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Sentenza

Se il contratto è inesistente è esperibile l'azione di ingiustificato arricc...
Se il contratto è inesistente è esperibile l'azione di ingiustificato arricchimento
Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 10/03/2023) 15-05-2023, n. 13203

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Presidente -

Dott. SCODITTI Enrico - Consigliere -

Dott. GIANNITI Pasquale - rel. Consigliere -

Dott. CRICENTI Giuseppe - Consigliere -

Dott. GORGONI Marilena - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14572/2019 proposto da:

A.A. in proprio e nella qualità di Liquidatore della (Omissis) Srl , elettivamente domiciliata in Roma Via Ludovisi 35 presso lo studio dell'avvocato Ridola Mario Giuseppe, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato Menchini Sergio;

- ricorrente -

contro

B.B., C.C., D.D., elettivamente domiciliati in Roma Viale B. Buozzi 77 presso lo studio dell'avvocato Tornabuoni Filippo, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato Scopsi Claudio;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1663/2018 della CORTE D'APPELLO di GENOVA, depositata il 31/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/03/2023 dal Consigliere Dott. Pasquale Gianniti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TRONCONE FULVIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi i Difensori delle parti che si sono riportati ai rispettivi scritti difensivi.
Svolgimento del processo

ANTEFATTO. 1.Negli anni Novanta del secolo scorso, E.E. (alla quale sono poi succeduti gli eredi B.B., C.C. e D.D.) concedeva alla società (Omissis) Srl il godimento dell'azienda denominata "Dancing Alhambra", sita in (Omissis), di sua proprietà.

2. Nel mese di (Omissis) il contratto di affitto veniva risolto ed alla società (Omissis) Srl subentrava A.A..

Con ordinanza 30 aprile 1998 il Sindaco del Comune di (Omissis), a seguito del crollo di una parte della copertura, dichiarava inagibile l'immobile. Con scrittura privata (Omissis) le parti dichiaravano l'intervenuto scioglimento di ogni pregresso rapporto avente ad oggetto il godimento dell'azienda. Venivano effettuati successivamente gli interventi di ripristino: alcuni ad opera dei locatori ed altri dal A.A. (che, in particolare, realizzava le finiture e dotava l'immobile delle attrezzature necessarie per l'esercizio della discoteca). Terminati i lavori di ripristino, la proprietà concedeva nuovamente l'azienda in affitto al A.A. con scrittura privata autenticata (Omissis) per un canone annuo di 108 milioni delle vecchie Lire.

3. La proprietà conveniva in giudizio davanti al tribunale di La Spezia il A.A., lamentando il mancato pagamento dei canoni e chiedendo la risoluzione del contratto di affitto per grave inadempimento.

Il A.A. si costituiva chiedendo in via principale il rigetto della domanda avversaria (essendo intervenuto accordo che gli avrebbe consentito di decurtare dal canone le spese sostenute, prima della stipulazione del contratto, per il riavvio dell'azienda concessa in affitto); e in via riconvenzionale chiedeva l'accertamento del diritto al rimborso delle spese e la compensazione dei relativi importi con quelli relativi ai canoni insoluti. Nel corso del processo di primo grado, in relazione alla medesima vicenda fattuale, formulava anche domanda di arricchimento senza causa.

Il Tribunale di La Spezia con sentenza n. 380/2001, in accoglimento della domanda proposta dalla proprietà, pronunciava la risoluzione del rapporto per grave inadempimento, condannando il A.A. al pagamento della somma di 306 milioni delle vecchie Lire, a titolo di canoni insoluti; mentre dichiarava inammissibile per tardività la domanda riconvenzionale del A.A..

Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva impugnazione il A.A., che chiedeva che la proprietà fosse tenuta a corrispondergli l'indennizzo per "aver personalmente sostenuto spese necessarie a rendere operativa l'azienda anteriormente all'1.11.1998, risalendo la stipulazione del contratto di affitto dedotto in giudizio al (Omissis)".

I locatori si costituivano anche nel giudizio di appello chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.

La Corte di Appello di Genova con sentenza n. 959/2002 confermava sostanzialmente la sentenza di primo grado, in quanto confermava la condanna del A.A. al pagamento dei canoni insoluti (pur riducendone l'importo a 288 milioni delle vecchie Lire, pari ad Euro 148.739,56); confermava il rigetto della domanda riconvenzionale del A.A.. Quanto alla domanda riconvenzionale del A.A., la Corte territoriale escludeva espressamente che l'originaria domanda proposta dal A.A. conteneva anche una diversa domanda di arricchimento senza causa e dichiarava inammissibile, in quanto nuova, la domanda di arricchimento senza causa, proposta per la prima volta nel giudizio di appello.

