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Legge Balduzzi: la colpa medica dopo la Balduzzi in sede civile...
Legge Balduzzi: la colpa medica dopo la Balduzzi in sede civile
Legge Balduzzi: la colpa medica dopo la Balduzzi in sede civile
Il titolo della responsabilità della struttura sanitaria: contrattuale. Nell’ambito dell’esercizio dell’attività medica occorre distinguere la responsabilità gravante sulla struttura sanitaria da quella di cui è chiamato a rispondere il singolo medico che, in concreto, ha posto in essere la condotta colposa pregiudizievole per il paziente.
Con riguardo alla prima ipotesi di responsabilità, dottrina e giurisprudenza sono sempre state concordi nell’inquadrare la medesima nell’ambito della responsabilità contrattuale, sul rilievo che l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto. Si tratta, in particolare, del cosiddetto contratto atipico di spedalità, il cui oggetto consiste sia in prestazioni principali di carattere sanitario che in prestazioni secondarie ed accessorie (assistenza, vitto e alloggio). Da ultimo, in merito, Cass. civ.,sez. III, n. 21090/2015, ha affermato che l’ospedale è tenuto ad adempiere la propria prestazione, oggetto del contratto c.d. di spedialità, con la massima diligenza e prudenza. Il nosocomio, oltre che ad osservare le normative di ogni rango in tema di dotazione e struttura delle organizzazioni d’emergenza, deve tenere poi n concreto, per il tramite dei suoi operatori, condotte adeguate alle condizioni disperate del paziente e in rapporto alle precarie disponibilità di mezzi e risorse, adottando di volta in volta le determinazioni più idonee a scongiurare l’impossibilità di salvataggio del soggetto leso. Se non viene adempiuta quest'ultima condizione, la struttura è responsabile contrattualmente del decesso del paziente nonostante costui sia arrivato in condizioni disperate e siano stati rispettate le istruzioni previste dalla normativa vigente.
Responsabilità del medico e contrasto nella giurisprudenza di merito: da inadempimento. La giurisprudenza si è ampiamente occupata di comprendere a che titolo risponde il singolo sanitario, che, all’interno di un ente ospedaliero, si occupa di un paziente e gli arreca colposamente un pregiudizio. Prima dell’introduzione dell’art. 3 l. 189/2012, l’indirizzo giurisprudenziale pressoché unanime propendeva per la natura contrattuale, da contatto sociale, della responsabilità del singolo medico, a sua volta solidale con la responsabilità della struttura sanitaria di appartenenza. Dopo l’introduzione della Legge Balduzzi, gran parte dei giudici di merito hanno affermato che la riforma fa salva tutta la precedente elaborazione giurisprudenziale sulla natura contrattuale, ovvero da inadempimento, che occorre riconoscere alla responsabilità del medico, con conseguente piena applicazione dell’art. 1218 c.c.. Per Trib. Rovereto, 29.12.2013, infatti,  «il legislatore non è intervenuto sulle fonti delle obbligazioni e, in particolare, sull’art. 1173 c.c. il quale individua non solo il contratto e l’atto illecito ma anche ogni atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico; anche le obbligazioni di fonte legale (e non solo quelle di fonte contrattuale) sono disciplinate dall’art. 1218 c.c. e, per effetto della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (legge n. 833 del 1978) è configurabile un rapporto obbligatorio di origine legale ogni qual volta un paziente si rivolga ad una qualche struttura sanitaria appartenente al servizio per ricevere le cure de caso, indipendentemente dalla conclusione di un contratto in senso tecnico».
