ordinarie pensioni per tutta la vita del pensionato (con reversibilità ai superstiti aventi diritto) e, solo compatibilmente con questo compito principale e in via di ulteriore trattamento di miglior favore e per un periodo di tempo ormai superato, provvedere all'erogazione una tantum quote capitalizzate degli stessi - comunque non si è inciso sulla prevista facoltà per gli assicurati pensionati di scegliere se convertire, o meno, una quota della pensione in capitale.
2.3.4.- Ne consegue che, al fine di escludere qualsiasi violazione del principio di razionalità-equità di cui all'art. 3 Cost. nonché degli arti 36 e 38 Cost., non può non tenersi conto dei seguenti elementi, risultanti dalla giurisprudenza costituzionale:
1) ai fini del principio di uguaglianza, di regola, il fluire del tempo è, di per sé, un elemento idoneo a giustificare diversità di discipline anche pensionistiche (vedi, per tutte: Corte cost. sentenza n. 208 del 2014; n. 197 del 2010);
2) una norma retroattiva, anche in materia previdenziale, non può considerarsi irragionevole se “risulta rispondente ad una esigenza di ordine sistematico imposta proprio dalle vicende che hanno segnato la sua applicazione” (vedi, per tutte: Corte cost. sentenze n. 227 del 2014; n. 1 del 2011; n. 74 del 2008);
3) "l'art. 38 Cost. non esclude la possibilità di un intervento legislativo che, per una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica, riduca in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante" (sentenze n. 361 del 1996; n. 240 del 1994 e 822 del 1988);
4) conseguentemente, il legislatore può, a maggior ragione, anche con norma avente effetti retroattivi, “modificare in modo sfavorevole, in vista del raggiungimento di finalità perequative, la disciplina di determinati trattamenti economici con esiti privilegiati senza per questo violare l'affidamento nella sicurezza giuridica” (vedi, per tutte: Corte cost, sentenze n. 227 del 2014 cit.; n. 282 del 2005; n. 6 del 1994), sempre che il suddetto intervento possa dirsi non irragionevole;
5) è da escludere una siffatta irragionevolezza, laddove l'assetto recato dalla norma retroattiva - che abbia "salvaguardato i trattamenti di miglior favore già definiti in sede di contenzioso, con ciò garantendo non solo la sfera del giudicato, ma anche il legittimo affidamento che su tali trattamenti poteva dirsi ingenerato" (sentenza n. 74 del 2008) - sia finalizzato anche al complessivo riequilibrio delle risorse, che non può, non comportare la dovuta attenzione alle esigenze di bilancio, tanto più a fronte di trattamenti privilegiati, quale è quello di cui si tratta nel presente giudizio (vedi, per tutte, Corte cost., sentenze n. 172 del 2008);
6) del resto, gli effetti di disposizioni del tipo considerato "ricadono nell'ambito di un sistema previdenziale tendente alla corrispondenza tra le risorse disponibili e le prestazioni erogate, anche in ossequio al vincolo imposto dall'articolo 81, quarto comma, della Costituzione ed assicurano la razionalità complessiva del sistema stesso (sent. n. 172 del 2008), impedendo alterazioni della disponibilità economica a svantaggio di alcuni contribuenti ed a vantaggio di altri, e così garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà, che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali" (vedi, per tutte: Corte cost. sentenza n. 264 del 2012 e, nello stesso senso: sentenza n. 376 del 2008);
7) ancorché sia ravvisabile una analogia funzionale delle prestazioni previdenziali con i crediti di lavoro (vedi: sentenza n. 156 del 1991), tuttavia tra le due suddette categorie di crediti vi è diversità strutturale, con la conseguente non applicabilità diretta dell'art. 36 Cost. ai crediti di pensione, essendo ad essi tale norma riferibile solo in direttamente, "per il tramite e nella misura dell'ari. 38", nel senso che, avendo la pensione una funzione sostitutiva di un reddito di lavoro cessato, il detto requisito richiama l'art. 36 come referente per la determinazione delle esigenze di vita ivi menzionate. Tuttavia, la commisurazione del trattamento pensionistico incontra un limite nel necessario contemperamento della tutela del pensionato con le disponibilità del bilancio pubblico, a carico del quale è finanziato in buona parte il sistema previdenziale (vedi, per tutte: sentenze n. 361 del 1996; n. 196 del 1993; n. 119 del 1991 e n. 220 del 1988), che, come si è detto, può giustificare interventi legislativi volti a ridurre in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante, per una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica.