FATTI DI CAUSA. 4.Il A.A. e la società (Omissis) Srl riproponevano la domanda di arricchimento senza causa in un nuovo giudizio ed all'uopo convenivano davanti al Tribunale di La Spezia B.B., C.C. e D.D., chiedendo la condanna dei convenuti al pagamento di un indennizzo, a titolo di ingiustificato arricchimento, per i lavori effettuati dal A.A., sul complesso aziendale, prima della stipula del contratto di affitto (Omissis).

Ad esito di una articolata istruttoria, il Tribunale di La Spezia con sentenza n. 3922014 condannava i convenuti, in solido tra loro, a corrispondere al A.A., a titolo di indennizzo per ingiustificato arricchimento, l'importo complessivo di 122.335,64 Euro, già rivalutato e comprensivo degli interessi maturati alla data della decisione.

5. Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponevano impugnazione B.B., C.C. e D.D..

Il A.A. si costituiva nel giudizio di appello, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.

La Corte di appello di Genova, con sentenza n. 1663/2018, in accoglimento dell'appello proposto dai locatori e in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta dal A.A., che condannava, in solido con la società (Omissis) Srl , al rimborso delle spese di lite.

6.Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso il A.A..

Hanno resistito con un unico controricorso i locatori.

Il Procuratore Generale ha presentato note chiedendo il rigetto del ricorso.

Il Difensore di parte ricorrente ha depositato memoria, con la quale ha insistito nell'accoglimento del ricorso, contro-deducendo alle argomentazioni esposte dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni e facendo anche presente che proprio questa Sezione con la recentissima ordinanza interlocutoria n. 5222 dello scorso 10 febbraio ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'assegnazione alle Sezioni Unite della questione relativa alla sussidiarietà dell'azione di ingiustificato arricchimento, sia pure per un profilo diverso da quello che viene in esame nella fattispecie oggetto del presente giudizio.
Motivi della decisione

1.Il ricorso del A.A. è affidato a tre motivi, la cui illustrazione è preceduta da una premessa.

In via preliminare, invero, il ricorrente deduce che la corte territoriale, a fondamento della dichiarazione di inammissibilità della domanda di arricchimento senza causa, ha posto due concorrenti autonome ragioni:

-da un lato, l'esistenza di un precedente giudicato formatosi nel giudizio conclusosi con sentenza n. 959/2002 della Corte di Appello di Genova: in quel giudizio la domanda di rimborso avente fondamento contrattuale era stata rigettata (per mancata prova dell'esistenza di un accordo negoziale tra le parti, avente ad oggetto la realizzazione delle opere di ripristino e le modalità del rimborso), mentre la domanda di arricchimento senza causa era stata dichiarata inammissibile per tardività;

-dall'altro, il generale principio di sussidiarietà dell'azione di arricchimento senza causa che, secondo la prospettazione della corte territoriale, a prescindere dal giudicato, avrebbe comunque determinato l'inammissibilità/improponibilità dell'azione di arricchimento senza causa (essendo stata rigettata nel merito, in relazione alla medesima vicenda sostanziale, la domanda alternativa fondata su un titolo contrattuale, pur dichiarato inesistente).

Ciò posto, il ricorrente articola i tre motivi di seguito indicati.

1.1. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 2909 e 2041 c.c. (in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) nella parte in cui la corte territoriale ha erroneamente ritenuto preclusa la riproposizione dell'azione di arricchimento senza causa per effetto di un precedente giudicato, formatosi nel primo processo (nel quale era stata respinta nel merito una diversa domanda fondata su un titolo contrattuale mentre la domanda sussidiaria di arricchimento ingiustificato era stata dichiarata inammissibile per tardività, con pronuncia che, essendo di rito, era priva di effetti di giudicato sostanziale).

Sottolinea che nel primo processo: a) la domanda di rimborso proposta su base contrattuale è stata respinta non essendo stato ritenuto provato l'accordo dedotto; b) la domanda di arricchimento senza causa, formulata tardivamente, era stata dichiarata inammissibile per tardività; c) detta inammissibilità per tardività era stata dichiarata con sentenza di mero rito.

