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Sentenza

La quantificazione del danno da premorienza....
La quantificazione del danno da premorienza.
Tribunale Milano sez. X, 16/11/2022, (ud. 15/11/2022, dep. 16/11/2022), n.9042
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

DECIMA CIVILE

N. R.G. 45248/2018

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Damiano Spera ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 45248/2018 promossa da:

T.O. (C.F. (omissis)) quale attrice in prosecuzione a seguito del decesso dell'attore originario OLGIATI MARCO (C.F. (omissis)), rappresentata e difesa dall'Avv. Marzio Brazesco.

Domicilio eletto presso lo studio del difensore.

ATTRICE

contro

A. S.P.A. (C.F. (omissis)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Alfredo Francavilla.

Domicilio eletto presso lo studio del difensore.

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.P.A. (C.F. – P. Iva (omissis)) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Alfredo Francavilla. Domicilio eletto presso lo studio del difensore.

A.L.B. ANTONIO LUIGI – CONTUMACE.

CONVENUTI

CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni.

Fatto

Concisa esposizione delle ragioni in fatto e in diritto della decisione

1. Svolgimento del processo.

Con atto di citazione ritualmente notificato, M.O. ha convenuto in giudizio A.L.B., A. S.p.A. (in breve, A.) e UnipolSai S.p.A. (in breve, Unipol), nelle qualità rispettive di conducente, proprietario e assicuratore dell'autocarro Fiat Tg. (omissis), per chiederne la condanna, in via tra loro solidale, al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, asseritamente subiti dall'attore all'esito del sinistro verificatosi il 20.12.2016, alle ore 6.40 circa, in Busto Arsizio, lungo la Via Magenta.

Si sono costituite in giudizio, all'udienza del 22.1.2019, con il patrocinio di un comune difensore, le convenute A. e Unipol, le quali hanno – in primo luogo – ritenuto che la responsabilità del sinistro dovesse essere attribuita, in modo esclusivo o almeno parziale, a M.O., per aver circolato, in orario notturno, senza luci e al centro della carreggiata. Inoltre, hanno svolto specifiche contestazioni sulla quantificazione del danno così come indicato dall'attore nell'atto introduttivo.

All'udienza del 22.1.2019, il G.I. ha dichiarato la contumacia di A.L.B. e ha assegnato i termini ex art. 183, co. 6, c.p.c. alle parti costituite.

All'udienza del 2.10.2019, il G.I. ha ammesso la prova per testi su alcuni capitoli dedotti dall'attore e, contestualmente, ha disposto c.t.u. medico legale sull'attore. In pari data, con ordinanza del G.I., al fascicolo 45248/18 è stato riunito quello con r.g. 57557/18, avente ad oggetto la causa introdotta da Inail contro Unipol al fine di rivalersi su quest'ultima per gli importi versati, a titolo di indennizzo, a M.O.

All'udienza del 5.11.2019 è stato escusso il teste G.O. ed è stato conferito l'incarico di c.t.u. al dott. GE.; la scansione dello svolgimento dell'attività peritale è stata rideterminata, per l'emergenza pandemica, alla successiva udienza del 25.9.2020.

All'udienza del 10.2.2021 è stato disposto un supplemento di perizia, sempre affidato all'ausiliario dell'ufficio.

All'udienza del 15.7.2021, la causa, ritenuta matura per la decisione, è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni al successivo 14.12.2021. Medio tempore, il processo è stato interrotto per il decesso dell'attore, verificatosi il 29.10.2021; con successivo ricorso ex art. 302 c.p.c., T.O. – figlia dell'attore e sua erede universale per testamento – ha richiesto la prosecuzione del processo, con successiva fissazione, da parte del G.I., dell'udienza per il 27.4.2022, sempre per la precisazione delle conclusioni.

A quest'ultima udienza, il G.I., dato atto che nella causa 57557/18 le parti avevano raggiunto un accordo transattivo, ha disposto la separazione delle cause ex art. 103, co. 2, c.p.c. e, per il procedimento in epigrafe, lette le conclusioni delle parti, ha trattenuto la causa in decisione, con assegnazione dei termini ordinari ex art. 190 c.p.c. per il deposito degli scritti conclusionali.

2. Sull'an debeatur

In merito all'an debeatur, si osserva quanto segue.

La dinamica dell'incidente per cui è causa si desume dalla lettura della relazione della Polizia Locale, redatta il medesimo giorno del sinistro (n. prot. 472/2016, doc. 1 attore). Lo svolgimento del sinistro, in assenza di testimoni diretti, si può inferire dalle dichiarazioni che sono state rese da M.O. e da A.L.B. agli operanti intervenuti; i due soggetti, rispettivamente conducenti i veicoli coinvolti, hanno confermato il tamponamento, da tergo, da parte dell'autocarro nei confronti della bicicletta condotta dall'O. ("un autocarro mi tamponava facendomi cadere a terra", M.O.; "mantenendomi distante dal margine destro della carreggiata, non mi accorgevo della presenza davanti a me, spostato sulla destra, di un ciclista senza luci e lo urtavo nella parte posteriore", A.L.B.). L'attore, caduto a terra, è stato trasportato all'ospedale di Busto Arsizio, ove gli è stata diagnosticata la frattura del femore distale sinistro. L'Inail ha successivamente riconosciuto la natura di infortunio in itinere all'evento appena descritto, in quanto M.O. si stava recando sul luogo di lavoro. A causa dell'urto, la bicicletta condotta da M.O. è risultata essere danneggiata in modo irreparabile.

Nella medesima relazione, gli operanti hanno riferito di aver sanzionato A.L.B. per la violazione dell'art. 149 cod. strada, per non aver mantenuto un'adeguata distanza di sicurezza dal veicolo precedente; anche a carico di M.O. è stata ascritta la violazione di una disposizione in tema di circolazione stradale, ovvero l'art. 68, co. 6, cod. strada, per aver circolato a bordo di un velocipede non dotato di apposite luci. Non risulta, peraltro, che le sanzioni irrogate abbiano formato oggetto di impugnazione.

Alla luce del valore che la giurisprudenza attribuisce al rapporto di polizia (cfr., in tema, Cass. 22662/08 e 20025/16), in assenza di alcuna contestazione in merito allo stesso, si può ritenere accertato che il sinistro del 20.12.2016 si sia verificato secondo la dinamica rappresentata nella relazione della Polizia Locale. L'ausiliario del Tribunale, inoltre, ha concluso nel senso che la frattura scomposta del femore destro, quale evento dannoso immediatamente conseguente alla collisione e alla caduta a terra, è causalmente riconducibile al sinistro oggetto di causa.

