La scelta del lavoratore dell’indennità sostitutiva estingue il rapporto di lavoro e il diritto alle retribuzioni.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 7 ottobre – 26 novembre 2015, n. 24195
Presidente Curzio – Relatore Arienzo
Fatto e diritto
La causa è stata chiamata all'adunanza in camera di consiglio del 7 ottobre 2015, ai sensi dell'art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione, redatta a norma dell'art. 380 bis c.p.c.:
"Con sentenza del 13.12.2012, la Corte di Appello di Roma rigettava il gravame proposto da D.N.L. avverso la sentenza di primo grado che, in accoglimento dell'opposizione della società Rete Ferroviaria s.p.a., aveva revocato il decreto ingiuntivo ottenuto dal lavoratore in relazione alle somme ed accessori spettanti a titolo di retribuzioni maturate e non corrisposte nell'intervallo di tempo intercorso tra la data in cui aveva esercitato l'opzione in favore dell'indennità sostituiva della reintegra di cui all'art. 18, comma 5, l. 300/70 ed il momento in cui l'indennità suddetta era stata pagata. La Corte del merito richiamava a fondamento della decisione precedente di legittimità in cui, modificandosi precedente orientamento, era stato affermato che, esercitando la facoltà di scelta, il lavoratore rinunciava alla prestazione alternativa ed alla continuazione del rapporto, onde il danno per la mancata successiva continuazione del suo svolgimento non era configurabile.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il D.N. , affidando l'impugnazione ad unico motivo, cui resiste, con controricorso, la società.
Viene denunziata, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 18, commi 4 e 5, anche in combinato disposto tra loro, della legge n. 300/70, osservandosi che l'orientamento seguito dalla Corte di appello nella sentenza impugnata si pone in aperto contrasto con quanto stabilito in maniera univoca dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui il danno da risarcire in caso di licenziamento illegittimo e di esercizio del diritto di opzione va commisurato alle retribuzioni che sarebbero maturate fino al giorno del pagamento dell'indennità sostitutiva e non fino alla data in cui il lavoratore ha operato la scelta. Richiama all'uopo Cass. 24199/2009, Cass. 6342/2009, e più di recente Cass. 384172012 e Cass. 15519/2012.
Osserva in conformità a quanto chiarito nelle richiamate decisioni che il principio di effettività dei rimedi giurisdizionali, espressione dell'art. 24 Cost., induce a ritenere che il risarcimento del danno sopportato per ritardato percepimento dell'indennità sostitutiva ex art. 18 l. 300/70 deve ridurre il più possibile il pregiudizio subito dal lavoratore e, in corrispondenza, distogliere il datore di lavoro dall'inadempimento o dal ritardo nell'adempiere l'obbligo indennitario, onde l'ammontare del risarcimento da ritardo deve essere pari alle retribuzioni perdute, fino a che il lavorator. Sostiene che le effettive finalità di ristori del danno presente e futuro a carico del creditore e di dissuasione del debitore a persistere nell'inadempimento non solo sottraggano la materia al principio nominalistico proprio dei crediti di valuta ed all'onere della prova gravante sul creditore ai sensi dell'art. 1224 c.c., ma che, quando non si tratti di debiti di lavoro in senso stretto (crediti retributivi), impongono al giudice di adeguare il risarcimento all'entità del danno anche attraverso lo strumento equitativo, non venga effettivamente soddisfatto.