1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c. nella parte in cui la corte territoriale ha erroneamente dichiarato improponibile l'azione di arricchimento senza causa, in presenza di un precedente giudicato (che, al contrario, avendo ritenuto non configurabile in capo al A.A. un rimedio alternativo di natura contrattuale non era in grado di precludere l'esercizio dell'azione di arricchimento senza causa, rendendola improponibile ex art. 2042 c.c.).

Sottolinea che la corte territoriale ha commesso l'errore di ritenere che il rigetto della domanda contrattuale per difetto di prova determina l'improponibilità, anche in separata sede, dell'azione di arricchimento, mentre, in tesi difensiva, occorre distinguere caso per caso, ragion per cui la preclusione va negata tutte le volte in cui la mancata prova riguardi la stessa esistenza del titolo contrattuale, posto a fondamento dell'azione esercitata nel primo processo.

Con la conseguenza che nel caso di specie avrebbe essere dovuta dichiarare proponibile la domanda di arricchimento senza causa, in quanto: a) la domanda di rimborso, fondata sul titolo contrattuale, era stata respinta nel primo processo per non essere stato provato un "accordo tra le parti al fine della decurtazione del canone di affitto, ovvero un preventivo consenso alla realizzazione di tali opere(ed in quali termini) da parte dei proprietari"; b) il rigetto della suddetta domanda non era compatibile con l'affermazione della configurabilità in astratto di un rimedio contrattuale a sua disposizione, ma era ed è compatibile con la proposizione nel secondo processo della domanda di arricchimento senza causa.

1.3. Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione del combinato disposto di cui agli artt. 2909 e 1362 e 1363 c.c., nonchè degli artt. 2041 e 2042 c.c. nella parte in cui ha erroneamente interpretato il giudicato reso nel primo processo ed ha conseguentemente applicato il disposto degli artt. 2041 e 2042 ad una fattispecie concreta, alla quale, viceversa, non avrebbe potuto applicarsi il principio della c.d. sussidiarietà dell'azione di arricchimento senza causa.

Osserva che nel primo giudizio si accertò che alcuni interventi di ripristino furono da lui realizzati spontaneamente, prima della stipulazione del contratto di affitto, a prescindere da qualsiasi obbligo o facoltà derivanti da uno specifico contratto intercorso con i locatori, che dei suddetti interventi furono i beneficiari: dunque, in quel processo, restò privo di prova l'accordo in forza del quale lui avrebbe avuto diritto di procedere alla decurtazione del canone di affitto.

Con la conseguenza che il principio di sussidiarietà dell'azione di arricchimento senza causa, di cui al combinato disposto degli artt. 2041 e 2042 c.c. sarebbe stato applicato ad una fattispecie concreta, alla quale comunque, a prescindere dalla concezione ermeneutica accolta, detto principio non avrebbe potuto essere applicato.

2. Ai fini della decisione, occorre preliminarmente procedere ad un corretto inquadramento della fattispecie oggetto del presente giudizio di legittimità.

Orbene, nel caso di specie, come sopra rilevato, tra le parti del presente giudizio, si è svolto un primo processo, nel quale B.B., nonchè C.C. e D.D. avevano convenuto in giudizio A.A. per ottenere la risoluzione di un contratto di affitto di azienda a causa del mancato pagamento del canone.

Orbene, per quanto qui interessa, in detto primo processo di merito, il A.A. si era costituito e, in via riconvenzionale, aveva proposto fin da subito domanda di rimborso delle spese sostenute per il riavvio dell'azienda (fondando la relativa azione sull'esistenza di un accordo per la "decurtazione" delle spese anticipate dalla misura del canone dovuto, sino a concorrenza dei relativi importi); e, nel corso del processo, aveva proposto, altresì, in via subordinata, domanda di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. Ad esito di tale primo giudizio di merito:

- era risultato pacifico tra le parti l'inesistenza di un titolo contrattuale (cfr. sentenza di primo grado, p. 3 ss), e cioè che le opere di ripristino erano state realizzate dal A.A. prima della stipulazione del contratto di affitto, a prescindere da qualsiasi obbligo o facoltà derivanti a uno specifico contratto intercorso con i locatori;

- era stata rigettata l'azione contrattuale (formulata, si ribadisce, in via riconvenzionale principale), in quanto era stato ritenuto non provata l'esistenza del menzionato accordo per la decurtazione delle spese ed - era stata dichiarata nuova (e, quindi, inammissibile) l'azione d'ingiustificato arricchimento (proposta dal A.A., si ribadisce, in via subordinata).

A questo punto, il A.A. ha introdotto un secondo giudizio di merito, formulando quella stessa domanda di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. che, nel primo processo, era stata rigettata in rito.