Se la ricostruzione dell'incidente è così cristallizzata – e in questo modo si conferma l'irrilevanza dell'istruttoria orale sollecitata dall'attore, in quanto gli agenti di Polizia Locale intervenuti sono sopraggiunti soltanto dopo l'evento –, è necessario invece esaminare il profilo legato all'attribuzione soggettiva della responsabilità del sinistro. Mentre parte attrice ritiene che la responsabilità vada integralmente ascritta al conducente dell'autocarro – a maggior ragione per la violazione della disposizione in tema di distanze di sicurezza –, le convenute costituite ritengono al contrario che la causazione del sinistro sia imputabile, in tutto o quantomeno in parte, a M.O., in quanto circolava, in orario notturno, senza che il proprio velocipede fosse dotato delle prescritte luci.

In difetto di ulteriori elementi di prova, è impossibile, nel caso di specie, accertare il grado delle colpe incidenti nella produzione dell'evento dannoso, a fortiori se si considera che entrambi i conducenti dei veicoli coinvolti hanno subito una sanzione amministrativa per la violazione di disposizioni del codice della strada: circostanze dalle quali si desume che i due utenti della strada hanno circolato sulla pubblica via senza prestare pieno e rigoroso ossequio alla disciplina vigente. La circostanza, ampiamente valorizzata negli scritti attorei, per cui il velocipede condotto da M.O. fosse integralmente colorato di bianco non merita alcun apprezzamento, poiché si tratta di un elemento non certo equiparabile all'installazione di appositi strumenti di segnalazione luminosa.

Di conseguenza, in applicazione dell'art. 2054, co. 2, c.c. – disposizione invocabile anche in caso di collisione tra automobile e velocipede (Cass. 10304/09; 31702/18) – deve presumersi l'eguale concorso delle parti a produrre l'evento dannoso, con conseguente riduzione al 50% nella quantificazione dei danni-conseguenza.

3. Sul quantum debeatur

Sulle singole voci di danno di cui l'attrice chiede, quale unica erede del de cuius M.O., il risarcimento, si svolgono le considerazioni che seguono.

3.1. Sul danno non patrimoniale.

3.1.1. Inabilità temporanea.

In merito all'inabilità temporanea patita da M.O., il c.t.u. – il cui elaborato, con il relativo supplemento, merita condivisione, per completezza e logicità, nonché, sotto questo profilo, anche per l'adesione dei c.t.p. – ha stimato una durata complessiva di 164 giorni, di cui 11 giorni al 100%, 50 giorni al 75%, 50 giorni al 50% e 53 giorni al 25%. L'ausiliario, in tema di sofferenza morale nell'inabilità temporanea, ha assegnato uno score di 60/100.

Considerate le circostanze già sottolineate dal c.t.u. – in particolare, le medio-alte rinunce quali- quantitative, la necessità di sottoporsi a un intervento in anestesia generale, la degenza ospedaliera, l'intervento su un distretto corporeo già in passato interessato da altra frattura, l'astensione prolungata dall'hobby del ciclismo amatoriale –, ritenute le stesse espressive di specifiche peculiarità del caso concreto, il Tribunale considera equo innalzare il valore del parametro monetario standard (pari ad Euro 99,00) per il conteggio dell'invalidità temporanea a euro 120,00. L'importo liquidabile per il danno da inabilità temporanea, inclusivo del danno dinamico-relazionale e del danno da sofferenza interiore, considerati tutti i periodi indicati, è così pari a totali euro 10.410,00, di cui euro 7.547,25 per danno dinamico-relazionale ed euro 2.862,75 per danno da sofferenza interiore.

3.1.2. Invalidità permanente

La valutazione che il Tribunale deve compiere in tema di invalidità permanente, di grande rilievo ai fini della monetizzazione del danno, risente di due ordini di valutazioni.

La prima discende dal fatto che, come risulta dalla documentazione di causa e dalla c.t.u., l'attore aveva subito in passato un evento lesivo che aveva comportato l'attribuzione di una percentuale di invalidità permanente. Occorre quindi esaminare la rilevanza di tale condizione sui postumi dell'incidente del 2016.

Il secondo scrutinio, invece, si fonda sulle modalità di quantificazione del danno in caso di premorienza del danneggiato rispetto alla definizione del giudizio (c.d. danno da premorienza).

In tema di c.d. danno differenziale medico-legale.

In merito al primo dei due profili, il Tribunale ritiene che la quantificazione debba essere svolta considerata la percentuale di invalidità permanente (15%) riconosciuta dal c.t.u. per i soli postumi derivanti dal sinistro in esame. In proposito di danno differenziale medico-legale, è necessario ricordare il recente approdo del Supremo Collegio sul punto, cristallizzato in una delle pronunce di San Martino del 2019 (Cass. 28986/19), ove si legge che "o le forzose rinunce patite dalla vittima in conseguenza del fatto illecito sarebbero state identiche, anche se la vittima fosse stata sana prima dell'infortunio; oppure quelle conseguenze dannose sono state amplificate dalla menomazione preesistente. Nel primo caso la menomazione preesistente sarà giuridicamente irrilevante, come già detto. Se, invece, in applicazione del giudizio controfattuale, dovesse concludersi che le conseguenze del fatto illecito, a causa della menomazione pregressa, sono state più penose di quelle che si sarebbero verificate se la vittima fosse stata sana, la preesistenza diviene giuridicamente rilevante. Senza di essa, infatti, il danno ingiusto finale patito dalla vittima sarebbe stato minore".

