Due proprietari di un villino posizionano del pitosforo (siepe) che viene totalmente potato dal vicino, proprietario di un lido. La lite sfocia in Cassazione.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 27 febbraio – 19 giugno 2014, n. 14008
Presidente Goldoni – Relatore Falaschi
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 4 gennaio 2005 M.G. ed O.E. evocavano, dinanzi al Giudice di pace di Civitavecchia, G.A. esponendo di essere proprietari di un villino in (omissis) , con giardino, all'interno del quale si trovava una siepe di pitosforo da loro stessi messa a dimora al fine di tutelare la loro riservatezza, sita a ridosso del muretto e dell'inferriata confinanti con un strada chiusa a servizio di uno stabilimento balneare; aggiungevano che il giorno (…) G.A. aveva proceduto alla potatura integrale della siepe, per cui chiedevano che lo stesso venisse condannato al risarcimento del danno.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, che assumeva la legittimità del suo operato, stante l'inerzia degli attori, ai quali non aveva arrecato alcun danno, il giudice adito, rigettava la domanda attorea ai sensi dell'art. 896 c.c..
In virtù di rituale appello interposto dai M. -O. , con il quale denunciavano la erronea individuazione della norma applicata alla fattispecie, il Tribunale di Civitavecchia, nella resistenza del G. , in accoglimento del gravame e in riforma della decisione impugnata, accoglieva la domanda attorea e per l'effetto condannava l'appellato al risarcimento dei danni liquidati in Euro 600,00, oltre interessi legali.
A sostegno della decisione adottata il tribunale adito evidenziava che l'art. 896 c.c. pur consentendo al vicino di costringere il proprietario dell'albero, i cui rami si protendevano sul proprio fondo, a tagliare i rami in qualunque tempo, escludeva che tale taglio potesse essere posto in essere direttamente dal proprietario del fondo confinante (o per suo conto).
Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Civitavecchia agisce il G. , sulla base di un unico motivo, cui replicano con controricorso i M. -O. , proponendo anche ricorso incidentale affidato ad un solo motivo.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Motivi della decisione
Con il ricorso principale il G. lamenta la violazione o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. per vizio di ultrapetizione ed extrapetizione avendo il giudice del merito condannato il ricorrente al risarcimento del danno per violazione della riservatezza dei controricorrenti, quantificandone l'entità in via equitativa, senza che detta voce di danno fosse mai stata dedotta dalle parti, le quali si erano limitate a richiedere il risarcimento per il danno patrimoniale subito per il ripristino e/o la sostituzione della siepe di pitosforo. L'illustrazione del mezzo è conclusa dalla formulazione del seguente quesito di diritto: "È corretto affermare che il danno lamentato dagli appellanti consiste nella distruzione della siepe e non nella lesione del diritto personale alla riservatezza; è corretto affermare che il danno del quale gli appellanti hanno chiesto il risarcimento è il danno patrimoniale consistente specificamente nella spesa necessaria per il ripristino della siepe e non il danno da liquidarsi in via equitativa per la lesione del loro diritto alla riservatezza; è corretto affermare che la condanna dell'appellato al risarcimento del danno procurato alla riservatezza operata dal giudice di appello costituisce una mutatio sia della causa petendi sia del petitum, risolvendosi nell'attribuzione agli appellanti di un bene (petitum) diverso da quello reclamato e fondato su un titolo giuridico (causa petendi) diverso da quello dedotto in giudizio".
Il ricorso principale è fondato.
Occorre premettere che la violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato si configura quando il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell'azione ("petitum" e "causa petendi"), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell'ambito della domanda o delle richieste delle parti. Pertanto, ai fini di stabilire se la sentenza sia incorsa o meno nel denunciato vizio di ultrapetizione, il petitum va determinato alla stregua del complessivo tenore della domanda in modo da accertare la volontà della parte in relazione allo scopo perseguito con l'azione.
Risponde a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che il giudice di merito ha il potere-dovere di inquadrare nella esatta discipline giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione, potere che peraltro incontra il limite del rispetto dell'ambito delle questioni proposte.
Quando pronunzia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, risulta dal giudice del merito integrato il vizio di ultra o extrapetizione (v. Cass. 11 gennaio 2011 n. 455; Cass. 20 giugno 2008 n. 16809; Cass. 7 dicembre 2005 n. 26999).
Orbene, dall'esame dall'atto di citazione in primo grado emerge che nel caso i M. - O. hanno chiesto il risarcimento dei "danni tutti causati agli attori e quantificati in Euro 1.960,00 così come portati dal preventivo di ripristino della siepe versato in atti", domanda successivamente in tali termini ribadita nell'instare per la condanna di controparte al risarcimento dei danni subiti dagli attori, per le causali esposte in narrativa, nella misura complessiva indicata "ovvero nella maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia...". Il tenore di detta domanda e la corrispondenza, in particolare, dell'ammontare del risarcimento richiesto con l'importo indicato nel preventivo prodotto dagli stessi attori depongono senz'altro nel senso della relativa limitazione al ristoro del mero danno patrimoniale sofferto in conseguenza della necessità del "ripristino della siepe" de qua e non già, come viceversa affermato nell'impugnata sentenza, per il risarcimento del danno che "attiene alla violazione della propria riservatezza... effettivamente sussistente stante l'ampiezza dell'opera di potatura", laddove ha agli originari attori ed appellanti riconosciuto il risarcimento dei danni liquidati in via equitativa per sola detta voce di danno. Il giudice del gravame ha allora effettivamente ai medesimi attribuito un bene non richiesto, o emesso una statuizione comunque non trovante corrispondenza nella domanda dagli stessi originariamente formulata, non potendo, in presenza della sopra riportata espressa richiesta di ristoro del danno patrimoniale, consistente nel "ripristino della siepe", ritenersi ricompresi tutti i danni, di natura patrimoniale e non.