Argomenti a supporto della responsabilità contrattuale del medico. I giudici di merito, nell’accostare la responsabilità del medico a quella per inadempimento, valorizzano il dato letterale della norma, oltre ad esigenze di coerenza sistematica interna all’art. 3 comma 1 della legge Balduzzi. Nella seconda proposizione del citato articolo, infatti, il richiamo all’art. 2043 c.c. è preceduto dall'espressione “in tali casi”, ed è pertanto limitato espressamente ai casi in cui il medico non risponde penalmente di colpa lieve per essersi attenuto a linee guida accreditate, così come afferma la prima proposizione dello stesso. Dunque, la portata necessariamente circoscritta della disposizione in esame, preclude a priori l’effetto di ricondurre in generale la materia della responsabilità medica nell’alveo dell’illecito aquiliano. D’altra parte, si invoca la ratio dell’art. 3, comma 1: il legislatore sarebbe stato infatti mosso dall'intento di escludere espressamente la responsabilità penale e di precisare che, tuttavia, resta fermo l’illecito civile, per cui il richiamo all’art. 2043. c.c. si giustifica non per la volontà di qualificare come extracontrattuale una responsabilità civile da tempo qualificata dalla giurisprudenza come contrattuale ma, più semplicemente, perché l'omologo civilistico della responsabilità penale, cui fa riferimento l’art. 185 c.p., è senza dubbio la responsabilità extracontrattuale, non quella contrattuale che riposa su distinti presupposti. Il riferimento all’art. 2043 c.c. non sarebbe quindi imputabile a una mera ‘svista del legislatore’, ma tuttalpiù a un fenomeno di ‘associazione concettuale’ tra illecito aquiliano ex art. 2043 c.c. e danno da reato ex art. 185 c.p.. Anche per Trib. Milano, Sezione V, n. 13574/2013: «La responsabilità del medico ospedaliero – anche dopo l’entrata in vigore dell’articolo 3 l. n. 189/12 – è da qualificarsi come contrattuale. D’altra parte, la presunzione di consapevolezza che si vuole assista l’azione del legislatore impone di ritenere che esso, ove avesse effettivamente inteso ricondurre una volta per tutte la responsabilità del medico ospedaliero (e figure affini) sotto il solo regime della responsabilità extracontrattuale escludendo così l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 1218 c.c. e così cancellando lustri di elaborazione giurisprudenziale, avrebbe certamente impiegato proposizione univoca anziché il breve inciso in commento» (negli stessi termini, anche la sentenza del tribunale milanese del 18.11.2014). Anche altri tribunali di merito continuano ad interpretare in chiave contrattuale la responsabilità del sanitario: in particolare, Trib. Arezzo (14.2.2013); Trib. Cremona (1.10.2013). Questa ricostruzione della responsabilità civile del medico, che segue l'oramai consolidata teoria del ‘contatto sociale’, resterebbe dunque immutata in seguito all’entrata in vigore del decreto Balduzzi. Da tale inquadramento della natura della responsabilità civile discendono d'altra parte rilevanti conseguenze favorevoli al paziente-attore, tra le quali la prescrizione decennale e la particolare conformazione dell'onere della prova da inadempimento.
La giurisprudenza di merito sulla responsabilità extracontrattuale del medico. All’interno del Tribunale di Milano si è registrata una diversa lettura sull’art. 3, ritenendo invece che con la Legge Balduzzi la responsabilità del medico ospedaliero torna ad essere extracontrattuale, con conseguente insorgere di un contrasto interpretativo. In particolare, nelle sentenze del 17 luglio e 2 dicembre 2014, il Trib. Milano, Sezione I, afferma che: «Il tenore letterale dell’art. 3 comma 1 della legge Balduzzi e l’intenzione del legislatore conducono a ritenere che la responsabilità del medico (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie) per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d’opera (diverso dal contratto concluso con la struttura) venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. e che, dunque, l’obbligazione risarcitoria del medico possa scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano (che il danneggiato ha l’onere di provare). In ogni caso l’alleggerimento della responsabilità (anche) civile del medico “ospedaliero”, che deriva dall’applicazione del criterio di imputazione della responsabilità risarcitoria indicato dalla legge Balduzzi (art. 2043 c.c.), non ha alcuna incidenza sulla distinta responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata (sia essa parte del S.S.N. o una impresa privata non convenzionata), che è comunque di tipo “contrattuale” ex art. 1218 c.c.». Diversi tribunali di merito hanno aderito all’interpretazione sovra esposta: segnatamente, il Tribunale di Torino (26.2.2013, secondo cui il legislatore avrebbe dettato una norma che smentisce l’intera elaborazione giurisprudenziale precedente e l’art. 2043 c.c. sarebbe ora la norma a cui ricondurre sia la responsabilità del medico pubblico dipendente, sia finanche quella della struttura pubblica nella quale opera, non essendo ipotizzabile secondo quel giudice un diverso regime di responsabilità del medico e della struttura) ed il Tribunale di Varese (26.11.2012). Peculiare è, invece, la posizione del Trib. Brindisi, 18.7.2014, secondo cui in base al principio della cumulabilità dei rimedi, il danneggiato può agire nei confronti del medico con l’azione extracontrattuale da sola o, in alternativa, a quella contrattuale da contatto sociale.