2.3.5.- Nella specie, come risulta da Cass. SU n. 11907 del 2014:
a) il regime pensionistico su cui è intervenuta la norma retroattiva in oggetto era un regime di favore rispetto a quello ordinario;
b) la norma stessa non ha inciso su situazioni giuridiche definitivamente acquisite, non ravvisabili in mancanza di una consolidata giurisprudenza al riguardo, e comunque ha lasciato inalterata la possibilità per il singolo pensionato di conoscere i coefficienti di capitalizzazione di fatto "in uso" presso il Fondo Volo e "scegliere se avere l'intero trattamento pensionistico erogato nei modi ordinari, più favorevole del trattamento in regime di a.g.o. (assicurazione generale obbligatoria) perché comprensivo del trattamento integrativo, ovvero convertire una quota dello stesso, non superiore al differenziale rispetto al trattamento in a.g.o., per ricevere immediatamente una somma capitale e per il resto un minor trattamento pensionistico, comunque non inferiore a quello spettante nell'ordinario regime dell'assicurazione obbligatoria";
c) la norma medesima - nonostante il testo letterale poco felice - è stata dettata per la finalità inequivoca di razionalizzare e rende chiara la disciplina della materia, onde superare la preesistente situazione di oggettiva incertezza interpretativa evidenziata, in modo emblematico, dai plurimi discordanti interventi in materia delle Sezioni unite, dando base legale alla autodeterminazione dei coefficienti di capitalizzazione.
2.3.6.- Va, inoltre, ricordato che, per la Corte di Strasburgo, nella nozione di “beni” richiamata nella prima parte dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione può farsi rientrare anche la "aspettativa legittima" di poter continuare a godere di un bene, solo a condizione che poggi su una “base sufficiente nel diritto interno”, ad esempio quando è confermata da una consolidata giurisprudenza o quando è fondata su una disposizione legislativa o su un atto legale riguardante l'interesse patrimoniale in questione (vedi, per tutte, sentenze Depalle c. Francia, Grande Camera, 29 marzo 2010; Saghinadze e altri c. Geòrgia, 27 maggio 2010; Maurice c. Francia, Grande Camera, 6 ottobre 2005). Mentre "la speranza di vedersi riconoscere un diritto di proprietà che si è nell'impossibilità di esercitare effettivamente non può essere considerata un “bene” ai sensi dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione" (vedi, per tutte: Vilho Eskelinen e altri c. Finlandia, Grande Camera, 19 aprile 2007, relativa ad una indennità di trasferta, già contrattualmente riconosciuta a funzionari pubblici svolgenti servizio di polizia, e poi soppressa dalla contrattazione collettiva sopravvenuta).
2.3.7.- In sintesi, sotto nessuno dei profili prospettati dai ricorrenti, si ravvisano contrasti della normativa in oggetto con i citati parametri costituzionali e con le norme interposte richiamate, per la principale ragione del carattere di favore del regime pensionistico di cui si tratta, oltre che per la possibilità di scelta riservata agli interessati e per la finalità razionalizzatrice della normativa retroattiva in oggetto, quale posta in luce dalle Sezioni unite nella recente sentenza n. 11907 del 2014.
III - Sintesi dei motivi dei ricorsi degli assicurati pensionati.
3 - I suindicati ricorsi, di uguale contenuto, sono articolati in due motivi, con i quali si denunciano.
1) in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 34 della legge 13 luglio 1965, n. 859 e del r.d. n. 1403 del 1922 (primo motivo);
2) in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 34 della legge 13 luglio 1965, n. 859, in relazione al d.m. 20 febbraio 2003 e al comma 503 dell'art. 2 della legge n. 244 del 2007 (secondo motivo).
Si rileva, preliminarmente, che la Corte d'appello ha respinto le domande dei ricorrenti, adeguandosi alla sentenza delle Sezioni unite n. 22157 del 2009, dopo che Cass. 23 marzo 2007, n. 7132 e Cass. 2 settembre 2008, n. 22049 avevano deciso che alle domande presentate anteriormente al 1 luglio 1997, agli iscritti al Fondo speciale di previdenza per il personale di volo dipendente da aziende di navigazione aerea, titolari di pensione avente decorrenza anteriore al 1 luglio 1997, fossero applicabili, per la liquidazione in somma capitale di una quota della pensione, i coefficienti di capitalizzazione stabiliti dal d.m. 19 febbraio 1981, in attuazione dell'art. 13, sesto comma, legge n.1338 del 1962.