Né può, invero, in contrario valorizzarsi l'espressione "ovvero nella maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia", giacché la medesima non può altrimenti intendersi che riferita al tipo di danno - appunto ripristino della siepe - oggetto della domanda di ristoro in argomento. Emerge evidente, a tale stregua, come il giudice dell'appello abbia allora nell'impugnata sentenza in effetti disatteso, come lamentato dal ricorrente G. , il suindicato principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato posto all'art. 112 c.p.c.
Passando all'esame del ricorso incidentale condizionato, il quale denuncia erronea applicazione alla fattispecie dell'art. 896 c.p.c., anziché dell'arit. 2043 c.c. ai fini della tutela risarcitoria conseguente alla recisione di rami di alberi altrui, non rivestendo il ricorrente principale alcuna qualifica specifica, né di locatario né di proprietario della stradina interposta come distacco tra la proprietà dei controricorrenti e lo stabilimento balneare finitimo, a conclusione pone il seguente quesito di diritto: "Se è vero che l'art. 896 cc legittima unicamente colui che ha un rapporto diretto di godimento del fondo, o comunque di disponibilità dello stesso e pretendere dal proprietario dell'albero posto sul fondo vicino ed i cui rami si protendono sulla sua proprietà, la recisione degli stessi. Se è vero che l'art. 896 c.c. autorizza il proprietario del fondo nel quale si protendono i rami della pianta del vicino unicamente a chiedere la recisione ma non a tagliarli direttamente".
Parimenti è da accogliere il ricorso incidentale.
Ed invero, è stato più volte chiarito da questa Corte che l'obbligo di consentire l'accesso o il passaggio sul proprio fondo, per le ragioni normativamente specificate dall'art. 843 c.c., si raffigura come una obbligazione ob rem o propter rem, e, quindi, nel caso di diniego di quel consenso, non può aver luogo alcuna tutela possessoria, che postula una relazione materiale con la cosa, corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale (v. Cass. n. 10474 del 1998; Cass. n. 7694 del 1997; Cass. n. 2274 del 1995; Cass. n. 1578 del 1987). In ordine, poi, agli argomenti desumibili dall'interpretazione dell'art. 896 c.c., si osserva che, così come più volte ritenuto da questa Corte (Cass. n. 2555 del 18 aprile 1980; Cass. n. 3062 del 10 ottobre 1958; Cass. n. 617 del 24 aprile 1947), la possibilità, per il proprietario del fondo vicino, di costringere "in qualunque tempo" il proprietario del fondo in cui l'albero è impiantato a recidere i rami pendenti, costituisce tutela della proprietà individuale, per cui il proprietario del fondo ha diritto di ottenere dal giudice ordinario la recisione dei rami del vicino che si protendono nella sua proprietà, restando comunque assicurati a protezione del paesaggio i rimedi, da chiunque azionabili, previsti dalla legislazione di settore per la tutela del paesaggio.
Se,dunque, tale limite non venga rispettato, il comportamento del dominus non può che rilevare sotto il profilo dell'abuso del diritto, in conseguenza del quale nasce immediatamente a suo carico un obbligo di rimozione, che incombe sul dominus non in quanto tale, ma quale autore di un illecito extracontrattuale (art. 2043 c.c.). Assume pertanto funzione specificamente risarcitoria (reintegrazione in forma specifica, ex art. 2058 c.c., salvo il maggior danno, risarcibile a norma dell'art. 1556 c.c., in relazione all'art. 1223 c.c.).
Secondo questa Corte (Cass. 9 giugno 2008, n. 15236), inoltre, in base all'interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 892, 893 e 894 c.c., il proprietario del fondo può chiedere l'estirpazione degli alberi posti nel fondo del vicino a distanza minore di quella di legge, a prescindere dalla valutazione dell'esistenza di un'effettiva turbativa; la finalità delle citate norme, infatti, è quella di salvaguardare il fondo in sé, indipendentemente dalle sue particolari caratteristiche o esigenze, sicché il compito del giudice di merito è limitato alla verifica del rispetto della distanza prescritta, senza doversi estendere a indagare la concreta esistenza del danno derivante dall'invasione delle radici e dei rami altrui (Corte Cost. n. 54 del 1994 e Cass. n. 14445 del 1999).
Orbene, la sentenza impugnata non è in linea con i suddetti principi, avendo riconosciuto il diritto al risarcimento del danno dei ricorrenti incidentali sulla base di un'interpretazione dell'art. 896 c.c. che oltre a prescindere dall'accertamento dei presupposti per la sua applicazione (dovendo riguardare le sole controversie insorte fra proprietari di fondi finitimi), non tiene conto della natura extracontrattuale della responsabilità conseguente all'abuso del diritto.
Conclusivamente, quindi, per le ragioni esposte, il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno accolti, con conseguente cassazione con rinvio della sentenza impugnata. Il giudice del rinvio, designato nel Tribunale di Civitavecchia, in persona di diverso magistrato, provvederà ad un nuovo esame del merito, facendo applicazione dei principi innanzi enunciati e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso principale e quello incidentale;
cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Civitavecchia, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di Cassazione.
22-06-2014 17:19
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