Elaborando una sorta di modello di lavoro per il giudice del merito, la medesima pronuncia così conclude: "I princìpi di diritto sin qui esposti possono ora riassumersi come segue:

1) lo stato anteriore di salute della vittima di lesioni personali può concausare la lesione, oppure la menomazione che da quella derivata;

2) la concausa di lesioni è giuridicamente irrilevante;

3) la menomazione preesistente può essere concorrente o coesistente col danno maggiore causato dall'illecito;

4) saranno "coesistenti" le menomazioni i cui effetti invalidanti non mutano per il fatto che si presentino sole od associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ai medesimi organi; saranno, invece, "concorrenti" le menomazioni i cui effetti invalidanti sono meno gravi se isolate, e più gravi se associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ad organi diversi;

5) le menomazioni coesistenti sono di norma irrilevanti ai fini della liquidazione; né può valere in ambito di responsabilità civile la regola sorta nell'ambito dell'infortunistica sul lavoro, che abbassa il risarcimento sempre e comunque per i portatori di patologie pregresse;

6) le menomazioni concorrenti vanno di norma tenute in considerazione:

a) stimando in punti percentuali l'invalidità complessiva dell'individuo (risultante, cioè, dalla menomazione preesistente più quella causata dall'illecito), e convertendola in denaro;

b) stimando in punti percentuali l'invalidità teoricamente preesistente all'illecito, e convertendola in denaro; lo stato di validità anteriore al sinistro dovrà essere però considerato pari al 100% in tutti quei casi in cui le patologie pregresse di cui il danneggiato era portatore non gli impedivano di condurre una vita normale;

c) sottraendo l'importo (b) dall'importo (a)".

L'applicazione dell'insegnamento della Suprema Corte al caso di specie, alla luce della netta affermazione da parte del c.t.u. nel proprio supplemento peritale, conduce a ritenere che la precedente invalidità dell'originario attore non abbia avuto incidenza alcuna sui postumi derivanti dal sinistro del 2016.

L'ausiliario, infatti, ha avuto cura di evidenziare che "si può affermare che le forzose rinunce patite dalla vittima in conseguenza del fatto illecito sarebbero state identiche anche se la vittima fosse stata sana prima dell'infortunio e che, inoltre, le minorazioni accertate interessano apparati organo - funzionali diversi (l'uno deputato alla funzione prensile e l'altro a quella dinamica e deambulatoria)", qualificando espressamente le prime menomazioni come coesistenti e non concorrenti rispetto alle seconde, derivanti dall'incidente del 2016 (p. 3, relazione). Il c.t.u. ha messo infatti in luce che le menomazioni patite da M.O. nel 2011 – quelle che avevano comportato il riconoscimento di un'invalidità permanente del 21% – avevano attinto, in realtà, un distretto corporeo del tutto eterogeneo rispetto a quello coinvolto nel 2016 (l'arto superiore sinistro) e quindi non possono ritenersi in alcun modo interferenti con i postumi derivanti dal secondo evento lesivo, che ha interessato l'arto inferiore destro.

In tema di c.d. danno da premorienza.

Occorre ora esaminare la seconda questione, relativa alle modalità di quantificazione del danno c.d. da premorienza (o talvolta c.d. danno "intermittente").

L'attore, infatti, è deceduto il 29.10.2021 per cause indipendenti dalle menomazioni riportate nel sinistro oggetto di causa, prima che il giudizio venisse definito. Questa circostanza produce fondamentali riflessi in tema di monetizzazione del danno liquidabile, iure hereditatis, agli eredi del danneggiato.

L'evoluzione "storica".

In tema di danno da premorienza è necessario premettere alcune fondamentali considerazioni.

Il danno biologico, definito dinamico-relazionale, viene in generale liquidato attraverso tabelle che tengono conto, quale parametro di partenza, dell'età della vittima, ritenendosi che il danno è tanto maggiore quanto minore è l'età di chi lo subisce. Si ritiene che un conto sia convivere con la menomazione conseguente alla lesione per pochi anni, un altro sia, invece, convivere con la menomazione per la maggior parte della vita. Di conseguenza, il valore monetario del punto di invalidità è ricavato da una funzione che tiene conto dell'età della vittima al momento del sinistro e presuppone che essa vivrà per tutta la durata media, convivendo necessariamente con quella menomazione.

Pertanto, com'è logico intuire, la differenza che intercorre con l'ipotesi in cui la vittima deceda, in corso di giudizio, per cause diverse dalla lesione è profonda: la monetizzazione del danno è effettuata, in un caso, con riferimento a un elemento presuntivo (l'aspettativa di vita), in un altro, invece, è parametrata a un dato certo, consistente nell'esatto lasso di tempo intercorso tra l'evento lesivo e il decesso.

Sulla base di tale considerazione, la giurisprudenza ormai consolidata ha affermato il principio secondo il quale nella quantificazione del danno il giudice deve tener conto – in caso di premorienza – non della vita media futura presumibile della vittima, ma della vita effettivamente vissuta (fra le varie, si vedano, sin da tempi ormai risalenti, Cass. 4556/80; 1809/89; 489/99; 147467/03; 22338/07; 679/16; 10897/16; 12913/20).

I criteri giurisprudenziali per la quantificazione del danno.

Se questo aspetto costituisce un'acquisizione ormai stabile nella giurisprudenza, lo stesso non può dirsi quanto alla convergenza verso l'individuazione e l'applicazione di un criterio che, in concreto, possa essere impiegato per la monetizzazione del danno. In giurisprudenza infatti sono progressivamente emersi diversi modelli di quantificazione.

Un primo criterio – ispirato in sostanza a una riduzione equitativa del valore monetario derivante dall'applicazione delle tabelle (Cass. 5366/98) – risulta non condivisibile in quanto assegna al libero arbitrio del singolo giudicante la misura della rimodulazione, con rischi in punto di equità delle decisioni, da intendersi (v., sul punto, la nota Cass. 12408/11) come uniformità di liquidazione in casi analoghi, anche alla luce dell'art. 3 Cost.

Un secondo criterio, di stampo proporzionale, suggerisce di ridurre il risarcimento dovuto in caso di sopravvivenza al giudizio in misura corrispondente al rapporto fra il tempo in cui si è sopportato il danno e quello per il quale si sarebbe dovuto sopportare se la vittima fosse sopravvissuta per tutta la durata della vita media. Secondo il c.d. "criterio romano", il meccanismo proporzionale così descritto trova un correttivo nell'attribuzione immediata al danneggiato di una maggior quota dell'importo complessivamente dovuto e quantificato secondo le tabelle ordinarie. Tale scelta deriva dalla considerazione per cui il danno non sarebbe costante crescente con il tempo, in quanto una parte – corrispondente all'adattamento alla modificazione psicofisica intervenuta – matura al momento della lesione (per un valore compreso tra il 10% e il 50%). La parte restante del danno si quantifica in termini proporzionali rispetto ai giorni di sopravvivenza. Anche questo secondo criterio, pur entro il correttivo evidenziato, conduce – com'è stato rilevato – a risultati che portano a un favor per i soggetti anziani rispetto ai giovani.