La questione all'esame riguarda specificamente le conseguenze economiche connesse al ritardo da parte del datore di lavoro nel pagamento dell'indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ed impone di valutare preventivamente l'ulteriore questione relativa alla possibilità, in base ad una corretta ricostruzione giuridica dell'istituto, di ritenere o meno che, una volta effettuata l'opzione, il rapporto di lavoro possa essere ricostituito, e di considerare se la prima di esse debba essere risolta in stretta connessione con la seconda ovvero anche in modo indipendente dalla stessa.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 81 del 1992, ha affermato come più congrua l'interpretazione che ravvisa nella norma impugnata (art. 18, comma 5 l. 300/70) un'obbligazione con facoltà alternativa dal lato del creditore. Ha ritenuto corretta una ricostruzione in virtù della quale, anziché la prestazione dovuta in via principale, cioè la reintegrazione nel posto di lavoro, il creditore ha facoltà di pretendere una prestazione diversa di natura pecuniaria, che è dovuta solo in quanto dichiari di preferirla, e il cui adempimento produce, insieme con l'estinzione dell'obbligazione di reintegrare il lavoratore nel posto, la cessazione del rapporto di lavoro per sopravvenuta mancanza dello scopo. Il rapporto non cessa per effetto della dichiarazione di scelta del lavoratore, come si dovrebbe pensare se essa avesse la valenza di dichiarazione di recesso, bensì solo al momento e per effetto del pagamento dell'indennità sostitutiva (cfr. C. Cost. cit.). Tuttavia, la giurisprudenza di questa Corte, successiva a quella che inizialmente aveva condiviso una tale impostazione (v. Cass. 6.3.2003 n. 3380, Cass. 28.7.2003 n. 11609, Cass. 16.3.2009 n. 6342), ha ritenuto che fossero da precisare o da modificare le "rationes" delle sentenze sopra citate, da condividere nel "decisum", ma affermando che "non è dubbio che la scelta dell'indennità sostitutiva da parte del lavoratore sia irrevocabile e che il rapporto di lavoro non possa perciò essere ricostituito" (cfr., tra le altre, Cass. 30.11.2009 n. 25233). Ed in tal senso ha dichiarato di condividere anche precedente pronunzia della S. C. del 17.2.2009 n. 3775, resa in fattispecie in cui il lavoratore, dopo avere scelto l'indennità sostitutiva, pretendeva il ripristino del rapporto fino al sessantacinquesimo anno di età. Ha, però, comunque riaffermato il principio secondo il quale l'ammontare del risarcimento del danno da ritardo deve essere pari alle retribuzioni perdute, fino a che il lavoratore non venga effettivamente soddisfatto.
Nella pronunzia n. 25233/2009 richiamata, superandosi lo schema della obbligazione con facoltà alternativa, ipotesi sulla cui configurabilità erano sussistenti dubbi quando la scelta spettasse al creditore, è stato ritenuto che nella facoltà di scelta operata dal lavoratore sia preferibile ravvisare una dichiarazione di volontà negoziale dei lavoratore, i cui effetti sono sottoposti al termine dell'effettivo ricevimento dell'indennità.
E sul piano delle conseguenze, la giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che, nei caso di scelta, da parte del lavoratore illegittimamente licenziato, dell'indennità sostitutiva della reintegrazione ai sensi dell'art. 18, comma 5, della legge cit., fino all'effettivo pagamento dell'indennità, il datore è obbligato a pagare le retribuzioni globali di fatto (Cass. 6 marzo 2003 n. 3380, 28 luglio 2003 n. 11609, 16 marzo 2009 n. 6342 e, da ultimo Cass. 13.10.2011 n. 21044, nonché Cass. 21267/2011). Il sistema dell'art. 18 cit. - come ancora puntualizzato da questa Corte (v. Cass. 16 novembre 2009 n. 24199) - si fonda sul principio di effettiva realizzazione dell'interesse del lavoratore a non subire, o a subire al minimo, i pregiudizi conseguenti al licenziamento illegittimo, principio che la pronunzia n. 6342 del 2009 definisce "di effettività dei rimedi" e che impedisce al datore di lavoro di tardare nel pagamento dell'indennità in questione assoggettandosi al solo pagamento di rivalutazione e interessi ex art. 429 c.p.c.. Questo essendo il quadro giurisprudenziale delineatosi in merito alla questione in esame, ritiene il Collegio che dopo l'esercizio del diritto di opzione - diritto potestativo - la reintegrazione, in virtù della scelta irrevocabilmente effettuata dal lavoratore, divenga inesigibile e che di conseguenza, rispetto ad una prestazione inesigibile non sia configurabile un inadempimento del datore che genera le conseguenze risarcitorie ispirate alla continuità giuridica del vincolo. Come sopra evidenziato, tale continuità è sicuramente da escludere ove la facoltà di opzione sia stata irrevocabilmente espressa e ciò risulta coerente con la previsione di una somma forfettizzata che cristallizza l'obbligo residuale del datore di lavoro, non più riferito alla reintegrazione, obbligo, quest'ultimo, rispetto al quale soltanto, proprio a conferma della diversità strutturale delle situazioni, il datore di lavoro che contesti la richiesta risarcitoria pervenutagli dal lavoratore è facultato, con l'ausilio di presunzioni semplici, alla prova deIHaliunde perceptum" o dell'"aliunde percipiendum".