3.1. Conseguenze. Qualora si propenda per la responsabilità extracontrattuale del medico, oltre all’onere della prova (a carico dell’attore in caso di illecito aquiliano) e al termine di prescrizione della relativa azione (5 anni), ciò avrebbe importanti conseguenze sugli spazi operativi del diritto di regresso. Per Tribunale, Milano, sez. I, sentenza 31.1.2015, infatti, «nel caso in cui la struttura sanitaria adita dal paziente danneggiato, chiami in causa a titolo di regresso il medico (libero professionista) che in concreto ha svolto la prestazione, la pretesa della medesima è disciplinata dall’art. 2055, commi 2 e 3, c.c., senza che il professionista possa invocare nel caso concreto limitazioni al diritto di rivalsa della struttura sanitaria basate sul contratto collettivo di categoria o sul contratto di collaborazione professionale concluso dalle parti». Il Tribunale, premesso che dopo l’entrata in vigore della legge Balduzzi la responsabilità del medico per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d’opera (diverso dal contratto concluso con la struttura) è ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c., l’obbligazione risarcitoria del medico può scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano. Dal momento che, nel caso in esame, l’attore ha agito in giudizio unicamente nei confronti della struttura sanitaria, la domanda di risarcimento danni non si estende automaticamente al medico terzo chiamato, che non è parte del contratto di spedalità, ma solo uno dei soggetti di cui il debitore (struttura sanitaria) si è avvalso per eseguire le prestazioni dovute. Invero, la domanda della struttura sanitaria privata nei confronti del medico va ricondotta nel caso concreto al disposto dell’art. 2055 c.c., in base al quale se più soggetti sono responsabili di un unico evento dannoso, tutti sono obbligati in solido al risarcimento del danno nei confronti del danneggiato, a prescindere dal fatto che la fonte della responsabilità risarcitoria sia per tutti di natura extracontrattuale o che invece, come nel caso di specie, taluno sia responsabile per inadempimento di un preesistente rapporto obbligatorio derivante da un contratto concluso con il danneggiato, mentre altri (terzi rispetto a tale contratto) siano invece tenuti al risarcimento in base alle comuni regole della responsabilità aquiliana, per aver contribuito con la propria condotta illecita alla produzione del danno. L’azione della struttura convenuta, precisa il Tribunale, non si fonda infatti sul rapporto negoziale intercorso con il professionista, bensì sul diritto riconosciuto dall’ordinamento a ciascun corresponsabile di un evento dannoso di agire in regresso nei confronti degli altri per la ripartizione interna, sulla base della gravità delle rispettive colpe e dell’entità delle conseguenze dannose che ne sono derivate (art. 2055, comma 2, c.c.).