Un terzo criterio pone alla base del calcolo non già il valore del punto corrispondente all'età della vittima, ma quello corrispondente ad un soggetto di età pari alla differenza fra la durata della vita media ed il numero di anni effettivamente vissuti con la menomazione. Di quest'ultimo criterio, il più evidente limite consiste nell'omessa valutazione dell'età in cui le menomazioni conseguenti alla lesione abbiano inciso sugli aspetti dinamico relazionali della vittima né il sesso (diverse essendo le aspettative di vita per donne e uomini).

Da ultimo, una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass. 12913/20) ha confermato una sentenza di merito in cui il danno da premorienza era stato quantificato moltiplicando il valore monetario tabellare giornaliero (personalizzato) previsto per l'inabilità temporanea assoluta per il numero di giorni di effettiva esistenza del danneggiato dal sinistro al decesso. La Cassazione, con la citata sentenza (in una fattispecie in cui la vittima era rimasta in coma irreversibile protrattosi per 810 giorni fino al decesso), ha ritenuto esente da censura l'adozione da parte della Corte d'Appello di questo parametro nell'ambito discrezionale delle diverse possibili tecniche risarcitorie per equivalente del danno biologico in caso di premorienza.

Il criterio delle tabelle di Milano 2018-2021

A fronte di questo eterogeneo panorama giurisprudenziale, l'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano ha elaborato un criterio di riferimento che potesse tenere conto delle criticità rilevate rispetto ai diversi meccanismi di liquidazione del danno in esame. All'esito di un'ampia riflessione, attestata sia nell'edizione del 2018 sia in quella attualmente in uso (2021), l'Osservatorio milanese, escluso il ricorso a modelli puramente equitativi o matematici, ha elaborato un criterio che si fonda sui seguenti principi.

Il primo consiste nell'inidoneità del dato anagrafico ai fini della differenziazione dei risarcimenti, poiché tale fattore è funzionale a calcolare l'aspettativa di vita, ossia il probabile tempo durante il quale la lesione subita dispiegherà i suoi effetti dannosi e pertanto rileva solo nel caso in cui non sia nota la data del decesso.

Il secondo si rinviene nella determinazione di un valore risarcitorio medio annuo mediante il rapporto fra la media matematica per ogni percentuale di invalidità (tra il quantum liquidabile ad un soggetto di anni 1 ed uno di anni 100) e il valore ricavato dalla media matematica tra le aspettative di vita di ogni soggetto compreso fra 1 e 100 anni.

Il terzo si individua nel riconoscimento di un'evoluzione in senso decrescente del risarcimento, per cui il danno non è una funzione costante nel tempo ma è ragionevolmente maggiore in prossimità dell'evento, quando più intense sono le rinunce sotto il lato dinamico-relazionale e più gravi le sofferenze interiori, per poi decrescere progressivamente fino a stabilizzarsi (così come evidenziato, in passato, da Cass. 2297/11).

Queste considerazioni costituiscono la base teorica delle colonne n. 2 e n. 3 delle tabelle milanesi (sia 2018, sia 2021), denominate rispettivamente "danno non patrimoniale per il primo anno" e "danno non patrimoniale per il primo e secondo anno" e relative alla somma risarcibile nell'ipotesi in cui un soggetto deceda a distanza di un anno o due anni dal fatto lesivo. In coerenza con la nuova elaborazione (2021) della "tabella del danno non patrimoniale da lesione all'integrità psico-fisica", tra parentesi, nelle colonne 2-3-4, sono specificati i valori monetari di quanto liquidato a titolo di danno biologico/dinamico-relazionale e quanto liquidabile a titolo di danno da sofferenza soggettiva interiore media presumibile in %, sul danno biologico/dinamico-relazionale.

Nello specifico, si ritiene che il pregiudizio sofferto nel primo e nel secondo annuo abbia un'intensità maggiore rispetto a quello sofferto dal terzo anno in avanti, sicché i valori risarcitori relativi a quell'arco temporale devono essere più elevati: si è ritenuto equo un incremento del risarcimento medio annuo nella misura del 100% per il primo anno e del 50% per il secondo. Per ogni ulteriore anno di vita vissuta, viene poi addizionata la somma prevista nella colonna n. 4. In questo modo si valorizza il dato della maggiore intensità della sofferenza soggettiva interiore in prossimità del verificarsi della menomazione.

In conclusione, la colonna n. 5 relativa alla "personalizzazione del danno" prevede la possibilità di modificare il dato tabellare fino al 50% in considerazione delle peculiarità del caso concreto, alla luce dei criteri orientativi già elaborati dalla tabella di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale, consentendo così al Giudice di procedere alla quantificazione del danno con adeguata valorizzazione dell'età del danneggiato.

Le pronunce della Cassazione nn. 41933/21 e 12060/22

Il modello milanese, così elaborato nel 2018 e confermato, con alcuni interventi, nel 2021 ha tuttavia formato oggetto di due critici interventi da parte della Suprema Corte tra la fine del 2021 e l'inizio del 2022.

In primo luogo, con l'ordinanza n. 41933/21, il Supremo Collegio, dopo aver ribadito che, in caso di premorienza, "l'ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto "iure successionis" va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile", ha esaminato il profilo della "coerenza della tabella milanese […] col principio di equità […]. Si tratta cioè di stabilire se la tabella in questione sia "equa", perché è evidente che, se così non fosse, essa non potrebbe essere assunta come valido parametro, in quanto in contrasto con l'art. 1226 del codice civile".

La Suprema Corte ha ritenuto non condivisibile il presupposto da cui muove la tabella milanese, per cui il danno non può essere considerato come una funzione costante nel tempo, ma è ragionevolmente maggiore in prossimità dell'evento, per poi decrescere.

In proposito, l'ordinanza osserva che tale premessa non sarebbe condivisibile sotto tre punti di osservazione:

1. "sul piano logico, la contraddizione è evidente per la semplice ragione che non ha senso ipotizzare che un danno possa «decrescere» nello stesso momento in cui lo si definisce, appunto, «permanente»";

2. "Sul piano giuridico, l'idea che il danno permanente alla salute possa diminuire nel tempo non appare corretta. Tale pregiudizio consiste infatti in una forzata rinuncia ad una o più attività quotidiane […] il danno biologico permanente è, dunque, una rinuncia permanente. Rispetto ad essa, il decorso del tempo può, in teoria, attutire la sofferenza causata da quella rinuncia, ma non consente comunque di recuperare le abilità perdute";

3. "Sul piano della medicina legale, infine, la suindicata affermazione è scorretta, proprio perché «permanenti» sono definiti in medicina legale quei postumi che residuano alla cessazione dello stato di malattia e sono perciò caratterizzati da una condizione di stabilità nel tempo".

