Arresto giurisprudenziale della Sezione civile della Cassazione: non e
Corte di Cassazione Sez. Terza Civ. - Sent. del 29.03.2012, n. 5051
Presidente Massera - Relatore Scarano
Svolgimento del processo
Con sentenza del 28/4/2009 la Corte d'Appello di Salerno respingeva il gravame interposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (già Ministero della marina mercantile) nei confronti della pronunzia Trib. Salerno 8/3/2005 di accoglimento della domanda nei suoi confronti proposta dal sig. G..C. di risarcimento dei danni subiti in conseguenza di “caduta sui gradini divelti ed arrugginiti della scaletta della banchina sita su lido del Comune di Minori” avvenuta il 30/8/1992.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.
Resiste con controricorso il C.
Motivi della decisione
Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 107, 270 c.p.c., in riferimento all'art. 360, 1 co. n. 4, c.p.c..
Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto essere stato dal giudice di prime cure implicitamente revocato, all'esito dell'adozione della pronunzia di chiusura di quel grado di giudizio, l'ordine dal medesimo emesso di chiamata in causa ex art. 107 c.p.c. del Comune di Minori, e conseguentemente erroneamente non accolta la mossa censura avverso la mancata cancellazione della causa dal ruolo in ragione del mancato ottemperamento a tale ordine.
Con il 2 motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2051 c.c., 28, 29 cod. nav., in riferimento all'art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c.
Si duole che la corte di merito abbia nel caso ritenuto applicabile nei suoi confronti la disciplina di cui all'art. 2051 c.c., erroneamente ritenendolo proprietario e custode del pontile de quo laddove, da un canto, quest'ultimo non può ritenersi appartenere al demanio marittimo, e per altro verso esso è in relazione a tale bene privo dei poteri propri del custode.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, i motivi posti a fondamento dell'invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con - fra l'altro -l'esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l'interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.
Sebbene l'esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sé stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all'art. 366, 1 co. n. 4, c.p.c., che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonché delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).
È cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v. Cass., 4/6/1999, n. 5492).
Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall'odierno ricorrente.
Già sotto l'assorbente profilo dell'autosufficienza, va posto in rilievo come il medesimo faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all'”atto di citazione ritualmente notificato in data 20.04.1995″, all'”ordinanza del 05.02.03″ del G.O.A., alla “sentenza n. 289/05″ del Tribunale di Salerno, all'”appello notificato in data 27.05.2005″, all'essere stato il “pontile costruito dall'ente locale (peraltro senza alcun atto di assenso da parte del Ministero)”, di cui lamenta la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente - per la parte d'interesse in questa sede - riprodurli nel ricorso, ovvero, laddove riprodotti, senza puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, gli stessi risultino i prodotti, e ai sensi dell'art. 369, 2 co. n. 4, c.p.c. se siano stati prodotti anche in sede di legittimità (v. Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 19/9/2011, n. 19069; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).
A tale stregua non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).
In ordine al 1 motivo va ulteriormente osservato che il giudice del gravame di merito ha nel caso fatto invero corretta applicazione del principio secondo cui quando come nella specie il convenuto contesti di esser titolare dell'obbligazione dedotta in giudizio, indicando un terzo quale esclusivo soggetto passivo della pretesa attrice, non v'è necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di detto terzo in quanto, potendo emettersi la pronunzia di accertamento della sussistenza o meno di quella titolarità pur con effetti limitati alle parti in causa, non si versa in situazione di impossibilità di adottare una pronunzia idonea a produrre gli effetti giuridici voluti senza la partecipazione al giudizio di determinati soggetti, sicché in tale ipotesi l'intervento in giudizio del terzo può esser disposto in corso di causa ex art. 107 c.p.c., solo dal giudice di primo grado nell'esercizio di un potere discrezionale ed insindacabile, con l'ulteriore conseguenza che laddove, essendo rimasto inosservato l'ordine di intervento, detto giudice non abbia provveduto a cancellare la causa dal ruolo a norma dell'art. 270 c.p.c., deve ritenersi che abbia implicitamente revocato siffatto ordine (v. Cass., 1/7/1998, n. 6415; Cass., 13/12/1999, n. 13943).
Quanto al 2 motivo, a parte la considerazione che giusta il disposto degli artt. 28 e 29 cod. nav. correttamente la scaletta della banchina de qua è stata dalla corte di merito considerata pertinenza di bene demaniale, laddove la deduzione del ricorrente secondo cui “il pontile utilizzato per scendere in mare” non può “essere considerato appartenente al demanio marittimo, né, in concreto… qualificato come opera appartenente allo Stato quante volte - come nel caso di specie- sia stato costruito dall'ente locale”, oltre a risultare non meglio argomentata prospetta invero immissibili profili di novità, va adeguatamente sottolineato come decisivo rilievo assuma al riguardo la circostanza, giusta accertamento compiuto - con congrua motivazione - dai giudici di merito, che la Capitaneria di Porto ha nel caso esercitato un potere di fatto su siffatto bene, su di esso fattivamente esplicando compiti di relativa sorveglianza e vigilanza, non perduti nemmeno all'esito dell'affidamento a terzi di lavori di ordinaria amministrazione sul pontile [in particolare, i giudici di merito hanno al riguardo evocato l'emanazione dell'ordinanza 15.4.73 per regolamentare l'uso del pontile; la denunzia dell'"Amministrazione Comunale di Minori all'Autorità Giudiziaria per violazione degli artt. 54 - 1161 e 1174 del codice della navigazione, per avere, anziché chiuso all'uso pubblico il pontile stesso, ivi installato sedili per agevolarvi la sosta (vedasi rapporto 28.6.82 della Delegazione di Spiaggia di Maiori"; l'emissione dell'"ordine al Comune di sgombero delle opera abusivamente realizzate, persistendo il divieto di uso pubblico", con autorizzazione all'esecuzione di "lavori di ordinaria amministrazione al pontile esistente"].
Risulta a tale stregua dalla corte di merito pertanto correttamente ravvisata la ricorrenza nel caso di un'ipotesi di responsabilità ex art. 2051 c.c. in capo all'Amministrazione statale (allora appellante e) odierna ricorrente, la quale al riguardo si limita invero a muovere apodittiche censure inammissibilmente formulate (oltre che - come detto - in violazione del principio di autosufficienza) in termini di mera contrapposizione (cfr. Cass., 30/4/2009, n. 10069; Cass., 27/2/2009, n. 4753) laddove - richiamati i poteri di vigilanza del Comandante del porto ex art. 81 cod. nav. - sostiene che “l'Amministrazione statale non solo non è proprietaria del bene, ma non si può affermare neppure titolare di alcuno di quei poteri che, secondo la giurisprudenza consolidata, concretizzano la posizione di custode ex art. 2051 c.c., quali il potere di controllare la cosa, il potere di modificare la situazione di pericolo creatasi, nonché quella di escludere qualsiasi terzo dall'ingerenza sulla cosa nel momento in cui sussista la situazione di pericolo”.
Emerge allora evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell'odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all'art. 366, n. 4, c.p.c., in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell'inammissibile pretesa di una lettura dell'asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).
Per tale via, infatti, come si è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell'art. 360 c.p.c., il ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
All'infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.800,00, di cui Euro 1.600,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Depositata in Cancelleria il 29.03.2012
01-04-2012 00:00
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