Per la Cassazione la responsabilità del medico rimane contrattuale. All’indomani dell’introduzione della legge Balduzzi, fin dalle prime pronunce la Suprema Corte civile ha affermato, dapprima con un obiter dictum, che: «L’articolo 3 comma 1 D.L. 158/12, conv. L. 189/12, ha depenalizzato la responsabilità medica in caso di colpa lieve, dove l’esercente l’attività sanitaria si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. L’esimente penale non elide, però l’illecito civile e resta fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 c.c. che è clausola generale del neminem laedere, sia nel diritto positivo, sia con riguardo ai diritti umani inviolabili quale è la salute. La materia della responsabilità civile segue, tuttavia, le sue regole consolidate e non solo per la responsabilità aquiliana del medico ma anche per quella  contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale» (Cass. civ., Sezione III, n. 4040/2013).
Successivamente, la Suprema Corte ha avuto modo di esprimere in modo ancor più chiaro la sua posizione: «L’art. 3, comma 1, l. 189/2012, là dove omette di precisare in che termini si riferisca all’esercente la professione sanitaria e concerne nel suo primo inciso la responsabilità penale, comporta che la norma dell’inciso successivo, quando dice che resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c., poiché in lege aquilia et levissima culpa venit, vuole solo significare che il legislatore si è soltanto preoccupato di escludere l’irrilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità extracontrattuale, ma non ha inteso prendere alcuna posizione sulla qualificazione della responsabilità medica necessariamente come responsabilità di quella natura. La norma, dunque, non induce il superamento dell’orientamento tradizionale sulla responsabilità da contatto e sulle sue implicazioni» (Cass. civ., sezione VI, ordinanza n. 8940/2014).
La condotta rispettosa delle linee guida (non esclude ma) ‘attenua’ della responsabilità civile del medico. Il terzo periodo del comma 1 dell’art. 3 L. 189/12 statuisce che: «Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo»; la condotta di cui al primo periodo consiste esattamente nella condotta del sanitario rispettosa delle linee guida e delle buone pratiche accreditate presso la comunità scientifica. Ne consegue che se l’esercente la professione sanitaria si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, egli risponde civilmente sia per colpa lieve che per colpa grave, tuttavia, nella determinazione del danno risarcire al paziente, il giudice civile deve tenere conto del fatto che il sanitario si era attenuto alle linee guida ed alle buone pratiche accreditate dalla scienza medica. Dunque, il  rispetto delle linee guida e delle buone pratiche funziona come causa di esclusione della responsabilità penale per colpa lieve e nel contempo come ‘attenuante’ della responsabilità civile, dando vita ad una situazione abbastanza anomala. Tradizionalmente, infatti, la colpa rileva sul piano civilistico ai fine dell’an debeatur e non del quantum, ossia rileva come elemento costitutivo della responsabilità e del diritto al risarcimento dei danni, non come criterio per determinare la somma risarcibile.
Conclusioni. Per la Suprema Corte, con l’introduzione della legge Balduzzi,  mentre in sede penale l’intervento normativo ha realizzato un fenomeno di parziale abolitio criminis con riferimento alle condotte del medico che, rispettose delle linee guida in materia sanitaria, provochino lesioni ovvero la morte del paziente (penalmente, dunque, il sanitario, risponde solo per colpa grave), tale distinzione non si estende alla responsabilità civile, dove il medico che arrechi un pregiudizio al paziente, a prescindere dal difetto di diligenza in cui incorre, risponde sia se abbia rispettato le linee guida sia se non le abbia osservate (secondo periodo dell’art. 3, comma 1, legge 189/2012). Nella determinazione del danno risarcibile al paziente, tuttavia, il giudice deve considerare che il medico si era attenuto alle linee guida e, ciò nonostante, arreca un pregiudizio al paziente (terzo periodo dell’articolo 3, comma 1, l. n. 189/2012). Il richiamo all’art. 2043 c.c., pertanto, implica solo un’attenuazione dei profili civilistici della responsabilità medica, ma ex se non potrebbe essere considerato come espressione dell’intenzione del legislatore di voler superare l’orientamento giurisprudenziale dominante del contatto sociale e della responsabilità sanitaria di tipo contrattuale.
Avv. Antonino Sugamele

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