Ciò posto, gli assicurati pensionati, nei loro ricorsi, contestano, con plurimi argomenti, la utilizzabilità, nei propri confronti, dei coefficienti previsti dal r.d. n. 1403 del 1922, disposta dalla pronuncia n. 22157 cit. delle Sezioni unite, e precisano che (con riferimento ad una controversia analoga alla presente n.d.r.) è stato proposto ricorso per revocazione avverso la citata sentenza n. 22157 del 2009 delle Sezioni unite, a causa della mancata considerazione della pregressa abrogazione della norma ivi applicata.
I ricorrenti precisano che quando l'INPS richiede la creazione di una riserva matematica in previsione di una rendita futura calcola la somma necessaria a compensare i futuri esborsi, quando, invece, liquida in capitale una quota di pensione non fa altro che calcolare la somma che, pagata in capitalizzazione, dovrebbe compensare la rendita che deriva, in suo favore, dall'avvenuta rinuncia del pensionato ad una quota della pensione. La differenza è solamente data dal fatto che, in un caso, il calcolo è fatto in uscita e nell'altro in entrata, ma si tratta di situazioni analoghe.
Si sostiene, inoltre, che l'art. 2, comma 503, della legge n. 244 del 2007 non può considerarsi come norma di interpretazione autentica del citato art. 34 e, pertanto, non può avere efficacia retroattiva. Detta disposizione, essendo innovativa, risulterebbe di impossibile applicazione visto che, a partire da gennaio 2005, la facoltà di capitalizzazione è stata soppressa.
Si aggiunge che da Cass. n. 7132 del 2007 si desumerebbe che le tariffe in argomento devono essere obbligatoriamente sottoposte all'approvazione ministeriale.
4.- Nelle memorie depositate in prossimità dell'odierna udienza i ricorrenti aggiungono che l'art. 2, comma 503, cit., come interpretato dalle Sezioni unite nella sopravvenuta sentenza n. 11907 del 2014, comporta un radicale mutamento della originaria ratio dell'art. 34 cit., che non era "quella di privilegiare gli iscritti al Fondo Volo che hanno capitalizzato quota parte della loro pensione, bensì quella di fornire a tutti i pensionati una corretta prestazione pensionistica, basata su modalità di calcolo omogenee, che non fosse né superiore né inferiore a quella di tutti gli altri pensionati che non hanno capitalizzato, Fondo Volo o AGO che siano".
Conseguentemente, per effetto della criticata interpretazione, la norma darebbe luogo ad una ingiusta discriminazione in danno degli iscritti al Fondo Volo che hanno capitalizzato, rispetto a tutti gli altri pensionati.
Per tali ragioni, il risultato esegetico cui sono pervenute le Sezioni unite nella recente sentenza richiamata si porrebbe in contrasto con gli artt. 11 e 12 delle Preleggi, non potendo rappresentare una delle possibili "varianti di senso" del citato art. 34.
IV - Sintesi dei ricorsi incidentali dell'INPS.
5.- Con l'identico motivo dei ricorsi incidentali l'INPS denuncia, in riferimento all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47, come sostituito dal al DX. n. 384 del 1992, art. 4 convcrtito dalla L. n. 438 del 1992, e del D.L. n. 103 del 1991, art. 6 convcrtito dalla L. n. 166 del 1991.
L'Istituto rileva che la sentenza impugnata ha respinto le proprie eccezioni di decadenza, aderendo al prevalente orientamento di questa Corte, consolidatosi con la pronuncia delle Sezioni unite 29 maggio 2009 n. 12720 - che conferma le tesi della precedente Cass. Sez. un. n. 6491 del 1996 - in base al quale la decadenza in argomento non trova applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia intesa non già al riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo all'adeguamento della prestazione già ottenuta, perché riconosciuta solo in parte e liquidata in un importo inferiore a quello dovuto.
Tuttavia la questione dei limiti di applicabilità della decadenza in oggetto è stata nuovamente portata al vaglio delle Sezioni unite con le ordinanze interlocutorie n. 1069, n. 1070, n. 1071 del 18 gennaio 2011.
L'Istituto, quindi, riproduce il testo dell'ultima delle anzidette ordinanze, cui dichiara di aderire, con molteplici argomentazioni.
V - Esame dei ricorsi degli assicurati pensionati.