La domanda del A.A. è stata accolta, in primo grado, dal Tribunale della Spezia.

Al contrario, la corte territoriale, dopo una stringata ricostruzione sullo svolgimento del processo e dopo il rigetto dell'eccezione di inammissibilità dell'appello (p. 2), in parziale accoglimento dell'impugnazione proposta, ha rigettato la domanda del A.A. (pp. 3-4) ed ha aggiunto (p.4) che "se detta domanda fosse stata ammissibile in quanto tempestivamente introdotta in primo grado, in via subordinata rispetto alla domanda principale, fondata su titolo contrattuale, sarebbe stata rigettata" in applicazione dei principi di diritto affermati da questa corte in tema di sussidiarietà dell'azione di arricchimento senza causa; e che "il rigetto della domanda contrattuale per difetto di prova determina l'improponibilità anche in separata sede dell'azione di arricchimento senza causa in relazione ai medesimi fatti".

3. Tanto premesso e precisato, il ricorso è fondato.

3.1. Fondato è il primo motivo.

Invero, costituisce jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui la sentenza di rito non produce effetti di giudicato sostanziale e non impedisce la riproposizione della domanda, già respinta per motivi processuali, in un nuovo processo tra le parti.

Di tale principio di diritto non ha fatto buon governo la corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto che la riproposizione, nel presente giudizio, della domanda di arricchimento senza causa contro i precedenti locatori, per ottenere il rimborso delle spese sostenute prima della stipulazione del contratto di affitto fosse preclusa dal giudicato sostanziale formatosi nel primo processo.

Invero, in detto primo processo, sulla fattispecie dell'arricchimento senza causa, non si era formato alcun giudicato sostanziale, in quanto la domanda era stata dichiarata inammissibilità dal giudice di primo grado e tale declaratoria costituiva una mera pronuncia di merito, che non preclude la riproposizione della stessa (e, quindi, l'esame nel merito) in un successivo processo.

3.2. Fondati sono anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che vengono qui trattati unitariamente, in quanto sottendono entrambi la natura sussidiaria dell'azione di ingiustificato arricchimento (affermata dall'art. 2042 c.c., in base al quale detta azione "non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un'altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito").

A) Preliminarmente si dà atto che questa stessa Sezione, con recente ordinanza n. 5222 dello scorso 10 febbraio, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite della questione relativa alla sussidiarietà dell'azione di ingiustificato arricchimento.

Ad analoga conclusione ora la Corte non perviene in considerazione della diversità delle questioni sottese: nel giudizio di legittimità, nel quale è intervenuta la rimessione degli atti, la questione in esame era se è esperibile l'azione di ingiustificato arricchimento anche quando l'avente diritto ha a sua disposizione un'azione basata su una clausola generale (quale quella della buona fede); mentre nel presente giudizio è controversa l'esperibilità della suddetta azione quando, precedentemente, sia stata proposta una domanda fondata su un titolo contrattuale, ma detta domanda sia stata respinta nel merito, per assenza del contratto posto a fondamento della domanda stessa.

B) Ciò posto, il Collegio, per dare una risposta alla questione oggetto del presente giudizio, richiamata la rassegna giurisprudenziale operata nella suddetta ordinanza di rimessione, rileva che la ratio della natura sussidiaria dell'azione in esame riposta (in via alternativa, ma talvolta anche congiuntamente): a) nell'esigenza di evitare che, attraverso il cumulo delle azioni, possano aversi duplicazioni di tutela; b) nella necessità di evitare che l'avente diritto, mediante l'esercizio dell'azione di ingiustificato arricchimento, possa sottrarsi alle conseguenze del rigetto della diversa azione contrattuale che l'ordinamento gli concede a tutela del diritto; c) nella esigenza di evitare che colui che ha fondato il suo diritto su un contratto, che è risultato nullo (per contrarietà a norme imperative o di ordine pubblico), possa comunque coltivare la sua pretesa sia pure attraverso altro titolo.

Orbene, nel caso di specie, non ricorre nessuna delle suddette tre ratio: non la prima, in quanto nel primo processo l'azione contrattuale era stata respinta nel merito; non la seconda, in quanto detto rigetto era stato giustificato dalla ritenuta inesistenza del titolo contrattuale; non la terza, in quanto nel caso di specie il A.A. ha chiesto il rimborso delle spese sostenute per il riavvio dell'azienda prima della stipulazione del contratto di affitto e tale sua pretesa non è preclusa da nessuna norma imperativa o di ordine pubblico.