La Corte giunge così a considerare "non equo" il fatto che il danno già sopportato per un certo tempo venga "liquidato meno di un danno che verosimilmente si sopporterà, in futuro, per un identico arco di tempo. Il tempo, infatti, esprime la durata della sofferenza che si è patita o che si dovrà patire, ma a parità di durata deve corrispondere, tendenzialmente, parità di risarcimento".

Per dimostrare la sperequazione che conseguirebbe dall'impiego della tabella milanese, il Collegio effettua un raffronto in merito alla liquidazione del danno nella concreta fattispecie scrutinata (persona di 72 anni al tempo dell'incidente, con invalidità quantificata nel 62% e in caso di un intervallo di 5 anni tra l'evento dannoso e la morte per cause diverse). L'applicazione della tabella milanese aveva condotto il giudice di merito a liquidare un totale di euro 94.172,00; al contrario, secondo la Suprema Corte, si sarebbe dovuto liquidare il danno dividendo l'importo quantificato secondo l'ordinaria tabella per il danno non patrimoniale (che, nel caso concreto, sarebbe stato pari a euro 434.647,00) per il numero di anni di aspettativa di vita residua (15, nella fattispecie) e, da ultimo, moltiplicando il quoziente per gli anni di vita effettivi (5, nell'ipotesi considerata): si otterrebbe così la diversa somma di euro 144.880,00. Secondo la Corte, "solo riconoscendo questa somma si potrebbe affermare che i cinque anni di vita residua della Maranci sono stati risarciti nella stessa misura in cui sarebbero stati risarciti se ella fosse rimasta in vita".

In conclusione, il Supremo Collegio – nella consapevolezza che "la liquidazione di cui si discute rimane […] una liquidazione equitativa, rispetto alla quale i giudici di merito sono liberi di esercitare la valutazione discrezionale che deriva dalla specificità dei singoli casi" – ha rilevato che, ragionando "in astratto", appare preferibile l'adozione di un criterio di proporzionalità, non escludendo tuttavia l'ammissibilità di altri criteri, tra cui quelli che, sul modello "romano", "applichino il criterio proporzionale soltanto in parte residua, riconoscendo che una quota del risarcimento si matura immediatamente e l'altra in ragione proporzionale al numero di anni effettivamente vissuti". Con quest'ultima apertura a criteri soltanto in parte proporzionali, sembra evocarsi un certo favor per il sistema di quantificazione della c.d. tabella di Roma, che, per i casi di premorienza riconosce in via liquidativa una percentuale sul totale per il solo fatto del verificarsi dell'evento, per poi attribuire, per gli anni successivi, un importo a titolo proporzionale.

Con la successiva ordinanza n. 12060/22, la Suprema Corte – pronunciandosi in ordine a una sentenza della Corte d'appello di Perugia emessa all'esito di una previa statuizione rescindente – ha ribadito la consueta distinzione tra il danno biologico/dinamico-relazionale e il danno morale (o da sofferenza interiore) e ha evidenziato che "la liquidazione del danno morale, quale sofferenza interiore patita dalla vittima dell'illecito, deve effettuarsi con riferimento al momento dell'evento dannoso ed alle caratteristiche dello stesso, mentre non incidono su di essa fatti ed avvenimenti successivi, quale la morte del soggetto leso". In sostanza, il danno morale dovrebbe essere monetizzato a prescindere da ogni circostanza che si verifichi dopo l'evento dannoso, secondo un criterio logico-presuntivo, fondato su un parametro di proporzionalità diretta rispetto alla gravità della lesione: "tanto più grave risulterà la "lesione della salute" tanto più il ragionamento inferenziale consentirà di presumere l'esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall'aspetto dinamico relazionale conseguente alla lesione stessi" (così l'ordinanza 12060/22).

Gli aspetti critici dei criteri indicati dalla Cassazione e l'adeguatezza delle tabelle milanesi.

Nonostante queste due significative pronunce da parte del Supremo Collegio, il Tribunale ritiene, per le ragioni di seguito illustrate, di non doversi discostare, nella propria attività di liquidazione del danno in casi da premorienza, dalle tabelle di Milano.

Il modello proporzionale, indicato dall'ordinanza n. 41933/21 – appare infatti censurabile sotto una pluralità di profili.

In primo luogo, perché rinviene nell'aspettativa di vita al momento del fatto dannoso il punto di partenza per il computo dell'importo da liquidare, invece di valorizzare il periodo della vita effettivamente vissuta. Per quanto poi la somma ottenuta dalla tabella "ordinaria" sia ridotta in proporzione alla durata "reale" della vita del danneggiato, è evidente che tale computo resta pur sempre inquinato dal fatto che la base di partenza è rappresentata da un parametro che è stato elaborato sull'aspettativa di vita.

In secondo luogo, l'impiego di un criterio proporzionale puro porta, come già si è fatto cenno, a "premiare" – a pari misura di invalidità – il soggetto più anziano rispetto a quello più giovane, circostanza che non appare meritevole di condivisione.

In terzo luogo, il criterio auspicato dalla Suprema Corte sembra poi porsi in contrasto con il parametro dell'equità, poiché pretende di uniformare due ipotesi di fatto tra loro evidentemente eterogenee: il caso in cui il danneggiato sia morto in corso di causa e quello in cui, sopravvivendo al giudizio, il danno deve conteggiarsi anche in proiezione futura.

La morte del danneggiato è invece un elemento determinante, poiché, proprio come ha sempre evidenziato la giurisprudenza di legittimità, segna un orizzonte certo con il quale il giudice del merito deve necessariamente confrontarsi nel momento della liquidazione del danno ed esclude che la monetizzazione del danno debba avere una proiezione nel futuro.

Infine, l'ordinanza n. 41933/21, auspicando l'intervento normativo per porre rimedio alla diversità dei modelli proposti (e impiegati), non offre al giudice del merito un criterio univoco. È proprio il Supremo Collegio a ritenere che, in fin dei conti, non è emerso un canone di liquidazione che, in casi di premorienza del danneggiato rispetto al giudizio, possa affermarsi come l'unico meritevole di impiego, in quanto nessuno di quelli prospettati appare scevro da criticità.

Il Tribunale ritiene che l'iniquità di un criterio di stampo proporzionale sia ben rappresentata dall'esempio che segue.