6.- Ritiene il Collegio che i ricorsi degli assicurati pensionati - fondati su una erronea ricostruzione del quadro normativo di riferimento, nonché del contenuto decisorio della recente sentenza delle Sezioni unite 28 maggio 2014, n. 11907, come risulta da quanto si è detto sopra (spec. al paragrafo 2.3) - debbano essere rigettati per manifesta infondatezza delle censure in essi poste, quale si desume appunto dalla suddetta sentenza delle Sezioni unite n. 11907, nella quale è stato affermato il seguente principio di diritto:
"Ai fini della liquidazione di una quota di pensione in capitale, prevista dalla L. n. 859 del 1965, art. 34, a favore dei pensionati iscritti al Fondo di previdenza per il personale di volo dipendente da aziende di navigazione aerea, istituito presso l'INPS, devono essere utilizzati, per i trattamenti pensionistici con decorrenza dal 1 gennaio 1980, a norma della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 503, (legge finanziaria 2008) - quale norma di sanatoria dell'autodeterminazione, ad opera dell'INPS e del Fondo volo, dei coefficienti di capitalizzazione della prevista quota di pensione spettante agli iscritti al Fondo - non solo i coefficienti di capitalizzazione approvati dal Consiglio di Amministrazione dell'INPS con deliberazione n. 302 del 4 agosto 2005, pur senza il parere del "Comitato amministratore", ma anche i coefficienti di capitalizzazione determinati in sede di elaborazione del bilancio tecnico del Fondo volo ed approvati dal Comitato di vigilanza del Fondo con deliberazione 8 marzo 1988 in quanto comunque recepiti nella successiva menzionata delibera del Consiglio di Amministrazione dell'INPS, dovendosi conseguentemente escludere dal novero dei "coefficienti di capitalizzazione in uso", richiamati dall'art. 34, i coefficienti previsti per il calcolo della riserva matematica di cui alla L. n. 1338 del 1962, art. 13, comma 6, come pure quelli previsti delle tabelle allegate al R.D. 9 ottobre 1922 n. 1403, recante le tariffe per la costituzione delle rendite vitalizie immediate e differite presso quella che all'epoca era la Cassa nazionale per le assicurazioni sociali".
Di conseguenza, la motivazione della sentenza impugnata, che ha applicato la soluzione adottata dalla Sezioni unite con le citate sentenze del 2009, deve essere corretta, ex art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., nel senso dell'applicazione alla presente fattispecie del suindicato principio di diritto.
VI - Esame dei ricorsi incidentali dell'INPS.
7.- Anche il motivo di cui ai ricorsi incidentali dell'INPS, relativo alla violazione del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47, comma 3 e s.m., appare manifestamente infondato avuto riguardo al prevalente orientamento di questa Corte, consolidatosi con la pronuncia delle Sezioni unite 29 maggio 2009 n. 12720 - che conferma le tesi della precedente Cass. SU n. 6491 del 1996 - in base al quale la decadenza di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, al D.L. n. 103 del 1991, art. 6 convertito dalla L. n. 166 del 1991 e al D.L. n. 384 del 1992, art. 4 convertito dalla L. n. 438 del 1992, non trova applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia intesa non già al riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo all'adeguamento della prestazione già ottenuta, perché riconosciuta solo in parte e liquidata in un importo inferiore a quello dovuto.
La correttezza della ricostruzione del quadro normativo di riferimento nei termini sopra richiamati, risulta indirettamente avvalorata dal D.L. n. 98 del 2011, art. 38, comma 1, lett. d) convertito in L. n. 111 del 2011, intervenuto tra l'ordinanza interlocutoria di rimessione alle SU n. 1071 del 2011 (citata dall'INPS) e la data dell'udienza avanti a queste ultime, determinando la restituzione degli atti dalle Sezioni unite alla Sezione lavoro, in considerazione della necessità di valutare la persistenza del proposito di investire della questione le Sezioni unite, alla luce della valutazione della eventuale incidenza delle norme di legge citate sulla interpretazione del l'art. 47, vigente prima di essa.
7.1.- Pertanto, in numerose pronunce successive questa Corte (vedi Cass. n. 6959 del 2012 e numerose successive conformi, da ultimo Cass. n. 14964 del 2014) ha interpretato la anzidetta norma sopravvenuta nei sensi di cui al seguente principio di diritto: "In tema di decadenza delle azioni giudiziarie volte ad ottenere la riliquidazione di una prestazione parzialmente riconosciuta, la novella del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 38, lett. d, conv. in L. n. 111 del 2011 - che prevede l'applicazione del termine decadenziale di cui al D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 anche alle azioni aventi ad oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito - detta una disciplina innovativa con efficacia retroattiva limitata ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, con la conseguenza che, ove la nuova disciplina non trovi applicazione, come nel caso di giudizi pendenti in appello, o in cassazione alla data predetta, vale il generale principio dell'inapplicabilità del termine decadenziale".