Conclusioni queste che trovano un supporto decisivo in alcune considerazioni di carattere generale.
Ed infatti, con riferimento alla peculiare disciplina in tema di licenziamento illegittimo, ed in particolare a quella relativa alla indennità sostitutiva in esame, non sembra consentito un approccio ermeneutico che, in un ottica civilistica, si esaurisca nella scelta di assoggettare la suddetta indennità o alla normativa dell'obbligazione facoltativa o a quella dell'obbligazione alternativa; istituti intorno ai quali, come è noto, si è, in buona misura, incentrato il dibattito in dottrina ed in giurisprudenza pure in relazione alle ricadute in termini risarcitori derivanti dalla scelta della indennità ex art. 18, comma quinto, della legge 20 maggio 1970 n. 300.
A tale riguardo, vanno in primo luogo e su un piano generale rimarcati - in linea con quanto a più riprese sostenuto dalla dottrina acontrattualistica del rapporto di lavoro - sia la non permeabilità agli schemi civilistici di una rapporto - come quello in esame - che vede coinvolta la "persona" di chi fornisce l'attività lavorativa, sia l'ingiustificato irrigidimento in una normativa di generale portata, di specifici istituti che, per essere funzionalizzati a soddisfare peculiari esigenze riscontabili soltanto in ambito giuslavoristico, sono alla base di norme speciali e nello stesso esaustive delle diverse problematiche ricollegabili all'esercizio dei diritti scaturenti dal suddetto rapporto. Ed infatti, una qualificazione dell'obbligazione scaturente dall'esercizio del suddetto diritto di opzione in termini di obbligazione facoltativa o alternativa, ai fini di una estensione automatica e completa di tutta la relativa disciplina, fa sorgere qualche riserva in relazione ad una normativa codicistica - di cui alla sezione II del capo VII (artt. 1285 - 1291 c.c.) - che, per essere parametrata in via generale su obbligazioni aventi portata patrimoniale, non si presta ad essere automaticamente ed integralmente estesa ad un rapporto avente ad oggetto anche obbligazioni di natura valoriale. Per di più una soluzione diversa da quella in questa sede patrocinata finisce per dimostrarsi priva di effettiva utilità, dal momento che, per il chiaro tenore della disposizione di cui al comma 5 dell'art. 18 citato, la sola interpretazione letterale fornisce la soluzione per tutte le ricadute riscontrabili nella realtà fattuale a seguito dell'effettuata opzione. Al riguardo non può negarsi che con riferimento al lavoratore cui si è riconosciuto il diritto alla reintegra - e che dopo tale riconoscimento ha dichiarato di preferire l'indennità sostitutiva - la regolamentazione statutaria contiene, sia per quanto attiene alla fase precedente, che a quella successiva all'esercizio del diritto di opzione, una regolamentazione completa che può ritenersi - seppure con una epitome - articolata nei seguenti momenti : per il tempo antecedente all'esercizio del diritto di opzione il risarcimento dei danni a favore del lavoratore illegittimamente licenziato va liquidato alla stregua delle regole dettate dal precedente comma 4 dell'art. 18; l'esercizio del diritto potestativo di opzione porta - allo spirare dei termini di cui alla parte finale del comma 5 della norma statutaria - la risoluzione del rapporto lavorativo; per il periodo successivo a tale momento il mancato pagamento della indennità sostitutiva non è risarcibile alla stregua delle regole di cui al comma 4 dell'art. 18, non più evocabili in ragione della verificatasi risoluzione del rapporto, per cui costituiscono corollari dell'estinzione del rapporto lavorativo l'applicazione in materia risarcitoria dei generali principi codicistici dettati in tema di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie e l'indifferenza - ai fini parametrici del risarcimento del danno - della normativa sulla retribuzione soprattutto se contenuta nel contratto stipulato successivamente alla risoluzione del rapporto; e ciò in linea con quanto statuito da questa Corte di cassazione con la già citata sentenza n. 3775 del 2009.