Si prospetti il caso di un soggetto di sesso femminile che, all'età di 72 anni, subisca un incidente da cui derivi un'invalidità permanente pari al 62% e che deceda, per cause estranee al sinistro, cinque anni dopo l'evento (si tratta, come visto, degli elementi essenziali della fattispecie esaminata da Cass. 41933/21). Seguendo il criterio proporzionale, applicate le ultime tabelle di Milano e stimando (più correttamente) un'aspettativa di vita pari ad anni 85, il soggetto conseguirebbe un ristoro così calcolato:

- valore "base" da tabella: euro 440.660 (di cui 293.773 per danno dinamico-relazionale e 146.887 per danno da sofferenza interiore);

- aspettativa di vita "residua": 85 – 72 = 13 anni;

- importo proporzionale per ogni anno: euro 440.660: 13 = euro 33.896,92;

- importo spettante alla persona danneggiata: euro 33.896,92 x 5 = euro 169.484,60.

In caso, invece, di un soggetto di sesso femminile che subisca il medesimo incidente, con la stessa invalidità accertata e che deceda sempre cinque anni dopo il sinistro, ma che avesse 16 anni all'età dell'evento, la quantificazione sarebbe così svolta:

- valore "base" da tabella: euro 631.954 (di cui 421.303 per danno dinamico-relazionale e 210.651 per danno da sofferenza interiore);

- aspettativa di vita "residua": 85 – 16 = 69 anni;

- importo proporzionale per ogni anno: euro 631.954: 69 = euro 9.158,75;

- importo spettante alla persona danneggiata: euro 9.158,75 x 5 = euro 45.793,75.

In estrema sintesi, a parità di intensità della menomazione permanente e considerato un eguale lasso di tempo di sopravvivenza, gli eredi della persona giovane conseguirebbero un ristoro pari a poco più di un quarto di quello che otterrebbero gli eredi dell'anziana.

Questo esito appare incompatibile con il canone di equità che la giurisprudenza di legittimità pone a fondamento della quantificazione del danno non patrimoniale e che contraddice il criterio di fondo cui le tabelle si ispirano, ovvero il rapporto di proporzionalità inversa tra età del danneggiato ed entità del risarcimento.

Applicando invece, ai medesimi esempi, la tabella milanese in tema di premorienza, si avrebbe, per ciascuna delle due fattispecie, una misura base del risarcimento pari a euro 51.408 (di cui 34.272 per danno dinamico-relazionale e 17.136 per danno da sofferenza interiore) per il primo biennio dall'incidente (colonna 3), oltre euro 14.688 (colonna 4) per ogni successiva annualità. Così, il risarcimento sarebbe pari, in entrambi i casi, ad euro 95.472,00, oltre alla possibilità di adeguamento, sulla base delle concrete circostanze, fino al 50% della misura. Nel caso della vittima sedicenne, si potrebbe dunque pervenire alla liquidazione di un importo complessivo pari a euro 143.208,00.

In questo modo, vengono valorizzati, in modo uniforme per tutte le fattispecie tra loro analoghe, i dati "certi" – il lasso di tempo tra incidente e morte, il grado di invalidità misurato in sede medico-legale

– e si attribuisce al Giudice di merito il potere di una personalizzazione fino al 50% ulteriore per le peculiarità del caso.

Quanto, invece, all'ordinanza n. 12060/22, con tale pronuncia si è in sostanza affermato che, in caso di decesso del danneggiato, la liquidazione iure successionis agli eredi dovrebbe compendiare l'intero importo dovuto per il danno da sofferenza interiore.

Tale affermazione di principio non trova riscontro in considerazioni ulteriori, che ne approfondiscano e illustrino i presupposti logico-giuridici e medico-legali, specie se si tiene conto che di regola tutti i meccanismi di liquidazione del danno tengono conto di una permanenza delle sofferenze interiori nel corso del tempo, senza risolversi nell'immediatezza dell'evento dannoso. Del resto, proprio la medesima sezione della Suprema Corte, con l'ordinanza n. 41933/21 (pubblicata pochi mesi prima), ha insistito sulla necessità di una quantificazione proporzionale del danno non patrimoniale sulla base dei criteri tabellari, che, come noto, commisurano sia la voce dinamico-relazionale, sia la voce legata alla sofferenza interiore. Inoltre, la giurisprudenza della stessa sezione aveva affermato che "alla base del sistema delle tabelle per la liquidazione del danno alla salute, altro non v'è se non un ragionamento presuntivo fondato sulla massima di esperienza per la quale ad un certo tipo di lesione corrispondono, secondo l'id quod plerumque accidit, determinate menomazioni dinamico-relazionali, per così dire, ordinarie. Un attendibile criterio logico-presuntivo funzionale all'accertamento del danno morale quale autonoma componente del danno alla salute […] è quello della corrispondenza, su di una base di proporzionalità diretta, della gravità della lesione rispetto all'insorgere di una sofferenza soggettiva: tanto più grave, difatti, sarà la lesione della salute, tanto più il ragionamento inferenziale consentirà di presumere l'esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore" (così Cass. 25164/20).

Perciò, la stessa Suprema Corte ha evidenziato che solitamente alla gravità della lesione corrisponde, in via proporzionale, una sofferenza soggettiva parimenti intensa: così come le conseguenze dell'invalidità permanente si conservano nel tempo, allo stesso modo anche il patimento interiore continua ad accompagnare la vittima per tutto il periodo in cui soffre la propria menomazione. Quest'affermazione sembrerebbe essere contraddetta, senza un adeguato supporto motivazionale, dall'ordinanza n. 12060/22. Quest'ultima, sebbene ribadisca il principio di corrispondenza tra la gravità della "lesione personale" e la sofferenza che ne consegue, ne limita l'applicazione all'elemento dell'intensità, escludendo invece che il parallelismo continui a operare nel tempo.

Dall'ordinanza n. 12060/22 pare quindi ricavarsi che, non appena verificatosi il vulnus all'integrità fisica, per ciò solo – e in modo istantaneo – si consuma la sofferenza interiore, senza che questa si sviluppi nel tempo. Si tratta di un'affermazione che non solo potrebbe porsi in contraddizione con il principio per cui non può assumersi la sussistenza di un danno in re ipsa (ex multis, Cass. 21649/21), ma – soprattutto – collide con il punto di partenza su cui si costruiscono i sistemi "tabellari" di risarcimento del danno non patrimoniale.