In tali pronunce è stato anche sottolineato come, la nuova disciplina, esprimendo il proposito del legislatore di modificare in materia, con una limitata efficacia retroattiva, la regola preesistente, quale consolidatasi per effetto di Cass. SU 29 maggio 2009 n. 12720, abbia indirettamente confermato la corrispondenza di quest'ultima all'originario contenuto dell'art. 47, nel testo vigente fino alla novella del 2011, pervenendosi alla conclusione della inapplicabilità del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 prima delle integrazioni apportate del D.L. n. 98 del 2011, art. 38 al caso di richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali solo parzialmente riconosciute e liquidate dall'ente previdenziale.
7.2.- Nella decisioni più recenti (vedi, per tutte: Cass. 1 luglio 2014, n. 14964 cit.) è stato anche rilevato che la Corte costituzionale, con sentenza n. 69 del 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato art. 38, comma 4, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, per violazione dell'art. 3 Cost., "nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui al comma 1, lettera d), si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente decreto".
7.3.- Nella suddetta sentenza la Corte costituzionale ha precisato che ciò che cagiona un vulnus al principio dell'affidamento non è "la diversa e più articolata fissazione dei termini, per la richiesta di prestazioni previdenziali accessorie o di ratei arretrati, prevista dal legislatore del 2011, bensì unicamente il fatto che i termini, di decadenza e prescrizione, all'uopo stabiliti nella più volte richiamata lettera d) del comma 1 dell'art. 38, sia resa retroattivamente applicabile anche ai giudizi pendenti in primo grado, dal successivo comma 4 dello stesso art. 38 del d.l. n. 98 del 2011".
In particolare, il Giudice delle leggi ha ricordato i propri costanti orientamenti secondo cui: 1) l'efficacia retroattiva della legge trova, in particolare, un limite nel “principio dell'affidamento dei consociati nella certezza dell'ordinamento giuridico”, il mancato rispetto del quale si risolve in irragionevolezza e comporta, di conseguenza, l'illegittimità della norma retroattiva (sentenze n. 170 e n. 103 del 2013, n. 271 e n. 71 del 2011, n. 236 e n. 206 del 2009, per tutte), come già si è rilevato sopra a contrario; 2) il principio dell'affidamento trova applicazione anche in materia processuale e risulta violato a fronte di soluzioni interpretative, o comunque retroattive, adottate dal legislatore rispetto a quelle affermatesi nella prassi (sentenze n. 525 del 2000 e n. 111 del 1998); 3) in riferimento, in particolare, a disposizioni processuali sui termini dell'azione, è da escludere che l'istituto della decadenza tolleri, per sua natura, applicazioni retroattive, “non potendo logicamente configurarsi una ipotesi di estinzione del diritto [...] per mancato esercizio da parte del titolare in assenza di una previa determinazione del termine entro il quale il diritto [...] debba essere esercitato” (sentenza n. 191 del 2005).
La Corte costituzionale ha quindi sottolineato che, nella specie, tali principi non sono stati rispettati, perché la disposizione in oggetto ha previsto "che il diritto ad accessori o ratei arretrati di già riconosciute prestazioni pensionistiche - diritto il cui titolare confidava, sulla base della pregressa consolidata giurisprudenza, essere unicamente soggetto alla prescrizione decennale - si estingua (in assenza di una già ottenuta decisione di primo grado), ove la domanda - di accessori o di ratei arretrati - non risulti, rispettivamente, proposta nel più ridotto termine triennale di decadenza od in quello quinquennale di prescrizione".
7.4.- La Corte d'appello di Roma, nella sentenza attualmente impugnata, confermando la l'infondatezza delle eccezioni di decadenza proposte dall'INPS sulla base del principio affermato da Cass. SU 29 maggio 2009, n. 12720, a sua volta indirettamente confermato dal successivo art. 38 del d.l. n. 98 del 2011 cit., nel testo risultante dalla sentenza di accoglimento della Corte costituzionale n. 69 del 2014, non è meritevole di alcuna delle censure avanzate nei ricorsi incidentali dell'INPS.
V – Conclusioni.
8.- In sintesi, tutti i ricorsi riuniti devono essere respinti e, in considerazione della complessità della fattispecie e delle oscillazioni giurisprudenziali che si sono verificate, si ritiene conforme a giustizia compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa, tra le parti, le spese del presente giudizio di cassazione.
01-11-2014 21:45
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