Consegue, pertanto, da quanto sinora detto che, una volta esercitata l'opzione, il rapporto di lavoro non può essere più ricostituito sicché, non potendo configurarsi una lesione della posizione del lavoratore per effetto della perdurante cessazione del vincolo, lo speciale rimedio risarcitorio disciplinato dal comma quarto dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 non può trovare applicazione in ragione della sopravvenuta impossibilità di ricostituzione del rapporto lavorativo, impossibilità che determina il conseguente venir meno di ogni obbligo retribuivo da parte del datore di lavoro.
Il principio di diritto enunciato nella pronunzia di questa Corte 20.9.2012 n. 15869 è quello secondo cui, per il periodo antecedente all'esercizio del diritto di opzione, il risarcimento dei danni va liquidato alla stregua delle regole dettate dal precedente comma 4 dell'art. 18 e l'esercizio del diritto di opzione determina la risoluzione del rapporto lavorativo; per il periodo successivo a tale momento, il mancato pagamento della indennità sostitutiva non è risarcibile alla stregua delle regole di cui al comma 4 dell'art. 18, dovendo in seguito alla risoluzione definitiva del rapporto lavorativo trovare applicazione i principi codicistici dettati in tema di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, con la assoluta indifferenza - ai fini parametrici del risarcimento del danno - della retribuzione globale in precedenza riconosciuta al lavoratore (cfr. Cass. cit.). L'enunciato principio ha avuto il conforto della recente decisione delle S.U., che risolvendo il contrasto delineatosi in relazione a difformi orientamenti, con pronuncia 27.8.2014 n. 18353 ha ribadito che "in caso di licenziamento illegittimo, ove il lavoratore, nel regime della cosiddetta tutela reale (nella specie, quello, applicabile "ratione temporis", previsto dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo anteriore alle modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92), opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dall'ari 18, quinto comma, cit., il rapporto di lavoro, con la comunicazione al datore di lavoro di tale scelta, si estingue senza che debba intervenire il pagamento dell'indennità stessa e senza che permanga - per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro - alcun obbligo retribuivo", con la conseguenza che "l'obbligo avente ad oggetto il pagamento della suddetta indennità è soggetto alla disciplina della "mora debendi" in caso di inadempimento, o ritardo nell'adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, con applicazione dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore". In tale pronunzia si è dato risalto anche alla valenza confermativa di tale opzione interpretativa assunta dal terzo comma dell'art. 18 novellato dalla L. n. 92 del 2012.
Per tutto quanto sopra considerato, si propone, ex art. 375 cod. proc. civ., n. 5, il rigetto del ricorso".
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.
Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto, sul rigetto dello stesso.
Si ritiene che sussistano valide ragioni per compensare per intero le spese del presente giudizio, attesa l'esistenza dell'evidenziato contrasto giurisprudenziale, composto solo dal recente intervento delle S.U., successivo al presente ricorso per cassazione. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, dei d.P.R. n. 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
29-11-2015 15:14
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