Questi ultimi, infatti, si fondano sulla considerazione per cui il nocumento subìto dal danneggiato si protrae nel tempo, tanto nella componente dinamico-relazionale, quanto nell'elemento della sofferenza interiore. Si tratta di una valutazione che non solo ha una derivazione scientifica, ma che – forse in modo ancora più evidente – discende dalla comune esperienza. Basti pensare a chi, avendo perduto un arto a seguito di un sinistro, continui nel tempo a patire gravi pregiudizi dinamico-relazionali; è certamente impossibile, in tali condizioni, sostenere che la sofferenza interiore si risolva integralmente nell'immediatezza del fatto, senza invece reiterarsi in tutti gli anni futuri vissuti con tale menomazione. Anche questa ordinanza, soprattutto per dissonanza con la giurisprudenza pregressa e con i criteri che ispirano ogni sistema tabellare di ristoro, non offre ragioni che impongano il superamento del sistema milanese.

La perdurante utilizzabilità della tabella milanese.

In sintesi, all'esito della ricognizione della più recente giurisprudenza di legittimità, il Tribunale ritiene che – in difetto di una pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte o, ancor più auspicabilmente, di un intervento normativo – il sistema di liquidazione del danno da premorienza così come elaborato, da ultimo, nelle tabelle di Milano, edizione 2021, non debba essere abbandonato. A questa considerazione si perviene sia perché tutti gli altri criteri – nessuno escluso – non hanno dato prova di essere esenti da criticità, sia perché è la stessa Suprema Corte a ritenere che, in fin dei conti, sia il giudice del merito a dover individuare le modalità di liquidazione, anche con riguardo alle peculiarità della fattispecie.

Infine, non si può che rilevare che le stesse tabelle milanesi, così come bene si illustra nella relazione dell'Osservatorio, hanno tenuto conto, nella quantificazione dei valori, di quei parametri – quali la proporzionalità, l'equità e la valorizzazione della maggiore intensità dei patimenti nei primi periodi a ridosso del danno – che a più riprese sono stati evocati per procedere alla liquidazione dei danni in caso di premorienza del danneggiato.

L'applicabilità dei criteri "milanesi" anche in caso di danno biologico definito da premorienza allorché il decesso sia causa dell'illecito.

In via incidentale, appare opportuno precisare che i criteri di quantificazione del danno da c.d. premorienza devono essere impiegati a prescindere dal fatto che la morte, nel corso del giudizio, derivi o meno dall'illecito che ha causato, in precedenza, una menomazione al danneggiato. In termini pressoché tralatizi, le massime delle pronunce della Suprema Corte sembrano infatti riferirsi ai soli casi di morte derivata da cause diverse dall'illecito; al contrario, non vi è ragione per cui, in caso di premorienza causata dalla patologia ingenerata dall'illecito, si debbano impiegare criteri differenti.

Non merita condivisione, perciò, l'affermazione del Supremo Collegio contenuta nella recentissima ordinanza n. 32916/22 (pubblicata il 9.11.2022), in cui si legge che "il principio secondo cui l'ammontare del danno biologico spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non già a quella probabile […] si applica […] solo nel caso in cui la persona offesa sia deceduta per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell'illecito, e non anche allorquando come nella specie la morte sia stata viceversa direttamente cagionata dall'illecito".

Il criterio da impiegare per la quantificazione del danno in caso di premorienza del danneggiato rispetto al giudizio prescinde dalla causa della morte, trovando invece la ragione della propria applicazione nel solo fatto del decesso prima della definizione della causa. Nel caso in cui la morte costituisca la conseguenza dell'illecito, il danneggiante sarà chiamato a rispondere (anche) del danno iure proprio patito dai familiari per la perdita del congiunto, che si aggiunge all'importo liquidato, iure successionis, per il danno che fu patito dalla persona offesa.

In questo senso, la stessa Terza Sezione della Suprema Corte, con l'altrettanto recente ordinanza n. 31574/22 (pubblicata il 25.10.2022), aveva puntualizzato che "nel caso in cui la minor durata della vita dovesse risultare conseguenza dell'evento lesivo (laddove si accerti un nesso causalmente rilevante tra le lesioni e le ridotte aspettative di vita, ovvero tra le lesioni e la morte precoce, se già verificatasi al momento dell'instaurazione del giudizio), non va, per altro verso, dimenticato che il responsabile dell'unico evento lesivo ascrittogli sarà chiamato altresì a risarcire, jure proprio, il danno (parentale e patrimoniale) subito dai genitori del minore, in relazione all'intero periodo di presumibile vita del minore" In questo modo, come ha evidenziato l'ordinanza n. 31574/22, non vi è nessun vantaggio per il danneggiante per il caso in cui si verifichi la premorienza del danneggiato: se è vero che il decesso comporta una materiale riduzione dell'importo liquidabile iure hereditatis per lesione del bene salute della vittima primaria, è altrettanto evidente che, nel caso in esame, matura altresì il diritto iure proprio al risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale.

Anche sotto questo specifico profilo, dunque, la giurisprudenza di legittimità non sembra essersi assestata, con evidenti conseguenze in punto di equità e prevedibilità delle decisioni giudiziarie.

L'applicazione delle Tabelle di Milano alla fattispecie in esame

Applicando i valori elaborati dalle tabelle di Milano nell'edizione 2021 (quella vigente al tempo della decisione, v. in tema Cass. 13269/20) il danno non patrimoniale da premorienza può quantificarsi, nel caso di M.O., secondo i criteri tabellari "standard", in euro 7.586,00, di cui euro 4.085,00 (così ripartiti: euro 3.119 per danno dinamico-relazionale ed euro 966 per danno da sofferenza interiore) per il primo biennio dal sinistro ed euro 1.167,00 (di cui euro 891 per danno dinamico-relazionale ed euro 276 per danno da sofferenza interiore) per ciascuna annualità successiva (2019, 2020, 2021).

Il Tribunale ritiene equo un incremento del 15% (come da colonna n. 5 della tabella in uso) in considerazione dell'età del danneggiato al momento del sinistro (51 anni).

Di conseguenza, l'importo risulta innalzato a euro 8.724,00.

In merito alla sollecitata personalizzazione, non risultano provate circostanze o condizioni che giustifichino esigenze di adeguamento ad personam (sul punto, v. la nota Cass. n. 7513/18, c.d. "ordinanza-decalogo") in merito all'invalidità permanente; quanto alla pratica dell'hobby di cicloamatore, il c.t.u. ha concluso nel senso che il danno biologico permanente accertato non ha compromesso lo svolgimento di tale attività, che M.O. non ha più potuto effettuare soltanto per un successivo e ulteriore infortunio, patito nel luglio-agosto 2017 (v. in proposito la testimonianza resa dal fratello, cap. 21).