Pertanto, se è vero che l'esercizio dell'azione ex art. 2041 c.c. è in grado di produrre un aggiramento della decisione di rigetto dell'azione contrattuale è altrettanto vero che ciò non accade sempre e comunque.

Al riguardo, invero, occorre distinguere i casi nei quali, come quello in esame, l'azione contrattuale è stata rigettata per inesistenza del titolo contrattuale posto a fondamento dalla domanda, da tutti gli altri casi, nei quali l'azione contrattuale è stata respinta per qualsiasi altra ragione (di rito o di merito, ma comunque diversa dall'inesistenza del titolo): nei primi colui che ha agito in giudizio non poteva proporre una azione di ingiustificato arricchimento, in quanto per l'appunto, per far valere la sua pretesa, disponeva di una azione contrattuale (che, tuttavia, è stata poi respinta per ragioni di rito o di merito, ma comunque non per inesistenza del titolo); al contrario, nei casi in cui l'azione contrattuale è stata rigettata per inesistenza del titolo, sarebbe contraddittorio sostenere che la proposizione di una azione, che presuppone la non esistenza di un contratto, possa essere impedita da una pronuncia che abbia per l'appunto dichiarato la non esistenza di un contratto; d'altronde, se al rigetto del rimedio contrattuale, determinato dall'inesistenza del titolo, potesse conseguire l'improponibilità del rimedio sussidiario, costituito dall'azione di arricchimento, l'avente diritto sarebbe privato di qualsiasi strumento processuale per ottenere il rimborso del pregiudizio subito.

In definitiva, la presente controversia, dando continuità ad un orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (Cas. N. 15496 del 2018, n. 11489 del 2011 e 6537 del 1984) viene decisa sulla base del seguente principio di diritto:

"La sentenza, che abbia dichiarato l'inesistenza del contratto, se in negativo esclude che l'avente diritto possa nuovamente esercitare l'azione contrattuale, in positivo accerta la sussistenza del presupposto della sussidiarietà (cioè dell'indisponibilità di un rimedio alternativo a quello contrattuale), che deve ricorrere per l'esperibilità dell'azione di ingiustificato arricchimento: in tal caso, l'azione ex art. 2041 è proponibile proprio in quanto il danneggiato, non esistendo il contratto, ha a disposizione soltanto detta azione per far valere il suo diritto all'indennizzo per il pregiudizio subito".

Tale principio non è contraddetto dalle pronunce (quale quella di Cass. n. 14120 del 2020 o di Cass. n. 8683 del 2019) nella quali questa Corte, nelle fattispecie di volta in volta in esame, ha statuito che il rigetto della domanda contrattuale, per nullità del relativo titolo, non consentiva di agire con l'azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. Ciò proprio perchè nelle fattispecie sottese a dette richiamate pronunce veniva in rilievo l'esigenza di evitare la frode alla legge e comunque l'aggiramento di norme indisponibili, poste a tutela di interessi generali, mentre nel caso di specie, nel quale l'azione contrattuale è stata rigettata (non per nullità, ma) per inesistenza del titolo contrattuale, per come sopra rilevato, detta esigenza non ricorre neppure astrattamente: nel caso di specie, l'azione ex art. 2041, ben lungi dal configurarsi come strumento per aggirare l'operatività di norme imperative, si configura anzi come unico strumento, a disposizione dell'odierno ricorrente, per eliminare il pregiudizio, che asserisce di aver subito.

Anche di tale principio di diritto non ha fatto buon governo la corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto che, sempre e comunque, il rigetto della domanda contrattuale per difetto di prova determini l'improponibilità, anche in separata sede, dell'azione di arricchimento. Tanto più che nel caso di specie, nel primo processo di merito, si era già formato il giudicato sull'inesistenza del titolo ad esito della pronuncia del giudice di primo grado (che, su detto punto, non risulta essere stata impugnata in appello).

3. Per le ragioni che precedono, cassata la sentenza impugnata, la causa va rinviata alla Corte di Appello di Genova, in diversa Sezione e comunque in diversa composizione, perchè proceda all'esame nel merito della domanda, erroneamente non scrutinata.

Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.

Stante l'accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.

La Corte:

- accoglie tutti i motivi di ricorso, e, per l'effetto:

- cassa la sentenza impugnata e - rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Genova, in diversa Sezione e comunque in diversa composizione, perchè proceda allo scrutinio nel merito della domanda ex art. 2041 proposta dal A.A..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 10 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2023
Avv. Antonino Sugamele

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