3.1.3. Il conteggio complessivo del danno non patrimoniale.

Per il ristoro dell'inabilità temporanea sono stati quantificati euro 10.410,00; per il risarcimento dell'invalidità permanente, invece, sono stati liquidati euro 8.724,00. Entrambe le somme si considerano già rivalutate all'attualità e, nel complesso, ammontano a euro 19.134,00.

Dall'importo così conteggiato, si debbono detrarre – per il noto principio della compensatio lucri cum damno (da ultimo, Cass. S.U. n. 12565/18) – i ratei già versati da INAIL fino al 29.10.2021, con riguardo alle sole componenti corrisposte a ristoro del danno biologico (euro 8.328,58). Tale somma, tenuto conto della circostanza che è stata erogata in ratei, viene rivalutata a oggi, in via equitativa, nella somma arrotondata di euro 9.200,00.

In conclusione, il danno non patrimoniale liquidabile è pari alla differenza tra 19.134,00 ed euro 9.200,00, da dividersi, poi, della metà, ricorrendo i presupposti dell'art. 2054, co. 2, c.c.

All'esito delle operazioni aritmetiche descritte, l'importo da liquidarsi è pari a euro 4.967,00, già espressi in moneta attuale.

Su questa somma, secondo il consolidato indirizzo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (v. Cass. S.U. n. 1712/1995), decorrono gli interessi compensativi dalla produzione dell'evento di danno (20.12.2016) sino al tempo della liquidazione. Per questo periodo, gli interessi si possono calcolare applicando un tasso annuo medio ponderato, equitativamente determinato, sul danno già rivalutato. Da oggi, giorno della liquidazione, all'effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma rivalutata. Alla luce di tale criterio di calcolo, i convenuti devono essere condannati a pagare in solido all'attrice la somma di euro 4.967,00, oltre:

- interessi compensativi, sulla stessa somma, al tasso annuo medio dell'1% dal 20.12.2016 ad oggi;

- interessi al tasso legale, sulla stessa, da oggi al saldo effettivo.

L'importo deve essere integralmente versato, dai convenuti in solido, a T.O., unica erede del defunto danneggiato.

3.2. Sul danno patrimoniale

3.2.1. Danno da mancato guadagno

Quanto alle voci di danno patrimoniale, non merita accoglimento la domanda di risarcimento del danno da mancato guadagno, che l'attore ritiene di ravvisare in una contrazione del reddito lordo da lavoro annuo comparando il 2016 e il 2017 (da euro 27.620,21 ad euro 24.278,86). La pretesa attorea non trova adeguato riscontro probatorio quanto all'imputabilità della deminutio (peraltro lamentata avendo a parametro il reddito lordo e non il netto) al sinistro del 20.12.2016; in proposito, il c.t.u. ha affermato che i postumi permanenti non hanno avuto un effetto impeditivo quanto allo svolgimento delle mansioni già ordinariamente disimpegnate da M.O. prima dell'evento dannoso. Il teste G.O. ha soltanto riferito di un mutamento delle mansioni svolte dal fratello danneggiato, senza nulla riferire su eventuali e conseguenti danni reddituali.

3.2.2. Gli esborsi ulteriori

In merito al danno patrimoniale consistente negli esborsi sostenuti per l'assistenza legale nella fase stragiudiziale, si tratta – secondo un orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U., 16990/17; Cass. 24481/20) – di una voce riconducibile al danno emergente e la liquidazione, pur dovendo avvenire nel rispetto delle tariffe forensi, è soggetta agli oneri di domanda, allegazione e, soprattutto, di prova secondo le ordinarie scansioni processuali, nonché secondo la consueta distribuzione dell'onus probandi.

Parte attrice, sotto questo profilo, ha fornito in atti un unico documento (doc. 12 attore), in cui è riprodotta la "fattura pro-forma" dell'avv. Brazesco, datata 27.7.2018. Non vi è la prova dell'avvenuto pagamento della somma da parte di M.O. oltreché dell'avvenuta esecuzione della prestazione, circostanze che (cfr. Cass. 21402/22) impediscono al Tribunale di ritenere che il danneggiato abbia effettivamente versato l'importo e, quindi, che si sia concretizzata una decurtazione patrimoniale risarcibile.

Analoghe considerazioni valgono per la richiesta di risarcimento relativa al parere medico-legale da parte del dott. Della Croce, rispetto al quale è stata prodotta la mera fattura (doc. 13 attore), senza un riscontro dell'effettivo pagamento dell'importo.

Pertanto, nessun ristoro è dovuto per le conseguenze patrimoniali dell'evento lesivo.

4. Sulle spese processuali

Consegue alla prevalente soccombenza la condanna dei convenuti in solido a rifondere all'attrice 1/3 delle spese processuali, con compensazione tra le parti dei rimanenti 2/3, da corrispondere all'Avv. Marzio Brazesco, dichiaratosi antistatario ex art. 93 c.p.c.

Le spese per lo svolgimento della c.t.u., come già liquidate con decreto del 12.1.2021, sono poste per metà a carico di parte attrice, per metà a carico solidale tra loro dei convenuti.
PQM

P.Q.M.

Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, così provvede:

- Dichiara la concorrente responsabilità, in pari misura, di M.O. e A.L.B., nella produzione del sinistro avvenuto il 20.12.2016;

- Condanna i convenuti in solido al pagamento in favore di T.O. della somma di euro 4.967,00, oltre interessi come da motivazione;

- Rigetta ogni altra domanda o istanza;

- Condanna i convenuti in solido a rifondere all'attrice 1/3 delle spese processuali, che, in tale proporzione, liquida in euro 182,00 per esborsi, euro 1.500,00 per onorario, oltre spese forfettarie nella misura del15%, oltre I.V.A. e c.p.a., dichiarandole compensate tra le parti nella restante misura, da corrispondere all'Avv. Marzio Brazesco, dichiaratosi antistatario ex art. 93 c.p.c.;

- Pone le spese di c.t.u. per metà a carico dell'attore, per metà a carico dei convenuti, questi ultimi in solido tra loro.

Sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege.

Milano, 15 novembre 2022.

Il Giudice Istruttore in funzione di Giudice Unico

dott. Damiano SPERA
Avv. Antonino Sugamele

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